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Autore: Nocturnia    24/05/2016    3 recensioni
Delilah compone il numero di Adam, aspetta.
"Hai sentito quello che sta succedendo a Chicago?"
Ha la voce agitata Delilah; un'inflessione tagliente che spezza le parole.
"Sì." ribatte Adam "Pare che l'esercito stia usando il napalm."
Delilah deglutisce, stringe il telefono all'orecchio come fosse la cosa più preziosa al mondo.
"Non lo faranno anche qui, vero?"

[Prima classificata al contest "Il telefono", indetto da MontyDeeks sul forum di EFP.]
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Rick Grimes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dead world
Disclaimer: Rick Grimes, Negan, Michonne e tutti gli altri personaggi appartengono a Robert Kirkman, Frank Darabont, AMC Studios e a chi detiene i diritti sull'opera. Delilah, Justin e Adam sono invece una mia creazione. Questa storia è stata scritta per puro diletto personale, pertanto non ha alcun fine lucrativo. Nessun copyright si ritiene leso. L’intreccio qui descritto rappresenta invece copyright dell'autrice (Nocturnia) e non ne è ammessa la citazione altrove, a meno che non sia autorizzata dalla stessa tramite permesso scritto.



"Sometimes I wish I could see beyond this dead world.

Sometimes I wish I could see beyond me."
- Static X -





Dead world




"Siamo spiacenti, ma l'utente da lei chiamato non è al momento raggiungibile. La invitiamo a riprovare più tardi. Grazie."
Un rigurgito acido su per la gola; la paura a stringergli il cuore - la speranza.
"Siamo spiacenti, ma l'utente da lei chiamato non è al momento raggiungibile. La invitiamo a riprovare più tardi. Grazie."
Justin ha nove anni, un cellulare rosa tra le mani.
"Siamo spiacenti, ma l'utente..."
Silenzio.
La linea cade, le piccole dita di Justin continuano a comporre il numero di sua madre (proprio come gli aveva insegnato la nonna)
Riprova, ascolta un grumo di rumore statico e morte.
Il muco gli scivola sul labbro superiore, il morso al polpaccio brucia come l'inferno.
Preme i tasti in sequenza, controlla che siano giusti (3394567889) attende la voce di sua madre.
"Siamo... spiac... non è al moment... raggiungibile. La inv... a prov... Grazie."
La voce registrata dell'operatrice cola, diventa un gorgoglio ributtante - putrescente.
Justin chiude gli occhi e comincia a piangere.

****

Delilah compone il numero di Adam, aspetta.
"Hai sentito quello che sta succedendo a Chicago?"
Ha la voce agitata Delilah; un'inflessione tagliente che spezza le parole.
"Sì." ribatte Adam "Pare che l'esercito stia usando il napalm."
Delilah deglutisce, stringe il telefono all'orecchio come fosse la cosa più preziosa al mondo.
"Non lo faranno anche qui, vero?"
Adam tace, lascia che il fuoco che divora l'orizzonte di New York risponda per lui.
"Quando arrivi?" chiede - prega.
In sottofondo Delilah può sentire un pugno di urla soffocate - gemiti e strilli e grida che strappano ogni speranza.
"Appena posso."
Mai, le suggerisce una vocina nella sua testa.
Delilah inspira, chiude gli occhi.
"Ricordati di mettere il telefono in carica; usa anche quella aggiuntiva. Non sappiamo ancora per quanto l'elettricità resisterà."
Il rumore di una cerniera che si chiude, il click conosciuto della serratura di casa di Adam.
"Va bene." Delilah si umetta le labbra, ingoia un grumo acido di paura e saliva "Va bene. Ti aspetto, Adam."
Adam annuisce dall'altra parte del telefono (Delilah può quasi vederlo - percepirlo da quanto lo conosce bene) chiude la conversazione.
New York morirà un'ora dopo.


Delilah ha aspettato.
Si è chiusa nel suo appartamento al centro di Midtown, circondata da cibo in scatola e a lunga conservazione.
Fuori, il mondo è impazzito in pochi giorni.
Dal trentesimo piano Delilah ha potuto osservare le strade riempirsi di infetti e poi di morti, svuotarsi all'improvviso e diventare un sepolcro a cielo aperto.
Regna un silenzio innaturale per il quartiere, una quieta pastosa e interrotta solo da quelle cose (dalle loro mandibole dislocate, dai loro denti marci, dalla loro fame)
Delilah si porta le ginocchia al petto, fissa la porta dell'appartamento.
Il suo studio è diventato una trincea improvvisata, librerie e mobili tutti schiacciati contro l'unico ingresso possibile.
C'è un vasetto di marmellata finito vicino alla sua coscia, un pacchetto di patatine sotto la scarpa da ginnastica.
Le lezioni di pilates sono un ricordo, il conteggio delle calorie anche.
Fanculo, pensa, a mantenermi in forma ci penseranno i chilometri che dovrò fare per andarmene da questo buco, non certo la tabella degli alimenti.
Il telefono è in risparmio energetico (diciannove percento della batteria) e Delilah raziona coscienziosamente ogni tacca rimasta.
Sospira, posando lo sguardo sullo sfondo dello schermo.

Lei e Adam, una vita fa. Solo un mese prima, in fin dei conti.

Lungo il corridoio qualcosa cade e comincia a strisciare.


Ricorda ancora quanto le era costato quel telefono (un iPhone 5s, scocca dorata, interno bianco) la fila interminabile per averlo.
Ricorda la prima foto che si era fatta con Adam, il primo indirizzo che aveva cercato con l'applicazione di Google Maps.
Ricorda d'avergli urlato contro perché si era scaricato nel mezzo di un'importante conversazione di lavoro, la morsa ferrea in cui l'aveva stretto il primo giorno dell'apocalisse.
Delilah si passa una mano tra i capelli, scorre con il pollice le immagini di una ragazza che non esiste più.
Le rimane poco più del diciotto percento della carica, ringrazia d'aver affittato un appartamento in uno di quei palazzi ecosostenibili (pannelli solari e generatori autonomi)
Il giorno muore, la notte lo divora.
Delilah comincia a ridere fino a vomitare.


È uscita; ha affrontato la fine del mondo.
Ha infilato anche il telefono nello zaino (appena ricaricato con gli ultimi residui di energia del condominio) ha controllato di aver chiuso la porta prima d'uscire.
Si è affidata a rituali vecchi e senza più senso, come guardarsi allo specchio per verificare se la sciarpa s'intonasse al colore dei pantaloni.
Ha salutato una casa in cui credeva di poter avere un futuro, il profilo pallido e logorato di una donna perduta - smarrita.
Le scale sono deserte, le strade una linea grigia e smorta.
L'apocalisse è silenziosa, sirene che hanno smesso di suonare e grida ingoiate dal terrore.
Un morto cammina dall'altra parte della strada, Delilah alza il telefonino e scatta una foto - se Instagram esistesse ancora quell'immagine sarebbe scambiata per un cosplay fin troppo convincente.

Invece è solo il testamento postumo di un'umanità sconfitta e spezzata.

Delilah inspira un'aria incredibilmente pulita e ricomincia a camminare.


La sua prima uccisione è stata un groviglio di carne decomposta e sangue.
Il cranio non si è sfondato subito e Delilah  ha dovuto insistere - colpirlo fino a quando della sua faccia non è rimasto altro che una poltiglia sanguinolenta e molliccia.
Con la seconda ha quasi rischiato di farsi mordere, alla terza la rabbia ha preso il sopravvento e le ossa si sono frantumate al primo colpo.
La quarta era un bambino di non più di nove anni, una maglietta di Superman sdrucita e un cellulare rosa che gli penzolava dalla cintura rovinata.
La quinta un essere umano (un vivente) che aveva tentato di rapinarla, la sesta la sua compagna.
Delilah aveva fissato i loro corpi morti con uno strano misto di fascinazione ed eccitamento, una sensazione sgradevole e piacevole allo stesso tempo.
Un mese, due mesi; il tempo di far tornare i suoi capelli del loro colore naturale, una parentesi nella quale Delilah si era scoperta insensibile al dolore altrui.

Egoista fino alla fine.

Tira fuori il cellulare dalla tasca dei jeans, ne osserva lo schermo nero e incrinato.
Delilah sorride al suo riflesso senza alcuna allegria.


Ogni tanto prova ad accenderlo; così, per credere nei miracoli.
Ogni tanto si chiede che fine abbiano fatto tutte quelle antenne contro le quali gli ambientalisti si erano tanto battuti, gli operatori dei call center che non esitavano a chiamarla anche alle dieci di sera.
Si chiede come sia stato ascoltare la propria fine mentre s'intrecciava a quella di mille altri, se hanno sentito lo stomaco diventare liquido e scivolargli lungo l'addome, tra le cosce.
Sa che la costa ovest è stata data alle fiamme, quella est solo parzialmente risparmiata.

Tipico dei militari; alla peggio gettano napalm e sperano.

Immagina Steve Jobs risorgere dalla sua tomba come in uno di quei film di Romero, libera una risata stridula - agonica.
Il telefono tace, morto.
Delilah ascolta la notte e il suo silenzio.


Ha fame.
Il cervello si è spento, ogni altro istinto si è sopito.
Non sa per quanto ha camminato, dove sia arrivata.
Delilah ha fame; digrigna i denti e rovista tra gli scaffali caduti di un mini market senza decenza, sbatte i pugni sul pavimento, lungo le pareti.
Ingoia una manciata di caramelle scadute, sente già lo stomaco ribellarsi - un figlio di puttana abituato fin troppo bene.
Un rumore, quasi un tonfo.
Delilah si volta, osserva uno degli infetti cercare di venirle incontro - essere bloccato dalla porta di servizio.
Ha occhi opachi, denti scoperti in un ghigno grottesco.
Ha fame, e cerca la sua carne - il suo sangue.
Delilah si chiede cosa abbiano ormai di così diverso.


Non sa perché di tutte le cose a cui ha rinunciato non riesca a lasciar andare quello - un telefono ormai inutile.
Ogni tanto si scopre rassicurata dalla sua presenza, come se potesse magicamente tornare a funzionare e permetterle di chiamare qualcuno - chiunque.
Non incontra viventi da mesi Delilah, e forse è stata questa aberrante solitudine a farla apparire utile ai suoi occhi.

"Tutti hanno un compito nella mia città."

Delilah l'aveva fissato con il coraggio dei morti, una quieta incoscienza che solo chi non ha più nulla da perdere può provare.

"Ero un avvocato prima di tutto questo. Una penalista. Una brutta stronza, a sentire i miei colleghi."

Non sa perché l'ha detto - se possa servire a qualcosa.
Di quella donna biondissima e che mangiava solo cibi biologici è rimasto un pallido involucro, una pelle indurita dalle stagioni e occhi spietati - muscoli e carne e ossa plasmati fino a diventare un'arma votata alla sopravvivenza.

"Un avvocato, eh?"

Non c'è derisione, né stupore.
La fissa con un sopracciglio alzato, la mazza da baseball che dondola pigra tra le dita.

"Uno dei migliori."

L'uomo indica la tasca posteriore dei suoi pantaloni, le gira attorno.
"E questo?"
Delilah fissa il suo iPhone 5s scocca dorata e interno bianco con la gola asciutta, si stringe nelle spalle.
"Un ricordo."
L'uomo lo soppesa, lo fa saltare nel palmo della mano un paio di volte.
"Dove andrai non ti servirà di sicuro. Cristo, ragazza, non ti serviva nemmeno prima."
Delilah alza lo sguardo, osserva per l'ultima volta il suo telefono - se lo imprime nella memoria prima che lo stivale dell'uomo lo frantumi in decine di pezzi.
Il secondo uomo abbassa leggermente il fucile, il terzo le restituisce lo zaino, il coltello.
"Questa qui è Lucille" dice l'uomo, e punta l'indice verso la mazza avvolta in filo spinato "Non le piace essere contraddetta."
Delilah annuisce, si scopre incapace di avere paura.

Anestetizzata da una realtà nella quale non ha ancora capito se vuole vivere.

"Io sono Negan." e sorride l'uomo (mostra i denti) "E , neppure a me piace essere contraddetto."
"Delilah." risponde, e si sistema lo zaino sulle spalle "E io odio essere contraddetta."
Negan ride (un suono terribile - crudele) le dà le spalle - un silente invito a seguirlo.
Un morto inciampa tra gli arbusti alla sua destra, vi rimane incastrato; sotto i suoi piedi tutto ciò che resta del suo passato (contatti morti, gallerie foto irrecuperabili)
Mesi dopo Delilah guarderà Rick Grimes negli occhi (la sua disperazione, il suo dolore - la sua cieca speranza) e non proverà più nulla.




"In a cruel land, you either learned to laugh at cruelty or spent your life weeping."
- Robert Jordan -
















   
 
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