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Autore: eugeal    26/05/2016    1 recensioni
Si dice che alla vigilia di Ognissanti le anime dei morti tornino a camminare sulla terra.
Guy di Gisborne non crede alle superstizioni popolari, ma per conquistare l'attenzione di Marian è disposto a sfidare anche gli spiriti inquieti.
Ma l'arrivo di una misteriosa carrozza senza cocchiere potrebbe scuotere le sue convinzioni...
Genere: Avventura, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Allan A Dale, Guy di Gisborne, Marian, Nuovo personaggio, Robin Hood
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Gisborne fece cenno a Robin di restare fermo e di nascondersi nell’ombra di una nicchia, poi proseguì fino a sparire dietro l’angolo del corridoio.
Robin attese, leggermente inquieto. Il cavaliere nero non accennava a tornare e lui si chiedeva cosa stesse facendo. Forse voleva attirarlo in una trappola e consegnarlo allo sceriffo? Ma allora perché farlo uscire di cella? Lui era già suo prigioniero.
Si appoggiò al muro, rabbrividendo al contatto con la pietra gelida. Sentiva freddo e gli tremavano le gambe e si chiese come avrebbe fatto ad aiutare Gisborne a catturare l’assassino essendo così debole. Sempre che le intenzioni del cavaliere nero fossero davvero quelle.
Il corridoio deserto era silenzioso come una tomba, ma Robin aveva la sensazione di sentire suoni distanti e indefiniti: scricchiolii, fruscii soffocati, un suono ritmico e smorzato, quasi di passi spettrali.
Robin rabbrividì e sussultò quando Guy si affacciò da dietro l’angolo all’improvviso, chiamandolo a bassa voce e facendogli segno di seguirlo.
Si affrettò a raggiungerlo e Gisborne lo fece entrare in fretta in una piccola stanza, entrandovi a sua volta e richiudendosi la porta alle spalle.
Guy appoggiò sul davanzale della finestra la candela che aveva usato per illuminare il loro percorso e aprì un baule, iniziando a frugarvi all’interno.
- Tieni, Hood, indossala. - Disse, porgendogli una delle uniformi delle sue guardie. - Nessuno deve sapere che ti ho liberato.
Robin annuì. L’idea di Guy aveva senso e Robin pensò che avrebbe dovuto venire in mente anche a lui.
Prese la divisa, ma esitò prima di indossarla e, rialzando lo sguardo, notò che Guy lo stava fissando con un sogghigno ironico.
- Andiamo, Hood, scommetto che non è la prima volta che ti spacci per una delle mie guardie.
- Te ne sei accorto perché ero più efficiente di loro?
- Sbrigati, non c’è tempo da perdere. - Ringhiò Guy.
Robin infilò la divisa e fu tentato di fare qualche battuta provocatoria sul giallo fin troppo sgargiante che Gisborne aveva scelto per la stoffa della camicia e del mantello delle sue guardie personali e che sembrava voler mettere in evidenza il giallo e nero che contraddistingueva lo stemma della sua famiglia. Quando Guy si era impossessato di Locksley, lo aveva riempito con stendardi e bandiere con quei colori, aveva appeso alle pareti scudi dipinti con lo stemma di famiglia, aveva attaccato quelle ridicole bandierine anche al carro che usava quando non andava a cavallo e Robin immaginava che lo facesse perché in fondo sapeva benissimo che Locksley non gli apparteneva, che era solo un usurpatore.
Lanciò uno sguardo a Gisborne, ma non disse nulla, sarebbe stato sciocco da parte sua provocarlo quando era in una situazione di netto svantaggio. Era ferito, si sentiva debole e se Gisborne avesse deciso di gettarlo di nuovo in cella, non avrebbe potuto fare nulla per opporsi.
Robin mise l’elmo in testa e sperò che quella sensazione di malessere si decidesse a passare. La testa gli pulsava dolorosamente rendendogli difficile concentrarsi su un piano e il peso dell’elmo non aiutava affatto. Robin cercò di scostare la cotta di maglia dal collo per evitare che strusciasse contro la ferita, poi seguì Guy, sperando di apparire convincente come guardia.
Camminarono per un po’ attraverso i corridoi silenziosi e Robin barcollò faticosamente dietro Gisborne finché un capogiro più forte lo costrinse ad appoggiarsi al muro per non cadere.
Guy si voltò a guardarlo.
- Hood?
- Prosegui, Gisborne. Sempre che tu abbia la minima idea di dove stiamo andando.
- Pensavo di esaminare di nuovo i punti in cui sono avvenute le aggressioni. - Guy lo fissò, scrutandolo attentamente. - Ma forse dovrei concentrarmi di più sulle vittime. Entra in quella stanza, Hood, e aspettami lì.
Robin gli lanciò uno sguardo perplesso, ma acconsentì, anche perché non credeva di avere la forza di continuare a camminare ancora a lungo.
Entrò nella stanza chiedendosi cosa avesse voluto dire Guy. Con un brivido, si chiese se per caso Gisborne avesse fatto trasportare in quel luogo i corpi delle vittime e si accorse con sollievo che invece quella stanza era completamente vuota a parte un tavolo, delle panche e un arazzo attaccato al muro. Il fuoco era acceso nel camino e Robin sedette su una delle panche, dando la schiena alle fiamme.
Forse quella era una stanza destinata ai soldati del castello, un luogo dove poter mangiare o giocare a dadi tra un turno di guardia e l’altro. Robin sperò che non entrasse nessuno e ancora una volta si interrogò sulle intenzioni di Gisborne.
Era la seconda volta che lo lasciava solo e per un attimo Robin fu tentato di andarsene, di tornare al campo e allontanarsi dalla gelida sensazione di pericolo che avvolgeva il castello e che gli faceva stringere lo stomaco. Ma aveva dato la sua parola a Gisborne e non aveva intenzione di mostrarsi sleale.
Proprio quando stava iniziando a pensare che Gisborne non sarebbe tornato, la porta si aprì e Guy entrò furtivamente, appoggiando sul tavolo un cesto coperto da un panno e una brocca di vino.
Robin lo guardò, perplesso, mentre Gisborne tirava fuori dal cesto due boccali e li riempiva.
- Bevi, Hood. - Disse, poi frugò nel cesto e mise sul tavolo una forma di pane e un involto pieno di fette di carne fredda. - Mangiamo qualcosa e poi potremo parlare.
Robin lo fissò.
- Ti sembra il momento?
- Tu non ti reggi in piedi e io non ricordo l’ultima volta che ho fatto un pasto decente. Quindi sì, mi sembra il momento.
Robin non trovò nulla da obiettare. Non aveva particolarmente fame, ma si sentiva terribilmente assetato e il vino lo fece sentire un po’ meglio.
Guy masticò un pezzo di pane in silenzio, senza guardare Robin. Quella situazione era assurda: lui e il suo nemico di sempre seduti tranquillamente a condividere un pasto come se niente fosse. Eppure, da quando quella spettrale carrozza era arrivata al castello, la sua vita era diventata ancora più complicata del solito e, a parte il cibo che gli era stato portato da Marian mentre era di guardia e la soul cake che aveva assaggiato in cucina, non aveva mangiato nulla dal giorno prima ed era affamato.
Dentro di sé, in qualche profondità del suo animo di cui non sospettava neppure l’esistenza, sentiva un altro tipo fame, diversa e più viscerale, il desiderio divorante di qualcosa che però non sarebbe stato capace di definire. Era simile a ciò che provava per Marian, quella voglia struggente di stringerla a sé, di baciarla fino a smarrire la ragione, di fondersi con lei per diventare una cosa sola, unirsi alla sua purezza per diventare migliore… Ma non era la stessa cosa. Questo strano desiderio sconosciuto era qualcosa di più profondo e oscuro, una forza che scorreva nel sangue.
Alzò lo sguardo su Robin e lo osservò mentre mangiava, il movimento del suo collo ogni volta che deglutiva.
Potrei tagliargli la gola e non avrebbe la forza di reagire. Il sangue… il sangue sarebbe abbastanza da riempire il boccale al posto del vino… Guy sussultò, sconvolto dalla morbosità dei suoi stessi pensieri.
Odiava Robin Hood e aveva provato un immenso piacere ogni volta che era riuscito a sottrargli qualcosa che gli apparteneva, voleva vederlo morto, appeso a una forca per i suoi crimini, ma quel desiderio sanguinario non era da lui. Guy aveva ucciso agli ordini di Vaisey, aveva versato sangue, innocente e non, ma non aveva mai provato piacere nel farlo, era solo il suo dovere e lui lo faceva senza scomporsi.
Desiderare la morte atroce di una persona a cui aveva promesso la salvezza non era normale, era immorale e vergognoso, anche se quella persona era Robin Hood. Avevano stretto un accordo e per Guy la lealtà era la cosa più importante.
In quel momento anche Robin alzò lo sguardo su di lui e Gisborne rabbrividì: nei suoi occhi, Guy aveva letto lo stesso desiderio tenebroso di versare sangue, quella fame feroce di violenza che anche lui aveva appena provato.
Vederla specchiata negli occhi di un’altra persona era terrificante: Robin Hood, con tutti i suoi principi ipocriti sul non uccidere, lo voleva morto. In modo violento.
Rimasero a fissarsi per un lungo attimo, poi la porta che si apriva spezzò quella specie di incanto malsano e Guy balzò in piedi, estraendo la spada e girandosi verso il nuovo arrivato, pronto ad attaccare.
Allan fece un balzo indietro, alzando le mani di fronte a sé.
- Ehi, Giz, calma, sono io! Di’ un po’, sei impazzito, per caso? - Il giovane sgranò gli occhi nel riconoscere la guardia seduta al tavolo e rimase a bocca aperta, incerto su cosa fare.
Possibile che Guy non si fosse reso conto che quello era Robin? Di certo non sarebbe rimasto seduto tranquillamente a mangiare a un passo dal suo nemico, ma come poteva non essersi reso conto dell’identità di quel soldato? Gisborne era pallido e sicuramente era nervoso e agitato, che si sentisse male?
Guy rimise la spada nel fodero e si appoggiò al muro con la schiena, incrociando le braccia davanti a sé con un sospiro stanco.
- Cosa vuoi, Allan?
- Ti stavo cercando… - Iniziò, incerto, lanciando uno sguardo preoccupato a Robin. - Va… va tutto bene, Giz?
- Ti sembra che vada tutto bene?! C’è qualcuno che va in giro ad ammazzare la gente per il castello e non abbiamo la più pallida idea di chi possa essere! Se non avremo trovato il colpevole per quando lo sceriffo si sarà svegliato non sarà affatto piacevole, posso assicurartelo! E lui – si voltò a guardare Robin, puntandogli contro un dito con aria accusatoria – non ha ancora trovato nemmeno mezza idea per riuscire a risolvere il problema!
- Ci sto pensando! - Ribatté Robin, offeso, e Allan spostò lo sguardo da uno all’altro, sempre più perplesso.
- Voi due… stavate cenando insieme?
- Se devo aspettare che finisca di pensare, tanto vale che nel frattempo mangiamo. Qualcosa in contrario?! - Ringhiò Guy.
Allan sbirciò il tavolo e scosse la testa.
- No, anzi, ottima idea. - Allan si accomodò al centro della panca e allungò una mano verso il pane, afferrandone un pezzo.
Guy gli lanciò un’occhiataccia, ma non disse nulla e anche lui tornò a sedere, poi si rivolse a Robin.
- Hood, tu sei l’unico che ha visto l’assassino. Ora devi dirci quello che sai. Prova solo a prendermi in giro e giuro che ti trascinerò in cella prima che tu possa fiatare.
Robin lo guardò negli occhi.
- Non riesco a ricordare nulla. È la verità, Gisborne.
Guy lo fissò, diffidente, poi annuì seccamente. Robin Hood sembrava sincero, ma era strano che non avesse alcuna memoria dell’assassino.
- Cosa sei venuto a fare al castello? Ci eri già stato la notte scorsa e avevi ottenuto quello che volevi, perché eri di nuovo qui?
- Mi hanno riferito che al castello era giunta una carrozza e sono venuto a controllare la situazione. Guy si accigliò, ricordandosi in quel momento di Lady Millacra e pensò che avrebbe dovuto accertarsi che la loro ospite non corresse alcun pericolo.
- Allan? - Iniziò, poi si interruppe. Aveva avuto intenzione di chiedergli in che stanza alloggiasse la dama, ma era stranamente riluttante a farlo. Quella donna lo attraeva e lo ripugnava allo stesso tempo. Si trovò a pensare alle sue labbra premute sulla sua ferita, al movimento avido con cui succhiavano il suo sangue e si rese conto di essere arrossito.
Allan lo stava fissando, perplesso, e anche gli occhi di Robin Hood erano puntati su di lui.
- I soldati hanno finito di controllare il castello? - Chiese invece, sperando di sembrare disinvolto quando invece si sentiva agitato e nervoso senza nemmeno essere certo del motivo. Prese un pezzo di carne e finse di essere concentrato sul cibo mentre ascoltava la risposta di Allan.
- Non ci sono intrusi, Giz. - Lanciò uno sguardo a Robin. - Beh, presenti esclusi.
- Di certo questo non me lo sono fatto da solo. - Puntualizzò Robin, sarcastico, indicandosi la ferita sul collo.
Guy sbatté un pugno sul tavolo.
- Qualcuno deve essere stato!
- L’unica straniera è Lady Millarca. - Disse Allan, pensando ad alta voce e si sorprese di vedere che sia Robin che Gisborne lo stavano fissando con la stessa espressione confusa.
- Non dire idiozie, Allan. Non vorrai sospettare una giovane dama così fragile e delicata? - Lo rimproverò Guy, sdegnato e Robin annuì con fervore.
- Quella fanciulla non potrebbe mai fare male a nessuno.
Allan rimase a fissarli a bocca aperta: da quando quei due andavano così d’accordo? E poi non erano entrambi innamorati di Marian? Perché se la prendevano tanto per quella sconosciuta?
Il giovane rinunciò a capirci qualcosa e rabbrividì.
- Lo sapevo, lo sapevo! Deve essere il Bargest! Una delle guardie morte aveva detto di aver visto un cane nero in cortile prima di morire!
- Perché c’era un cane nero.
Allan impallidì.
- Lo hai visto anche tu, Giz?! Allora sei condannato!
- Il Bargest non esiste! Quello che ho visto in cortile era un normalissimo cane! Piantala con queste superstizioni.
Allan scosse la testa.
- Stanotte i morti tornano sulla terra, appare un enorme cane nero in cortile e guarda caso la gente ha iniziato a morire come mosche! Non mi sembra una coincidenza! Il castello è maledetto Giz, deve essere così.
- Sciocchezze!
Robin lanciò uno sguardo a Guy e sogghignò tra sé: Gisborne sembrava piuttosto nervoso e lui non era capace di resistere alla tentazione di provare a terrorizzarlo.
- Non è detto. Molte storie non hanno fondamento, ma alcune non sono da prendere alla leggera. Ci sono molte più cose di quello che possiamo vedere e alcune sarebbe meglio non conoscerle proprio. Nella foresta ci sono molti tumuli antichi, lo sapevate?
- E allora? Sono solo vecchie tombe. Hood, arriva al punto.
- Se fossi in voi farei attenzione a non passarci mai accanto al crepuscolo o all’alba, perché è nella luce incerta che gli spettri escono dalle tombe, invidiosi della vita di chi passa nei dintorni. Sono creature che appartengono alla morte e chi li ha visti ha raccontato di aver sentito le loro gelide dita sfiorare la pelle come un soffio di vento freddo.
- Non ho mai sentito nessuno raccontare storie del genere. - Disse Guy e Robin notò con piacere che sembrava molto a disagio.
- Perché chi viene toccato muore entro la notte successiva. Sempre. Una malattia improvvisa… Un incidente… Non c’è scampo. Allan scivolò a sedere un po’ più vicino a Guy: sentiva una leggera corrente d’aria sfiorargli il collo e continuava a pensare alle dita di vento dello spettro dei tumuli.
- Questo non ha nulla a che vedere con gli omicidi. - Ringhiò Gisborne.
- Ma la carrozza che ho visto nel cortile potrebbe. Mi ha ricordato un’altra storia che ho sentito… Si dice che esista una carrozza addobbata a lutto che passa al galoppo lungo le strade, senza rallentare nemmeno quando attraversa città e villaggi. È trainata da cavalli neri come la notte che lasciano impronte infuocate al loro passaggio. Tutti pregano che non si fermi mai davanti alla loro casa perché la bara che trasporta è vuota quando arriva, ma sempre piena quando riparte.
Robin smise di parlare, soddisfatto nel vedere che Guy era bianco come un cadavere e sembrava sul punto di cedere al terrore. Era sul punto di fare una battuta ironica quando Allan, anche lui pallido e teso, prese la parola.
- Io ho sentito parlare di creature infernali che uccidono la gente bevendo il sangue… Incantano le persone in qualche modo e poi le mordono, dissanguandole senza pietà. E la cosa terribile è che le vittime non se ne rendono nemmeno conto, quei pochi che sopravvivono non ricordano come si sono feriti e non sono in grado di difendersi quando le creature tornano per finire l’opera, anzi si offrono a loro spontaneamente e condannano la propria anima alla dannazione eterna…
Robin aprì la bocca con l’intenzione di fare una battuta irriverente, ma la richiuse subito. Aveva voluto divertirsi a spaventare Gisborne, ma le storie che aveva raccontato dovevano averlo suggestionato perché si sentiva inquieto. Non le aveva inventate, le aveva sentite davvero raccontare dai contadini e le aveva sempre liquidate come sciocchezze, ma improvvisamente non si sentiva più tanto sicuro.
Poi la storia di Allan lo aveva nauseato. Il pensiero che qualcuno potesse bere il sangue degli esseri umani lo disgustava profondamente e gli faceva venire voglia di vomitare il poco cibo che aveva mangiato poco prima. La sola idea era sbagliata e spaventosa, ma ciò che lo terrorizzava era il sottile desiderio nascosto in fondo a tutto, quello che gli faceva chiedere che sapore avrebbe avuto il sangue di Gisborne.
Robin deglutì, cercando di distrarsi da quel pensiero, altrimenti avrebbe veramente finito per umiliarsi, cedendo alla nausea davanti a Guy e ad Allan. L’unica consolazione era che anche il suo rivale sembrava essere nelle sue stesse condizioni e che aveva lo stesso colorito verdognolo e malsano che Robin aveva visto spesso sui volti dei soldati imbarcati sulle navi per la Terra Santa quando cadevano preda del mal di mare.
Guardò la brocca del vino, indeciso se versarsene un po’ oppure no: forse bere avrebbe allontanato la nausea o forse l’avrebbe peggiorata.
Inconscio dell’effetto delle sue parole, Allan aveva ripreso a parlare, continuando a descrivere le efferatezze di quelle creature abominevoli.
Robin rabbrividì, scivolando anche lui sulla panca per avvicinarsi inconsciamente agli altri due.
Poi la porta si aprì di colpo e un volto mostruoso dagli occhi fiammeggianti apparve sulla soglia.
   
 
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