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Autore: Nocturnia    31/05/2016    6 recensioni
"Erano i miei genitori. E lui tuo padre."
Un cenno del capo; un cuore che gronda a ogni parola.
"E lei?" chiede, indicando una donna bionda e pallida.
"Alexandra." replica Sherry "Alexandra Wesker."
Il sorriso a metà di suo padre è quanto di più umano abbia visto di lui negli ultimi mesi.
Genere: Angst, Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albert Wesker, Alex Wesker, Excella Gionne, Jill Valentine
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
- Questa storia fa parte della serie 'The Devil in I'
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Blood host
Disclaimer: Albert Wesker, Alex Wesker, Excella Gionne, Jill Valentine e tutti gli altri personaggi appartengono a Shinji Mikami, alla Capcom e a chi detiene i diritti sull'opera. Questa storia è stata scritta per puro diletto personale, pertanto non ha alcun fine lucrativo. Nessun copyright si ritiene leso. L’intreccio qui descritto rappresenta invece copyright dell'autrice (Nocturnia) e non ne è ammessa la citazione altrove, a meno che non sia autorizzata dalla stessa tramite permesso scritto.



" - We are both ruined.

- No, said Frida, it's only me that's ruined, but then I've won you."
- Franz Kafka -




Blood host




Novembre, 1997

Raccoon City giace in silenzio sotto la neve, una città spenta (morta)
Sfiora con la punta delle dita una scrivania scadente e disordinata, fissa una foto dalla quale Chris Redfield le rivolge un sorriso disarmante - fiducioso.
Claire è al suo fianco, pollici alzati e capelli spettinati.
Una famiglia normale; una speranza che trabocca dai loro gesti onesti - sinceri.

Rivoltante.

L'orologio a parete segna le dieci di sera, il distretto sonnecchia quieto - incurante dell'apocalisse che li colpirà tra pochi mesi.
Alex lascia scorrere l'indice sul cappello di Jill (Persefone) alza un sopracciglio alla vista della figlia più grande di Burton (piccola puttana insolente)
"Cosa vuoi?"
Si blocca all'improvviso, deglutisce.
"Parlarti."
Una risata trattenuta; un suono di gola, derisorio.

Furioso.

"Vattene."
Alex scuote la testa e si volta.


Thrash it, bash it, live to smash it; light the spark reach out and crash it.

"Alza il gomito."
Jill ciondola in avanti, emette un rantolo sfiatato.
"Stai dritta con la schiena."
Alex le spinge le scapole all'indietro, cerca di stringerle le dita attorno alla forchetta.
"Jill." la chiama, e Persefone la fissa con occhi vacui - spenti.
"Jill, guardami."
Labbra socchiuse, leggermente tumide.
Capelli trasparenti, pelle pallida - smorta.
Jill ha dimenticato come sia fatto il sole e vaga ora tra i suoi stessi incubi, piccola principessa custodita dai mostri.
"Il P30 deve averle danneggiato i centri cognitivi."
Alex le solleva il mento, cerca qualcuno che non c'è più (non ancora)
"Dobbiamo calibrare meglio il dosaggio."
"Tu dici?"

Sarcasmo. Irritazione. Rassegnazione.

Albert segna qualcosa sulla cartella, si avvicina a Jill.
"Valentine."
Qualcosa si muove; un brivido sotterraneo; una paura che neppure la più forte delle droghe può cancellare.
"Ti voglio in piedi tra dodici ore."
Jill sbatte le palpebre (una, due volte) trema.
Alex incrocia le braccia sotto al seno, osserva Wesker sfiorare la nuca di Jill e stringere - rovesciarla all'indietro fino a quando le vertebre non si flettono in maniera innaturale.
"È un ordine."
Jill digrigna i denti, piega le dita ad artiglio e cerca di afferrargli la faccia.
Albert sorride a quel disperato tentativo di ribellione.


Aprile, 1990

"Fai schifo."
William la ignora, addenta un panino ripieno di marshmallow.
Alex arriccia il naso, rimesta la forchetta nel suo piatto.
"Il cervello va a zuccheri e il mio ne ha un estremo bisogno." sottolinea Birkin alzando un dito.
"Non ingrassi solo perché sei nevrotico." ribatte Alex, tagliando un pezzo della sua bistecca "Se un giorno di questi uno di quei cani dovesse scappare dal laboratorio sappi che non tornerò indietro per salvare il tuo culo appesantito."
"Uhm, grazie." sibila William, tornando a concentrarsi sul suo pranzo "Lo terrò a mente."
Alex gli rivolge un ultimo sguardo schifato, scuote la testa.
Ironico quel destino che vorrà proprio William nel ruolo di vittima e carnefice.


Rip it stronger, grind it longer - harder faster rabbit master.

Jill vive con i mostri e non teme più alcun male.

Neppure le loro mani gelide lungo il corpo, sulla pelle.

Wesker le sistema la maschera sul viso, il mantello sulle spalle.
Jill respira piano contro il palmo della sua mano, un filo tiepido che gli ricorda che è viva; che sotto quel volto d'uccello si nasconde Jill Valentine, ex agente della S.T.A.R.S.

Persefone strappata alla sua primavera.

Alex è un profilo bianco e oro al loro fianco, labbra grondanti sangue e ciglia pallide.
Jill ne segue la linea delicata delle dita, quella esile del polso.
Allunga la mano verso di lei, gioca con il bracciale che porta alla sinistra (Cartier, oro bianco e diamanti. Collezione d'Amour)
Alex sorride (tutta denti e veleno) le concede quella piccola libertà.
"Ti piace?" le chiede, e Albert le osserva in silenzio.
Jill annuisce, segue i contorni rotondi di uno dei diamanti.
"Ne vorresti uno?"
Jill esita, arresta i suoi movimenti.

Ricorda una vita morta (Chris) un'esistenza sfilacciata come un abito vecchio (Raccoon City)

Il silenzio è pesante come il suo senso di colpa desiderio.


Novembre, 1997

Percorre la sua figura con lo sguardo, accenna un sorriso.
"Ti trovo bene."
Wesker sgualcisce i fogli che ha tra le mani, brucia dietro occhi stanchi e cerchiati di scuro.
"Forse dovresti riposarti un po'."
Alex fa qualche passo in avanti, stivali neri dalla suola rossa - impronte di sangue che conducono a lui (loro)
"Capitano e ricercatore; posso solo immaginare la pressione."
Qualcuno prende l'ascensore, in lontananza il rumore di un'auto che va in moto.
"E la tua squadra." stende un braccio verso destra, mostra un polso sottile e pallido "Non deve essere facile."
È così vicina adesso che può percepirne il respiro (un leggero retrogusto di liquirizia) il calore (torrido - soffocante)
"Sei anni."
Alex alza le dita, si ferma a pochi centimetri dal suo petto.
"Sei fottuti anni."
"Non ti facevo un tipo sentimentale."

Bugiarda.

L'aria collassa, la sua mano si stringe attorno al suo collo.
"Vattene."

Ti farò male.

Alex gli percorre la linea contratta della mascella, quella della labbra.
"No."

Fallo; posso sopportarlo. Sono nata per questo. Siamo nati per questo.

Albert emette un suono sordo - rabbioso.
Alex gli mostra la piega morbida del collo - lo invita.
Il suo bacio è un morso velenoso e inevitabile.


Sleeping beast, rest in peace, far too primal.

Jill osserva Alex piegarsi; cadere in ginocchio e portarsi una mano al cuore.
La prima dose di siero l'aveva reso più lucido, forse persino più forte.
La seconda gli aveva donato la consapevolezza di ogni suono, ogni odore.
La terza gli aveva arricciato le labbra sui denti, mostrando un lato bestiale e privo di coscienza.

"Smettila."

La quarta era costata la vita a cinque scienziati, la sesta il collasso di ogni funzione cognitiva.

"Albert!"

Alex si arrotola sul corpo del fratello come un serpente, ascolta il suo respiro tornare normale - quieto.
Gli controlla le pulsazioni della carotide, il riflesso pupillare.
"È stabile." dice, e la sua voce trema "Ma il dosaggio va somministrato ogni dodici ore."
Jill annuisce, inclina a malapena il viso.
Alex le regala uno sguardo tremendamente umano.


Maggio, 1990

Sherry è uno scricciolo di quattro anni e qualcosa - forse.
La fissa in silenzio, tormentandosi la molletta a forma di coniglio che le raccoglie i capelli.
Aspetta che Alex noti la sua presenza (già fatto) che le dica qualcosa (qualsiasi cosa)
Alex sospira, le rivolge uno sguardo in tralice.
"Tuo padre non c'è."
Sherry si morde il labbro, abbassa gli occhi.
"E nemmeno tua madre."
"E lo zio Albert?" chiede, titubante.
Alex non riesce a trattenere una risata a quel ridicolo nomignolo, le concede ora la sua totale attenzione.
"No, nemmeno lo zio Albert." la canzona, e si reclina all'indietro sulla sedia.
Sherry borbotta qualcosa sottovoce, appoggia lo zaino per terra.
Si arrampica sulla sedia vicina, estrae una merendina dalla sacca e cerca di aprirla senza fare briciole.
Alex si ritrova suo malgrado a studiarla - incuriosita.
Sherry è la tipica bambina costretta a crescere troppo in fretta, l'esempio di come persone come loro non dovrebbero avere figli - tanto meno se si è al livello quattro di sicurezza.
Sherry si accorge del suo sguardo, arrossisce.
"Ne vuoi un po'?" le chiede, porgendole un pan brioche ripieno di cioccolato.
Alex alza un sopracciglio, ne prende un pezzo.

"Ti piace?"
"Non è male."

Due ore dopo si troverà a spiegare a Sherry cosa siano i virus e a dibattere di cosa sia peggio tra un batterio e un fungo.


Rip the flesh, taste of death, bite the gristle.

Labbra morbide tra le sue cosce, una lingua che non conosce pietà.
Albert trattiene un gemito (non ancora) serra le dita tra i suoi capelli (continua)
Alex ride lungo la sua erezione, la schiaccia contro il palato - la percorre con le dita e la bocca.
Wesker spinge i fianchi verso di lei, libera un ansito indecente.
"No."
Alex scivola lungo il suo corpo, gli cerca la linea tesa del collo con labbra umide e gonfie.
"Non ancora."
Albert le incide la pelle tenera della spalla a quelle parole, morde quando le sue dita lo stringono - un movimento controllato, regolare.

Dall'alto verso il basso, il pollice a blandire la punta, il muscolo sottostante.

"Non adesso."
Wesker mastica un insulto, perde il controllo.
Cerca di ribaltare le posizioni, la colpisce tra le costole - guaisce un desiderio malato e osceno.
Alex rovescia la testa all'indietro, ride.
"Non ancora..." ripete, e gli circonda il collo con la mano libera "Non ancora... "
L'aria è pastosa intorno a loro, calda.
Albert si tende verso il suo corpo, si contrae tra le sue dita - viene.
Alex mormora il suo nome e lo accoglie in un'unica spinta.


Novembre, 1997

La scrivania è ruvida sulla sua pelle, fredda.
Wesker divora lo spazio che li divide, strattona il bavero della camicia - lascia che diventi carta straccia tra le mani.
Alex si ferisce sui cocci della tazza da caffè rotta poco prima, disegna figure di sangue e voglia lungo i suoi zigomi, attorno alle labbra.
Morde, cerca, esige; Albert non ha requie - pietà.
Scivola con le mani sotto la sua gonna, la trova inaspettatamente umida ed esposta.
Il Progenitore ruggisce nelle vene di Alex, risveglia la sua metà dormiente - il re silenzioso che vorrà essere dio.
Le artiglia la nuca, affonda in lei con una forza che strappa il respiro a entrambi.

Una brutalità che risponde a un istinto più profondo - all'animale che riposa in tutti loro.

Non rallenta, non concede.
Alex gli circonda la vita con le gambe, lo spinge ancora più in fondo.

Bestie allevate e ibridate per essere null'altro che questo; un grumo disperato di sentimenti abortiti e parole soppresse.

Albert ansima nell'incavo del suo collo, le dita di Alex che si contraggono sul simbolo della S.T.A.R.S.

Unghie laccate di rosso, ossa esili - così facili da spezzare.

Qualcosa cade (il suo distintivo) Alex s'inarca all'indietro e viene - libera un grido quando le blandisce il seno in punta di lingua.

Muore e rinasce ogni volta - sempre.

L'orgasmo di Wesker è una corrente che spazza via ogni altro pensiero.


Killing game, primitive inquisition.

Sono pochi i momenti in cui il suo animo può dirsi quieto.
A volte è tremendamente stanco;  schiacciato da un ruolo che incombe su di lui come uno spettro, smembrato dalla sua stessa ambizione.
Albert la osserva portarsi le dita alle labbra, leccare ciò che resta del suo orgasmo.
Si solleva sui gomiti, le cerca la bocca, la lingua.
Non c'è vergogna tra di loro, non c'è limite.

Ed è questo a spaventarlo.

Alex sospira sulla sua pelle, si raggomitola contro il suo fianco.
Fragile, mortale; Alex Wesker si sgretola tra le sue mani ogni notte.

Risorge ogni mattina.

Sono insieme dall'inizio (da quando si sono cercati ancora in culla) il tempo sta strappando loro il diritto alla Fine.
Albert scivola con le dita lungo la sua schiena, la blandisce con movimenti pigri e appagati.
Alex chiude gli occhi, trattiene uno sbadiglio.

Un serpente che si gode il calore del sole.

Wesker l'asseconda e lascia che l'oscurità raccolga i suoi pensieri stanchi.


Settembre, 1990

Una domenica ricreativa. La terribile idea di un amministratore petulante e stupido.
"Io non ci vengo."
William tira su con il naso, si passa la manica del camice sul viso.
"Per la miseria, tieni." e Alex gli schiaccia in mano un fazzoletto "Ancora mi stupisco di come non ti sia infettato con qualcosa qui dentro."
Birkin alza gli occhi al cielo, starnutisce.
"Spencer vuole che ci siamo tutti."
"No."
"Ha espressamente richiesto la vostra presenza."
"Ho detto di no."
"Ritiene che un po' di finta integrazione sociale non possa poi farvi malissimo."
Alex affonda l'orbita nella lente del microscopio, emette un suono stizzito.
"A che scopo?"
"Copertura." s'intromette Albert, gli occhi fissi sul caffè che va facendosi "Crede che noi del livello quattro siamo troppo... come dire?" rotea le dita verso il soffitto, sospira "Isolati."
"Topi di laboratorio."
"Non mi piacciono i bambini."
"Non devi toccarli."
"Odio le famigliole felici e i loro cani bavosi."
"Puoi benissimo evitarle."
"Mi fanno schifo i sandwich al tacchino."
"Annette sa cucinare solo le lasagne e la torta al limone."
Wesker si massaggia le tempie, crolla nella sedia vicina.
"A che ora?"
Alex trattiene una bestemmia, studia il virus T contorcersi dentro il vetrino.
"Per le undici."
"Ci saremo."
William sorride, una piega indecisa.
Alex fissa Albert con uno sguardo che potrebbe uccidere.


Tear it up (inside out), small incision.

"Ancora."
Jill scrolla il capo, ansima.
"Dall'inizio."
Divarica le gambe, controlla i fianchi dell'avversario.
Alex blocca il primo colpo, evita il secondo.
Excella osserva le due donne scontrarsi, la forza disperata di Jill, la grazia condiscendente di Alex.
Jill grida, contrae la mandibola, pesta i piedi.
Alex mantiene il controllo, muscoli che vibrano sotto la pelle - occhi spietati.
"Ancora." ripete, e affonda.
Jill incassa un montante destro, poi sinistro.
Afferra il polso di Alex, lo spezza.
Alex piega le labbra in una smorfia, salta - le circonda il collo con le gambe e gira.

Crack.

Jill cade a terra, una bambola (non) morta.
"Excella."
Pupille sottili, nerissime.
"Dobbiamo riportarla in una delle celle di rigenerazione."
Excella sposta lo sguardo su Jill (uno straccio pallido e smorto) deglutisce.
"Adesso."
Excella annuisce, raddrizza le spalle.

Non affronterà il Diavolo in ginocchio.

Alex quasi sorride al suo inutile coraggio.


Novembre, 1997

"Come sta Will?"
Lo chiede come se non fossero passati sei anni; come se il tempo si fosse arrestato da allora.
Wesker si sistema la camicia nei pantaloni, cerca la cintura.
"Oh, adesso non vuoi più parlarmi?"
Calpesta il suo stesso distintivo, lo raccoglie.
"So di Irons."
Si assicura la fondina sulle spalle, controlla il numero di munizioni.
"E del tuo piano. Di Ada Wong. Dell'Organizzazione."
Albert le riserva un'occhiata in tralice, pupille dilatate come macchie d'inchiostro.
"Posso aiutarti."
"Non ne ho bisogno."
Alex si avvicina (ha ancora il suo sapore sulle labbra) non ha paura (non l'ha mai avuta)
"Ma io sì."

Per Derek, Felicia. Per Hiro, Jonah. Per Laura, Miles. Per un'ambizione che è costata la vita a tutti loro.

La prima linea viene varcata insieme.


Assimilate trust in hate, your obsession.

La Bella Addormentata degli incubi; la grottesca parodia di una  favola senza alcun lieto fine.
Il giorno muore alle sue spalle, gronda sulla sua pelle - goccia dopo goccia.
Excella ha ancora i capelli umidi, linee nerissime che incorniciano un viso stupito - stordito.
Si porta il polso ingessato al petto, sembra così giovane dentro un paio di jeans e una camicia bianca.

Lo è.

Apre la bocca, la richiude (non ha il coraggio di chiederglielo)
Albert Wesker è un profilo contratto  - rigido.
Osserva lo schermo dell'elettrocardiogramma (piatto) stringe la mano di Alex così forte da far scricchiolare il cuoio dei guanti.
Jill tace al suo fianco - un pettirosso a cui hanno strappato la voce.
"Non è morta." dice, ed Excella annuisce.
"Aggiustala."
Excella fissa il viso sfigurato di Alex e non si chiede più nulla.


Settembre, 1990

È l'unica foto che Sherry avrà di loro.
Anni dopo la mostrerà a un ragazzo figlio della miseria e della neve, un bambino tradito - un adulto fratturato.

"Erano i miei genitori. E lui tuo padre."
Un cenno del capo; un cuore che gronda a ogni parola.
"E lei?" chiede, indicando una donna bionda e pallida.
"Alexandra." replica Sherry "Alexandra Wesker."
Il sorriso a metà di suo padre è quanto di più umano abbia visto di lui negli ultimi mesi.

Non la volevano fare; nessuno di loro. Quasi.
È per  ricordo aveva detto Annette, lottando con l'obiettivo della sua nuova Canon Per quando saremo vecchi.

Nessuno di voi lo sarà mai, oh mostruosi enfant prodige.

William aveva acconsentito al desiderio della moglie, pollici alzati e un sorriso scanzonato sul viso eternamente giovane.
Wesker aveva incrociato le braccia al petto, stornato lo sguardo (un sorriso a metà: un'arroganza crudele che brillava sul fondo di quegli occhi artici)
Alex li aveva guardati con la nostalgia che già bruciava nel petto - uno per uno.
Annette che regolava il timer della macchina fotografica, William che circondava le spalle di Albert con un braccio.
"Alex!" la chiama Annette "Vieni!" e corre al fianco del marito, dandogli una spinta verso sinistra.
Wesker incrocia il suo sguardo, alza un sopracciglio.
"Alex." e le tende una mano.

La invita.

Alex si raggomitola vicino ad Albert, si porta una ciocca di capelli dietro l'orecchio.

Click.

Il sorriso di William, gli occhi tristi di Annette.
L'arroganza di Albert, il tormento di Alex.

Tutto in una sola immagine; in un solo (ultimo) istante.

Il conto rovescia delle loro vite aveva appena avuto inizio.


Celebrate assassinate, your religion.

Giorno e notte, per un mese intero.
Tanto Alex Wesker è rimasta morta; tanto Albert Wesker ne ha vegliato il corpo immobile.
Excella è passata dalla preoccupazione all'isteria, dalla rabbia alla quieta rassegnazione.
Non hanno potuto fare niente; nulla ha funzionato.
Il Progenitore ha rigettato qualsiasi altro virus, l'ha masticato - distrutto, macellato con una furia impietosa.
Alex non è invecchiata, non si è decomposta; è semplicemente rimasta lei.

Ciglia pallide, naso dritto, lineamenti aristocratici.

Albert non si è alzato per due settimane, non ha mangiato per tre.
Il dio è miseramente caduto ed Excella si chiede se sia pietà o disgusto quello che le agita le viscere.

Una cosa morta. Dà più importanza a una cosa morta che al nostro progetto.

Una cosa morta che ti ha salvato la vita, le ricorda la memoria A cui devi tutto.
La gelosia brucia, il caffè le scalda le dita intorpidite.
"Pensi che si sveglierà mai?"
Jill respira piano, il P30 che oscilla pigramente al centro del petto.
"Sì."
"Come fai a esserne sicura?"
Un suono secco, asciutto: un guaito disilluso.
"Perché quelli come loro non muoiono mai."
Dodici ore dopo Alex Wesker aprirà di nuovo gli occhi sul mondo che aveva abbandonato.


Dicembre, 1997

"Sei tornato."
Alex lo saluta dal divano, le gambe incrociate sotto al corpo, una rivista tra le mani.
Albert sospira, si porta le dita sulla fronte.
"Non hai ancora trovato un appartamento, deduco."
Alex scuote la testa, si sofferma sulla collezione primavera/estate di Valentino.
"Hai intenzione di farlo prima o poi?"
Un sorriso divertito; furbo.
"Almeno hai cenato?"
"No." replica, e chiude la rivista "Ho aspettato..." Alex socchiude la bocca, si ferma di colpo.

Te.

Quella sarà solo una delle tante parole che morirà con loro.


Us and them hollow field, sensing fear.

Le ossa tornano al loro posto con un suono sordo, ottuso.

Plop. Crack.

Pelle che si ricompone, vasi sanguigni che si arrotolano attorno ai muscoli sfilacciati.
Le gambe di Alex si contraggono sotto al lenzuolo, il petto si alza e si abbassa senza ritmo.

Tum tum, tum tum tum.

L'elettrocardiogramma disegna una linea asimmetrica, le macchine guaiscono intorno a loro.
Alex apre la bocca, emette un verso sfiatato - un grido abortito, strozzato.
Albert non ha difese in quel momento, non ha maschere.

E sotto non c'è più nulla; un teschio la cui carne è stata divorata dall'ambizione dalla paura.

Excella osserva sullo schermo il Progenitore che riassembla le cellule, i tessuti; un verme nerastro che costringe il suo ospite a tornare alla vita.
Alex urla adesso (fa male) si contorce nel suo letto di morte.
Il sangue ricomincia a circolare, gli organi a funzionare.

Fatelo smettere.

Alex piange - ed Excella ha come l'impressione di assistere a un evento privato (segreto) di cui nessuno dovrebbe essere a conoscenza.

Tanto meno prendervi parte.

Alex rovescia la testa all'indietro, digrigna i denti.

Soffre e si lamenta e supplica.
Fatelo smettere, fatelo smettere.

Afferra Albert per il bavero della camicia, lo tira a sé.
Jill scatta in avanti (protezione) Excella sposta le dita sul pulsante d'emergenza (due squadre e una pallottola in mezzo agli occhi)
"Perché non mi hai lasciato morire?" mormora, e lo lascia andare "Perché sei stato così egoista, Albert."
Wesker tace, Jill rilassa le mani.
Gli occhi di Alex si aprono su di loro e mostrano una tempesta di rosso e oro.


Ottobre, 1990

Non sarebbe dovuto succedere.

Non adesso.

Avrebbe dovuto fare più attenzione.

L'occhio dell'Umbrella di Spencer è sempre vigile.

Avrebbe dovuto.

Non c'è riuscita.

La bocca di Albert è l'unica cosa che l'abbia fatta sentire (finalmente) viva.


Cannibal, can't believe you're a person (Cannibal)

Avvolta nell'accappatoio bianco Alex è piccola e fragile.
L'acqua residua scivola lungo le clavicole, nella curva dei seni.
Albert le asciuga le caviglie, risale lungo il polpaccio - la coscia, il fianco.
Alex lo fissa con occhi nudi, così scoperti da essere quasi doloroso guardarci dentro.
Non risponderanno alle reciproche domande...

Perché hai salvato Excella?
Perché non mi hai lasciato morire?

... non si diranno nulla.
Nasconderanno la verità, il futuro.
Alex libera un respiro esangue e chiude gli occhi.


Gennaio, 1998

Annette è dimagrita.

È invecchiata.

Occhi stanchi, una nuova serie di tic a fare da cornice a un colorito malsano.
Si sfila i mocassini, affonda i piedi nudi nell'erba.

Un'abitudine che nessuno era mai riuscito a toglierle.

Sherry ha quasi dodici anni, ormai.
Va incontro a sua madre tenendo in mano due gelati (amarena e pistacchio per Annette, crema e cioccolato per Sherry) sorride.

Un sorriso triste - adulto.

Il mondo è andato avanti e li schiaccerà tutti.


Chop it up, peel the skin - slow dissection.

Excella si è sempre ritenuta una donna intelligente, dalla risposta pronta.
Considera se stessa qualcosa di raro, prezioso.
Nulla le fa paura (davvero?) nulla può fermarla (sei sicura?)
Cerca gli occhi di Alex (di nuovo azzurri) tamburella con le dita sul tavolo.
"Volevo ringraziarti."
Alex non ha parlato da allora; si è chiusa in un mutismo pervicace - inquietante.
"Mi hai salvato la vita."
Alex dondola leggermente una scarpa (Bennett, nere. Stiletto, suola rossa) inclina il mento verso di lei.
"Non so perché." e spinge con l'indice la penna attraverso il foglio bianco "O cosa che ricaverai." un'occhiata in tralice, furtiva "Ma grazie."
Alex non sorride, non muove un muscolo.

Una statua senza colore.

Capelli biondissimi, occhi trasparenti; Alex Wesker assomiglia a un idolo caduto - sgretolato.
Excella ingoia l'amaro della gratitudine.


Ottobre, 1990

Sangue sulle loro mani, tra i denti.
Nel buio della stanza Alex è un profilo pallido e affilato, una curva che Wesker schiaccia tra le lenzuola - prona ai suoi desideri.
Scivola tra le sue cosce, percorre con la bocca le vertebre - una per una.
Alex geme; lascia che arrotoli i suoi capelli attorno a una mano e tiri - la porti contro il suo petto.
Affonda le unghie nella sua gamba, snuda i denti.
Che cosa aspetti? sibilano i suoi movimenti Provochi e basta?
Lo circonda con le dita, preme.
Albert soffoca un gemito, stringe di riflesso la piega morbida del seno.
Alex lo conduce a sé - in sé - con un'unica spinta.


Sick minds I'm blind to the reason.

"Dov'è?" chiede - ruggisce.
"Se ne è andata."
Nessuna incertezza, nessuna inflessione nella voce di Jill.
Wesker arriccia le labbra sui denti, ringhia.
"Dove?" ripete, e il pugno sgretola il mobile vicino "Dove, Valentine?"

"Non la prenderà bene."
Alex continua a impilare i vestiti nella valigia, camicie bianche, pantaloni neri.
"Cosa dovrò dirgli?"
Alex alza lo sguardo, studia Jill.
"Cosa hai detto a Chris prima di buttarti?"
Jill mostra un'espressione sorpresa, vacilla su se stessa.
"Niente; l'ho fatto e basta."
Alex sorride e ricomincia a piegare i vestiti.

"Non lo so."
L'adrenalina pompa, il P30 addormenta ogni paura.
Wesker emette un verso frustrato - rabbioso - schianta il legno del comodino.
"Mi ha chiuso fuori."

Progenitore.

"Non riesco a percepirla."

Mi sta strappando il cuore.

"Prega che la trovi." e per quanto il P30 inquini la sua coscienza, Jill quasi trema al tono della sua voce "Altrimenti la colpa sarà solo tua."

Negazione: la prima fase del lutto.

Jill segue Wesker (tre passi indietro) e ricorda un tempo in cui erano tutti stelle di un cielo ormai caduto.


Marzo, 1998

Gli uffici della S.T.A.R.S hanno l'odore dell'olio per armi; cordite e sudore e qualcosa che Alex non riesce bene a identificare.

Lui e il suo virus - la sua malattia, il suo desiderio.

Si appoggia allo stipite della porta, osserva gli agenti delle due squadre allenarsi.
Chris è ancora un ragazzo dai capelli spettinati e il fisico asciutto - occhi scuri e sinceri.
Ride con Jill (fianchi rotondi, piedi piccoli) e passa i palmi delle mani nel gesso.
Burton siede su una panca, un asciugamano sulle spalle e un sorriso per tutti.
"Ha bisogno di qualcosa, signora?" le chiede un uomo sui quarant'anni "Cerca qualcuno?"
Alex distende le labbra in un sorriso disarmante, cattura l'attenzione degli agenti presenti.
"Capitano Marini." dice, e gli tende una mano "È un piacere conoscerla."
Enrico risponde al sorriso, le stringe la mano (una presa salda, rassicurante)
"Il piacere è mio." replica "E lei sarebbe...?"
Dietro le lenti scure gli occhi di Alex brillano - uno scintillio sarcastico.
"Capitano." esclama qualcuno, e Marini si volta - dimentica per un attimo la donna che ha davanti.
Wesker le rivolge uno sguardo neutro (oh, ma dietro vi è tutta l'irritazione di cui è capace) s'incammina verso di lei (la prende per il gomito e la conduce fuori quasi di peso)
Alex ride a quell'inaspettato scatto di rabbia gelosia.


Tune it up, touch down - angel grinder.

Sushestvovanie è un bastione di roccia e neve; un terreno duro e inospitale.
Si erge verso il cielo, rimane schiacciata a terra.
Il mare è un'ombra nera che ne infrange i confini, dita adunche e nerastre che graffiano la costa senza requie.
Alex inspira (c'è una tempesta in arrivo) espira.
Forse non è stata la scelta giusta (ce n'è mai stata una?)
Forse sarebbe dovuta restare. (con lui; per lui)
Forse...

"Verranno a prenderlo."
"Lo so."
"Ci riusciranno."
Un'occhiata perplessa; dubbiosa.
"Allora resta."
Una risata senza suono - morta.
"Sindrome di Stoccolma in ritardo, Jill?"
"No." e il P30 è a un dosaggio troppo basso per impedirle di parlare "Ma forse così eviterai che l'Uroboros lo uccida."

Il cielo vomita tutto il suo rimpianto.


Aprile, 1991

Spencer ha capito; Spencer sospetta.

E tanto basta.

Alex infila le mani nelle tasche del camice, cerca di non arrendersi al panico.

Lo sa lo sa lo sa.

Osserva William tentare di raccogliere una merendina al caramello dalla macchinetta, Annette che ride ai suoi tentativi.

Moriranno. Moriranno tutti.

Sfiora con lo sguardo Albert, una tazza di caffè tra le mani e le gambe incrociate sulla scrivania.

Morirà. Lo ucciderà.

Il panico esplode - la divora viva.
"Alex?" la chiama Annette, e le tocca una spalla "Tutto bene?"

Annette.
Annette che morirà per colpa di William.
Per colpa della loro ambizione - di un sentimento che non avrebbe mai dovuto nascere.

"Sì." risponde Alex "Sono solo un po' stanca." e preme un sorriso sulle labbra contratte.
William si lascia cadere sulla sedia girevole, si mette in bocca il primo pezzo della merendina.

Non resterà niente di William, del suo genio.
Un pugno di polvere, un virus che sarà la condanna di sua figlia.
Macellato, distrutto, strappato alla vita che credeva di potersi costruire - che credeva di poter salvare.

"Sicura?" insiste, e ad Alex sembra quasi di sentire la pelle spaccarsi attorno alla bocca dallo sforzo di sorridere.
"Sicura." e si volta, dandole le spalle.
Wesker le regala uno sguardo sospettoso - attento.

Soggetto #13.
Completa assimilazione del virus, totale accettazione da parte delle cellule del materiale virale.
L'enfant prodige di un progetto grottesco, l'avanguardia di un nuovo mondo.
Un bambino, un dio.
Un prezzo che non è disposta a pagare - non ancora, mai.

Il giorno dopo della Dott.essa Fayer rimarrà solo uno spazio vuoto.


Cannibal, watch and prey on the victim.

Il Progenitore parlava per loro, le parole un peso insopportabile.
Si manipolava con le parole, si piegava la gente al proprio volere.
Si mentiva, si mistificava, si minacciava; non si diceva la verità - mai.
Il Progenitore se ne fregava di tutti quei costrutti umani e scorreva tra di loro come un filo invisibile, il residuo primitivo di un cordone mai spezzato.
Erano stati concepiti divisi, insieme erano (ri)nati.
Figli dell'utero ingrato dell'Umbrella, Alex e Albert erano senza radici - senza scopo.

Fino a quel momento.

Alex si sfila i guanti, il camice.
"Non è stato poi così difficile, no?"
Wesker rimane immobile sulla soglia della camera, studia con finto interesse i pesci che nuotano nell'acquario.
"Non c'erano poi molti posti nei quali potessi andare."
Si volta, e mai come in quel momento il puzzo della malattia lo colpisce.
Alex gli rivolge un sorriso triste, storna lo sguardo.
"Lo senti anche tu, vero?"
Albert tace - una statua d'ebano e oro.
"Gli organi che vanno cedendo, il sangue che va marcendo."
Un movimento del polso; disilluso, rassegnato.
"L'ultimo regalo di in virus che non mi ha mai portato altro che miseria e disperazione."
Sospira, gli cerca gli occhi.
"Sto morendo, Albert."
Un respiro trattenuto; un movimento involontario dell'indice sinistro.
"Sto morendo, e non posso farci niente."

Ancora.

La rabbia di Albert è una corrente che si ritira senza fare alcun rumore.


Agosto, 1998

Alex gli sfiora gli zigomi, la fronte.
Percorre la linea delle labbra (sottile, ingenerosa) quella della mandibola (contratta, tesa)
Albert la fissa con occhi inumani, pupille sottili come quelle di un serpente e iridi che grondano sangue.
"Il Tyrant." le dice solo, e Alex capisce.

Comprende la vastità degli eventi appena messi in moto.

Le afferra un polso, stringe.
"Mostrami."
Alex non arretra - sorride.
Sotto le ciglia la pupilla muta (si scioglie) l'iride diventa uno specchio della sua.

Soggetto #12, soggetto #13.

Albert la studia, inclina il capo verso destra.
La presa sul suo polso si rafforza, Alex snuda i denti e strappa - se ne libera con una facilità imbarazzante.

Era si è appena spogliata della sua vecchia pelle per mostrarsi al suo Zeus.

Albert rovescia la testa all'indietro e ride.


****

Killing game, watch and prey on the victim.
Rabid beast, can't believe you're a cannibal.
(Cannibal)

L'infetto cade al suolo - disfatto.
Wesker lo guarda senza alcun interesse, afferra per la gola il secondo.
Stringe - spreme; osserva gli occhi uscirgli dalle orbite, rotolare sull'impiantito come biglie impazzite.
L'infetto si lamenta (lo senti il dolore, vero?) non muore.
Albert affonda le dita nella carne marcia del collo, spappola la pelle debole dell'infetto.
Un lamento; un suono senza parole.
La pupilla di Wesker si stringe, qualcosa si agita al centro del petto - tra le cosce.
"Ti avevo chiesto solo un consiglio."
Alex alza un sopracciglio, sorride.
"Sempre troppo zelante."
L'infetto cerca di graffiarlo (stupida creatura) Wesker gli schiaccia la testa contro il muro e plotch - il corpo ha smesso finalmente di muoversi.
"La loro mente è in preda al panico."
"Sono i livelli eccessivi di adrenalina ad attivare il T - Phobos."
"È difficile arrivare alle loro sinapsi."
Un'occhiata divertita; di sfida.
"Abbiamo trovato una cosa che Albert Wesker non può fare?"
Un infetto corre verso Albert, viene trapassato da parte a parte.
Sangue che cola fino al gomito, gocce scure come il cielo di Sushestvovanie.
Alex annusa l'aria (feromoni e malattia) amplia il sorriso.
"Qualcosa che non può controllare?"
L'infetto si agita per ancora qualche secondo, viene squarciato verso l'alto, una fontana ributtante di ossa e muscoli.

La loro personale opera omnia. Un Pollock di sangue e viscere.  

Wesker tace, non replica.

Ma il Progenitore sì, e la sua voce non è mai stata più forte.

Alex gli cerca la bocca, lo invita a schiuderla in punta di lingua.
Albert affonda le dita tra i suoi capelli - in lei.
Morde (lui) incide mezzelune di sangue nelle sue spalle (lei)
Gli dèi del nuovo vecchio mondo camminano sui morti e custodiscono i loro nomi sulle labbra.


****

It's a truth that in love and war,
world's collide and hearts get broken,
I want to live like I know I'm dying,
take up my cross, not be afraid.

Spagna, 2032

"È un bellissimo bambino."
Natalia Alex sorride, inclina il capo in un gesto elegante - riservato.
"Grazie." dice, e ritira la valigia dal nastro trasportatore.
"Le assomiglia."
Natalia Alex annuisce, muove leggermente il passeggino - culla il bambino al suo interno.  
La donna le porge un ultimo saluto, si allontana nella confusione dell'aeroporto.
Il bambino emette un sospiro soddisfatto, si gira su un fianco nel sonno.
Alex si china sopra di lui, gli scosta un ciuffo di capelli biondissimi e disordinati dalla fronte.
"Albert." lo chiama, e il bambino si raggomitola contro la sua mano - si lascia condurre dal suono della sua voce.

Alexandra.

Il cielo di Madrid brucia - accoglie la loro nuova vita.

Insieme.

Alex si sistema gli occhiali da sole sul naso e imbocca l'uscita del terminal.




"Which do you prefer, she says, sex or violence?
I try to smile, What's the difference, really.”
- Will Christopher Baer -




Note dell'autrice: Albert Wesker e Alex Wesker non sono fratello e sorella. Non hanno nessun legame di sangue e non sono stati cresciuti nella stessa famiglia come tali (ne hanno avute due ben diverse e distinte) per cui non ritengo che questa storia richieda l'avvertimento incest. Appartengono allo stesso progetto scientifico di selezione genetica (Project W.) e per questo si definiscono "fratello" e "sorella" e possiedono lo stesso cognome (in onore del creatore del progetto), ma nei fatti non lo sono e non hanno mai avuto l'occasione di comportarsi come tali.
Secondo la legge italiana non sono né discendenti né ascendenti, e neppure affini in linea retta, per cui il reato d'incesto non sussiste.
La canzone utilizzata è "Cannibal" degli Static - X.
Per il paragrafo finale la strofa utilizzata appartiene invece alla canzone ""War of change" dei TFK.
Per meglio comprendere lo svolgersi degli eventi qui narrati si consiglia la lettura della one-shot "The biology of evil" e "Our little horror story".


   
 
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