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Autore: bicchan    03/06/2016    8 recensioni
{Storia ad OC | 10 posti | Iscrizioni aperte | }
Dal Prologo:
"Il console aggrottò le sopracciglia. Erano passati mesi da quando il Consiglio dei Ventuno si era riunito, e fino a quel momento non si era saputo nulla, nè del motivo della riunione, nè dell'esito, neanche tra le più alte cariche dei Sette Stati.
Ed ora, finalmente, quattordici ambasciatori erano stati spediti dal Consiglio per avvisare i quattordici consoli dei Sette Stati.
Il console Carter era uno di questi.
«Siediti, Frey, e parliamo» disse, prendendo posto su un'ampia poltrona di velluto rosso.
L'ambasciatore si sedette, ed iniziò a parlare.
"
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Altri, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Cap.1

 

_armonica







 

«E' una pazzia!» gridò un uomo, alzandosi in piedi. Era diventato rosso per la rabbia e per lo scatto
improvviso e stringeva le labbra per trattenersi dall'urlare di nuovo.
Ci fu un attimo di silenzio.
Tutti i senatori fissarono il loro collega, il senatore Cervini, mentre, con lo sguardo infiammato
dall'ira e i pugni tremanti piantati sul tavolo, ripeteva: «E' una pazzia».
Al centro di una grande sala a forma di semicerchio, con poltrone e tavoli disposti ad archi concentrici,
due consoli sedevano davanti ad una scrivania in mogano, sopportando gli sguardi di tutti i senatori
puntati nei loro.
A fianco dei consoli, due ambasciatori stavano ritti in piedi con gli sguardi seri, senza proferire parola.
Uno dei due consoli, il più anziano, cercò di prendere la parola, alzandosi in piedi a sua volta.
Aprì la bocca una volta, poi la richiuse. Lanciò uno sguardo al collega, per avere un aiuto, ma questo si
limitò a fissare un punto nel vuoto, in silenzio.
In quel momento anche una donna si eresse, prendendo la parola.
Gridò qualcosa sullo sfruttamento dei minori. Il console più anziano cercò di rispondere, ma anche un
altro senatore si alzò, e gridò qualcosa; poi un altro, e un altro.
In pochi minuti, tutti i senatori erano in piedi e stavano gridando:
«Sono solo dei ragazzini!»
«E' così che il Consiglio affronta i problemi?»
«Rimandate indietro gli ambasciatori, non vogliamo saperne niente di questa storia!»
Il console più anziano sospirò, e osservò la lettera che teneva in mano.
Il Consiglio dei Ventuno, la più alta autorità dei Sette Stati, aveva emesso un comunicato ufficiale
in cui si trattava un argomento delicato: la Minaccia.
Nei Sette Stati la Minaccia non esisteva più da centinaia di anni. L'ultima era stata combattuta
grazie alla magia, dicevano le leggende, ma nessuno ormai ci credeva più.
E nessuno credeva più neanche alla Minaccia. Ma la Minaccia esiste, diceva la lettera del consiglio.
Esiste eccome. E sta tornando.
I Ventuno avevano specificato, dopo mesi e mesi di consulti segreti, la soluzione al problema: eliminare
la Minaccia prima che si presenti materialmente. E per fare ciò, era stato decretato che l'Antico Ordine
dei Cavalieri, che aveva affrontato e sconfitto la Minaccia l'ultima volta, risolvesse il problema che
si andava creando.
Anni e anni prima, dieci ragazzi provenienti da tutti e sette gli Stati, si erano riuniti, e con l'ausilio delle
antiche arti magiche, avevano messo fine alla Minaccia. Che cosa fosse la Minaccia, nessuno se lo ricorda
più, fatto sta che, per celebrare questa magnifica vittoria nei confronti del male, ogni anno da quella
fatidica volta, dieci ragazzi dai quattordici ai diciotto anni -come vuole la tradizione- erano stati messi
alla prova da dure prove fisiche e psichiche, ed eletti Cavalieri.
Con il passare del tempo, e con l'affievolirsi del ricordo della Minaccia, questo titolo era diventato puramente onorifico, ed i ragazzi che concorrevano per diventare Cavalieri lo facevano per la gloria, o per provare
qualcosa a loro stessi e agli altri. Essere stati in gioventù Cavalieri era diventata una specie di
raccomandazione, un passepartout.
Ma adesso, dopo tanti anni, il Consiglio richiedeva che l'Ordine dei Cavalieri facesse quello per cui
era stato creato: aiutare i Sette Stati, riscoprire la Magia e sconfiggere la Minaccia.
Ma alla gente questo non andava bene.
I componenti del Senato di Armonica sembravano impazziti: si alzavano in piedi, urlavano, sbattevano
i pugni sul tavolo, si interrompevano l'un l'altro, e cosa più grave, denigravano l'autorità del Consigno
dei Ventuno. Perfino il senatore Strauss, che come ormai tutti sapevano si interessava poco di politica
e molto di liquori, aveva staccato gli occhi dalla sua fiaschetta di vino -cosa che rese molto felice
l'ambasciatore Frey, che si era addossato l'ingrato compito di mantenerlo sobrio- ed aveva cominciato
a formulare strani discorsi rivoluzionari.
«Dovete fare qualcosa!» implorò il senatore Cervini, girando attorno al proprio tavolo per scendere
gli scalini. Quando si trovò davanti ai consoli, si rivolse a quello più giovane, che ancora stava a testa
china, muto.
«Carter, tu sai di cosa parlo» disse, prendendolo per le spalle.
Finalmente il console alzò la testa, e lo guardò dritto negli occhi: «Lo so.» rispose, asciutto.
«E allora facciamo qualcosa! Le nostre figlie sono tra di loro, le nostre figlie» riprese Cervini,
scuotendolo ancora per le spalle.
Il console Carter lo fissò, con sguardo vuoto.
«E' la legge..» mormorò, scostandosi.
Uno degli ambasciatori fece un passo avanti, portando una mano sul braccio di Cervini e spingendolo
ad indietreggiare.
«Senatore, faccia ritorno al proprio seggio, per favore»
Il Senatore lo ignorò, e si rivolse di nuovo al Console: «Ti prego Carter, ti prego. Fa qualcosa»
Poi voltò le spalle e tornò al proprio posto.
Nel frattempo gli altri senatori stavano continuando a discutere tra di loro, tirando in ballo le più
antiche leggi e i più arcaici trattati, mentre il console anziano cercava inutilmente di mantenere l'ordine.
Carter ignorò la baraonda che si andava creando, incassando la testa tra le spalle, e tirò fuori il portafoglio. All'interno di una piccola tasca dietro il portamonete, c'era un ritratto a matita di una ragazza
diciassettenne, con grandi occhi color miele e un dolce nasino a patatina. Sua figlia.



 

∆     ∆     ∆



 

Quando il Senatore Cervini rientrò a casa era ormai tarda sera. La riunione del Senato era durata
tutto il giorno, e, contro l'opinione di tutti, si era giunti alla conclusione che il Consiglio non
potesse essere contraddetto. Ergo, i dieci Cavalieri sarebbero dovuti partire il prima possibile.
Cervini fece il conto: tre degli attuali Cavalieri provenivano da Armonica. Una era sua figlia.
La testolina castana di Andrea Cervini spuntò in quel momento dal vano della porta del soggiorno.
«Bentornato papà!» salutò, sorridendo in modo esagerato.
Il senatore aggrottò la fronte: quando sua figlia faceva così, voleva sicuramente chiedere
qualcosa. E la maggior parte delle volte chiedeva di andare a dormire dalla sua migliore amica.
«Senti, Reiza ha un problema, e ha bisogno di me per parlare, sai..» Ecco, appunto.
Il padre la fermò con una mano, e sospirò: «Vai pure, ma non tornare a casa tardi, domattina»
Mentre guardava la figlia mettersi in spalla lo zaino e incamminarsi verso l'uscita, già
pregustando una nottata intera a parlare con la sua migliore amica e a mangiare schifezze,
Cervini fu assalito dalla disperazione.
La verità, che pure in precedenza gli era sembrata terribile, adesso diventava insopportabile.
Attraversò il soggiorno ed entrò nel suo studio, meccanicamente. In Senato si era assunto la
responsabilità di avvertire la famiglia della terza ragazza di Armonica appartenente ai Cavalieri,
ma gli mancava la forza di andare di persona.
Nascondersi dietro l'inchiostro di una lettera sembrava più opportuno, così tirò fuori dal
cassetto della scrivania un pacco di fogli bianchi, e intinta una piuma d'oca nel vasetto color
pece, iniziò a scrivere.
        Gentilissimi Signore Signora Andrei ...


 

∆     ∆     ∆



 

Il giorno seguente, Andrea Cervini si svegliò a fianco della propria migliore amica, con un piede fuori
dal letto e lo spigolo di un libro di poesie che le premeva contro la schiena.
Con fatica si mise a sedere, e tastando con una mano dietro la propria schiena, tirò fuori il libro.
«Maledizione, Keats» mugugnò, rivolta alla faccia del poeta stampata in copertina «Mi hai fatto venire
il mal di schiena».
«'Ndrea» borbottò Reiza, emergendo da sotto le coperte, con i capelli scompigliati e gli occhi ancora
chiusi per il sonno «Oggi non c'è scuola, rilassati»
«Colpa di John Keats» rispose lei, soffocando un sorriso alla vista dello stato di confusione dell'amica
«E comunque ho promesso a mio padre che sarei tornata a casa prima di pranzo, e sono addirittura
le dieci e mezzo!»
Reiza sbuffò, facendo volare un ciuffo di capelli che le era caduto davanti al naso, e tornò a sotterrarsi
tra le morbide coperte.
Andrea fece una doccia, si rivestì e ficcò il pigiama nello zaino senza piegarlo, mentre guardava la
sua amica dormire. No, non la sua amica. La sua migliore amica, sua sorella, la sua anima gemella.
Non avrebbe potuto vivere senza di lei. Le sarebbe mancata l'aria.
Non le piaceva dirlo ad alta voce però, perché le dava uno strano senso di smarrimento ammettere
di essere dipendente da qualcuno, anzichè avere il controllo di sè stessa.
Poggiò una mano sulla testa della ragazza mentre con l'altra si infilava il giacchetto, e messo lo zaino
in spalla, uscì dalla grande finestra a vetri che dava sul giardino.
Mentre camminava per le strade di Armonica, Andrea si guardò intorno:
Era una bella giornata, il cielo era terso e non faceva troppo caldo. Persone sorridenti portavano a
spasso gli animali tra i giardini ben curati, e i bambini tiravano molliche di pane agli scoiattoli striati,
che con le loro piccole zampette correvano a prenderle.
Due ragazzi discutevano animatamente tra di loro, seduti su una panchina; mentre gli passava accanto,
Andrea colse stralci di discorsi sull'idealismo di Berkeley. Si voltò un attimo, giusto per captare le
ultime parole di uno dei due riguardo alla percezione intellettuale, quando andò a sbattere con tutto
il corpo su qualcosa di morbido, che lanciò un grido e cadde a terra.
«Mi scusi tanto!»
Un uomo di mezza età, con il viso paffuto e rosso per la caduta -un postino, notò Andrea dall'uniforme
color pergamena- la squadrò con cipiglio severo dal basso, mentre cercava inutilmente di rialzarsi
e raccogliere tutte le lettere che erano cadute dalla sua tracolla. Sbuffò un paio di volte, e poi
accettò la mano della ragazza, rimettendosi in piedi.
«Le sue lettere» gli ricordò Andrea, porgendogli le missive che aveva raccolto.
Il postino borbottò uno strascicato ringraziamento, unito a un qualche insulto alle nuove generazioni,
e con un gesto stizzito ficcò le carte nella tracolla, prima di sgambettare via il più rapidamente i
suoi piedi paffuti gli permettessero.
Andrea scosse la testa divertita, e continuò per la sua strada.



 

∆     ∆     ∆



 

Il postino paffutello continuò il suo giro di consegne, fino a che non rimase nella tracolla una sola
lettera. Era una di quelle importanti, con il timbro del Senato e la carta filigranata.
Una di quelle che richiedono di suonare il campanello una volta imbucata nella cassetta.
Il postino paffutello odiava quel genere di lettere, perché odiava suonare campanelli.
Controvoglia, spinse un dito paffutello sul bottoncino dorato, proprio sotto la scritta 'Famiglia Andrei'.
Fece scorrere lo sguardo al di là del cancellino in ferro battuto, lungo il sentierino di ardesia
che attraversava il giardino, fino all'edificio bianco. Intravide un movimento dietro il vetro della porta, e
prendendolo come un segno che gli inquilini fossero in casa, sgattaiolò via.
La porta si aprì di scatto, e una donna uscì, aggiustandosi gli occhiali sul naso.
Sbadigliò, si aggiustò di nuovo gli occhiali, poi attraversò il giardino e aprì la cassetta delle lettere.
Improvvisamente, la sua espressione si trasformò, da totalmente estraniata a euforica.
La donna esultò talmente ad alta voce che la vicina di casa si affacciò dalla finestra, chiedendole
se andava tutto bene.
«Va tutto benissimo!» le assicurò la donna, sventolando la lettera «Il Senato ci ha concesso i fondi
per il progetto di biochimica».
«Era ora!» commentò la vicina, prima di chiudere la finestra.
La donna saltellò un paio di volte sul posto, senza riuscire a staccare gli occhi dal timbro scarlatto,
con su impressa una bilancia sorretta da un libro, lo stemma del Senato di Armonica.
Scosse la testa, per riprendersi, e corse in casa per annunciare alla famiglia la meravigliosa notizia.
«Una lettera dal senato!» esclamò, spalancando le braccia verso il marito.
«Dal senato?» gli occhi di lui si illuminarono, increduli. I coniugi Andrei avevano fatto richiesta
al governo per avere fondi per un progetto che avevano intenzione di iniziare e che rappresentava
il culmine degli studi di una vita. E ora finalmente una lettera arrivava dal senato, e poteva dire
una cosa sola.
«La leggo io, la leggo io!» esclamò la figlia Cassandra, balzando giù dalle scale e saltando tre scalini
in una volta sola. Strappò la busta dalle mani tremanti per l'emozione della madre, e la aprì.
«Pronti?» chiese, dispiegando i fogli scritti con elegante calligrafia da senatore. Cassandra era
convinta che per diventare senatori si dovesse frequentare un corso di bella scrittura, in cui ti
insegnano quanto fare alte le L, quanto tonde le O, e così via. Nessun altro scriveva così bene.
«Dai leggi!» la esortarono i genitori.
«Gentilissimi Signore e Signora Andrei» cominciò lei, dando ironica importanza alle parole con falsa
voce profonda «E' giunta all'osservazione del Senato un'importante quest... aspetta» mano a mano
che leggeva, Cassandra impallidì. I suoi occhi scorrevano velocemente le righe, divorando ogni parola,
registrando ogni frase. Il suo cuore perse un battito, poi ricominciò più velocemente, sempre più
velocemente.
«Che cosa c'è? Cassie cosa succede?» il padre le strappò la lettera di mano, preoccupato, e lei glielo
lasciò fare: aveva letto abbastanza.
«No» mormorò con voce rotta il signor Andrei, mentre i suoi occhi scorrevano sulle parole scritte
con elegante calligrafia, senza capirle più.
La madre portò le mani alla bocca, spalancando gli occhi. Ci furono interminabili attimi di
silenzio: i genitori fissavano la lettera senza leggerla; Cassandra aveva lo sguardo perso nel vuoto,
come se fosse indifferente. Poi di colpo scattò, uscendo di casa e sbattendo la porta alle spalle.





 


 



 


IMPORTANTE, LEGGETE PLEASE

Vorrei personaggi che venissero da tutti e sette gli stati, ma mi manca qualcuno originario di Venterea. Ho aspettato, sperando che qualche OC ritardatario arrivasse, ma niente da fare.
Così ho deciso di pubblicare comunque, e di farvi una richiesta:

Per i seguenti stati mi sono stati mandati più di un OC:
-Armonica (escludetelo, perché ormai è stato "ufficializzato" dal capitolo stesso)
-Flamea
-Universa
-Shadia
Se qualcuno che mi ha mandato un OC per uno di questi stati volesse "trasferire" il proprio personaggio a Venterea, può farmelo sapere via MP e possiamo cambiare qualcosa nella sua storia e/o nel potere per adattarlo.

Detto questo:

 

Angolino autrice_

Salve carissimi! Scusate per l'enorme ritardo con cui inizio la fic, ma come ho già spiegato speravo di ottenere tutti gli OC di cui avevo bisogno prima di cominciare. Comunque, intanto ho pubblicato il primo capitolo C:
Nei primi capitoli vedremo i personaggi separatamente, giusto per dare un'idea delle loro vite e per presentarli. Come avete visto, in questo capitolo si parla dei tre Cavalieri (dovrei dire cavalierE?) provenienti da Armonica, nei prossimi avremo una panoramica su altri stati e altri personaggi, e quando avremo un quadro chiaro e completo, inizieremo con l'avventura!
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e non sia stato particolarmente noioso, io ce l'ho messa tutta, ma so che a volte i capitoli introduttivi possono essere una palla :/
Anyway, se avete qualche richiesta non vergognatevi a chiedere, mi fa sempre piacere aggiungere tasselli al mosaico (?)
Un bacione a tutti quelli che seguono
- t i t u

  
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