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Autore: NonnaPapera    09/06/2016    2 recensioni
Fluttuò corrucciato per la stanza e poi si sedette sul divano di finta pelle raccogliendo i lunghi e biondi capelli in una coda alta.
Non lo capiva, davvero non capiva tutta quella situazione e di certo non capiva tutti i sentimenti che ne derivavano.
Michele era il primo padrone in quasi duemila anni che non aveva avuto neppure l’impulso di esprimere un desiderio.
Nemmeno uno per provare.
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi, Slash
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
- Questa storia fa parte della serie 'Piccole Fiabe Moderne'
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Shika sbuffò infastidito, guardando fuori dalla finestra del piccolo appartamento al quarto piano. Michele era fuori dal portone e stava parlando con un uomo dai capelli scuri, non sapeva chi diavolo fosse ma il modo con cui gli teneva posata la mano sulla spalla non gli piacque per nulla.
Il genio richiuse di scatto la finestra quando si accorse che il suo padrone stava sollevando lo sguardo verso di lui.
Fluttuò corrucciato per la stanza e poi si sedette sul divano di finta pelle raccogliendo i lunghi e biondi capelli in una coda alta.
Non lo capiva, davvero non capiva tutta quella situazione e di certo non capiva tutti i sentimenti che ne derivavano.
Michele era il primo padrone in quasi duemila anni che non aveva avuto neppure l’impulso di esprimere un desiderio.
Nemmeno uno, per provare.
Perché mai non desiderare di diventare maledettamente ricco? Era un desiderio di facile realizzazione e avrebbe dato sicuramente molte soddisfazioni, per lo meno avrebbero abitato in un luogo molto più apprezzabile di quel buco che Michele si ostinava a chiamare casa.
Ormai erano quindici anni! Per la miseria, quindici anni da che quel ragazzino appena diciottenne aveva scovato il suo libro nella biblioteca polverosa di un robivecchi.
Shika si strofinò gli occhi viola stringendosi poi due dita sull’attaccatura del naso, nel vano tentativo di fare chiarezza tra pensieri e sentimenti che non riusciva più a gestire.
Per lui quindici anni non erano niente; era immortale fintanto che rimaneva legato al libro e non era la prima volta che viveva per molti decenni a fianco di padroni ma questa situazione era assurda.
Quando gli era apparso per la prima volta, uscendo dal libro e inginocchiandosi di fianco a lui, Shika aveva sorriso. Il padrone del libro ha solo tre desideri da poter utilizzare come e quando vuole senza limiti e senza regole; Michele era giovane e per esperienza sapeva che i giovani erano impulsivi e poco calcolatori, quindi pensò che avrebbe esaudito i suoi tre desideri in breve tempo per poi ritornare al sicuro tra le pagine ingiallite del suo libro d’incantesimi.
 In quel preciso istante il cellulare di Michele aveva suonato, allora non sapeva dell’esistenza di quegli apparecchi ed era sobbalzato per il rumore di un’esplosione. Ancora oggi saltava per aria quando a Michele arrivavano messaggi su quell’affare e continuava a chiedersi che motivo ci fosse di simulare ogni volta una deflagrazione per avvisare il proprietario di un messaggio.
Michele aveva riso di gusto e aveva allungato una mano per aiutarlo a sollevarsi da terra.
Shika si era sorpreso per quel gesto, nessun padrone aiuta un servo… non era mai successo. Da quel giorno al genio era capitato spessissimo di sorprendersi per i modi di Michele. Alla fine, piano piano, Shika aveva iniziato ad affezionarsi a quell’uomo che non domandava mai nulla ma che si faceva in quattro per renderlo felice.
Sembrava non desiderare altro se non di vivere tranquillamente con lui. Erano amici, lo erano diventati nel corso degli anni e ormai Shika si ritrovava sempre più spesso a domandarsi come avrebbe potuto passare il resto dell’eternità senza il sorriso caldo di Michele. Aveva rinunciato da tempo a chiedere perché l’altro non esprimesse qualche desiderio, Michele si limitava a sollevare le spalle e sorridendo diceva frasi del tipo: “Per ora non mi occorre nulla, grazie”
Shika però in quegli anni aveva assaporato una libertà che non credeva possibile, era stato creato magicamente e la sua vita era iniziata esattamente con le stesse sembianze e le stesse imposizioni che aveva anche adesso: un uomo legato a un libro magico.
Non aveva avuto infanzia, non aveva avuto affetti, non aveva avuto esperienze di alcun tipo perché lui era un servo e non poteva chiedere niente, figurarsi poi se come nel suo caso, non si sapeva neppure cosa domandare.
Non aveva mai neppure mangiato, non ne aveva bisogno e nessuno gli aveva mai offerto nulla… il primo era stato Michele che, uscito dal robivecchi, gli aveva chiesto se volesse un gelato.

“Fammi capire” disse Michele sollevando un sopracciglio e guardando quello strano personaggio in modo scettico: “ Tu saresti un genio che vive nel libro di incantesimi?”
“Sì, Padrone”
“E io avrei tre desideri da usare come meglio credo?”
“Sì, Padrone”
Michele lo fissò pensieroso per un momento, rigirandosi il grosso volume di pelle indurita tra le mani.
“Posso chiederti una cosa?”
“Ogni vostro desiderio è un ordine per me Padrone. Dovete solo far precedere la richiesta dalla parola VOGLIO ed io la esaudirò”
“Emm, questo l’ho capito ma a me interessa solo sapere come ti chiami, per il momento” Michele rise stando bene attento a non pronunciare  –voglio- all’interno della frase.
“Padrone?”
“Ce l’avrai un nome no?”
“Non è necessario Padrone potete chiamarmi genio, o servo, come hanno sempre fatto” aveva risposto perplesso Shika.
“Quanti anni hai?”
“Anni?” aveva squadrato Michele sempre più dubbioso senza sapere bene come reagire.
“Certo, insomma sarai pur nato” Michele lo aveva fissato con i suoi grandi occhi verdi che parevano scavare l’anima ed era rimasto in attesa.
“Sono stato creato… da una congrega di maghi, secoli fa. Perdonatemi Padrone ma non ricordo esattamente quanti anni sono passati”
“Non devi scusarti, non è colpa tua” Michele aveva alzato le spalle ed era calato il silenzio per alcuni momenti.
Il genio per la prima volta in tutta la sua esistenza si sentì a disagio, nessuno gli aveva mai posto domande e il non poter soddisfare anche solo la curiosità del Padrone lo rendeva molto nervoso.
“Dunque” aveva ripreso Michele come se niente fosse “Come preferisci che ti chiami? Non sei obbligato a sceglierti un nome, se preferisci posso anche chiamarti genio… insomma sei libero di scegliere, dimmi tu”
“Libero di scegliere? Io non posso scegliere niente…”
Il ragazzo aveva fatto una smorfia e poi si era avviato verso la porta “Ti va un gelato?”
“Cos’è?”
“Umm, è una cosa da mangiare: latte, acqua e frutta mescolati insieme e raffreddati fino a farli addensare. Vieni te ne offro uno” e lui non aveva fatto altro che seguirlo fuori.
 

Il rumore dei passi sulle scale riportò Shika alla realtà strappandolo da ricordi che lo lasciavano ogni volta sempre più confuso.
“Ciao Shika” Michele salutò allegro, buttando il borsone della palestra sul divano di fianco al genio.
“Ciao” mormorò il genio alzandosi per evitare di incrociare lo sguardo dell’altro, quell’uomo aveva la straordinaria capacità di leggergli dentro e lui in quel momento non voleva venir esaminato.
“Tutto bene?” domandò comunque Michele che si era accorto del tono dimesso di quello che lui definiva amico e coinquilino.
“Certo…” Shika afferrò il borsone e lo portò in bagno per lavare la biancheria sporca.
“Shika, ti ho già detto mille volte che non devi farlo. So lavarmi i vestiti da solo”
Il biondo sollevò lo sguardo infastidito piantando i suoi strani occhi viola in quelli verdi dell’uomo.
“Se non mi permetti di fare quello per cui sono stato creato allora devo servirti in altra maniera”
“Cosa stai dicendo?” Michele lo squadrò sorpreso.
“Mi dispiace” borbottò Shika, rimpiangendo immediatamente di aver tirato nuovamente fuori quell’argomento.
Michele non lo aveva mai trattato come un servo ed era stato paziente a livelli indescrivibili con lui, lasciandogli i suoi tempi e permettendogli di fare ciò che voleva; non si era mai aspettato nessun ringraziamento in cambio.


“Padrone”
Michele aveva sollevato lo sguardo dal libro di chimica che stava leggendo per l’università.
“Per favore, te l’ho già chiesto… chiamami Michele, non mi piace sentirti dire Padrone”
Il genio si era irrigidito per la gaffe, che ancora a distanza di un anno gli capitava di fare, ripromettendosi mentalmente di starci più attento.
“Michele…” mormorò aspettando che l’altro sollevasse lo sguardo.
“Dimmi” rispose il moro sorridendo contento.
“Credo di aver deciso come vorrei essere chiamato”
“Oh” esclamò il ragazzo saltando su dalla sedia con entusiasmo “Dimmi dimmi! Non speravo più di chiamarti in modo diverso da genio.”
“Vorrei essere chiamato Shika, se per te va bene”
“E’ il tuo nome, perché non dovrebbe andarmi bene?” e poi ripeté lentamente come assaporandolo “Shika, Shika… Shika! Suona incredibilmente bene. Se non è una cosa troppo personale posso chiederti perché hai scelto questo nome?”
Shika sollevò le spalle senza sapere bene cosa rispondere, se gli avesse detto che non voleva parlarne Michele certamente non avrebbe insistito ma si sentiva comunque in obbligo di rispondergli e non perché era il suo servo ma perché gli era amico, anche se per lui era un sentimento del tutto nuovo.
“Qualche centinaio di anni fa, su per giù credo, divenni servo di un Padrone che aveva un cane. Si chiamava Shika… non il padrone, il suo cane si chiamava Shika”
Michele sorrise incoraggiante.
“Domandò ricchezza e potere, come fanno in molti, e lasciò il suo ultimo desiderio sospeso per ogni eventualità e anche questa è una cosa che fanno in molti.”
Il genio si grattò la testa incerto su come continuare perché neppure lui riusciva a mettere bene a fuoco il motivo che lo aveva spinto a scegliere proprio quel nome.
“Insomma, fatto sta che alcuni anni dopo il cane morì. Il padrone era devastato dal dolore e senza pensarci due volte utilizzò il suo ultimo desiderio per riportarlo in vita. Pensai che fosse un modo molto stupido di utilizzare un desiderio ma la realizzazione di questo lo rese molto più felice di quando anni prima avevo esaudito gli altri due”.
Michele non disse nulla semplicemente gli si avvicinò e lo abbracciò forte, il suo primo abbraccio.


Michele iniziò a slacciarsi la camicia per farsi una doccia e lo fissò leggermente risentito.
“Non so perché tu oggi abbia le palle girate ma non penso di averti mai chiesto di fare nulla per me” borbottò frustrato.
Shika a quelle parole si infuriò, ormai erano mesi che non faceva altro che rimuginare e quelle parole furono la classica goccia che trabocca da un vaso troppo pieno. Senza riflettere lo sbatté contro il muro: “Cosa sono io? Qual è il mio posto in questo mondo e nella tua vita? Tu da me non vuoi niente e io non so che fare! Sono quindici anni che mi tieni legato qui e io non ce la faccio più, prima di incontrarti la mia esistenza era molto più facile. Non ero così confuso, non provavo tutti questi sentimenti. Ansia, paura, aspettativa, affetto e… altro, che neppure so descrivere ma che ho qui piantato nel cuore e mi fa star male.”
“Shika…”
Il biondo lo strinse per la vita affondando il volto nell’incavo della spalla tremando di rabbia, di frustrazione e di paura.
Questa volta aveva esagerato e Michele, per quanto buono, poteva sempre decidere di punirlo. Avrebbe potuto riconfinarlo nel libro, cosa che si era sempre rifiutato di fare.

“Padrone, fintanto che non vi servo potete farmi rientrare nel libro”
“E’ questo che vuoi? Rientrare nel libro in attesa che abbia qualche desiderio da farti esaudire?”
“…”
“Se ti senti meglio e più al sicuro rientra pure tra le pagine ingiallite di quel volume oppure resta fuori e esplora ciò che preferisci, ma non sarò io ad importi né l’una né l’altra scelta”
E Shika era rimasto fuori dal libro per quindici anni.


Le braccia forti di Michele gli circondarono le spalle cullandolo mentre gli baciava delicatamente la tempia.
“Mi dispiace, pensavo che fossi felice. Qui. Con me. Libero”
“Non sono libero. Tu hai scelto di non domandarmi nulla e io di questo te ne sono grato, ho vissuto anni meravigliosi con te… ma io sono quello che sono e quando tu non ci sarai più, o deciderai di cambiare idea io tornerò inevitabilmente alla mia vecchia vita. Solo che, dopo tutto questo, quella vita sarà insopportabile.”
“Shika, cosa vuoi che faccia?” bisbigliò Michele cercando di stringerlo ancora più forte a sé come se l’altro potesse svanire all’improvviso, così come era comparso quindici anni prima.
“Lasciami tornare alla mia esistenza. Più vivrò qui felice con te, più soffrirò quando non potrò più farlo. Ti prego, esprimi i tuoi desideri”
Michele lo allontanò leggermente da sé tenendolo per le spalle e poggiando la sua fronte su quella di Shika.
Avevano entrambi gli occhi lucidi e un groppo in gola tale quasi da non riuscire a respirare.
Il genio per un istante sperò che l’altro si rifiutasse di esprimere quei maledetti tre desideri così come aveva sempre fatto.
Michele però annuì lentamente e gli depose un bacio leggero a fior di labbra: “Non mi va di perderti però hai ragione. Non sei libero se non puoi decidere di andartene. Entro sta sera ti prometto che esprimerò i miei tre desideri e spero che tu non mi odierai troppo quando li avrò espressi tutti.”
A Shika mancò un battito. No, non quella sera, non voleva lasciare Michele, non voleva che Michele lo lasciasse andare… era troppo presto.
Nessuno dei due disse nulla per parecchi istanti; rimasero così, poggiati uno all’altro fissandosi negli occhi. La sera stava calando e Shika tentò di fare un rapido calcolo delle ore che avrebbe avuto ancora da passare con Michele, pensava che una volta convinto l’altro ad esprimere i tre desideri si sarebbe sentito meglio, allora perché aveva solo voglia di urlare?
Michele si staccò da lui poggiando la schiena contro il muro e mantenendo le sue mani posate sulle spalle dell’amico.
“Io voglio” disse cercando di mantenere la voce chiara “che tu sappia che ti amo” disse osservando la reazione sbalordita dell’altro e poi continuò “Io voglio fare sesso con te”
Shika non fece in tempo a dire nulla perché l’incantesimo si attivò subito e si ritrovarono entrambi stesi sul letto della camera di Michele, entrambi nudi uno di fianco all’altro.
Il biondo stava per dire qualcosa ma l’altro non glielo permise, iniziando a baciarlo con un’urgenza che sconvolse il genio.
“Cosa?” riuscì solo a dire quando si staccarono.
Michele lo osservò guardandolo con lussuria e tenerezza. Lo voleva e spera che quel desiderio, quella specie di imposizione, non allontanasse Shika da lui, che non arrivasse ad odiarlo.
Ormai era fatta e si ripromise di metterci tutto l’amore che aveva nel cuore.
Lo fece sdraiare con lentezza, tempestandogli il viso, il collo e le spalle bianche di baci. Baci leggeri come carezze cercando di farlo rilassare dato che Shika era visibilmente teso e preoccupato.
“Andrà bene, cerca di rilassarti. Giuro che sarà bello, non ti farei mai del male.”
“Questo lo so”
“Allora lasciati andare”
Shika annuì poco convinto lasciando le mani lungo il proprio corpo, rimanendo immobile e permettendo a Michele di fare tutto ciò che voleva senza però interagire.
“Shika…”
“Mi dispiace, io non so che fare”
Michele si tirò su leggermente, puntando i gomiti ai lati della testa del biondo e baciandolo sul naso mormorò: “Fai quello che vuoi non devi preoccuparti”
“E se sbaglio qualcosa?”
“Non c’è nulla di giusto o di sbagliato, segui l’istinto”
Il genio annuì più convinto sollevando il mento per chiedere un altro bacio, Michele non aspettò nemmeno un secondo e si tuffò tra le labbra sottili e morbide di Shika.
L’altro con più coraggio sollevò le braccia e lo strinse forte sulle spalle attirandolo a sé con sempre maggiore urgenza.
Il bacio era umido, languido e la lingua di Michele faceva uno strano effetto sui suoi denti ma Shika apprezzò quel contato così intimo e profondo.
Continuò l’esplorazione del corpo di Michele con sempre maggiore curiosità, con un’urgenza impellente che gli partiva dal basso ventre e gli rimbombava nelle orecchie. Tastò tutto ciò a cui poteva arrivare, il petto, i capezzoli scuri e turgidi, la schiena liscia e muscolosa, il sedere sodo e le gambe tese.
Si sentiva stordito e tremendamente felice.
Sospirò tra le braccia del moro mentre le mani di Michele tracciavano segni roventi anche sul suo corpo, massaggiandolo o sfiorandolo a seconda dei punti su cui venivano posate.
Il sesso era duro e quasi faceva male, Shika si chiese se fosse una cosa normale o se avesse dovuto preoccuparsi, poi Michele si spostò un po’ sulla destra e sentì strofinare contro la propria coscia l’erezione del compagno. Era tutto fantastico solo che stranamente non gli bastava, voleva di più ma non sapeva cosa.
Si tese verso Michele e l’altro, come se potesse leggergli nella mente annebbiata, portò la mano sul suo pene stringendoci attorno le dita con decisione.
Shika sussultò per la sorpresa e per il piacere che quel semplice gesto gli aveva procurato. Michele iniziò a massaggiarlo lentamente ma con forza, mantenendo un ritmo costantemente delizioso.
Il biondo mugugnò di piacere e poi decise che voleva donare al compagno lo stesso dolce strazio, perciò imitò esattamente i movimenti di Michele e gli afferrò in pene con una mano.
Dapprima insicuro su come muoversi, quando il moro sospirò soddisfatto, si fece via via più curioso e determinato.
Entrambi accelerarono il ritmo delle mani, pompando sempre con maggior vigore e spostando i bacini avanti e indietro scontrandosi con i movimenti e sospirando di aspettativa.
Era fantastico e Shika aveva il cuore pieno d’amore e gratitudine per Michele. Per tutto ciò che gli aveva permesso di sperimentare e per questa nuova magnifica sensazione che gli stava donando.
Avrebbe voluto durasse per sempre ma ad un certo puntò venne preso da un’urgenza sorda, qualcosa che aveva necessità di soddisfare impellentemente; iniziò a pompare con la mano e a spingersi verso quella di Michele in modo convulso, accorgendosi che anche il compagno faceva la stessa cosa.
Solo pochi altri attimi ed entrambi si liberarono in un appagante orgasmo che li lasciò spossati e soddisfatti.
Shika accarezzò estasiato la testa di Michele, osservando con interesse il corpo nudo dell’altro, steso sopra di lui, che si alzava e si abbassava cercando di regolarizzare il respiro.
Quando si furono calmanti Michele sollevò finalmente lo sguardo, preoccupato di ciò che avrebbe potuto trovare in quello del suo compagno.
Shika era il ritratto della felicità.
“Questo è sesso?” domando estasiato.
“Non solo, ma sì, è sesso”
“C’è altro?!”
Michele ghignò: “Molto altro, ti mostrerò tutto ciò che ti sei perso in questi secoli, se lo vorrai” poi si fece serio e lo baciò brevemente sulle labbra.
“Ti ho promesso che avrei espresso tutti i miei tre desideri…”
Al biondo prese il panico, i desideri… se avesse espresso l’ultimo lui sarebbe finito di nuovo nel libro, scaraventato chissà dove, di nuovo da solo, per sempre da solo.
“No, no ti prego non farlo.” Le guance rigate da lacrime di terrore.
Michele poggiò un dito sulla bocca del genio e sorrise dolcemente.
“Ti amo davvero tanto Shika.”
“Ti amo anche io, ti prego non esprimere il desiderio” singhiozzò il biondo cercando di convincerlo.
Michele sorrise: “Io voglio… donarti il mio ultimo desiderio Shika”
“Non voglio più essere un genio, non voglio più essere un genio, non voglio più essere un genio…” ripeté disperatamente l’altro senza speranza che potesse realmente funzionare.
Appena ebbe pronunciato quelle parole sopra di loro comparve il libro che si aprì e si illuminò, a Shika manco un battito per la paura di venirne risucchiato dentro.
Il libro però, lentamente, iniziò a sgretolarsi sfumando piano in una nuvola di fumo.
Michele guardò Shika ancora pietrificato sotto di lui: “Ora sei libero di fare ciò che vuoi, di andare dove vuoi e di stare con chi vuoi” e fece per sollevarsi da lui di modo da lasciargli spazio per muoversi.
Shika lo afferrò saldamente per le spalle trascinandoselo nuovamente addosso.
“Voglio fare altro sesso, qui, con te… se possibile per sempre”
E questa volta furono gli occhi di Michele a velarsi di lacrime mentre riprendevano a baciarsi teneramente.

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