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Autore: Erule    11/06/2016    0 recensioni
- Tanti anni e ancora non hai capito niente, Sammy. - asserì Dean, gli occhi puntati sulla strada che si stagliava di fronte a lui.
- Non puoi trattarmi così ogni volta, Dean! - fece Sam, voltandosi a guardare il fratello.
- E tu dovresti sapere che questa è l’unica cosa che non puoi chiedermi. - replicò Dean, stringendo le dita attorno al volante.
- Io non li sopporto più, Dean. Siamo nel ventunesimo secolo, ormai. - ribatté Sam.
- E allora? -
- Non puoi ascoltare ancora i vecchi cd dei Led Zeppelin! - esclamò Sam, spazientito.
Dean sfoggiò quel suo solito sorrisetto soddisfatto, mentre alzava il volume della musica e Sam sbuffava.
- Chi guida sceglie la musica, fratellino. Dovresti aver imparato la lezione, ormai. -
(La storia ha inizio durante la decima stagione)
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Nuovo personaggio, Sam Winchester
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più stagioni
Capitoli:
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Haunting
 
Capitolo 1
More bad than good

 
L’aria sapeva di umido e di pioggia. La nebbia attorniava casa sua come un fantasma venuto a prenderti l’anima. Aprì la porta dell’appartamento appena ripitturato di bianco, mentre con l’altra mano teneva la borsa della spesa. Si richiuse la porta alle spalle con un calcio e i tacchi fecero rumore sul pavimento di legno. Posò la borsa sulla sedia della cucina e poi accarezzò la pistola che si portava sempre dietro. C’era un’asse del pavimento, nel soggiorno, che s’incrinava quando qualcuno ci passava sopra con il piede, ma solo se quella persona era particolarmente pesante. Quindi si stava parlando di un uomo e non di una donna. Bene. Fece finta di niente e mosse un paio di passi lenti nel corridoio, così da avere alla sua sinistra la porta di casa da cui uscire, a destra la scala per salire al piano superiore e di fronte il salotto. Lui la stava cercando, di questo ne era certa. Sam glielo aveva detto, che sarebbe venuto anche per lei. Avrebbe voluto dirgli di smettere di nascondersi, ma sapeva che l’avrebbe fatto lui. Non poteva ingannarla, perché lei era esattamente il suo riflesso. Conosceva ogni sua mossa, ogni sua debolezza, la sua coscienza, che era Sam e che ora non aveva più. Sentì un altro rumore e sfilò la pistola dai pantaloni. Lui si rivelò e le ombre sembrarono allontanarsi elegantemente da lui come un mantello. Caricò l’arma e gli sorrise. 
<< È bello rivederti, Dean. >> disse Natalie, puntandogli contro la pistola.
 
***
 
<< Tanti anni e ancora non hai capito niente, Sammy. >> asserì Dean, gli occhi puntati sulla strada che si stagliava di fronte a lui.
<< Non puoi trattarmi così ogni volta, Dean! >> fece Sam, voltandosi a guardare il fratello.
<< E tu dovresti sapere che questa è l’unica cosa che non puoi chiedermi. >> replicò Dean, stringendo le dita attorno al volante.
<< Io non li sopporto più, Dean. Siamo nel ventunesimo secolo, ormai. >> ribatté Sam.
<< E allora? >>
<< Non puoi ascoltare ancora i vecchi cd dei Led Zeppelin! >> esclamò Sam, spazientito.
Dean sfoggiò quel suo solito sorrisetto soddisfatto, mentre alzava il volume della musica e Sam sbuffava.
<< Chi guida sceglie la musica, fratellino. Dovresti aver imparato la lezione, ormai. >>
 
Quando entrò in quella casa, fu come se l’avesse già vista. Non era una sensazione di déjà vu, ma gli sembrava di averla forse sognata una volta o di sentirla in qualche modo familiare. Non era la prima volta che gli capitava, ma di certo ne era passato di tempo dall’ultima volta in cui si era sentito così. I suoi occhi cercarono subito la figura alta e snella di Sam, mentre la testa cominciava a giocargli strani scherzi. Era come se riuscisse a vedere solo le linee interrotte della televisione, quando c’è un canale inesistente che non si riesce a trovare e tutto crolla nel bianco e nero. Per lui fu come se il suo corpo stesse reagendo a qualcosa, allo stesso modo in cui viene da starnutire per colpa dell’allergia o gli occhi diventano rossi. Gli parve di venire trasportato in un altro tempo, in un altro luogo, con i ricordi che si susseguivano uno dietro l’altro, un po’ come quando lui cacciava un dannato vampiro che non voleva saperne di fermarsi. Però non era il momento adatto, né il luogo. Scosse la testa e si sedette di fianco a Sam, vestito anche lui di tutto punto come un agente dell’FBI e si morse la lingua per pensare al dolore e dimenticarsi del resto.
<< Signora Finnegan, sua figlia è scomparsa da giovedì scorso, giusto? >>
La donna, che aveva una grossa sciarpa blu attorno al collo e dita nodose, si soffiò il naso rumorosamente e a Dean venne da vomitare. Quella donna era patetica. D’accordo, non avrebbe dovuto pensarla a quel modo, perché insomma, aveva appena perso sua figlia, ma era brutta e quel paio di occhiali enormi le facevano sembrare gli occhi grandi come quelli di una mosca. Dovette trattenere una risata, a quel punto. Sam gli pestò un piede.
<< Ehi, ma che diav…? >>
<< Perdoni il mio collega, signora Finnegan. Mi stava dicendo? >>
<< Suzy è scomparsa giovedì pomeriggio. Non è neanche tornata a casa da scuola. Lei è tutto quello che mi rimane, da quando mio marito mi ha lasciata. >>
<< Mi domando come mai… >> borbottò Dean e Sam gli pestò di nuovo lo stesso piede. Dean soffocò un urlo ficcandosi un pugno in bocca.
<< Si sente bene, agente? Vuole un tè? >> chiese la signora Finnegan ed i suoi occhi si ingrandirono in modo a dir poco strabiliante.
<< No, grazie. >> rispose Dean, poi si alzò ed andò a passeggiare in salotto. << Io controllo qui intorno, se non le dispiace. >>
<< Faccia pure. >>
<< Grazie. >>
Dean salì le scale e riconobbe subito la stanza della ragazzina. Frugò dappertutto, accese il computer sprovvisto di password, guardò nelle borse, dietro le fotografie appese alla parete, sugli scaffali, ma non trovò niente di strano. Come aveva fatto una ragazzina di quattordici anni a sparire nel nulla? Si sedette sul letto, sconfortato. Inspirò l’aria primaverile che proveniva dalla finestra aperta, ma era impossibile che sapesse davvero di… Una morsa improvvisa gli fece mancare il respiro e gli attorcigliò lo stomaco. No, aveva controllato, non c’erano cespugli di lavanda in quel giardino, né nei dintorni. Non c’era niente che sapesse di lavanda in quella camera. Eppure aveva sentito quel profumo pochi minuti prima, sulla porta di casa. Si sfregò gli occhi con le dita. Era stanco, era solo molto stanco. Stavano succedendo troppe cose nella sua vita e tutte insieme, per giunta. Uno stupido medico gli avrebbe di sicuro detto che non stava facendo altro se non rifugiarsi nel passato per evitare di vivere nel presente. Sì, glielo avrebbe detto anche Sam, ma non poteva farglielo sapere o si sarebbe preoccupato per la sua salute. Non quella mentale, per quella ormai non c’era più cura.
<< La signora Finnegan… >> esordì Sam, la spalla poggiata allo stipite della porta ed un sorriso beffardo sul volto, perché aveva appena fatto trasalire il fratello, << …sostiene che le abbiamo posto le stesse, identiche domande di un altro agente dell’FBI. >>
<< Ah, sì? >> chiese Dean, alzandosi dal letto.
<< Non si ricordava il nome, ma aveva i capelli biondi, corti e gli occhi azzurri. >>
Dean buttò giù l’aria, infilando le mani in tasca e cercando di non apparire strano di fronte a Sam. Poteva essere chiunque, dopotutto. Specialmente perché il mondo è pieno di ragazze bionde con gli occhi azzurri.
<< Ho controllato le orme qui fuori, fresche per via della pioggia. Vieni, voglio fartele vedere. >> 
Dean scese le scale e seguì Sam all’esterno della casa. Non l’avevo notato prima, ma nel vialetto c’erano alcune impronte di stivali, un po’ piccole per essere quelle di un uomo, ma più grandi di quelle di una bambina di quattordici anni.
<< Di chi pensi che siano? >> chiese Dean.
<< Credo appartengano all’agente che ha interrogato la signora Finnegan prima di noi. >>
Dean annuì.
<< Non ci interessa. Pensiamo a cosa fare per trovare questa ragazzina. >>
Salirono entrambi in auto. Dean rimase silenzioso, mentre la stanchezza minacciava di appesantirgli gli occhi, ma doveva restare sveglio. Ogni volta che sbatteva le palpebre, delle immagini si dipingevano nel buio e coloravano lo scenario. Non era il momento per lasciarsi andare, non aveva tempo. In effetti, gli era sempre mancato, il tempo.
<< So a cosa stai pensando. >> fece Sam, rompendo il silenzio che si era creato fra loro due, mentre Dean metteva in moto.
<< Ah, sì? >>
<< Prima quello strano odore nella casa, poi la descrizione di una ragazza dai capelli biondi e gli occhi chiari ed infine quelle orme. Sai che è lei e lo so anche io. >>
<< Come facevi a ricordarti di quel profumo? >> chiese Dean, sorpreso.
<< Lei era come una sorella per me, Dean. Era una di famiglia. Mi ricordo ancora il suo profumo, anche se non quanto te. >>
Dean abbassò lo sguardo, le mani che stringevano il volante sino a far sbiancare le nocche e quella fastidiosa sensazione di vuoto fra petto e stomaco.
<< Come ha fatto ad arrivarci prima di noi? Di me? Sono stato io ad insegnarle tutto quello che sa sulla caccia. >>
<< L’allieva ha superato il maestro, a quanto pare. >>
<< Sì, ma lei avrebbe dovuto restarne fuori! >> esclamò Dean, ma non era arrabbiato con Sam. Era arrabbiato con se stesso.
<< Dopo quella volta… >>
<< Avevi promesso che non ne avremmo più parlato. >> replicò Dean, puntandogli un dito contro.
<< Dean, dopo quello che è successo, sai che non si sarebbe arresa così facilmente. >>
<< Sam, è arrivata prima di noi. Non poteva essere sulle nostre tracce. Significa che sta cacciando da sola. >>
Il viso di Sam s’illuminò e sembrò che avesse capito chissà quale risposta a quella domanda assurda.
<< Forse non è lei ad essere sulle nostre tracce, ma noi. >>
Dean scosse la testa.
<< Ma che diavolo stai dicendo? >>
<< Prima il profumo, poi la descrizione… si è fatta riconoscere apposta! Voleva che noi la trovassimo! >>
<< Non puoi dirlo sul serio. >> fece Dean e Sam video il terrore nei suoi occhi, ma anche qualcos’altro. Vide il suo desiderio di rivederla. Però non lo disse a Dean, perché era una cosa che non avrebbe voluto sentire.
<< Natalie ci sta cercando, Dean e sai bene quanto me che non si fermerà, finché non ci avrà trovati. >>
Dean sospirò, svoltando a destra.
<< Forse non ci sta cercando, Sam. Forse è solo che sta lavorando e magari ha anche capito che è caso di nostra competenza. L’ultima volta che abbiamo parlato, in effetti, è stata ai tempi di Quantico. >>
 
Dean si sdraiò sul letto, finalmente. Sarebbero rimasti in albergo per la notte e poi avrebbero continuato le indagini il giorno dopo. La ragazzina era scomparsa da troppo tempo per pensare che fosse ancora viva, secondo Dean, ma Sam ci sperava, perché non era ancora stato trovato il cadavere ed era un po’ strano. Sam mormorò qualcosa e si infilò nella doccia, ma Dean aveva già chiuso gli occhi ed il sonno lo aveva assalito di colpo.
Si ritrovò a rivivere l’incontro con Natalie al funerale di suo padre. Dean aveva odiato profondamente quell’uomo, ma sapeva che per Natalie era stato importante, quindi gli sembrava giusto andare a porle le sue condoglianze. E, a dirla tutta, era lì per vederla. Erano passati cinque anni da quando si erano conosciuti e non l’aveva vista, né aveva avuto contatti con lei per altrettanti, ma non c’era stata una volta in cui aveva incontrato una ragazza in cui non aveva pensato a lei. Era stato stupido, da parte sua, innamorarsi e raccontarle tutto, un po’ come aveva fatto con Cassie, ma ciò che non riusciva a perdonarsi, era che lei gli era entrata dentro, sottopelle e non riusciva più a staccarsela di dosso. L’aveva intravista al funerale, i capelli biondi, lunghi, gli occhi rossi, il naso coperto da un fazzoletto bianco, l’abito nero, le gambe troppo magre per una ragazza che non aveva mai avuto problemi di alimentazione. Pioveva e l’aria umida non faceva che infilarsi sotto i vestiti, entrava nelle ossa attraverso i pori e gli si erano paralizzate le ginocchia. Sam gli mise una mano sulla spalla, incoraggiandolo con lo sguardo, ma quando lei si era voltata ed aveva incrociato il suo sguardo per due secondi, tutta la sua sicurezza era crollata e lui era scappato via come un codardo. E quale sarebbe stato il colmo, fra l’altro? Be’, ma è ovvio: Natalie forse l’avrebbe perdonato, dopo averlo fatto penare per un po’, ma lui non avrebbe mai perdonato se stesso per quello che le aveva fatto. E non perché lei l’amava troppo o perché lui non l’amava più, ma unicamente per un altro motivo che non faceva altro che dargli la caccia dal giorno in cui era morto suo padre: temeva di diventare come lui e quello che aveva fatto a Natalie dimostrava che era sulla strada giusta.
Si svegliò di soprassalto nel pieno della notte, trattenendo un urlo che gli era rimasto incastrato in gola. Si alzò, controllò che Sam stesse dormendo e si riempì un bicchiere di acqua (la birra era finita). La pioggia sembrava bussare alla finestra a ritmo di una canzone dei Pink Floyd. Buttò fuori l’aria, poi si cambiò ed uscì. Il freddo gli penetrò nelle ossa, ma stranamente quella miscela di guida sotto la pioggia, canzoni dei Led Zeppelin e principio di congelamento gli fecero venire un’idea. Prima di buttarsi sotto la doccia Sam aveva detto: “L’ultima volta che in questa città è scomparsa una persona è stato tre mesi fa. Buffo che il cadavere sia saltato fuori solo mercoledì scorso, non ti pare?” Così qualche ingranaggio cominciò a muoversi nel cervello di Dean e pensò che tenere in vita una persona per tre mesi è alquanto ostico, se le succhi il sangue ogni giorno, ma non è neanche tanto impossibile da attuare. Così capì che ci doveva essere un covo di vampiri da qualche parte o perlomeno ce ne doveva essere uno in giro e probabilmente la ragazzina doveva essere lì, segregata a fare da sacca di sangue portatile. Svoltò a sinistra e si ritrovò di fronte ad un capanno ai confini della città, piuttosto malconcio e che sembrava abbandonato. Il covo perfetto per un vampiro. Recuperò le armi dal bagagliaio, controllò che non ci fosse nessuno nei dintorni e mentre la pioggia batteva forte sulle sue spalle e gli infradiciava i capelli, lui entrò nel buio.
Non si vedeva niente. Quel posto era più buio di quel locale di spogliarelliste a Las Vegas dell’estate scorsa. Accese un fiammifero, prima di ricordarsi che aveva il telefono in tasca, ma ormai non aveva più mani libere, dato che nella destra c’era un bel coltello affilato. Le assi di legno scricchiolarono sotto ai suoi piedi e gli ricordarono il pavimento dell’Accademia. Scosse la testa. Non era il momento, né il luogo. Si guardo intorno, ma non c’era quasi niente, a parte la borsa della ragazzina che confermava la sua ipotesi ed un vecchio materasso ingiallito. Trovò l’interruttore della luce e lo premette. All’improvviso tutto si fece più chiaro e distinto. Avvertì dei passi provenire dalla stanza di fronte a sé e preparò il coltello. Il rumore degli stivali gli fece capire subito di chi si trattava. Il cuore cominciò a martellargli ferocemente nel petto, tanto da lasciarlo senza fiato. Gli bruciavano gli occhi, ma non per le lacrime e nemmeno per la rabbia. Gli bruciavano per il senso di mancanza che adesso tornava a fargli visita, provocandogli dolore.
Si era quasi dimenticato del suo aspetto, se non fosse che teneva sempre quella foto nel portafogli per ricordarsene. La figura si stagliò di fronte a Dean come in un sogno fin troppo reale. Appoggiò una mano sullo stipite della porta, gli stivali erano sporchi di fango, teneva la pistola nei jeans, le gambe di nuovo formose, portava una maglietta bianca con una camicia di plaid aperta ed aveva un anello d’acciaio all’anulare destro. Aveva i capelli bagnati anche lei, adesso corti, ma sempre biondi. Non sembrava quasi più quella ragazza che aveva lasciato a Quantico, insicura, provocante, bella. Ora lo sfidava con lo sguardo, ma nascondeva qualcosa di dolce ed allo stesso tempo di rotto negli occhi arrossati come tre anni prima e non era più solo bella, ma affascinante nelle imperfezioni (come la cicatrice al fianco sinistro che non amava mostrare).
<< Chi non muore si rivede, eh? >>
  
<< Perché sei qui? >> chiese Dean, deglutendo.
<< Sto lavorando. >> rispose Natalie, facendo due passi di fronte a sé e Dean indietreggiò. << Mi dispiace per Bobby, era un brav’uomo. Non ho avuto modo di dirtelo, l’altra volta. Non ho avuto modo di parlarti, a dire il vero. >>
Dean serrò la mascella, evitando di replicare. Se solo lei avesse saputo… se avesse saputo quanto faceva male, forse non si sarebbe mai presentata. Avevano sempre lavorato in squadra, come se fossero stati una cosa sola e poi… più niente. C’era stato soltanto il sapore metallico del suo stesso sangue in bocca, gli occhi lucidi di lei e le mani strette a pugno, con le nocche che piano piano erano sbiancate. E c’era stato anche il segno delle cinque dita sulla sua stessa guancia, già. Dean ancora si ricordava della bruciatura, a volte, come se potesse ancora accendere tutte le sue cellule fino ad infiammarle, persino dopo tanti anni.
<< Dispiace anche a me. >>
Dopo l’ultima volta, Dean era sicuro che lei non avrebbe creduto ad un’altra sua bugia, quindi evitò di mentirle.
<< Avrei voluto proteggerti da tutto questo, Dean. >> disse Natalie e gli sembrò di avere un déjà vu.
<< Intendi dal dolore o da questo lavoro? >>
<< Da entrambi. >>
<< Perché sei qui, Natalie? >> ripeté Dean, scuotendo la testa.
<< Sto lavorando. >> ripeté Natalie meccanicamente.
<< Balle. Non sei qui per questo, ma per noi. >>
<< Già, forse sono qui per te, Dean. Cambierebbe qualcosa se ti dicessi che hai ragione? >>
Dean rimase fermo sul posto, ma per un secondo la sua gamba destra tremò, come se avesse voluto indietreggiare. Aveva sempre avuto paura dei sentimenti, Dean e questo Natalie lo sapeva.
<< Ti avevo chiesto una cosa sola, Nat: non cercarmi più. >>
<< Non sono venuta qui per fare squadra con voi, Dean. >> replicò Natalie, sorridendo. << Sono qui per lavoro e basta. >>
<< Ma davvero, Nat? Mi stai dicendo che non hai riconosciuto i segnali, che non hai pensato minimamente ad un covo di vampiri, che non sapevi se non saremmo venuti o meno? >>
Natalie guardò a destra, poi in basso ed il suo volto sapeva tanto di scusa. Sembrava che stesse per fare qualcosa che non voleva fare, ma non come se fosse stata posseduta da un demone. Lei era perfettamente umana. E si vedeva dal suo decolleté, avrebbe detto Dean.
<< Ero sotto copertura, Dean. >> rispose Natalie, sfilando la pistola dai jeans e caricandola. << Sono un’agente dell’FBI, avresti dovuto saperlo. >>
Dean deglutì piano, cercando di non fissare l’anello che portava al dito, cercando di dimenticare l’effetto che gli faceva ancora, nonostante fosse passato così tanto tempo, così tanti anni, otto ed ancora gli faceva venire i brividi lungo il collo e la spina dorsale. Avrebbe voluto che non gli facesse quell’effetto, ma era così.
<< La signora Finnegan non avrebbe dovuto dirci che eri andata da lei, giusto? >>
<< Già. Ho chiesto ai vampiri di fare a cambio con la ragazzina per distruggerli da dentro, ma avevano già saputo che ero dell’FBI, così mi hanno detto di no e hanno cercato di uccidermi. >>
<< Eri qui prima di me? >> chiese Dean.
<< La pioggia ha pulito le tracce di sangue. >>
<< Dov’è la ragazzina? >>
Natalie sembrò cambiare espressione e Dean capì come mai aveva gli occhi rossi: aveva pianto.
<< Natalie, dov’è la ragazzina? >> chiese di nuovo, piano, avvicinandosi a lei.
Natalie strinse i denti ed evitò di rispondere. Non aveva la forza per fare nulla, così si limitò a condurlo al piano di sotto e ad accendere la luce. Dean vide una gabbia nell’angolo della stanza e dentro c’era una piccola figura appallottolata su se stessa, attorniata dai corpi e dalle teste all’esterno.
<< L’hanno trasformata prima che potessi salvarla. >> disse Natalie e le tremò la voce.
Dean si avvicinò alla ragazzina. Lei si girò e lo fissò con i suoi occhi arrossati, enormi, i capillari smembrati e la paura riflessa nelle labbra tremanti.
<< Anche lei è un agente? >>
Dean annuì.
<< Ti porteremo fuori di qui. >> rispose. << Chiamo Sam, lui sa cosa fare. C’è un metodo per invertire il processo. Forse possiamo ancora salvarla. >>
Natalie buttò fuori l’aria, ridacchiando nervosamente.
<< Grazie al cielo. >>


La signora Finnegan riabbracciò sua figlia il giorno dopo e, senza neanche ringraziare Sam o Dean, rientrò in casa. Dean sbuffò, mentre Sam alzava le spalle, come a dire che ormai ci era abituato. Natalie chiamò il suo superiore per avvisarlo e Dean non riusciva a smettere di guardarla.
<< Dean, la stai consumando, a furia di non staccarle gli occhi di dosso. >>
Dean scosse la testa.
<< Lo so, ma non riesco a pensare. Cosa possono dirsi due persone che non si vedono più da anni, perché una delle due ha lasciato l’altra in modo a dir poco orribile? >>
<< L’hai fatto per un motivo. >>
<< Tu non eri d’accordo. >> gli ricordò Dean.
<< Sì, è vero, ma adesso lo capisco. Forse con Jessica avrei fatto lo stesso. >>
Natalie si avvicinò a loro sorridendo, i capelli ormai asciutti ed arricciati per via della pioggia. Dean pensò a quante cose avrebbe voluto raccontarle, a quante volte l’aveva sognata, al fatto che riviveva quel momento almeno una volta al giorno, ma non aprì bocca. Rimase in silenzio e lasciò che Sam conversasse con lei, anche se gli occhi di Natalie non facevano altro che cercare i suoi per delle risposte. Dopotutto, lei sapeva solo una parte della storia.
<< Ragazzi, è stato un piacere vedervi. >> disse Natalie, ma quel sorriso falso attirò l’attenzione di Dean.
<< Anche per noi. >> disse Sam.
<< Stop. Adesso basta, Time out. >> replicò Dean, mimando il simbolo del Time out con le mani. Natalie corrucciò la fronte, confusa. << Ma fai sul serio? Insomma, non ci vediamo da anni e tu sembri stare benissimo, davvero, sembra che tu sia solo qui per lavorare, ma non mi chiedi niente ed è strano per via del tuo carattere curioso e che anela risposte, non mi tiri un altro schiaffo, eppure vorresti, perché le tue mani tremano e porti ancora quell’anello, identico al mio, che io ho perso durante l’Apocalisse. >> disse Dean. << Natalie, mi hai regalato tu quell’anello. So cosa significa per te. Perché non mi chiedi niente? >>
Sam si allontanò senza farsi notare, lasciando loro spazio. Natalie abbassò lo sguardo, non era più in grado di sostenere a lungo quello di Dean. Aveva paura di dirgli tutto quello che pensava, perché era sicura che se l’avesse fatto, il vomito di parole che sarebbe fuoriuscito dalla sua bocca lo avrebbe sopraffatto e lui sarebbe scappato via di nuovo. C’erano fin troppe parole non pronunciate fra di loro, troppi ricordi incorniciati in fotografie appese ad una parete con un filo rosso, che nelle indagini poliziesche significava “non risolto”, un po’ come era per lei Dean.
<< Perché ci siamo già detti tutto anni fa, credo. >> rispose Natalie.
<< Io non credo. >>
<< Ah, davvero? Sei andato a letto con un’altra, Dean. Ti ho chiesto di non andartene, ti detto che ti amavo, ero in lacrime, ero disposta a tutto pur di non vederti sparire, forse persino lasciare Quantico e sai quanto ci tenessi. Sapevo che eri spaventato, sapevo di chiederti troppo, ma non pensavo che saresti arrivato a quello. Mi hai umiliata e lasciata senza tanti giri di parole. Non c’è nient’altro da dire. >> disse lei. << Buon viaggio. >>
Natalie si voltò, ma Dean aveva bisogno di sapere un’ultima cosa. Aveva bisogno di smascherarla.
<< Perché porti ancora l’anello, allora? >> domandò e Natalie si bloccò. Di riflesso, accarezzò l’anello e le venne un groppo in gola.
<< Per ricordarmi che fidarsi di un Winchester non ha mai portato a niente di buono. >>
E Dean l’osservò sparire nell’orizzonte.
 
***
 
<< Ti avevo detto di lasciarmi perdere, Nat. >> disse Dean, con quella camicia rossa che calzava a pennello con il suo istinto omicida.
<< Hai lasciato quel biglietto a Sam, non a me. >>
Gli puntava la pistola contro con sicurezza, ma dentro era terrorizzata. Non era sicura che avrebbe sparato e nemmeno che Sam sarebbe arrivato in tempo per salvarla, ma doveva prendere tempo per pensare.
<< Non avresti dovuto intrometterti. Non vi ho dato nessun fastidio per mesi. >>
<< Credevi che la tua famiglia non ti avrebbe più cercato, Dean? >>
<< Ci speravo. >>
<< Non posso lasciarti andare, Dean. >> disse Natalie, abbassando la pistola. << Ma non voglio nemmeno farti del male. >>
Dean ghignò ed il suo volto appariva quasi deformato, come se fosse una maschera – ed in effetti lo era – o come se non fosse suo. Dean stringeva nella mano destra la Prima Lama, ma adesso non sembrava più che volesse usarla contro di lei. Sembrava più che altro che volesse trattare.
<< Hai qualcosa che appartiene a Crowley. >>
<< Adesso lavori per lui? Sei diventato il migliore amico del Re dell’Inferno? >> lo rese in giro Natalie. Dean le rivolse un sorrisetto impertinente.
<< Io e Crowley siamo perfetti per gli affari, allo stesso modo in cui io e la barista di quel locale da quattro soldi che si trova dietro casa tua siamo perfetti a letto. >> replicò Dean e Natalie dovette chiudere gli occhi per il fastidio. Lo stava facendo solo per provocarla, solo per quello, si ripeté più volte nella testa.
<< Per quanto mi riguarda, potresti farti anche Crowley e non mi interesserebbe lo stesso. >>
<< Ah, no? >>
<< Sono andata avanti con la mia vita, Dean. Dovresti farlo anche tu. >>
<< Quelle foto che tieni in camera tua appese a quel filo non dicono lo stesso. >>
Non avrebbe voluto farlo, ma fu istintivo. Natalie alzò la pistola e sparò. Dean non se l’aspettava e quella pallottola puntata verso il suo braccio lo colse letteralmente alla sprovvista.
<< D’accordo, basta parlare allora. >>
Dean si scagliò contro di lei, cercando di ferirla con la Prima Lama, ma Natalie si divincolò e scivolò di fianco. Si rialzò, caricò la pistola e corse al piano di sotto, nella cantina. Sembrava un film dell’orrore, ma sapere di essere la protagonista non la divertiva molto. In più doveva continuare a ricordarsi che quello non era Dean, non era più il ragazzo che aveva conosciuto a Quantico, terrorizzato da suo padre e che amava suo fratello e nemmeno quello che aveva incontrato di nuovo di recente, un uomo sicuro di sé e che sapeva ciò che voleva, bensì un demone che voleva qualcosa ed avrebbe fatto di tutto pur di ottenerla. Non si accorse che Dean l’aveva raggiunta. L’afferrò per un braccio e l’atterrò. Alzò la lama per ucciderla, ma lei gli tirò un calcio e finì solo per ferirla. Natalie si morse un labbro per evitare di cacciare un urlo. Tornò indietro, salì le scale, ma Dean la prese per il collo, rischiando di strozzarla. Natalie si dimenò e le cadde la pistola. L’aria le venne a mancare e le braccia cominciarono a scivolarle lungo il busto, mentre nelle narici penetrava l’odore di Dean: zolfo allo stato puro. Non era quello l’odore di Dean. Dean sapeva di birra e muschio, non di quella roba. Smise di opporsi, l’aria le era ormai venuta a mancare del tutto e lei scivolò in un sonno profondo.
 
Quando si risvegliò, era viva, respirava e le stava squillando il telefono. Lo cercò a tentoni, rispose alla chiamata e lo mise in vivavoce.
<< Sì? >> chiese a mezza voce.
<< Natalie Dawson? >> domandò la voce dall’altro lato, con uno strano accento scozzese. << Parla Crowley, il Re dell’inferno. Dov’è Dean? >>
Natalie scosse la testa.
<< Non lo so. >>
<< Fantastico, allora significa che dovrò trovarmelo da solo. Di nuovo. Di’ al tuo all’alce che accetto la sua proposta, sono dalla vostra parte adesso. >>
<< Oh, ma vai al diavolo, Crowley. >> borbottò Natalie, terminando la chiamata.
Si alzò dal pavimento ed andò al piano di sopra. La casa era praticamente a posto, la porta era chiusa e sembra tutto in ordine. Come mai Dean non l’aveva uccisa? Come mai non aveva frugato dappertutto alla ricerca dell’incantesimo? Poi la consapevolezza si fece strada dentro di sé e corse nella sua stanza. Cercò la foto, ma non la trovò. L’unico modo per tenere qualcosa nascosto è metterlo in bella vista, così aveva scritto l’incantesimo dietro alla Polaroid del giorno in cui aveva baciato Dean per la prima volta. Era l’unica foto che non ritraeva loro due, ma l’Impala del ’67. Probabilmente Dean l’aveva trovata e se l’era portata via. Il suo telefono squillò di nuovo e lei trasalì. Il numero era sconosciuto. Rispose.
<< Pronto? >>
<< Hai abbassato la pistola per non farmi del male. Ti saresti fatta uccidere, pur di non farlo. Sei coraggiosa, ma anche molto stupida. >>
<< Dean, dove sei? >> chiese Natalie, scendendo le scale.
<< Non cercarmi più, Natalie. La prossima volta non sarò così indulgente. >>
<< Dean, ti prego, non… >>
Le riattaccò il telefono in faccia. Natalie si sfregò le mani sul viso, cercando di contenere l’istinto di piangere. Mandò un messaggio a Sam, poi uscì di casa. Doveva trovare Dean e riportarlo a casa. Doveva trovarlo a tutti i costi o non se lo sarebbe mai perdonato. C’erano ancora delle cose in sospeso da sistemare e troppe parole che doveva ancora dirgli.   







Angolo autrice:
Ciao :3
Manco da EFP da un bel po' di tempo e torno con questa storia su Supernatural, wow. Sono nel fandom da poco, quindi non è stato semplice scrivere di Dean e Sam, ma spero che non siano sembrati troppo OOC. Comunque, come si può vedere ci sono vari filoni temporali che si intrecciano e sono importanti per capire la relazione che c'è/c'è stata fra Natalie ed i fratelli, specialmente con Dean. Natalie è liberamente ispirata alla Shelby di Quantico, tanto che l'attrice che le dà il volto è la stessa ed è un'agente dell'FBI, ma per il resto non c'entra niente con lei.
Per il momento non ho molto da dire, tutto quello che c'è da sapere su di loro verrà svelato mano mano che la storia va avanti. Ditemi cosa ne pensate :)
E.   
  
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