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Autore: Ayepandayay    16/06/2016    2 recensioni
[Raccolta di one-shots su varie pairing, sia del videogioco che del manga]
Tutti abbandonano qualcuno: chi perché pensa solo al bene dell'altro, chi solo al proprio. E finché non si ritorna con quel qualcuno, la solitudine è la sola e unica compagna. E anche se viaggiano e incontrano persone, la solitudine sarà sempre con loro; ma quel qualcuno che hanno abbandonato li sta aspettando, ed è solo insieme a quel qualcuno che potranno restituire la solitudine alla sua vita solitaria.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Rocco Petri, Un po' tutti, Vera
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Manga, Videogioco
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Pairing: HoennChampionshipping (videogame)

Steel gift

 

Metagross scosse goffamente la grossa testa mentre osservava il suo allenatore. Sapeva che fosse un ragazzo molto pensieroso –e per carità, questa cosa non gli dava per nulla fastidio-, ma negli ultimi tempi c’era qualcosa che davvero non andava in lui. Non era il solito Rocco pensieroso. Non era neanche preoccupato. Sembrava solo… triste.

Tutto era cominciato subito dopo la sua sconfitta contro un’Allenatrice chiamata Vera –il Pokémon non avrebbe mai potuto dimenticare quel nome, quasi sentiva ancora addosso tutta la potenza degli attacchi di quel dannato Blaziken. All’inizio il ragazzo era felice, e Metagross non aveva capito il perché: insomma, aveva perso! Cradily invece sembrava aver capito tutto: scrutava il viso dell’allenatore dall’interno della sua Poké Ball e ridacchiava tra sé soddisfatta. Ma che diavolo aveva da ridere?

Vera si era avvicinata all’apparecchio per registrare i Pokémon dei Campioni con le mani tremanti per l’emozione. I battiti del suo cuore si susseguivano uno dopo l’altro velocemente, impedendole quasi di sentire i propri pensieri. Anche i suoi Pokémon si agitavano all’interno delle Ball, e la ragazza si era sentita quasi come se stesse per farli cadere; ma una mano ferma e sicura si era poggiata sulla sua, e improvvisamente lei aveva smesso di tremare: la mano di Rocco. Era un po’ un controsenso, aveva pensato la ragazza divertita: lui era uno specialista del tipo Acciaio, ma la sua mano era… calda. Tuttavia, il più grande controsenso lo aveva trovato una volta alzato lo sguardo sul viso dell’allenatore che aveva battuto poco prima: il sorriso che le stava rivolgendo emanava vero e proprio calore umano, quasi tangibile. E allora lei gli aveva restituito quel sorriso, con quel calore umano emanato da lui che pian piano si faceva spazio nel suo cuore.

C’era stata un’occhiata d’intesa fra i due Pokémon dell’ex-Campione: pensavano entrambi che, una volta usciti dalla Lega, tra i due Allenatori sarebbe potuto fiorire qualcosa. Magari Rocco non sarebbe stato più solo.

«Io non sono solo. Sono solitario, è diverso.» diceva lui. Forse lo pensava davvero, ma la sua squadra sapeva che la verità era un’altra.

L’ormai ex-Campione aveva anche aiutato la ragazza a impedire una catastrofe: l’arrivo di un meteorite. I Pokémon del ragazzo –e in realtà anche quelli della ragazza- a questo punto stavano aspettando che uno dei due facesse la prima mossa. Insomma, Cradily aveva persino messo su una sorta di coro per rendere la situazione più romantica!

La mattina dopo aver scampato la catastrofe, però, Rocco si era alzato prima del solito, aveva preparato una piccola valigia contenente il minimo indispensabile, mandato una strana lettera ad Adriano, Capopalestra di Ceneride, e lasciato con molta discrezione la propria casa di Verdeazzurropoli. Pur con il sonno che minacciava di riprendere il sopravvento, Metagross era uscito dalla Poké Ball prima che l’allenatore potesse uscire dalla casa; l’aveva guardato con un’espressione confusa, poi aveva spostato l’impenetrabile sguardo sul tavolo, dove giacevano una lettera e una Ball. Erano per lei.

«Verrà.» aveva detto il ragazzo, rispondendo alla domanda silenziosa del Pokémon.

Ed erano partiti.


Forse i suoi Pokémon avevano ragione. Forse era davvero solo. A parte loro, non aveva nessuno che lo supportasse, e che lo sopportasse soprattutto. Non aveva un granché di rapporto con il padre, benché quest’ultimo affermasse il contrario. Quell’uomo era sempre tutto preso dalla sua azienda, e voleva che anche il figlio diventasse come lui. Ma a Rocco interessavano le pietre, dure come la corazza dei Pokémon di cui andava tanto fiero; e soprattutto, dure come la corazza che si stava formando attorno al suo cuore.

Eppure qualcuno era riuscito a rimuovere quella corazza. Qualcuno gli aveva mostrato che non era solo. Quel qualcuno era Vera.

Quando lui aveva cominciato a parlarle delle sue pietre, pensava che lei avrebbe fatto come tutti gli altri, che lo avrebbe lasciato alle sue fantasticherie. E invece lei si era interessata, gli occhi si erano illuminati dalla curiosità. Le era importato davvero delle sue pietre: lui capiva quando la gente fingeva, e lei decisamente non lo faceva.

Nonostante avesse trovato qualcuno che colmasse la sua solitudine, Rocco aveva deciso di partire. Ma perché? Nella sua lettera alla ragazza parlava di un viaggio avventuroso e allenamento, ma tutto ciò che aveva fatto da quando aveva lasciato Hoenn era stato camminare senza meta sul suolo di Kanto.

E ora stava seduto sull’ennesima pietra a fissare la luna piena, unica fonte di luce in quella notte oscura e senza stelle. Il Metagross si avvicinò lentamente a lui, e si sorprese quando l’allenatore poggiò la mano sinistra sul suo capo per accarezzarlo. Non che non lo avesse mai fatto, ma era comunque sorprendente le rare volte che lo faceva. Le iridi chiare del ragazzo si posarono sul Pokémon, e un sorriso malinconico apparve sulle sue labbra. Metagross, il suo primo vero amico. Anzi, si corresse, il suo vero primo amico era stato il Beldum che poi si era evoluto in quel Metagross.

Rocco ricordava benissimo il suo primo incontro con quel Beldum: doveva aver avuto circa nove anni, ed era già alla ricerca di belle pietre che potesse aggiungere alla sua collezione. Poi ne aveva viste due blu uguali, meravigliose a suo parere… ma erano incastrate nel terreno. Allora, con la sua poca forza di quel tempo, le aveva tirate verso di sé, ed era riuscito a dissotterrarle. Ma la sorpresa più grande era stata scoprire che quelle non erano pietre: erano due Pokémon, due Beldum.

Inizialmente giocava con loro solo nel posto dove li aveva trovati, vicino all’erba alta; poi un giorno aveva deciso di portarli a casa sua, con grande gioia della madre. Anche il padre ne era sembrato contento, ma già allora era troppo preso dall’azienda per occuparsi di lui.

La madre di Rocco non era, né era mai stata un’allenatrice, ma si era affezionata ai due Pokémon quanto lui: in particolar modo, teneva molto a uno dei due Beldum che le stava sempre accanto. E le fu accanto anche quando si ammalò gravemente, e infine morì.

«Chi si prenderà cura di lui?» le aveva chiesto il bambino, riferendosi al Beldum prediletto della madre.

«Per ora lo farai tu.» aveva risposto lei, con la dolce voce indebolita dalla malattia. «Poi lo farà qualcun altro. Qualcuno di cui ti fiderai ciecamente, a cui terrai più di chiunque altro.»

Il bambino aveva annuito e promesso ciò, ma pensava che non ci sarebbe mai stato qualcuno del genere. Quel Beldum era di sua madre, e non l’avrebbe mai affidato a nessun altro.


E invece ora si ritrovava al chiaro di luna, a pensare alla ragazza alla quale aveva affidato il Beldum della madre senza esitazione. Forse, se avesse raccontato a Vera la storia di quel Pokémon, lei avrebbe compreso i suoi sentimenti. Avrebbe compreso che lui, con quel gesto, le stava dicendo “Tu sei la persona di cui mi fido ciecamente. Tu sei quel qualcuno a cui tengo più di chiunque altro.”

Ma forse no, andava bene così. Quella ragazza era sveglia, avrebbe capito.

Ogni volta che pensava a lei, quella corazza attorno al suo cuore si scalfiva un po’, ma quando era con lei… si rimuoveva completamente. Pian piano si rese conto di voler provare nuovamente quella sensazione. Vera non aveva fatto sciogliere quella corazza lentamente, con quel calore che invece lui preservava solo a lei: l’aveva distrutta con quella scarica di adrenalina che sembrava portare sempre con sé. Come se uno dei fulmini della sua Pikachu avesse colpito il cuore-fortezza di Rocco. Il ragazzo si ritrovò a ringraziare il padre: dopotutto, se non fosse stato per lui, non avrebbe mai vissuto tante avventure con la ragazza. Magari a quest’ora Rayquaza sarebbe stato nella sua squadra, e non in quella dell’Allenatrice, ma a lui non importava: conoscerla era stata una delle cose migliori della sua vita. E allora finalmente se ne rese conto: non voleva stare più lontano da lei.

Si voltò indietro per guardare i suoi compagni di viaggio, e si ritrovò Skarmory a pochi centimetri da lui. Il Pokémon, tutto impettito, allungò il collo per fargli capire di essere pronto. Il ragazzo sorrise, gli salì in groppa e fece tornare gli altri nelle rispettive Ball.

«Vai, Skarmory.» disse piano «Andiamo a trovare qualcuno


Il palmo della mano di Vera sfiorò lentamente il dorso della sua Latias per l’ennesima volta, e il Pokémon sbadigliò, come se quel tocco fosse stato soporifero. La ragazza continuò ad accarezzare il dorso liscissimo della compagna sul quale era ormai abituata a viaggiare, finché questa non si addormentò. Erano entrambe stese sull’erba, sotto un grande albero che con le proprie fronde offriva loro un fresco riparo. L’Allenatrice chiuse gli occhi e sospirò: erano ormai tre giorni che non si muoveva dall’Isola Remota, e non intendeva porre rimedio alla situazione; dopotutto le piaceva quel posto, anche se era privo di tutti gli apparecchi elettronici dei quali lei si circondava. Aveva persino spento la radio. Solitamente non le dispiaceva stare in mezzo alla gente, anzi, ma da un po’ di giorni sentiva il bisogno di starsene per conto proprio. Non era triste, né arrabbiata, solo… disorientata. Non sapeva dove andare, e non aveva voglia di andare da nessuna parte, ma allo stesso tempo voleva fare un viaggio lungo e sfiancante. Un altro controsenso. Incurvò la schiena verso l’alto, incastrando le dita nella chioma castana: circa un mese prima era quasi convinta che i controsensi non fossero tanto male; anzi, cominciava a pensare di starsene addirittura innamorando…

Ora li odiava. O, per meglio dire, odiava l’effetto che le facevano: nella sua mente riaffiorava l’immagine di Rocco Petri, il Campione d’Acciaio che le aveva scaldato il cuore. Il più grande controsenso che avesse mai visto. Se pensava a lui, il suo stomaco cominciava a contorcersi dalla tristezza, la rabbia, la confusione… la nostalgia. Posò lo sguardo sul dorso della propria mano, e per un momento le sembrò di avvertire nuovamente il calore di quel controsenso vivente. Poi si ricordò del suo sorriso. Quel sorriso così caldo che, pensò lei, avrebbe potuto sconfiggere cento Pokémon Acciaio in un solo colpo. Piegò le ginocchia e le portò al petto, avvolgendole con le braccia. Non stava per piangere, non voleva piangere. Tremava solo: le mancava da morire.

Percepì una leggera carezza sul capo, seguita da un’altra, e un’altra ancora. La ragazza alzò lo sguardo e vide il proprio Metang che le accarezzava i capelli cercando di non ferirla con i suoi artigli. Le scappò un sorriso: chissà se anche il Metagross di Rocco era così gentile?

Quel Pokémon le ricordava il giorno in cui aveva scoperto che lui se n’era andato: lei aveva superato la Lega e impedito una catastrofe, quindi… aveva pensato di poter passare un po’ di tempo in più con lui. Voleva che il loro rapporto non si limitasse solo a “Compagni di Salvataggio della Regione”. Lui le faceva provare emozioni che lei non avrebbe mai creduto neanche possibili. Così aveva bussato alla porta di casa sua, ma nessuno le aveva risposto; in compenso, la porta era aperta.

Aveva letto la lettera. Le parole le turbinavano in testa come in una Strampadanza: era partito per un viaggio? E dove? Perché non glielo aveva detto in faccia? Improvvisamente si era sentita una stupida per aver pensato che Rocco, l’avventuriero Rocco, che aveva percorso intere regioni in lungo e in largo, potesse fermarsi per una come lei. E allora si era vergognata come mai in vita sua: vergognata dei propri sentimenti.

Fuori di sé era corsa alla Lega Pokémon per vedere se magari fosse lì, ma aveva trovato il Capopalestra Adriano al suo posto. Non pensava che quel Capopalestra fosse una cattiva persona, anzi, aveva il suo charme… ma in quel momento non aveva potuto nascondere una certa delusione nel vedere lui al posto del ragazzo con il Metagross che aveva sconfitto l’ultima volta. L’Allenatore di Pokémon Acqua le aveva spiegato solo che il ragazzo era partito per un viaggio d’allenamento: beh, certo, questo era scritto anche nella lettera. Ma dove, di preciso? Nessuno lo sapeva.

La ragazza era poi tornata a casa di Rocco per rileggere con calma quella dannata lettera, sperando di trovarci qualche sorta di messaggio nascosto. Solo allora si era accorta della nota che parlava del Beldum, e il Pokémon in sé alla sua sinistra, sul tavolo. Aveva preso la Poké Ball tra le mani con delicatezza, e subito ne era uscito quello che c’era all’interno. Vera lo aveva osservato attentamente, e aveva promesso a se stessa che si sarebbe presa la massima cura di quel dono.

Beldum non le aveva mai dato problemi, anzi, si era dimostrato subito molto disponibile, affettuoso… e materno. La sua evoluzione in Metang aveva riportato momentaneamente il sorriso sulle labbra della ragazza: anche lei si era affezionata rapidamente a lui.

Dopo un po’, Metang si accorse che l’Allenatrice si era addormentata, così sollevò il braccio metallico e si mise a osservarla: non era poi tanto diversa da Rocco, pensò. Infatti, quando lui era un bambino, per facilitargli il sonno la madre passava le dita tra i suoi capelli: quella tecnica funzionava sempre.

Il Pokémon alzò lo sguardo sul cielo azzurro e senza nuvole… e vide una figura familiare: uno Skarmory isterico che volava sgraziatamente con lui in groppa. Probabilmente non li aveva visti, perché non sembrava intenzionato ad atterrare; il Metang si guardò attorno, indeciso sul da farsi, ma la Pikachu con lo strambo costume da wrestler lo precedette: urlò un fortissimo «Pikaaaaaaa!» e usò Fulmine sul povero Skarmory che, colto alla sprovvista, precipitò al suolo.

Rocco si ritrovò con la faccia spiaccicata contro il terreno in un posto familiare, ma non troppo; ma certo: il posto in cui lui e Vera avevano incontrato Latias! Provò ad alzarsi, ma non appena si voltò a destra capì che non ce n’era motivo: lei era lì. Non l’aveva mai vista dormire, ma pensò che fosse la cosa più bella e tenera del mondo. Era rannicchiata su se stessa, e aveva un sorriso rilassato, ingenuo, come quello dei bambini; lentamente la ragazza aprì gli occhi –probabilmente era stato tutto quel frastuono a svegliarla. Come gli erano mancate le sue iridi azzurre; il ragazzo si sporse in avanti per far toccare le loro fronti. Aveva bisogno di un contatto fisico per provare a se stesso di essere davvero lì, di nuovo con lei. Di essere di nuovo non più solo.

Vera sbatté le palpebre una decina di volte prima di realizzare chi avesse davanti. Le pupille s’ingrandirono talmente tanto che a un certo punto il ragazzo pensò che stessero per esploderle.

«Sei qui…» mormorò lei, continuando a fissarlo incredula. Non era un sogno, ma in fondo al suo cuore continuava a sperare che lo fosse. E se fosse venuto solo per un addio definitivo? Non l’avrebbe sopportato.

«Sono qui.» annuì lui, posando una propria mano sulla sua, come quella volta alla Sala d’Onore.

Il cuore di Vera batteva sempre più velocemente, e il sangue sembrava non arrivarle più al cervello, ma fermarsi alle guance, ormai rosse come la sua bandana. Distolse lo sguardo dal ragazzo e lo spostò su un ciuffo d’erba poco distante dal proprio viso. Aveva tanto desiderato che lui tornasse, ma ora che era davvero lì davanti a lei non sapeva cosa dire. Doveva ancora capire le sue intenzioni, dopotutto. Sarebbe rimasto, o se ne sarebbe andato di nuovo? No! Non gliel’avrebbe permesso; non l’avrebbe lasciata di nuovo. Sapeva che fosse egoista da parte sua, ma si era sentita in modo orribile in quel mese di assenza di Rocco.

«Sei qui per lottare?» bofonchiò lei. Quello del ragazzo era stato un viaggio di allenamento dopotutto, no? Era quello che aveva scritto. Ma sì, si disse, era tornato per quello.

«Sono qui perché mi mancavi.» le rispose con il suo solito tono pacato, ma con una nota di dolcezza, come se stesse sussurrando a un cucciolo spaventato. O come se fosse lui quello spaventato, a seconda di come si guardava la situazione.

“Mi mancavi.” le aveva detto. Era semplicemente tutto ciò che voleva sentirsi dire. Significava che anche lui aveva sofferto almeno un quarto di quanto avesse fatto lei, anche lui aveva desiderato rincontrare i suoi occhi chiari. Il suo cuore si riempì di gioia, e sul suo viso riapparve uno di quei sorrisi carichi di adrenalina che Rocco amava tanto.

«Sono felice che tu sia qui!» esclamò Vera, e la scintilla della sua gioia colpì nuovamente in pieno la corazza d’acciaio attorno al cuore dell’ex-Campione. Gli gettò le braccia al collo e lo strinse fortissimo: non si sentiva solo felice, ma soprattutto completa.

Il ragazzo si girò in modo da trovarsi a pancia in su, con la ragazza sopra di lui. Fu percorso da un’ondata di imbarazzo perché insomma, non si era mai trovato in una situazione del genere; eppure ne fu contento, perché non avrebbe mai voluto trovarsi in una situazione tanto intima con nessun altro.

La ragazza sollevò il viso dalla spalla di Rocco, dove aveva inalato il suo intenso profumo metallico, e lo sporse verso di lui. Le loro labbra si sfiorarono prima delicatamente, come un petalo che si posa sulla superficie dell’acqua; poi il ragazzo avvertì una scarica di adrenalina più forte delle altre provenire non solo dal corpo della ragazza, ma anche dal suo, e il loro si trasformò in un bacio appassionato.

Finalmente era davvero non più solo.

E poi c’era Vera che, anche se un po’ tardi, l’aveva capito: il vero Dono d’Acciaio che gli aveva dato Rocco non era Beldum. Era il suo cuore.


Angolino Autrice

Salve! Sono tornata con una raccolta sui Pokémon, di cui questa è la prima one-shot. Amo questa pairing, ho sentito il bisogno di scriverci qualcosa! Spero che vi sia piaciuta :3

Vi ringrazio tantissimo per la lettura, se vi va lasciate una recensione, significherebbe molto.

Alla prossima!  

 

-Ayepandayay

   
 
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