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Autore: __Armageddon__    21/06/2016    3 recensioni
[What-If] Everlark
E se Katniss fosse l'unica sopravvissuta all'edizione della memoria? E se lei e Peeta fossero stati gli ultimi due tributi viventi alla fine dei giochi? E se lui si fosse suicidato per far sopravvivere Katniss, fermamente convinto che lei sarebbe andata avanti con più facilità, come avrebbe reagito la nostra ragazza di fuoco?
Dal testo:
-Il mio ultimo tramonto lo voglio condividere con te.- mi aveva detto, con un sorriso amareggiato che gli incorniciava il volto, mentre mi metteva una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Avevo provato a ribattere, ma lui non me ne aveva dato il tempo che le sue labbra erano premute tristemente sulle mie in un bacio che non diceva nulla che non fosse addio. Quell'ultimo bacio sapeva d'amore perduto. Un'amore che ho cercato ovunque dentro di me, ma che non potrò mai più ritrovare. Lui se n'è andato via con esso.
Avrei voluto avere più tempo per noi. Avrei voluto poter vedere altri tramonti con lui senza il timore di doverli contare sulla punta delle dita, ma anche allora, mentre eravamo seduti sulla sabbia umida, ero consapevole del fatto che era scaduto il nostro tempo.
Genere: Malinconico, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Katniss Everdeen, Peeta Mellark, Primrose Everdeen
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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-Katniss? Katniss ci sei ancora? Ofelia, forse è caduta la linea-.
-Si... Sono ancora qui-.
-Stamani sei andata a caccia come ti avevo proposto di fare?-
-No. Non voglio... Non voglio vedere il cielo-.
-Ti farebbe bene però un po' d'aria. Non restartene chiusa in casa-.
-Non ci andrò comunque-.


-Buongiorno Katniss. Oggi è venuto tuo cugino Gale a trovarti, vero?-
-Si dottore, Primrose le ha detto altro?-
-No, speravo fossi tu a darmi altre informazioni-.
-Gli ho detto che non voglio più vederlo-.
-Perché mai? -
-Perché lui non è Peeta...-


-Katniss, come ti senti oggi?-
-Come ieri, e come il giorno prima, e come quello prima ancora...-
-Quindi?-
-Quindi non sento niente. Proprio come tutti gli altri giorni.-


-Quest'oggi te la senti di spiegarmi com'è fatto?-
-Cosa devo spiegarle, dottore?-
-Descrivimi com'è fatto questo niente. Dimmi: ce l'ha un colore ?-.
-Si. Si ce l'ha-.
-Qual è?-
-Ha il colore dei suoi occhi...-
Le lacrime iniziano a rigarmi le guance ancor prima che io stessa me ne renda conto. Bentornate.
Il niente ha il colore dei suoi occhi. Tutto mi ricorda lui oramai. Il niente è azzurro come il cielo e come le sui iridi.
Lo psicologo tace ed io con lui. Cosa potrei dirgli? Cosa potrei spiegargli? Nulla. Un bel niente. Lui non capirebbe. Lui non ha vissuto quello che ho dovuto subire io. Lui non vede tutte le notti le immagini che mi tormentano, ormai, da anni.
-Raccontamela.- dice di punto in bianco il dottore con aria stanca.
-Raccontami la storia di quell'ultima sera-. Chiudo gli occhi mentre le ciglia mi si incastrano con le lacrime e il respiro mi si mozza nel petto. Le parole escono da sole, comandate da una forza che non mi appartiene più da tempo.
-Quell'arena maledetta me l'ha portato via...- dico più a me stessa che a lui.
Ogni volta che mi assopisco rivivo quella notte. Il peggiore dei miei incubi. La realtà nella quale vivo e che non potrà mai mutare.
Il filo della spoletta di Beetee si era spezzato ed io avevo evitato per un soffio il colpo che Johanna voleva infierirmi alla testa; poi mi ci ero scagliata contro e l'avevo colpita più volte al capo con un masso finché non avevo sentito il colpo del cannone. L'alleanza si era sciolta.
Ricordo quanto era stata sfiancante la corsa che avevo fatto per raggiungere l'albero del fulmine. Lo spavento che mi aveva assalita quando Beetee aveva smesso di vivere perché finito contro il suo stesso campo di forza, altri due colpi di cannone
Mi sento ancora indosso la paura che avevo sentito attraversarmi le viscere nell'udire quel terzo colpo di cannone; il terrore immobilizzante che il ragazzo del pane mi fosse già scivolato dalle dita come l'acqua scappa dalla presa delle mani.
Avevo strillato così forte il nome di Peeta da sentire la gola andare in fiamme, poi Finnick era comparso dalla fitta vegetazione e subito mi ero nascosta, puntandolo, senza mai perderlo di vista. Avevo incoccato la freccia, miravo al suo cuore ed il mio mi martellava nel petto per l'adrenalina, per il timore, per la colpa.
Nonostante i mesi siano passati rimembro ancora tutto. Lui, Finnick, mi guardava con quei suoi occhi verdi che adesso mi tormentano ogni notte. Non c'era più scherno in quelle pupille. Aveva fatto cadere in terra il suo tridente, senza mai distogliere lo sguardo dalla mia persona.
-Katniss; ricorda chi è il vero nemico!- mi aveva detto lui con le mani alzate in segno di resa. Tu. Sei tu insieme a tutti gli altri! Avevo pensato mentre scoccavo la freccia contro il suo petto. Un altro colpo di cannone.
Il senso di colpa mi dilania ancora l'anima. Magari se non l'avessi fatto, se non l'avessi ucciso, se mi fossi fermata dallo scoccare la mia freccia, sarei morta insieme a Peeta e avrei trovato il mio posto nel mondo in pace.
Non saprò mai descrivere a nessuno il rumore che aveva fatto il corpo di Finnick mentre ruzzolava in terra. Non potrò mai spiegare a nessuno come pesano le mani sporche di sangue innocente.
Avevo gridato il nome di Peeta ancora e ancora, finché lui era apparso davanti a me e il mio cuore aveva perso un battito. Avevamo capito subito che eravamo gli ultimi due tributi. Eravamo il gran finale.
Con il suo arrivo era ritornato il giorno e oggi non riesco a non pensare che è per questo che continuo a vivere in una notte eterna. Lui non c'è più, il sole se n'è andato ed il cielo, quello vero, non esiste.
L'avevo abbracciato e lui mi aveva stretta a se con forza. E so che non riuscirò mai a far capire com'era avere il peso delle sue mani sulla schiena.
Mi aveva presa per mano, Peeta, portandomi alla riva. Davanti a noi vi era un tramonto dai colori dolci che si rifletteva nello specchio dell'acqua salata. Quello era uno spettacolo per gli occhi, eppure io riuscivo a guardare solo lui e sarei voluta morire lì; con il suo volto illuminato dalla luce tenue di quel tramonto, con le sue ciocche bionde bagnate dall'acqua marina nella mente e con l'odore della salsedine, mista a quella della sua pelle, nelle narici. Sarei voluta morire con il suono delle sue parole nelle orecchie.
-Il mio ultimo tramonto lo voglio condividere con te.- mi aveva detto, con un sorriso amareggiato che gli incorniciava il volto, mentre mi metteva una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Avevo provato a ribattere, ma lui non me ne aveva dato il tempo che le sue labbra erano premute tristemente sulle mie in un bacio che non diceva nulla che non fosse addio. Quell'ultimo bacio sapeva d'amore perduto. Un'amore che ho cercato ovunque dentro di me, ma che non potrò mai più ritrovare. Lui se n'è andato via con esso.
-Ti amo...- mi aveva sussurrato sulla bocca, mentre io strabuzzavo gli occhi incerta.
Avrei voluto avere più tempo per noi. Avrei voluto poter vedere altri tramonti con lui senza il timore di doverli contare sulla punta delle dita, ma anche allora, mentre eravamo seduti sulla sabbia umida, ero consapevole del fatto che era scaduto il nostro tempo.
Alla fine, come nei primi giochi, Peeta aveva ingerito qualcosa. Non so cosa di preciso. Era stato troppo veloce perché io potessi capire, ma i suoi occhi si erano annebbiati e quell'azzurro, che li caratterizzavano, era sparito velandosi di niente.
Infine, il suo corpo si era accasciato sopra il mio ed io avevo gridato; strillato con tutto il fiato che avevo in gola il suo nome nella vana speranza che si svegliasse, che restasse ancora con me, ma non era accaduto. Non lo aveva fatto. Non si sveglia mai, neanche nei miei incubi.
Il Dottore tace e forse io no. Non so neanche quanto tempo sia passato da quel giorno, dal mio ultimo giorno di vita.
-Dopo l'annuncio della mia vittoria non ho più accettato di partecipare alle interviste. Non ho fatto tour della vittoria, non faccio la mentore... Non vado neanche a caccia. Non voglio!- sibilo con la voce arrochita per le lacrime.
Come avrei potuto fare tutte quelle cose senza lui al mio fianco? Come potrei salire su un treno senza Peeta, senza il suo corpo accanto al mio, pronto a cullarmi. Perché ogni notte, quando mi sveglio strillando, cerco due braccia che mi salvino da me stessa e queste non arrivano mai. Perché ogni notte, quando queste non arrivano, inveisco contro di lui per avermi lasciata sola contro le mie paure; perché nei miei incubi lo perdo e non c'è sollievo al mio risveglio. Lui non c'è più e ovunque esso sia io sono al suo fianco.
Lo psicologo dice che per oggi può bastare così ed io neanche lo saluto quando riaggancia la telefonata, abbandonandomi a me stessa.
Sto ferma nel salotto della casa di Peeta. Vivo qui da quando lui se n'è andato, dalla fine dei giochi. No, no lui c'è. Mi fa compagnia ogni giorno.
Lo vedo ovunque anche se non c'è. L'arena se l'è portato via ed io sono con lui. Il mio cuore e seppellito nel cimitero comune insieme a lui, dentro la bara bianca con lo stemma di Capitol City. Io sono lì, al suo fianco. Sono morta nell'istante in cui le sue labbra non hanno più esalato un suono, nell'istante in cui è tramontato il mio sole. Perché se potessi, io, farei un patto con Dio in persona per scambiare il mio posto con quello di Peeta. Lui avrebbe trovato il bello per andare avanti, io vedo solo una vita composta dal niente.
Ti amo, mi aveva detto, ed io strillo.
-BUGIARDO!- grido, mentre mi porto le gambe al petto. Posso anche vederlo. É seduto davanti a me, con indosso la muta che avevamo dentro l'arena, i suoi bellissimi capelli biondi gli ricadono scomposti sulla fronte.
-EGOISTA!- sbraito ancora balzando in piedi e scagliandogli contro un vaso privo di fiori, di armonia, di vita... come me. E lui rimane immobile, mentre continua a guardarmi con i suoi occhi che mi ricordano il mare, quello che ho guardato insieme a lui per l'ultima volta in quella dannata arena.
-Perché se tu mi avessi amata davvero non mi avresti lasciata qui!- gli urlo contro, puntandolo con il dito. Lui mi guarda sofferente, immobile. È ovunque Peeta. È dentro di me, dentro alla mia testa, dentro al mio cuore, quello che si trova sottoterra.
-Sei un bugiardo perché mi avevi detto che per me sarebbe stato più facile!-. Vorrei poterci annegare dentro queste mie lacrime che sanno di mare, quello che se l'è portato via e che ora detesto con il poco di anima che mi resta. Perché i suoi baci erano salati e nessuno mai potrà restituirmeli.
E continuo a piangere, a singhiozzare, dinnanzi a lui che mi guarda, ma che non può fare niente. Mi sento come se fossi ancora dalle ghiandaie chiacchierone; lui che mi fissa, impotente, con lo sguardo colmo di afflizione, senza poter fare niente.
La sua tristezza è sempre stata lo specchio della mia. Lo è anche ora.
-BUGIARDO!- e potrei continuare all'infinito, ma alla fine preferisco piangere e basta. Piango con lui, anche se non c'è. Me l'hanno portato via. Ho lasciato che se ne andasse.
-Bugiardo...- ripeto tra i singhiozzi, accovacciata in terra con le gambe strette al petto e la schiena poggiata contro il divano, lui continua a fissarmi. Lo vedo alzarsi da quella poltrona vuota e inginocchiarsi davanti a me, zitto. Lo guardo negli occhi, ma lui non c'è.
-Ti amo...- gli dico in un sibilo roco, con il volto nascosto contro le ginocchia, gli occhi appena alzati per poterli incrociare con i suoi, che non ci sono più. Che sanno solo di niente.
-Ti avevo detto che avevo bisogno di te, Peeta. Che non ce l'avrei fatta senza di te!- sussurro tra i singhiozzi e lui piange con me. Lo farebbe se ci fosse per davvero.
Non vado a caccia da quando sono ritornata, non vedo nessuno al di fuori di Prim. Voglio solo lei, che assomiglia a lui. Lei, con le sue ciocche bionde ed i suoi occhi azzurri, riesce a donarmi la mia tanta agognata quiete solo per pochi istanti.
Si è trasferita a casa Everdeen-Mellerk, Primrose e cerca di aiutarmi, cerca di farmi andare avanti mentre io, invece, riesco solo a piangere, muta, licenziosa, colpevole. Perché lo vedo sempre, da tutte le parti, anche se tengo gli occhi chiusi, ma lui non è da nessuna parte.
Peeta amava i tramonti ed io volevo vivere di albe, con lui. Eppure adesso c'è solo la notte intorno a me e lui fa da spettatore, senza raggiungermi mai per davvero.
Ogni tanto Haymitch passa, mi lascia una o due bottiglie piene di liquido ambrato e va via senza proferire parola, troppo provato dalla nostra perdita comune, troppo afflitto per riuscire a biascicare delle parole sconnesse per rincuorarmi. Eppure neanche l'alcol me lo fa scordare. Lo vedo sempre. Peeta, con i suoi occhi che ricordano il cielo d'agosto, con i suoi riccioli che erano sempre troppo lunghi che avevano il colore del grano, non mi lascia mai per davvero. E solo una paura, con il tempo, si è accatastata con le altre ed è quella di dimenticare il suono della sua voce.
Lui mi guarda sempre mentre vago come un fantasma per le mura della sua casa, con indosso i suoi vestiti che stanno perdendo il suo profumo. Mi guarda e non parla mai, maledetto.
Vorrei sentirlo parlare. Vorrei poter alleviare il mio dolore beandomi della sua voce, poter udire i suoi pensieri per sentirlo più vicino a me. Però lui non lo fa mai. Mi guarda e tace. Ed io lo contemplo di rimando; sentendomi in pace, dentro al mio inferno, solo perché scruto da lontano il paradiso che è il mio ragazzo del pane. Gli occhi lacrimano da soli mentre lo osservo ed i giorni, nefasti, passano senza che io mi possa avvicinare per davvero alla sua figura.
Tutti mi dicono di uscire, prendere aria; magari andare a caccia, ma io non voglio. Mi piace guardare Peeta, anche se non c'è. Vorrei poter tornare indietro e vivere al suo fianco in quella terrazza, come lui aveva tanto desiderato, godermi veramente quella giornata che ora rimpiango con tutta me stessa. E invece lo guardo, anche se non c'è. Lo vedo, ma non è da nessuna parte.
Tutti pretendono che io faccia come Peeta aveva sperato per me, riprendermi in fretta come lui credeva, ma allora, quando lui aveva pronunciato quelle parole, non sapeva che io non ho mai avuto nessuno se non c'era lui vicino a me. Ed io non mangio, non dormo, non vado a caccia e non so più com'è fatto il mondo; perché il mio ultimo giorno l'ho vissuto dentro quell'arena, insieme a lui e sono deceduta ingerendo quello stesso veleno che me l'ha portato via. E nella mia lapide dovranno inciderci il giorno in cui Peeta se n'è andato dalla terra, perché io sono morta con lui. Cammino tra i vivi sentendomi uno spirito vagante.
Però so ancora com'è fatto il cielo. Lo vedo ogni giorno, riflesso negli occhi azzurri di Peeta. Che non c'è più, che non ritorna mai per davvero, ma che rimane comunque.
Non voglio vedere nessun cielo che non sia quello riflesso negli occhi di Peeta. E non m'importa se lui mi ha lasciata sola con le mie paure, con i miei incubi, perché noi ci amavamo, ci amiamo, da sempre ed io ero troppo presa dai miei problemi per capirlo e adesso lo so. Ora che lui non c'è più, ma che mi squadra sempre, l'ho capito e fa male. Ferisce più di tutto il resto, perché con Peeta ho condiviso la mia prima alba e il mio ultimo tramonto e la mia anima vaga, leggera, accanto alla sua senza che lui abbia mai sentito per davvero quanto lo amo.
A volte, se mi concentro, posso percepire il suono della sua risata che mi fa sentire ancora come se avessi un cuore, quello sepolto insieme a lui. Perché Peeta, quando lo guardo, non mi parla mai, ma i suoi occhi risplendono sempre, anche nel buio della sua camera da letto, che ormai è diventata nostra.
E cento vite non le voglio se lui non è al mio fianco, ma lui c'è anche se non lo vede nessuno. Lui rimane sempre e mi guarda ininterrottamente, ma non dice mai nulla.
Oggi lo psicologo ha chiamato prima. Il viva-voce fa rimbombare nelle pareti di questa casa, ormai vecchia, le sue parole che anche Peeta adesso può sentire. Primrose, la mia piccola, ma ormai grande donna, è accanto a lui senza neanche saperlo. Lo vedo solo io.
-É da anni che non te lo chiedo, ma voglio riformulare questa domanda. L'ultima che ti farò: perché non sei più andata a caccia, Katniss?- mi chiede con tono sconfitto il dottore, si è arreso al fatto che no, non riprenderò mai più in mano la mia vecchia vita, che quella Katniss non tornerà mai più indietro. È morta quella lì, non esiste più. Divorata da un'amore che non farà mai più ritorno. Seppellita viva dal senso di colpa e dai rimpianti.
Incurvo leggermente le labbra verso l'alto, incastrando le mie pupille con quelle del ragazzo del pane. Il suo volto non è vecchio e stanco come il mio. Lui è ancora lo splendido diciassettenne che ho amato silenziosamente per una vita intera.
-Perché non volevo vedere un altro cielo che non fosse quello degli occhi di Peeta, Dottore.- rispondo allo psicologo, continuando a guardare il mio sfortunato amante negli occhi, sorridendogli appena. Amandolo, anche se non c'è più. Prim pensa che sto sorridendo al vuoto, ma io vedo solo la figura del mio ragazzo innamorato. Quello che vive con me da anni e che ho amato ogni giorno della mia esistenza senza neanche rendermene conto. Quello che ho amato anche se non c'era per nessuno, se non per me.
Solo con il tempo mi sono resa conto che nella mia vita ho sempre vissuto con poche cose, ma gli occhi di Peeta sono sempre stati più importanti di tutto il resto. Nei suoi occhi ci vedevo il cielo, il mare e l'amore. Quello vero, quello che non si era macchiato di odio neanche dopo il nostro distacco quando aveva scoperto la verità dopo la nostra prima arena. La sua mano aveva avvolto la mia facendomi temere il giorno in cui l'avrebbe lasciata, ma ero già parte di lui, come se fossi la sua pelle.
Peeta ha il cielo negli occhi e, anche se non c'è più, me lo porta in una stanza ad ogni sguardo innamorato. Un cielo azzurro, privo di nubi, che ti lascia sperare in qualcosa di bello che io non ho più visto, non per davvero, dopo la sua dipartita. La sua voce se n'è andata per tutti, ma la sua figura resta.
 É sempre al mio fianco, solo per me.

Il tempo è passato, lento e inesorabile. Le rughe sono spuntate sul mio volto, segnandolo per sempre e, con il passare dei secondi, sparivo sempre di più. Ora non c'è più traccia di chi ero, non sono più nessuno adesso, perché ogni giorno ho vissuto nell'abbagliante luce azzurra del mio oblio che mi ha resa una donna perduta con le memorie piene di una vita mai esistita, passata inseme ad un giovane ragazzo innamorato mai presente, se non nella mia testa e nel mio cuore.
Però, nonostante tutto, avevo il cielo in una stanza. 

 

 Quando sei qui con me
questa stanza non ha più pareti
ma alberi, alberi infiniti.


Quando sei qui vicino a me
questo soffitto viola
no, non esiste più...
Io vedo il cielo sopra noi
che restiamo qui, abbandonati
come se... se non ci fosse più

niente, più niente al mondo...
Se non me e te.

                                                                                                                                     

 

  
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