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Autore: LindaFrizer    25/06/2016    0 recensioni
«Non sarebbe realistico.» Seraphine scosse il capo. «Questo rosso fa più eleven, anche se tecnicamente non era rosso ma …. »
«Per non parlare poi di quelle scarpe.» Disse un uomo in fianco a loro.
«Lo so.» Seraphine sospirò. «Le converse fanno tanto ten, ma sono comode.»
Aren fece per rispondere.
«Poi non è colpa mia se tu sei già la perfetta copia di Clara, mentre io ho avuto la malsana idea di cambiare colore di capelli e diventare rossa, ma mi stanno così bene.» Quando Seraphine cominciava a parlare nessuno era in grado di fermarla. «Basta io me li faccio grigi, ho deciso!» Concluse infine.
L’uomo al loro fianco si girò verso di loro. «Non ti donerebbero affatto.»
Genere: Comico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: TARDIS
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Quello non era un semplice comicon, ma era il suo primo, anche se probabilmente non sarebbe andata ad altri, o forse si, chi poteva sapere cosa le riservava il futuro? Se non fosse stato per Aren, una persona conosciuta per caso e con la quale aveva, inaspettatamente, legato molto anche se non ricordava il momento esatto in cui erano diventate amiche, probabilmente (quasi sicuramente) non sarebbe andata nemmeno questa volta e di certo non avrebbe mai fatto la cosplay. Certe cose le mettevano troppa agitazione: le persone, il costume, il trucco, entrare nel personaggio, studiare un dialogo sensato, … decisamente troppo lavoro per una maniaca del controllo come lei. Per questo ce ne volevano due.
 
Seraphine – alias la persona che sta cercando di fare mente locale e raccontarvi come le cose sono successe, ma che detesta scrivere in prima persona quindi lo fa in terza perché … semplicemente perché è lei – rilesse, per la millesima volta, il dialogo, o meglio quel che ne restava visto che il foglio era più che altro uno scarabocchio che solo lei avrebbe capito. «Che ne pensi?» Chiese, infine, all’amica.
Aren, che era totalmente immersa nella lettura di un libro, annuì meccanicamente, ormai non faceva altro da almeno un’ora.
«Credo che dovremmo provarlo per vedere come suona.» Forse Seraphine stava prendendo questa storia del cosplay un po’ troppo seriamente.
Aren sollevò la testa dal libro e la guardò come per chiederle “hai detto qualcosa?”, poi tornò ad immergersi nella sua lettura. «Sai che ci sono più di cento passaggi segreti in questo castello?»
«Centoventisette per l’esattezza.» Rispose Seraphine. «E si riconoscono grazie …» Scarabocchiò qualcosa sul quaderno. «… a questo simbolo.» Mostrò la sua, diciamo, opera d’arte all’amica.
Aren fissò il foglio, lo girò e rigirò cercando di capire cosa mai potesse essere quella cosa. «È un biscotto?»
Seraphine scosse il capo. «Disegnare non è mai stato il mio forte, ma si capisce che quelle sono delle lettere.»
«Con molta immaginazione.» Richiuse il libro e provò a spiegare altre cose sul castello e il suo proprietario originale, ma ogni volta Seraphine la interrompeva. «Se sapevi già tutto perché mi hai chiesto di leggere questi libroni?»
«Perché le avrei sapute solo io e so che a te queste cose piacciono, poi il mio era più che altro un consiglio.»
Aren la guardò come se avesse voluto fulminarla all’istante. «Ti odio.»
«Non mi odi, sei solo infastidita perché avresti potuto usare questo tempo per pensare al vestito.»
«O per studiare.»
Seraphine non disse una parola fissando l’amica, Aren sostenne il suo sguardo per un istante poi si rese conto che aveva appena sparato la cazzata del secolo e scoppiarono entrambe in una fragorosa risata.
 
— — —
 
Stavano visitando il castello e facendo pratica con il dialogo quando Seraphine si rese conto che c’era qualcosa di completamente sbagliato. «Credo che dovrei cambiare colore di capelli.»
Aren la fissò per un istante, controllò il foglio con le battute era quasi sicura che il dialogo non continuasse così. Forse le stava solo chiedendo un consiglio. «Una parrucca?» Rispose incerta.
«Non sarebbe realistico.» Seraphine scosse il capo. «Questo rosso fa più eleven, anche se tecnicamente non era rosso ma …. »
«Per non parlare poi di quelle scarpe.» Disse un uomo in fianco a loro.
«Lo so.» Seraphine sospirò. «Le converse fanno tanto ten, ma sono comode.»
Aren fece per rispondere.
«Poi non è colpa mia se tu sei già la perfetta copia di Clara, mentre io ho avuto la malsana idea di cambiare colore di capelli e diventare rossa, ma mi stanno così bene.» Quando Seraphine cominciava a parlare nessuno era in grado di fermarla. «Basta io me li faccio grigi, ho deciso!» Concluse infine.
L’uomo al loro fianco si girò verso di loro. «Non ti donerebbero affatto.»
Le due ragazze si lanciarono una rapida occhiata: era davvero lui o stavano sognando? Probabilmente la seconda, quello non poteva davvero essere il dottore. Insomma uno come twelve non è il tipo da andarsene in giro per un castello pieno di segreti e … ok, forse non stavano sognando.
 
Seraphine cercò di schiarirsi la voce, o meglio la mente visto che non aveva la minima idea di cosa dire, quando finalmente stava cominciando a mettere insieme delle parole sensate un forte rumore di metallo interruppe i suoi pensieri. «Insomma qui c’è gente che sta cercando di non fare figuracce davanti al suo idolo e voi vi mettete a fare tutto questo fracasso con le armature?» Disse a voce non proprio bassa mentre con la coda dell’occhio cercava la fonte di quel frastuono.
Aren era incerta se scoppiare a ridere o se trattenersi.
 
«Dovresti oliarla.» Cominciò a dire il dottore mentre si avvicinava a quell’armatura fuori posto. «Fa troppo rumore. E non dovrebbe. O forse sì? Dipende da quello che intendi fare. Può andare bene se si vuole spaventare qualcuno, ma se si deve cogliere qualcuno di sorpresa allora non è indicato.» Osservò l’armatura come se la stesse studiando. Sapeva che non era un’armatura come le altre, ma quello che voleva sapere era quale segreto si celasse al suo interno. «E tu cosa vuoi fare?» Sollevò la visiera dell’elmo.
 
Vuota.
 
Ovviamente non poteva essere diversamente visto che il suo unico scopo era quello di distrarre.
Il rumore prodotto da quella semplice armatura serviva solamente a distogliere l’attenzione da quello che non volevano ci si accorgesse, non fino a quando non fosse arrivato il momento giusto.
Si sentì un tonfo improvviso e le persone presenti nella sala si voltarono verso di esso.  
 
Seraphine si mise le mani davanti agli occhi e li chiuse di scatto. Non voleva vedere quello scenario da incubo. «Le decapitazioni no. Odio le lame. Perché non potevano essere dei dalek? Almeno la morte era immediata.»
 
Una delle altre armature nella stanza aveva preso vita e decapitato un uomo mentre erano tutti distratti. E ora, lentamente, si stava avvicinando alle prossime vittime, loro.
 
«Correte!» Esclamò il dottore dando il via alla fuga.
Aren prese Seraphine per mano e la trascinò dietro di lei.
«Perché bisogna sempre correre?» Si lamentò Seraphine
«Preferisci essere decapitata?» Chiese Aren.
«Dico solo che ci sono altri modi per scappare da quella cosa che non prevedano di farmi venire il fiatone.»
Aren girò la testa verso di lei.
«Non dirmi che ti ho fatto leggere quei libri inutilmente?» Brontolò Seraphine.
«Intendi usare un passaggio segreto?» Le chiese Aren incredula.
Seraphine annuì. «Esattamente.»
«Dobbiamo solo trovare quel simbolo.» Aren si guardò intorno, ma l’amica, al suo solito, aveva imparato quasi a memoria la disposizione di tutti i passaggi del castello, non era sicura di dove portassero ma c’era solo un modo per scoprirlo.
Si avvicinò alla parte, fece pressione sul simbolo incastonato nella pietra e la parete si aprì permettendo ai tre di oltrepassarla.
 
Se avesse immaginato che ci sarebbe stata tutta quelle polvere avrebbe evitato di farsi venire quella, che fino ad un minuto fa sembrava essere una, splendida idea.
Aren saltò in aria cercando di trattenere un urlo di spavento.
«Uno di quei cosi con l’armatura?» Domandò Seraphine cercando di sembrare calma, anche se aveva i nervi a fior di pelle.
Lei scosse il capo.
«Un dalek? Un cyber-man? Un non so che cosa?»
Aren scosse il capo nuovamente. «Un … un ragno!» Lo indicò con il dito.
Seraphine scrollò le spalle mentre il ragno se ne andava. «Poverino, l’hai spaventato.»
«Lui si è spaventato? E io che ho quasi perso dieci anni di vita?»
«Dieci anni? Mi sembra un po’ esagerato per un essere grande quanto uno spillo.» Disse il dottore alle loro spalle.
Aren si girò verso di loro. «Non era poi così piccolo.»
«Se ti avessi morso avresti potuto diventare spider-girl.» Rispose Seraphine mentre Aren la fulminava con lo sguardo. «Comunque stiamo qui ad aspettare il resto della famiglia ragno o continuiamo a camminare?» I luoghi chiusi le mettevano ansia, aveva sempre paura di restare bloccata per qualche motivo e di non poter più uscire. Aggiungiamo la polvere e quel corridoio le sembrava ancora più stretto di quanto in realtà non fosse.
 
Aren non disse nulla e riprese a camminare. Sperava solo di non incontrare altri ragni lungo il cammino e che l’uscita fosse vicina.
Dopo un po’ si ritrovarono in una specie di magazzino, tra le varie cianfrusaglie c’era una cabina blu della polizia.
«Il tardis!» Seraphine gli corse incontro e si fermò un attimo prima di abbracciarlo. «Posso guidare io?» Si girò verso il dottore.
«Non credo ne saresti capace. E un tardis non si guida…» Replicò lui.
«Posso sempre imparare. Anche se con la macchina sono negata non significa che non possa pilotare un tardis. Male che vada lo farò precipitare, ma non succederà.»
Il dottore la fissò aggrottando le folte sopracciglia. «Entrate su.» Aprì la porta.
 
Le due ragazze si guardarono a vicenda, il loro sogno si stava finalmente realizzando. Stavano entrando in un tardis e quale sarebbe stata l’espressione corretta da usare una volta al suo interno? La classica “è più grande all’interno”? Citare il dottore nello speciale di natale con River o …
«È più piccola all’esterno.» Disse Aren citando Clara Oswin Oswald, la sua preferita.
«Doveva essere mia la prima battuta.» Seraphine la fulminò con lo sguardo poi si girò verso il dottore. «Dove andiamo? A vedere un dalek? O è meglio la Londra Vittoriana? In fondo non mi dispiacerebbe incontrare Madame Vastra, Jenny e Strax. Però anche il futuro non sarebbe male.» Tornò a guardare Aren. «Tu cosa ne pen…» Si accorse che l’amica stava armeggiando con qualcosa che forse non avrebbe dovuto toccare. «Non credo che quel…»
Il tardis fece il suo solito rumore e scomparì lasciando le due ragazze in quel magazzino.
«Avevamo un’occasione per girare l’universo, visitare ogni epoca, studiare il passato, scoprire il futuro, invece qualcuno deve sempre mettere le mani ovunque e addio sogni di gloria.» Fissò Aren non sapendo se essere più arrabbiata o delusa per il viaggio mancato. «Poi ti chiedi perché lei ti odi tanto? Non hai fatto in tempo ad incontrarla che l’hai già smontata.»
Aren fece per rispondere, ma un rumore metallico le fece sobbalzare.
Seraphine fece un cenno all’amica di nascondersi dietro a tutti quegli oggetti.
 
«Che facciamo ora?» Chiese a basssa voce Aren scivolando dietro a degli scatoloni.
«Pensiamo.» Si sedette sul pavimento e appoggiò le dita sulle tempie come se volesse costringere il suo cervello a capire come risolvere il problema di quelle strane armature. «Punto primo. Quella cosa è una specie di cyborg o un essere vivente che si nasconde dentro un’armatura? In questo caso, cosa e perché? Sono dei piccoli esserini che amano uccidere? O sono talmente delicati da doversi proteggere? E da cosa? Forse …» Lo sguardo di Seraphine si illuminò, aveva ricordato un dettaglio forse essenziale o forse inutile.
«Parla.» La incitò Aren.
«Secondo alcune leggende il conte De Lacroix era una sorta di vampiro. Se questo fosse vero, anche solo in parte forse chi si nasconde là dentro…»
«Non sopporta il sole.» Continuò Aren.
«O la luce in generale. Forse è per questo che hanno portato qui tutte queste lampade.» Si osservò intorno.
«Ripeto la domanda: che facciamo ora?»
Seraphine tirò fuori il tablet dalla borsa. «Punto secondo. Imparare a diventare elettricisti grazie a Google.» Tirò fuori altre cose che probabilmente una ragazza non dovrebbe avere nella sua borsetta.
«Mi spieghi perché hai un trapano nella borsa?» Aren la guardò sconvolta.
Seraphine scrollò le spalle. «Può sempre servire.»
Aren la fissò inarcando un sopracciglio.
«È una lunga storia. Ma ora non abbiamo tempo. Quindi mettiamoci al lavoro.»
 
Le due ragazze si misero ad armeggiare con i vari attrezzi, in formato borsetta, cercando di seguire il più possibile le istruzioni di gente che ne sapeva sicuramente più loro e allo stesso tempo speravano di essere abbastanza brave da non restare fulminate. Ma la cosa che più le spaventava era che tutto quel lavoro non servisse a niente. Forse cercavano solo di non pensare al fatto che probabilmente sarebbero morte entrambe prima di poter fare tutte le cose che avrebbero voluto.
 
I passi metallici si facevano sempre più vicini, l’ora della verità si avvicinava sempre di più.
Il cuore di Seraphine, probabilmente anche quello di Aren, batteva all’impazzata ma lei cercava di non darlo a vedere. Quello non era il momento per avere attacchi di panico, anche se stare calma davanti a situazioni di pericolo non era nel suo DNA. Si mise mentalmente a contare, non tanto per rilassarsi ma perché era quello che sapeva fare meglio. Contare i passi che faceva per andare da una stanza all’altra, contare gli scalini, contare i secondi che passavano tra il semaforo rosso e quello verde, … semplicemente contare.
Un’armatura, due, tre, … no, non stava contando quello.
Un rumore che conoscevano fin troppo bene echeggiò nel locale: il tardis.
Il tempo che il dottore avrebbe impiegato per tornare indietro a prenderle, ecco cosa stava contando. Anche se non era sicura del quando ma sapeva che lo avrebbe fatto, lo fa sempre. Forse era quella la cosa che le aveva impedito di crollare: sapere che avrebbero avuto una possibilità, forse minuscola, di salvarsi. Possibilità che non avrebbero sprecato.
 
Le porte del tardis si aprirono e il dottore era lì sulla soglia ad aspettarle.
Senza indugiare oltre le due ragazze uscirono dal nascondiglio e si avviarono verso la cabina, anche se Seraphine sapeva che non poteva finire così. Insomma non potevano semplicemente andarsene. Al comicon mancava poco e ora di allora il castello sarebbe stato pieno di persone. Se non avessero fatto qualcosa probabilmente sarebbe diventato un bagno di sangue. Sospirò e si avvicinò al dottore, come poteva dirgli con meno parole possibili il loro piano? E se non avesse funzionato? «Le lampade.» Si limitò a dire prima di entrare nel tardis. Anche se non era sicura che avrebbe capito.
Le porte si chiusero dietro di lei.
Aveva capito.
 
Aren tirò fuori dalla tasca il pezzo del tardis. «Credi che dovrei rimetterlo al suo posto?»
Seraphine annuì e si avviò verso la console del tardis. Non voleva perdersi il monologo di twelve, anche se non aveva la minima idea di quale fosse la combinazione giusta per far accendere lo schermo. Forse era questo o forse quello, o forse nessuno dei due. Decise di provare e scelse il primo pulsante luminoso che le ispirava.
«La regola: non toccare il tardis. Vale solo per me?» Le chiese Aren.
«Tu non sapevi cosa stavi facendo. Io si, almeno credo.»
«E cosa stai facendo?»
«Accendo quello schermo.»
«Io lo vedo ancora nero.»
«Ovviamente perché non l’ho ancora acceso.» Disse Seraphine cercando di fare finta di sapere esattamente come dovesse fare quando in realtà non ne aveva la minima idea.
«Accendilo, allora.»
Seraphine sbuffò. «E se non mi andasse?»
«E se non ne fossi capace?»
Seraphine sollevò una levetta a caso e lo schermo si accese. «Chi è che non era capace?»
«Solo fortuna la tua.»
«Probabile. Intanto ci stiamo perdendo quello che sta dice…» Alzò lo sguardo verso lo schermo e il dottore era sparito. «… stava dicendo.»
 
Le porte si aprirono, il dottore entrò di corsa farfugliando qualcosa e mentre si richiudevano le due ragazze notarono una luce fortissima, la stessa che vedevano sugli schermi.
«Quindi ha funzionato? Anche se mi aspettavo più una grande esplosione.»
Il dottore si mise alla console e cominciò a premere pulsanti, sollevare leve, … le solite cose da dottore insomma.
La luce sullo schermo diventò sempre più intensa, quasi incandescente e mentre il tardis scompariva una piccola scintilla diede il via ad una grande esplosione.
 
— — —
 
Il tardis atterrò poco distante dal castello De Lacroix, non sapevano bene quanto tempo fosse passato, non l’avevano chiesto in realtà e forse nemmeno volevano saperlo.
Uscirono, più per curiosità che per altro, e la prima cosa che notarono fu un grande cumulo di macerie. Il castello non c’era più ed entrambe un po’ si sentivano in colpa per aver distrutto una cosa così bella, ma era un sacrificio necessario e Seraphine amava le esplosioni, o almeno nei film.
«Voglio vedere i dalek.» Disse Seraphine girandosi verso gli altri, quasi eccitata all’idea di vederne uno dal vivo.
«Io la Londra vittoriana.» Aggiunse Aren.
«Non ho detto che vi porterò con me.»
«Non ce n’è bisogno. Sappiamo che lo farai e basta.» Seraphine accennò un sorriso.
«Perché dovrei farlo?» Chiese il dottore.
«Non ti fa bene viaggiare da solo troppo a lungo.» Rispose Aren.
  
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