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Autore: Piperilla    26/06/2016    1 recensioni
Antonia e Federica non hanno nulla fuori dall'ordinario - tranne forse il nome della prima - e vivono come qualsiasi altro ventiduenne: per la maggior parte dell'anno casa, università, uscite con gli amici e qualche lavoretto part time di tanto in tanto. Anche le vacanze sono sempre le stesse: nascoste in un paesino pressoché sconosciuto dell'Abruzzo con altri amici d'infanzia ad ammazzare il tempo con i falò notturni, i tornei di carte e qualche volta troppo alcool. Come si è detto: nulla fuori dall'ordinario.
Almeno fino a quando non si scontreranno con le inaspettate conseguenze di una scelta a prima vista solo un po' azzardata.
[Il rating potrebbe salire]
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Triangolo, Violenza
Capitoli:
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Il sole d’Agosto splendeva su Rocca Arsa.
   Federica attraversò ciondolando la piazza, ignorando gli sguardi curiosi e i bisbigli delle persone che già affollavano il posto. Proprio un anno prima, lei e Antonia erano sparite nel nulla; per mesi il paese e i dintorni erano stati setacciati senza successo, e proprio quando le ricerche erano state abbandonate, Federica aveva fatto il suo ritorno a casa.
   La ragazza sapeva il perché dei sussurri e delle occhiate furtive: quando era ricomparsa, da sola e professando a gran voce di non sapere dove fosse Antonia e di non ricordare nulla, le chiacchiere dei paesani si erano scatenate: avevano sospettato tutti – e giustamente, peraltro – che stesse mentendo; quello che non le andava giù era la direzione che aveva preso l’immaginazione di quelli che aveva sempre considerato amici. Alcuni erano addirittura arrivati a insinuare che avesse ucciso Antonia e ne avesse occultato il corpo; e per Federica, che non solo non avrebbe mai fatto niente del genere ma che aveva combattuto e rischiato di morire, al fianco dell’amica, quelle malignità erano quasi insopportabili.
   Mentre sedeva in un angolino solitario, lontano da tutti, si chiese per l’ennesima volta per quale motivo fosse tornata a Rocca Arsa: avrebbe fatto meglio a restarsene a Roma, o ad andare in un qualsiasi altro luogo, dove le chiacchiere perfide della gente non l’avrebbero raggiunta. In fondo, stare lì ormai era soltanto una tortura.
   In realtà, Federica sapeva benissimo per quale motivo aveva scelto di tornare: percorrere di nuovo i viottoli familiari del paesino abruzzese le dava l’impressione di essere più vicina ad Antonia, e una piccolissima parte di lei continuava a sperare di vederla comparire da un momento all’altro.
   La ragazza era immersa in questi pensieri quando d’improvviso la terra tremò e un ruggito che non sentiva da mesi squarciò l’aria.

Antonia era esasperata.
   Sposarsi non era mai stata in cima alla lista delle sue priorità, ma organizzare quel matrimonio – il suo matrimonio, prima o poi avrebbe dovuto cominciare ad ammetterlo almeno nella propria testa – la stava davvero facendo impazzire. Già solo la cosa in sé era sufficiente a farle dare di matto, e se si aggiungeva il fatto che avrebbe sposato due fratelli contemporaneamente, che loro tre erano la Mano degli Dèi il cui arrivo era stato profetizzato mezzo millennio prima, e che in occasione della cerimonia sarebbero stati dichiarati governanti, allora si poteva capire come la pressione su di lei aumentasse in modo esponenziale rispetto a un qualsiasi matrimonio.
   La ragazza si nascose il volto tra le mani.
   «Porta pazienza, Antonia» esalò Jonas: era provato quanto lei dalla situazione, ma voleva comunque cercare di confortarla un po’. «Tra un paio di mesi sarà tutto finito».
   «Un paio di mesi!» ripeté Antonia, inorridita. Si premette con più forza le mani sul viso. «Non è riuscita a farmi scappare la guerra, ma questo matrimonio forse ce la farà!» si lamentò.
   Baumann arrivò alle loro spalle, silenzioso come un gatto. «Non dovresti essere felice di sposarci?» la stuzzicò.
   «Lo sarei, se non fosse tutto così… così… imponente!» borbottò lei.
   «È il duro destino dei governanti, essere sempre sotto l’occhio vigile del popolo» scherzò il principe. «Non ti conforta sapere che dopo sarai regina?»
   «No» brontolò Antonia. «Forse, sterminare qualche Orco…» aggiunse speranzosa.
   «Non si può» rispose Baumann, serio, distruggendo all’istante l’entusiasmo della sua promessa sposa. «Gli Orchi sanno che io, te e Jonas siamo la Mano degli Dèi: di sicuro sono all’erta, pronti per quando metteremo il naso fuori dal castello».
   «Ma prima o poi dovremo uscire» obiettò lei. «Altrimenti non metteremo mai fine a questa guerra…»
   «Prima dobbiamo essere uniti in modo indissolubile» le spiegò paziente Baumann per l’ennesima volta. «Oltre a renderci più coesi, solleva il morale dei cittadini e delle truppe». Scosse la testa di fronte all’identica espressione poco convinta di Antonia e Jonas. «Dovete capire che anche queste cose sono importanti…»
   «Quando regneremo insieme, della politica te ne occuperai tu» bofonchiò Jonas.
   «Quello che non capisco è che bisogno ci sia di questa pompa magna» insisté Antonia, disperata.
   Baumann lasciò vagare lo sguardo nella sala. Accanto a Isdrid, Margaerys discuteva di infiniti dettagli della cerimonia nuziale con i capi dei servitori: sul volto di sua sorella c’era tanto felice entusiasmo da strappargli un sorriso.
   «So che non ti piace» ammise infine, «e un po’ disturba anche me, ma…». Gettò un’altra occhiata a sua sorella. «Margaerys è così felice di essere libera di occuparsi di cose del genere che… che mi dispiacerebbe frenarla» confessò.
   Lo sguardo di Antonia si addolcì mentre a sua volta osservava la futura cognata. Quello che aveva detto Baumann era vero: Margaerys sembrava risplendere mentre si occupava di tutti quei dettagli che lei trovava noiosi da morire.
   «Posso capire il tuo punto di vista» rispose infine. «E va bene, falle fare quello che preferisce, riguardo la cerimonia» cedette.
   Baumann le scoccò un sonoro bacio sulla guancia; anche Jonas le sorrise, ma un urlo improvviso spezzò quel momento di quiete.
   Margaerys si afferrò la testa, urlando, e barcollò vistosamente prima di perdere l’equilibrio. Tutti scattarono verso di lei, ma Illyrio fu il più veloce: la circondò con le braccia prima che potesse cadere, e con una mano le scostò i capelli dal volto e le accarezzò la fronte.
   «Che succede, Margaerys?» le sussurrò con dolcezza sorprendente il Magister Fascinationum. «Che cos’hai?»
   La principessa si aggrappò alle braccia di Illyrio, tremante.
   «La Dea ha parlato» esordì con voce flebile. «Il momento della battaglia è giunto».
   Gli occhi di Baumann si sgranarono. «Ma è troppo presto!» protestò.
   «La Dea ha parlato» ripeté sua sorella. «Non possiamo sottrarci: i nemici hanno già attaccato».
   «Margaerys, questo non è possibile» intervenne Jonas in tono ragionevole. «Le sentinelle sono all’erta: se gli Orchi avessero attaccato in un qualsiasi punto del regno, saremmo già stati avvertiti».
   «La Dea ha parlato» insisté Margaerys, ostinata. «Il momento di combattere è arrivato, i nemici hanno attaccato: la battaglia oltre le mura è cominciata».
   Baumann e Antonia si scambiarono uno sguardo confuso.
   «Non si sente nulla» disse Baumann. «Fuori dalle mura è tutto tranquillo».
   Illyrio distolse gli occhi da Margaerys per fissare quelli di Baumann. «Ha detto che la battaglia è oltre le mura, non fuori le mura» sibilò.
   «E qual è la differenza?» chiese impaziente il principe.
   Jonas digrignò i denti. «Te lo ricordi cosa sono i Varchi?» domandò brusco. «Sono brecce nel muro che ci divide dagli altri mondi. Quindi, quando la Dea dice che la battaglia è oltre le mura…»
   «…vuol dire che è in un altro mondo». Antonia trattenne fiato. «Non nel mio!»
   «Nel tuo» confermò Margaerys.
   «Ha senso» commentò Illyrio, cupo. «Qui siamo preparati ai loro attacchi, negli altri mondi no; quale modo migliore per attirare la futura regina fuori dalla protezione del castello – e con lei Baumann e Jonas, perché sanno che non la lascerebbero mai sola – di attaccare il suo mondo d’origine?»
   «Non posso lasciare che lo facciano!». Antonia scattò verso la porta, ma Baumann fu rapido ad afferrarla.
  Jonas corse alla porta più vicina e mise fuori la testa. «Alec! Zane!» chiamò con tutta la voce che aveva. «Radunate subito l’esercito! Dobbiamo raggiungere il Varco!»
   «È una trappola! Non potete andarci!» protestò Mastro Devall.
   «Invece è esattamente quello che faremo» ringhiò Baumann. Scoccò uno sguardo di fuoco a Illyrio. «Prova a fermarmi, Illyrio, e prometto che ti staccherò la testa con la spada di mio padre».
   «Come se fosse possibile» sbuffò il Magister, raddrizzandosi. «Fermare uno di voi è difficile, ma provare a bloccare tutti e tre è impossibile». Scrollò le spalle. «Vorrà dire che combatteremo. Antonia, avremo bisogno di armi, nel tuo mondo la Magia non ci assisterà…»
   Margaerys gli si aggrappò a un braccio, i begli occhi spalancati e pieni di paura. «Non potete andare tutti! E se moriste? Chi governerebbe il regno?»
   Baumann le sorrise, e con dolcezza liberò Illyrio dalla sua presa.
   «Tu, Margaerys» disse con fermezza. «Tu devi restare, perché il nostro regno abbia qualcuno su cui contare in caso ci succedesse qualcosa. Torneremo vincitori, o pronti per essere seppelliti».
   «Non puoi chiedermi questo» sussurrò lei.
   «Non ho bisogno di chiedertelo: è il tuo dovere, come il nostro è combattere» replicò Baumann. «A suo tempo mi sono piegato all’onta di non combattere perché il regno avesse un re; adesso tocca a te». Le baciò la fronte, subito imitato da Jonas. «Attendi il nostro ritorno, e in ogni caso, sii fiera di noi».
   «Lo sono già» rispose affranta Margaerys.
   Antonia le si parò di fronte: la fissò con determinazione, poi l’abbracciò.
   «Abbi fede negli Dèi, Margaerys» disse. «E abbi fede in noi».
   «Dobbiamo andare, Antonia, subito» intervenne Jonas.
   La ragazza lasciò andare la sua coetanea e prese le armi che il capitano le porgeva, poi tutti i presenti, eccetto la principessa, Mastro Devall e Isdrid, si mossero per raggiungere l’esercito.
   Antonia si fermò sulla porta per guardare un’ultima volta sua cognata.
   «Invoca la protezione degli Dèi su di noi, sorella» disse prima di sparire.

Le urla erano assordanti.
   Gli Orchi si erano riversati in massa fuori dal Varco presente a Rocca Arsa e avevano invaso il paesino con brutale rapidità, menando martellate feroci sul terreno e rendendo instabile ogni centimetro nel raggio di centinaia di metri. Gli abitanti erano stati a dir poco colti di sorpresa, ma lo shock di trovarsi di fronte delle creature leggendarie era durato poco: ben presto il panico aveva preso il sopravvento, e i vacanzieri avevano cercato riparo nelle case più vicine, trascinando via vecchi e bambini.
   Federica era l’unica ad aver mantenuto il sangue freddo.
   Nonostante l’incredulità di trovarsi di fronte gli Orchi in un mondo in cui non sarebbero dovuti mai arrivare, la ragazza aveva reagito con incredibile rapidità: era corsa a casa per uscirne subito dopo con l’arco e la faretra a tracolla, la spada al fianco e un grosso sacco di tela in ogni mano.
   Arrivata alla piazza, si rese conto che la situazione era già critica: le martellate dei Signori del Terremoto avevano aperto profonde crepe nel selciato e sui muri dei palazzi circostanti. Ancora un po’, e di Rocca Arsa non sarebbe rimasto che un cumulo di macerie.
   Con gesti veloci Federica aprì le due sacche e ne lanciò il contenuto tutt’intorno: migliaia di piccole sfere gommose, ricavate dalla linfa delle piante dello Staudeheim, rotolarono nelle spaccature del terreno e tra i sampietrini, incuneandosi nelle fessure. La gomma fece il suo dovere, assorbendo ogni vibrazione, e di colpo il mondo fu di nuovo stabile.
   Per un minuto buono gli Orchi si bloccarono, fissando interdetti i propri martelli e abbattendoli a più riprese al suolo, tentando inutilmente di scatenare altri terremoti.
   Federica approfittò del momento. Scoccò varie frecce in rapidissima successione, uccidendo una buona decina di nemici; poi sguainò la spada e si gettò su quelli ancora in piedi.
   Gli Orchi si ripresero in fretta dallo stupore, e altrettanto in fretta individuarono in Federica l’unica minaccia presente. La accerchiarono subito, mulinando i martelli nel tentativo di schiacciarla, ed era chiaro che presto o tardi almeno uno di loro l’avrebbe colpita.
   Federica non provò paura. Quando si era gettata a testa bassa tra gli Orchi, era consapevole che la sua era una battaglia vana: i nemici erano decine, forse centinaia, e lei era sola. Non aveva sperato neanche per un momento di farcela: sapeva che era impossibile… ma se proprio doveva morire quel giorno, aveva intenzione di portare con sé più Orchi che poteva.
   Gli Orchi serrarono i ranghi; Federica vide il cerchio stringersi intorno a sé e i martelli vorticare sempre più vicini, e seppe che era arrivata la fine.
   Poi gli ululati esplosero nella piazza e gli Orchi si voltarono in perfetta sincronia verso un unico punto.

La galoppata di Antonia, Baumann e Jonas verso il Varco era stata rapidissima; la ragazza aveva effettuato il Salto per prima, in modo che a tutti gli altri fosse sufficiente concentrarsi sul desiderio di raggiungerla per arrivare a destinazione.
   Non appena aveva rimesso piede nel proprio mondo d’origine, Antonia aveva sentito chiaramente i ruggiti degli Orchi e le grida di terrore dei suoi compaesani; aveva compreso all’istante che il frastuono era concentrato nella piazza del paese e aveva lanciato Nebbia al galoppo giù per la ripida discesa su un terreno miracolosamente saldo, seguita dai suoi promessi sposi e da tutto l’esercito.
   Quando sbucarono nella piazza di Rocca Arsa, la scena che si presentò ai loro occhi era di devastazione: gli Orchi inseguivano le persone inermi, cercando di colpirle, e un gruppo più folto si era stretto intorno a una piccola porzione di terreno.
   Nonostante il rumore assordante, Antonia sentì le urla di sfida di Federica.
   «Arcieri, pronti!» ordinò a gran voce, incoccando una freccia nell’arco; i soldati obbedirono, e un secondo più tardi una pioggia di frecce cadde sul manipolo di Orchi più lontani, che si dispersero gridando.
   Federica sbucò correndo dal gruppo di nemici.
   «Siete qui!» urlò sollevata. Lei e Antonia si scambiarono un rapido sguardo determinato, poi un secco ululato la distrasse: il lupo che era stato suo fedele compagno nei mesi trascorsi nello Staudeheim era lì, a un passo da lei.
   La ragazza saltò in sella e afferrò le redini con la mano libera.
   «Fanteria, all’attacco!» urlò Jonas.
   I soldati scattarono in avanti, spade e lance in pugno, e si scagliarono sugli Orchi; Jonas e Baumann, Antonia e Federica, Illyrio, Alec e Zane spronarono i lupi e si sparpagliarono tra i nemici, subito seguiti dalla cavalleria.
   Gli Orchi, impreparati a trovare resistenza così presto, non si opposero efficacemente a quella brutale e inaspettata carica: parecchi caddero sotto i colpi dei soldati, altri vibrarono delle martellate poco convinte, facili da schivare.
   Antonia, sempre in sella a Nebbia, spronò il lupo contro l’Orco più vicino; l’animale obbedì entusiasticamente, saltando alla gola del nemico e squarciandola con i lunghi denti. Intorno a lei, gli altri soldati a dorso di lupo facevano lo stesso, decimando gli Orchi.
   E poi arrivò quello che, Antonia lo sapeva, era l’unico davvero importante: Caliban si erse in tutta la propria statura al centro del campo di battaglia, gonfiò il petto enorme e urlò un incitamento ai propri simili, il martello teso verso il cielo.
   Baumann, Jonas e Antonia si voltarono verso di lui nello stesso istante; gli occhi del primo s’incendiarono d’odio.
   «CALIBAN!» tuonò mentre spronava il proprio lupo alla carica, la spada che era stata di suo padre tesa verso il Signore del Terremoto.
   Caliban si voltò a guardare il punto da cui era partito il grido e sorrise, feroce e soddisfatto.
   «Baumann, principe dello Staudeheim» chiamò con la sua voce possente. «Qui si compie il tuo destino. Come ho ucciso il padre, ucciderò il figlio!»
   Baumann non diede peso alle sue parole: incitò il lupo ad andare più veloce, e lo stesso fecero Jonas e Antonia. Caliban vide i tre convergere su di lui e serrò la presa sul martello.
   Una nuova pioggia di frecce cadde con precisione sugli Orchi; fanti e cavaliere partirono con una nuova carica sotto la guida dei gemelli e di Illyrio, impegnando i nemici e lasciando campo libero ai tre che dovevano affrontare il Signore del Terremoto.
   Caliban non sembrò impensierito nel ritrovarsi di fronte le Tre Speranze finalmente unite: anzi, sorrise, come se non avesse desiderato altro. Lui e Baumann si fissarono con ferocia, di nuovo uno di fronte all’altro dopo oltre dieci anni.
   Fu il principe a spezzare il silenzio.
   «Io ti ucciderò» sibilò. «L’ho giurato il giorno in cui hai ucciso mio padre, che l’avrei vendicato, e finalmente il momento è arrivato».
   La bocca dell’Orco si stirò in un sorriso cattivo.
   «Pensi davvero di potermi uccidere, piccolo Baumann?» lo schernì. «Uccidere me, il primo e vero Signore del Terremoto; me, un combattente con quasi mille anni d’esperienza, al contrario di te, che non sei quasi mai sceso in campo; me, Caliban, a cui soltanto Gowan è sfuggito?». Rise sprezzante. «Tu non sei Gowan, Baumann, e se io dovessi scegliere di temere qualcuno, questo qualcuno sarebbe il capitano Grant, l’unico ad aver emulato l’impresa di Gowan!»
   Baumann non si lasciò incantare dalle parole dell’Orco: sebbene fosse arrossito di rabbia agli insulti che gli erano appena stati rivolti, non distolse lo sguardo dal nemico e non abbassò la guardia.
   «Non riuscirai a metterci uno contro l’altro, Caliban» intervenne Jonas con voce ferma: anche lui teneva la spada puntata contro l’Orco. «Tutti e tre abbiamo un conto aperto con te; è il momento di saldarlo».
   «Tutti e tre?» gli fece eco Caliban, divertito e scettico. «Posso capire te e Baumann; volete vendicare vostro padre; ma la straniera? Lei non c’entra con questa guerra». Guardò Antonia, che lo teneva sotto tiro con l’arco sollevato. «Tu non sei obbligata a combattere; questa guerra non ti riguarda. Puoi tornare nel tuo mondo, il tuo vero mondo, e lasciarti tutto alle spalle. Fingere che sia stato soltanto un sogno, e nulla di più» disse tentatore.
   Antonia sorrise perfida.
   «Ho deciso di combattere questa guerra prima che tu attaccassi il mio mondo d’origine: oggi, ho due volte un buon motivo per combatterti» replicò. Con un gesto repentino scoccò la freccia, centrando Caliban dritto nell’occhio.
   Il Signore del Terremoto gettò la testa indietro e ruggì di rabbia e dolore. Quello fu il segnale: l’esercito dello Staudeheim si riversò come un sol uomo sui nemici, tenendoli impegnati, mentre Baumann, Jonas e Antonia scattavano verso Caliban con le spade sollevate.
   Fu un attimo. La spada di Baumann trapassò il collo dell’Orco da parte a parte; Jonas abbatté la propria tra la quarta e la quinta costola, centrandogli il cuore; Antonia gli conficcò la sua nello stomaco.
   L’intero corpo di Caliban tremò. Antonia e Jonas estrassero le spade dalle carni dell’Orco e indietreggiarono; Baumann sfilò la sua soltanto per impugnarla con entrambe le mani e decapitare Caliban con un gesto secco.
   Cadavere e testa caddero a terra. Nello stesso istante, gli Orchi deposero i martelli e si arresero uno dopo l’altro, inchinandosi e riconoscendo la sconfitta.

Le operazioni di sgombero di Rocca Arsa procedevano senza problemi.
   Subito dopo che gli Orchi erano arresi, dallo Staudeheim erano arrivati altri soldati portando con sé manette e catene: i nemici in ceppi erano stati ricondotti oltre il Varco, e la lunga serpentina di soldati e Orchi continuava a snodarsi attraverso il paese.
   La piazza era di nuovo affollatissima: i paesani vi si erano riversati non appena avevano capito che il pericolo era cessato e, nonostante il comprensibile timore suscitato in loro dai lupi giganti, parecchi si erano avvicinati ad Antonia, increduli e sorpresi da quell’improvvisa e straordinaria ricomparsa.
   La ragazza stava giusto cercando di non farsi sommergere dalle domande dei suoi compaesani quando le grida di due voci familiari si fecero strada fino a lei.
   Antonia scostò le persone che aveva intorno con gesti bruschi fino a quando non incontrò i due volti che più di tutti le erano mancati in quell’anno.
   «Papà! Mamma!»
   I suoi genitori l’abbracciarono stretta, piangendo di sollievo. Quando alla fine si staccarono, arrivarono le inevitabili domande.
   «Antonia, si può sapere dove sei stata per tutta questo tempo? Eravamo così spaventati… non credevamo ti avremmo mai più rivista!» disse sua madre.
   «È una storia lunga» rispose Antonia. Cercò con gli occhi Baumann e Jonas, impegnati a dirigere il trasferimento degli Orchi. «E ci sono un paio di persone che vi devo presentare».
   
 
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