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Autore: SalvamiDaiMostri    02/07/2016    7 recensioni
Johnlock dai toni estremamente drammatici a causa di una particolare condizione di Sherlock: mai avrebbe pensato che le stronzate del suo passato avrebbero inciso così profondamente sulla sua vita adulta e compromesso fino a tal punto la sua felicità. E a pagarne le conseguenze è John. E questo Sherlock sa che è terribilmente ingiusto, oltre che pericoloso.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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https://www.reddit.com/r/HistoryPorn/comments/3vbkxi/ohio_1989_a_dying_david_kirby_is_held_by_his/
Ohio, 1989: A dying David Kirby is held by his father while his mother comforts his little sister. After being diagnosed with HIV in California, an estranged Kirby asked his parents if he could return home to die with family by his side. The photo is credited for changing the face of AIDS

 


 
Will I loose my dignity?
Will someone care?
Will I wake tomorrow from this nightemare?
Will I, Rent

 

 
Io sono un medico, un medico militare.
Ho visto molta gente ammalarsi e sparire a poco a poco ed, infine, morire.
Tutto questo non è nuovo per me.
Eppure mi coglie impreparato, come se fosse la prima volta. Come se non sapessi che cosa accadrà, come se non sapessi come reagire.
 
Contro ogni previsione, a dicembre inoltrato Sherlock era ancora con me.
Quantomeno, lo era fisicamente.
Giaceva del tutto assente nel suo nuovo letto da settimane; guardava fuori dalla finestra e ogni tanto faceva qualche verso, chissà perchè. Ogni suo tentativo di cercare di farsi capire da me o da chi gli fosse vicino era ormai svanito da giorni.
E piangeva, spesso, in silenzio. La sofferenza era probabilmente l’ultima ombra di personalità che gli fosse rimasta.
Mai potrò cancellare dalla mia mente l’immagine del suo corpo in quei giorni: la sua pelle, ingrigita come quella di un vecchio e marchiata dalle decine di macchie violacee che il cancro gli stava lasciando, ricopriva le ossa sottili, non c’era più nulla a separarli. Il suo braccio, lungo come quello di un adulto della sua altezza, aveva il diametro di quello di un bambino magro. Gli occhi vuoti, opachi e ingialliti a causa del corrompersi del fegato sprofondavano incavati nel suo cranio, le occhiaie nere precipitavano verso gli zigomi che, se erano sempre stati così pronunciati, ora sporgevano dal suo viso a tal punto da essere praticamente taglienti. Respirava ormai con grande fatica nonostante l’ossigeno facilitato dalla bombola. Non ingeriva nulla da settimane, le flebo gli provvedevano nutrimento insieme ai medicinali e, ormai soprattutto, gli antidolorifici. Inoltre era collegato ad un catetere, ormai inutile a causa dell’insufficienza renale, e a diverse macchine che monitoravano le sue funzioni vitali.
Io ed Harriet ci prendevamo cura di lui.
Io in particolar modo cercavo di non lasciarlo mai solo e, a dirla tutta, Harry si prendeva più che altro cura di me in quanto, a suo dire, mi stavo trascurando. Ma, sinceramente, nulla al di fuori di colui che giaceva in quel letto aveva alcuna importanza o senso per me.
Oltre al fatto che Sherlock aveva bisogno di me, io avvertivo un malsano ed egoistico desiderio di averlo accanto, di sentire il contatto del suo corpo con il mio. Di sentire il suo odore, sentire il suono del suo respiro, il sordo battito del suo cuore... Avevo la piena consapevolezza del fatto che mi restavano un numero estremamente ridotto di quei suoni da ascoltare e volevo ad ogni costo farli miei, conservarne il ricordo. Per esempio, un terribile giorno mi assalì il panico perchè mi resi conto che non ricordavo del tutto il suono della sua voce: per un momento il ricordo era come sbiadito. E Sherlock non parlava da poco più di un paio di settimane: era davvero bastato così poco tempo per dimenticare? Cos’erano quei pochi giorni rispetto alla vita che mi rimaneva senza di lui? Corsi al computer per ascoltare il suo discorso al nostro matrimonio e, appena pronunciò la prima sillaba, il ricordo della sua calda voce profonda tornò nitido. E da allora mi tormentava il pensiero di dimenticare tutte quelle piccole cose che facevano di lui Sherlock.
Perciò quando arrivava la sera, se era stato particolarmente tranquillo, mi azzardavo a coricarmi accanto a lui e, se non si lamentava, mi addormentavo al suo fianco.
Una di quelle notti, ero sul punto di addormentarmi, supino disteso accanto a lui; avevo ormai gli occhi chiusi, cullato dal monotono e ripetitivo bippare dei macchinari ai quali era collegato mio marito. Improvvisamente sentii il suono della sua voce chiamarmi: ero convinto di stare ormai sognando. Ma poi la sua mano mi accarezzò il viso e aprii gli occhi: Sherlock mi stava guardando con gli occhi a mezz’asta e mi chiamava.
“John... Sei sveglio?” sussurrava, prono.
“Si, sono sveglio amore...” cercai di mascherare il più possibile la mia sorpresa e la gioia nel vederlo cosciente dopo tutto quel tempo e in quelle condizioni, per non allarmarlo.
“John... Come sto andando? Sto andando bene...?” Mi chiese, chiudendo gli occhi e accoccolando la testa sulla mia spalla.
“Cosa intendi?” lo interrogai, più che altro impaziente di sapere se era in grado di rispondere.
“Quant’è... Che sono malato? Non ricordo bene... Non ricordo... Come sta andando?” Rimasi scioccato: davvero era a quei livelli di consapevolezza? Era del tutto inspiegabile.
Avevo sempre considerato quello dell’ultima giornata buona nient’altro che un mito.
Il canto del cigno...
Una vana speranza alla quale si aggrappano coloro che si trovano accanto a persone che stanno morendo: la speranza di vederli per quello che sono un’ultima volta, poter sorridere insieme, dirsi addio, consapevoli.
Certo è che uno non sa quando è proprio l’ultima giornata buona, finché di giornate non ce ne sono proprio più, e allora pensi “Ecco, quella era stata l’ultima”.
Io ero convinto di averla già avuta l’ultima di Sherlock, quel giorno che era arrivata Harriet e l’aveva riconosciuta. Quella era stata una bella giornata e poi non ce n’erano più state così. Da lì in poi era stato un unico inarrestabile declino. E mi ero rassegnato a conservare quel ricordo.
Mi abbassai su di lui e gli baciai la fronte dicendogli:
“Stai andando bene, tesoro, stai andando bene.” Tentai di dire cercando di ingoiare le lacrime.
“Sono un peso..? Ce la fai da solo..?”
“Non devi preoccuparti, non preoccuparti di nulla. Stai andando benissimo, stiamo bene, Sherlock. E non sono solo: Harry è qui con noi, mi aiuta. E Molly viene spesso...”
“Oh.. Cara Harry.. E Molly... Meno male che c’è lei. Quindi non sei solo..?” parlava sottovoce, piano, senza aprire gli occhi. Almeno non vide che stavo piangendo come un bambino.
“No amore mio, non devi preoccuparti...” risposi col fiato rotto
“È un sollievo...” sorrise. A quel punto non potei contenere un singhiozzo e mi aggrappai a lui, disperato, tentando in ogni modo di mantenere un certo contegno.
“Mi manchi tanto sai? Da impazzire.” Lui allora mi guardò, mi prese la mano e me la baciò.
“Era da così tanto tempo che non parlavamo?” ebbi solo la forza di annuire “Sta per finire, allora.” Annuii ancora, incapace di fermare le lacrime che ormai rigavano le mie guance. Tirai su con il naso:
“Lo sai che è Natale? È la vigilia domani...”
“È Natale..?” sorrise di nuovo “Un ultimo Natale insieme allora... è uno bel regalo, non credi?”
“Si Sherlock.. davvero uno splendido regalo.” Dissi stringendomi a lui e premendo il mio viso sul suo petto. Lui mi appoggiò la mano debolmente sulla schiena.
“Sei... Così stanco...”
“No, non è vero...” negai scuotendo la testa
“Oh, si... Ma manca poco. Riposerai. Avrai il tempo di stare in pace, e riposare dopo che tutto questo sarà finito.” Non risposi nulla “Hai pensato a cosa farai... Dopo?” non volli mentire:
“Ci ho provato. Tre volte, da quando tutto questo è cominciato. Ma l’unica cosa alla quale sono arrivato a capo è che la vita senza di te non mi interessa. Non concepisco un dopo, non ci riesco.. Non voglio pensarci più.”
“Vivi.” Disse nitidamente “Torna a lavorare. In ambulatorio... O risolvi casi... Ma non morire. Butta la pistola. Non insultarmi mai puntandola contro te stesso. Prometti.”
“La pistola l’ho venduta dopo che quasi ti ci ammazzi giocandoci un mese fa-“
“Promettimelo. Un ultimo regalo, John... per me: promettimi... che vivrai.” Ci guardammo negli occhi per un istante eterno: me lo stava ordinando. Ero il suo ultimo desiderio, come potevo negarglielo?
“Tu sei l’unica ragione per la quale io sono vivo. Mi hai salvato così tante volte e in cosi tanti modi-”
“Questo è l’ultimo. Lascia che ti salvi. Un voto. Il tuo ultimo voto: trova la forza di farcela.”
Glie lo promisi. Suggellai quel patto con un bacio.
Ci addormentammo insieme in quel letto.
Non seppi mai se quella conversazione fosse realmente avvenuta, a volte credo si trattasse soltanto di un sogno, ma farebbe davvero differenza?
 
Sherlock non riprese mai più conoscenza.
Nei quattro giorni che seguirono, stette sveglio circa un paio d’ore al giorno.
Poi si perse definitivamente nel vuoto di quei suoi occhi malati.
 
Ritenni fosse necessario che la dottoressa Tietjens venisse a visitarlo per confermarmi ciò che io ormai sapevo bene: non gli restavano più molte ore.
 
Convocai allora coloro che lo amavano perché potessero salutarlo un’ultima volta.
Harry, il signor Holmes e Mycroft vennero per restare e vegliarlo con me: ci turnammo affinché non rimanesse mai solo. Sono certo che ognuno di loro si sia preso il suo tempo per dirgli addio nel privato di quella stanza chiusa.
La mattina presto del giorno seguente, Mike passò prima di andare al lavoro. Li lasciai soli nella camera, ma sentii chiaramente Mike dirgli che era stato un onore conoscerlo ed essergli amico. Gli disse:
“Ci vediamo presto” ed uscì sorridendo, come faceva sempre. Mi salutò e si diresse al San Barth.
Molly e Greg vennero insieme, nel pomeriggio, dopo il lavoro. Lei non volle entrare da sola nella sua stanza, non ci riuscì, perciò Lestrade entrò con lei. Io rimasi sulla porta. Molly si avvicinò al corpo inerme di Sherlock, si abbassò sul suo viso e gli sussurrò qualcosa all’orecchio; poi ruppe in un pianto sconsolato, lo baciò forte due volte sulla fronte accarezzandogli il viso e uscì di corsa da casa. Nessuno le disse nulla. Non so cosa fece Greg mentre andai a chiudere l’uscio che Molly aveva lasciato spalancato, ma quando tornai lui stava uscendo con gli occhi lucidi. Mi Abbracciò all’improvviso e io ricambiai domandando come un idiota:
“Lo hai salutato?” e lui annuì tirando su col naso
“A modo nostro.” aggiunse tentando un sorriso cercando di ricomporsi.
Mi chiese se stavo bene e se avevo bisogno di qualcosa, ma non si aspettava che dicessi la verità. Se ne andò in fretta, cercando di evitare coloro che popolavano la casa.
La signora Hudson salì poco dopo, con l’aria pacifica, di chi ormai ha visto tante persone andarsene e conosce perfettamente quegli ultimi momenti in cui nessuno sa cosa provare. Prese una sedia e sedette accanto al Signor Holmes al capezzale del suo William.
“Vorrebbe pregare con me, signora Hudson?” domandó l’uomo anziano, e lei si limitò ad annuire e stringergli il braccio. Restarono un paio d’ore, poi andarono a dormire entrambi.
Restai dunque solo con lui.
Chiusi la porta, nessuno ci avrebbe disturbati.
Mentre mi avvicinavo al suo letto per sedermi sulla mia poltrona, realizzai che in quegli ultimi giorni ero stato del tutto assente, come apatico. Non avrei saputo dire se avessi davvero provato alcun ché 0dopo quella nostra ultima conversazione.
Mi sedetti accanto a lui e presi la sua mano, la strinsi con entrambe le mie appoggiando i gomiti al materasso e contemplando quel suo volto scarno e livido.
Allora, nello scontrarmi con la tragica realtà dei fatti, le emozioni presero il sopravvento su di me.
Non riuscivo più a piangere, ma presi a parlargli sottovoce, accarezzandogli quei riccioli neri che adornavano la sua fronte: gli dissi ogni cosa, tutto ciò che dovevo dirgli. Parlai per ore, quasi senza prendere mai fiato, eppure non ricordo praticamente nulla di ció che gli dissi.
Aneddoti, pensieri, frustrazioni, ricordi, suppliche, preghiere...
Potevo percepire, dal contatto con la sua mano, la vita abbandonare il suo corpo a poco a poco. Se ne stava inesorabilmente andando e non potevo fare assolutamente nulla per evitarlo.
Ero arrabbiato, furioso con l’universo perchè me lo stava strappando via, con lui perchè mi stava abbandonando, con me stesso consapevole di essere stato causa di tutta la sua sofferenza, con la Tietjens perchè non lo aveva aiutato di più, perchè non aveva fatto abbastanza, con Mycroft per non averla costretta a farlo, eccetera. Ma ero anche terrorizzato, soprattutto all’egoistica idea di rimanere solo, ma anche di ció che il mio Sherlock, l’amore della mia vita stava per affrontare: non volevo che facesse quell’esperienza da solo. Morire. Ma avevo promesso.
Una grande parte di me mi stava odiando perchè ancora lo supplicavo:
“Non abbandonarmi, ti prego, non abbandonarmi”
Quando sapevo perfettamente che per lui la morte sarebbe stata un sollievo dopo quella tortura.
Cominciarono ad attraversarmi la mente immagini terribili e ripugnanti del suo corpo là, sotto a metri di terra fredda, dove tutto era buio e gelido e lui aveva paura del buio e non poteva restare solo! E vedevo i vermi e gli insetti farsi strada a poco a poco all’interno della sua bara e rovinare quel che restava del suo bellissimo corpo e divorarlo e corromperlo penetrandogli gli occhi, il cuore! Io-Io non potevo permetterlo!
E faceva male, cazzo. Tutto, ogni cosa, ogni fibra del mio corpo, ogni parola, ogni respiro bruciava e tagliava e dilaniava il mio essere, ogni istante era peggiore del precedente.
Pregai anche Dio di aiutarlo, di proteggerlo dove io non potevo raggiungerlo, di perdonarlo.
E non smisi di parlare, una parola dietro all’altra, con la bocca ormai asciutta e il cervello esausto, continuavo a parlare e a parlare... Forse in un inutile e patetico tentativo di fargli avvertire in qualche modo la mia presenza, perché dal profondo del suo coma sentisse che io ero accanto a lui e lo sarei stato fino all’ultimo.
“Anche quando morirai sarò sempre tuo. E’ la cosa migliore che potrei mai essere. Ti sarò grato per tutta la vita.” Conclusi, e finalmente tacqui.
Poi il tempo continuò a scorrere, immagino, e si fece mattino.
 
Improvvisamente il bippare dei macchinari, che ormai era diventato la colonna sonora finale della nostra vita insieme, cambió in un fischio continuo ed assordante.
Mi destai e mi accorsi che non ero più solo, ma nella stanza c’erano anche Mycroft, il Signor Holmes, la Hudson ed Harry.
Il suo cuore si era fermato. Il suo petto cessò di alzarsi ed abbassarsi a poco a poco.
Rimasi immobile, con un’espressione disperata, fissando il suo volto, incapace di reagire.
Passarono un paio di eterni secondi.
Poi Mycroft si avvicinò, un passo dopo l’altro, si chinò sul viso del fratello e gli baciò la fronte:
“Addio Will, dí alla mamma che le voglio bene.” E, detto ciò, premette il pulsante per spegnere la macchina che fischiava.
Improvvisamente gli altri ruppero in pianto. Il signor Holmes cadde sulle ginocchia accanto al letto con una mano sugli occhi e l’altra che stringeva il braccio del figlio esanime.
Non mi accorsi di nient’altro.
Rimasi com’ero, con la sua mano tra le mie, fissavo il suo volto. Non so per quanto.
Suppongo che ad un certo punto gli altri mi lasciarono solo con lui.
 
Sei morto la mattina di un mercoledì. La nostra mattina preferita della settimana, anche se non te lo ricordavi più, perchè potevamo fare colazione insieme perchè era il mio giorno libero. Sei morto dopo la peggiore delle notti di tutta la mia vita. Ma va bene così. Ti ho chiesto fin troppo. Riposa ora, la tua sofferenza finalmente è cessata.
 
Venne poi un’infermiera per lavarlo e vestirlo, ma volli farlo io. Ed Harriet mi aiutò.
Ci eravamo ormai più che abituati, e lo avremmo fatto un’ultima volta.
Non credo di aver mai fatto qualcosa di altrettanto doloroso.
 
Mycroft fece lavare e stirare il completo nero preferito da Sherlock, insieme alla camicia bianca.
Dunque lo vestimmo.
 
Mi accorsi presto che avevo il terrore di rientrare in quella stanza, una volta lasciata: avevo del tutto perduto il coraggio di affrontarlo. Di affrontare il fatto che lui fosse ancora lì, immobile, dove e come lo avevo lasciato, perchè era morto. E nulla avrebbe mai cambiato questo.
Ero solo. Di nuovo.
È buffo, il giorno peggiore non è quello in cui perdi qualcuno: almeno quel giorno hai qualcosa da fare. I giorni peggiori sono quelli in cui continuano ad essere morti.
Passai decine e decine di volte per quel corridoio, e mi fermai davanti a quella porta e qualche volta impugnai anche la maniglia, convinto di poter vincere la mia codardia ed entrare e vegliarlo finché potevo, ma non ci riuscii mai. Non lo rividi più fino al giorno del funerale, del quale si occupò Mycroft.
Fino ad allora rimase nella nostra camera, con qualche candela e i fiori che arrivavano a poco a poco da coloro i quali Sherlock aveva aiutato durante la sua carriera, ma anche dagli amici e dagli ammiratori. Di tutto questo si occuparono la signora Hudson, Harry e Molly.
 
La notizia che il grande ed unico consultore investigativo era defunto infatti si diffuse velocemente e la stampa, come previsto, vi si interessó più del dovuto e tentó di avvicinarsi al 221b, ma Mycroft provvide a tenere lontani i giornalisti. I funerali inoltre sarebbero stati privati e chiusi a pubblico e stampa e il luogo di sepoltura non fu reso noto fino a riti conclusi.
 
Quando infine giunse il momento di chiudere la sua bara per portarla al cimitero, entrai per la prima volta nella stanza dov’era rimasto: vedere il feretro nella stanza, accanto alla finestra, mi distrusse. Greg era con me e dovette reggermi mentre mi lasciavo cadere sulle ginocchia, disperato. Non riuscivo a rialzare gli occhi sul suo corpo.
“Codardo!” mi dicevo mentre mi coprivo il viso con le mani.
Sentivo le mani di Lestrade strofinarmi vigorosamente le spalle. Mi diceva di farmi forza, cos’altro avrebbe potuto dire? Mentre mi rialzai, gli risposi che stavo meglio e che ce la facevo. Gli chiesi un minuto da solo con Lui, e lasció la stanza.
Allora mi imposi di voltarmi e mi costrinsi a guardarlo.
Era fisicamente doloroso guardarlo, ma mi avvicinai comunque al letto. Tremavo come una foglia.
Lui giaceva così ben vestito, elegante, ordinato e pettinato nel feretro. Non so chi ce lo avesse messo, ma meglio così perchè avrei potuto tagliargli le mani se lo avessi scoperto. Mi avvicinai. Era così bello... Pacifico. Improvvisamente mi sembró come addormentato; certamente non dormiva così calmo da tempo immemore. Sapevo cosa volevo fare, ma muovermi sembrava diventato terribilmente difficile: ero come gelato. Strinsi i pugni e, esitando tremante, allungai il braccio e presi la sua mano sinistra e con tutta la delicatezza di cui ero capace in quel momento: era gelida e rigida, come fosse stato di plastica.
Gli sfilai allora la fede per metterla al mio dito, davanti alla mia.
Gli accarezzai i ricci corvini e li sistemai sulla fronte pallida.
 
Volli baciarlo un’ultima volta.
 
Poi tornó Greg e, rimanendo sull’uscio, mi chiese:
“Sei pronto?” e io risposi:
“No. Assolutamente no.” E Greg comprese e mi mise una mano sulla spalla e la strinse forte.
Ci raggiunsero allora Mike, Mycroft, il signor Holmes con un ragazzo delle pompe funebri: tutti erano ben rasati, pettinati e indossavano eleganti vestiti neri e lunghi cappotti e sciarpe dai colori scuri, ma comunque di elegante presenza, e un’amara espressione di tristezza, mista a rabbia e tedio in volto. Non avevo nessuna intenzione di agghindarmi, ma mi passai la mano sulla mascella e realizzai che erano parecchi giorni che non mi radevo: decisi che avrei indossato il cappotto lungo e nero per salvare le apparenze.
Nessuno disse una parola.
L’impiegato delle pompe funebri sollevó il coperchio della bara che era appoggiato alla parete e lo depose con professionalità sul feretro prima che potessi trovare la forza di gridare “No! Non chiuderlo! Lascialo qui!”.
Ancora silenzio. Tutti sapevamo cosa fare.
Insieme, tutti e sei sollevammo la cassa sulle nostre spalle; credo che non fosse la prima volta per nessuno di noi e sono certo che tutti per un istante pensammo la stessa cosa: “Mio Dio, quanto è leggero.”
Di lì all’arrivo al cimitero, ricordo poco, nulla in realtà. Devo aver spento il cervello nel tentativo di concentrarmi su ció che stavo facendo ed evitare di fuggire, gettarmi a terra, rannicchiarmi e piangere mio marito, che era tutto ció che volevo davvero fare.
Ricordo appena che Mycroft in auto mi disse che, se volevo, aveva predisposto che io potessi dire due parole ad un certo punto della cerimonia. Non ero certo di voler fare un elogio funebre, non ne vedevo l’utilità. Ma, siccome so che i funerali sono per i vivi, non per i morti, e che coloro che avrebbero presenziato alla cerimonia avrebbero voluto ricordare Sherlock, pensai che, se non lo avessi fatto io, lo avrebbe pronunciato Mycroft stesso un discorso, e Sherlock non me lo avrebbe mai perdonato.
Pensai allora a cosa dire, mentre la vita intorno a me continuava a scorrere senza che io me ne rendessi particolarmente conto: stringevo mani, ricevevo pacche sulle spalle, tante condoglianze, un paio di abbracci, tante, tante, troppe parole.
 
Perchè non tacevano tutti una buona volta? Davvero, non c’era nulla da dire.
 
La bara chiusa, ricoperta di fiori bianchi, sospesa sulla fossa: non vedevo altro.
Non sentivo nulla di ció che diceva colui che ufficiava la cerimonia.
Mycroft mi fece un cenno: toccava a me. Mi alzai, senza sapere davvero cosa avrei detto. Rimasi alcuni secondi in silenzio, ma non credo che nessuno si aspettasse che parlassi in fretta. Improvvisamente avvertii lo spasmo alla mano sinistra: alzai la mano e me la portai sotto al naso per guardarla tremare:
“Già mostro i sintomi della sua assenza.” Risi “Erano anni che non tornava questo spasmo. Da poco dopo che ci conoscemmo... Uno studio in Rosa. Ricordi Mycroft? Mi dicesti che era causa del fatto che mi mancava il campo di battaglia, ma che con tuo fratello avrei visto quella battaglia. E avevi assolutamente ragione. Ed ora.. Beh, suppongo che dovrò imparare a vederlo da solo.” Mi presi qualche altro attimo per ordinare due pensieri “Sherlock era un uomo assurdo, e per molti insopportabile. Ed era brillante come nessun altro. Non è stato amato da molti, ma è stato amato profondamente. Amarlo è stato un vero privilegio per me. Mi ha reso l’uomo più felice della Terra, spero solo di averglielo detto abbastanza volte perchè ci credesse davvero.” Sospirai “Sherlock, sei stato l’uomo migliore e il più saggio che io abbia mai conosciuto. Ed è così che ti ricorderò.”
 
Cominció a piovere, ma non me ne volli andare finché lo ebbero seppellito. Mycroft stette accanto a me, reggendo un ombrello nero sulle nostre teste.
Non ci dicemmo nulla finché non uscimmo dal cimitero per cercare un taxi. Quando arrivó il mio Mycroft mi disse:
“Ha mantenuto la sua parola, Dr Watson. Grazie. È giunto il momento che io mantenga la mia.” E mentre parlava si infiló una mano nella giacca e ne estrasse una busta da lettere; me la porse. “So che avrebbe voluto averla prima, ma seguivo ordini precisi.” La presi senza rispondere nulla. Aprii la portiera del taxi e feci per entrare ma Mycroft mi disse ancora “Essere necessari, che una persona abbia bisogno di te, è un dono. Purtroppo ci si accorge di averlo ricevuto sempre troppo tardi. Non è forse così?” non mi presi nemmeno il disturbo di guardarlo, ma lui proseguí: “Ho perso mio fratello. Sono stato un pessimo fratello. Ho perso mia madre, sono stato anche un pessimo figlio. So di essere un pessimo cognato, John, ma era desiderio di William che io non la perdessi di vista. La prego, non mi costringa a metterla sotto sorveglianza.”
“Io non la costringerò a fare proprio un bel niente, Mycroft, ma se ciò che intende è che ogni tanto vorrà venire a prendere il tè a casa nostra, sappia che è il benvenuto. Le minacce non sono necessarie, non lo sono mai state.” Mycroft sorrise cinico “Quanto tempo fa glie l’ha data questa?” domandai a proposito della lettera.
“Qualche mese fa. Un paio di giorni dopo che gli fu diagnosticata l’encefalite.”
“L’ha letta?”
“È sigillata.”
“L’ha letta?” Ripetei
“Certamente.” Sorrisi un istante anche io.
“Arrivederci, Mycroft.” Mi sedetti nel taxi.
“Arrivederci.” Rispose.

 
 
Will I loose my dignity?
Will someone care?
Will I wake tomorrow from this nightemare?
[Will I, Rent. Film Link: https://www.youtube.com/watch?v=okMdC9-YqrE, Musical link: https://www.youtube.com/watch?v=tmg2JRW_8uY]
 

 
E così si conclude il nostro viaggio. Vorrei poter dire che è stato facile, ma porca miseria se è stata dura! Spero con tutto il cuore che vi sia piaciuto e vi invito a lasciarmi un commento in recensione! Vorrei spendere due parole sui motivi che mi hanno spinta a scrivere questa storia:
10 muoiono di AIDS ogni secondo. Ogni secondo. Nessuno parla di AIDS. O meglio, ogni tanto qualcuno sì, ma mai in maniera specifica. E sta tornando. Ed è colpa dell’eroina. E questo è terribilmente grave. Combinazione un paio di settimane fa è uscito un articolo su Republica.it (link: http://www.repubblica.it/salute/2016/06/07/news/aids_gli_italiani_non_la_conoscono_ancora-141485535/?ref=fbpr ) in cui si dice chiaramente che solo il 57% dei giovani italiani tra i 25 e i 34 anni, ossia la fascia di età più a rischio contagio HIV, sa rispondere alla domands “cos’è l’HIV?”. Questo è estremamente grave. Quindi ve lo chiedo per favore, informatevi. Vi prego. E io mi sono documentata, ma non basta che vi fermiate qui: questa è una storia scritta da una persona a caso. Leggete quanto più possibile, cercate di capire cosa è davvero successo dagli anni 80 a oggi rispetto a questo argomento. Guardate gli splendidi film a tema AIDS! Come The Normal Heart, o Pride, o Rent, o Angels In America (i quali ho citato in più momenti) etc etc.
Inoltre questo è il mese del GayPride; quale miglior periodo per pubblicare il finale di questa storia. In quanti paesi John e Sherlock non si sarebbero potuti sposare? In quanti stati quando Sherlock si fosse ammalato, John non avrebbe potuto essere messo al corrende delle sue condizioni e restargli accanto in quanto non un suo parente? In quante sarebbero potuti andare in prigione o addirittura messi a morte per il solo fatto di amarsi? Ponetevi queste domande perchè, finchè la risposta non sarà “nessuno”, la battaglia non sarà vinta. 
Io vi ringrazio ancora infinitamente per essere arrivati a leggere la fine di questo tragico delirio. Vi mando un bacio con tutto il mio affetto e la mia gratitudine.
Comunque non sparirò.. Ho delle nuove succulente idee in ballo... E adesso ho tutta l’estate per scrivere >< Quindi non mi abbandonate! Ci sentiamo presto, con affetto.

PS: Questa è la mia pagina facebook a tema Sherlock: magari vi va di metterle mipiace ;) https://www.facebook.com/Sherlock_The-Game-is-on-278992678944468/?ref=bookmarks 
 
_SalvamiDaiMostri
   
 
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