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Autore: martaparrilla    05/07/2016    14 recensioni
"Quei numeri andavano troppo veloci. Quel timer sembrava ricordarle come in venticinque anni di vita, a parte il lavoro, non avesse costruito altro.
Bip, bip, bip. Quel rumore incessante e fastidioso la deconcentrava, come la voce roca del Capitano.
I suoi genitori l'avevano abbandonata, quei pochi fidanzati che aveva dovuto sopportare si erano volatilizzati alla prima missione in mare. I colleghi erano troppo presi dal voler fare bella figura con l'affascinantissimo Capitano ed era proprio il Capitano, alla fine, l'unica persona che la degnava di attenzione, anche se solo per darle addosso."
Di nuovo Emma e Regina, stavolta impegnate a salvare loro stesse e un'intera nave.
Genere: Drammatico, Erotico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Emma Swan, Regina Mills
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Un intero quadro di fili.

Un disastro di fili grande un metro per un metro stava di fronte a lei, che di fili non ne aveva mai saputo poi granché.

Questo era un problema enorme. Aveva altre mansioni all'interno della nave e per quanto il suo collega August le avesse, svariate volte, mostrato come disinnescare una bomba, non si era mai trovata nella situazione di doverlo fare davvero. E ora, il sottufficiale Emma Swan, si sentiva come quando il suo primo e unico padre adottivo l'aveva lasciata andare nell'acqua alta da piccola, per insegnarle a nuotare: sapeva che non l'avrebbe lasciata annegare, ma la sensazione di dovercela sempre fare da sola, da quel momento in poi, non l'aveva mai abbandonata.

Il Capitano della nave, sua altezza Regina Mills, non aveva fatto altro che aumentare e incentivare questa sensazione, facendola sentire sempre inadatta e incapace a svolgere qualunque ruolo lei le affidasse. Se l'allenamento della giornata prevedeva cento flessioni e altrettanti addominali a Emma, potete stare certi, ne erano riservati esattamente il doppio. Bastava solo incrociarla nei corridoi per far scattare nel Capitano un odio che non riusciva a giustificare nemmeno a se stessa. Eppure, dall'alto della sua severità, i suoi occhi mentivano quando si trovavano sole. Mentre sputava sentenze o critiche ed elencava doveri e punizioni, il suo sguardo trasmetteva solo paura. Lei aveva un'estrema paura di Emma Swan e inveire contro di lei era l'unico modo con il quale riusciva a contrastare questa paura.

Emma, d'altro canto, non aveva idea del perché.

In quel momento, sospeso tra la vita e la morte, quella paura viaggiava tra le onde radio attraverso cui le due donne comunicavano. Dopo un'ora di ricerche estenuanti per tutta la nave, il sottufficiale Emma Swan aveva scovato i due traditori per poi scoprire che volevano far saltare in aria tutti quanti. Erano dei disertori e, se Emma fosse riuscita a disinnescare quella bomba, sarebbero stati processati e condannati dal tribunale militare, senza possibilità di fuga.

La voce del Capitano tremava e in quel silenzio che seguiva, a Emma sembrava di sentire gocce di sudore che scorrevano sulla sua pelle ambrata prima di posarsi sul pavimento.

Un po' come stava succedendo a lei.

Il Capitano stringeva forte le nocche sul bordo della cabina di comando, col cervello completamente in fumo. Non riusciva a dare il meglio quando Emma Swan era intorno a lei, semplicemente la destabilizzava in un modo che non riusciva a definire. Quegli occhi del color del mare, quelle braccia muscolose, quella tenacia e il suo coraggio nel guardarla sempre negli occhi la spaventavano. La rendevano debole e lei non era mai debole. Per questo aveva sempre trattato il sottufficiale Swan in modo più severo rispetto al resto del gruppo: metterla a dura prova, tentare di farla somigliare a lei, era l'unico modo per smettere di desiderarla. Nessuno desiderava Regina Mills, nemmeno lei stessa.

Emma di tanto in tanto voltava lo sguardo sulla porta della cabina dove aveva messo ko, legato e rinchiuso i suoi due colleghi: non avrebbe mai voluto perdere l'espressione del Capitano Mills quando glieli avrebbe consegnati. Sempre se fosse uscita viva da quella stanza.

«Sottufficiale Swan, è ancora lì?» Emma sussultò al suono delle parole del Capitano. Quest'ultima doveva fare uno sforzo enorme per non far tremare la sua voce, per non far trapelare la sensazione di terrore puro che scorreva nelle sue vene nel dover fare i conti con la possibile perdita di Emma.

«Sissignora! Ho le mani su quattro fili diversi, mi creda, non posso davvero muovermi. E siamo a meno quindici minuti, Signora.»

La sottoposta era sempre precisa e puntuale nelle sue risposte e Regina Mills non reggeva tutta questa correttezza nei suoi confronti.

«I suoi colleghi stanno arrivando, Swan» ripeté ancora con tono tremante.

«Con tutto il rispetto, Capitano, quando arriveranno gli altri potrei essere un cumulo di brandelli di carne bruciata. Lasci che sia l'unica a rischiare la vita qui dentro, abbia fiducia in me, per una volta.»

Ora la voce tremava anche a Emma, esattamente come la prima volta che le aveva parlato.

Era estate, indossavano entrambe la divisa bianca, solo che il Capitano, allora vice Capitano, aveva addosso la gonna che le fasciava il corpo come una pellicola trasparente. La giacca, impeccabile e ricca di medaglie, chiudeva il cerchio dei pensieri di Emma: non avrebbe mai incontrato una donna più affascinante di lei. Fascino che non perdeva nemmeno quando indossava la mimetica o quando li sottoponeva a allenamenti durissimi, sotto la neve, la pioggia o la grandine: quando c'era lei, non esistevano pause. Per evitare di trovarsi impreparata, il sottufficiale Swan faceva ulteriori flessioni nella sua cella, così da avere più resistenza degli altri, dal momento che era diventata il suo bersaglio, senza sapere che quello era il modo che il Capitano aveva per darle tutte le attenzioni che voleva. Forse, questa sarebbe stata la volta buona per dimostrarle che anche Emma valeva esattamente come gli altri e che meritava lo stesso rispetto.

«Sottufficiale Swan, non ho mai pensato che lei valesse meno degli altri, come le salta in mente?»

«Signor Capitano, potrei elencarle una decina di situazioni in cui mi ha umiliata gratuitamente di fronte a tutti. Ma non è questo il momento di ripensare a questi avvenimenti visto che mancano solo quattordici minuti, Signora. Filo nero, bianco e nero, giallo e verde. Il nero e quello bianco e nero sono collegati al cellulare, la mia poca esperienza mi dice di dovermi concentrare su questi, così da eliminare il timer e quindi l'innesco.»

Quei numeri andavano troppo veloci. Quel timer sembrava ricordarle come in venticinque anni di vita, a parte il lavoro, non avesse costruito altro.

Bip, bip, bip. Quel rumore incessante e fastidioso la deconcentrava, come la voce roca del Capitano.

I suoi genitori l'avevano abbandonata, quei pochi fidanzati che aveva dovuto sopportare si erano volatilizzati alla prima missione in mare. I colleghi erano troppo presi dal voler fare bella figura con l'affascinantissimo Capitano ed era proprio il Capitano, alla fine, l'unica persona che la degnava di attenzione, anche se solo per darle addosso.

«Non si affretti se non è sicura, Swan.»

«Non vuole liberarsi di me, Signor Capitano?» disse Emma improvvisamente. Non sarebbe di certo uscita viva da lì, tanto valeva dire le cose come stavano.

Mentre teneva tra le mani quei fili con la stessa delicatezza con cui avrebbe tenuto tra le mani un neonato prematuro, il Capitano, dall'altra parte della nave, decise di recarsi esattamente dove si trovava Emma Swan, ignorando ripetutamente i consigli dei due co-comandanti.

Percorse i cinque lunghi e stretti corridoi grigi che conosceva come le sue tasche, fece cinque rampe di ripide scale mentre intimava a tutti di recarsi sul ponte di prua della nave, esattamente nel punto opposto a dove lei si stava dirigendo e dove il sottufficiale era rinchiusa e cercava di salvare se stessa e l'intera nave.

«Signor Capitano?» disse intanto Emma ad alta voce.

Nessuna risposta.

«Signor Capitano!» la sua voce salì di qualche tono, inutilmente.

Nella mente di Emma arrivò la consapevolezza di essere stata definitivamente abbandonata anche da lei. Non si fidava, non si era mai fidata e la sua sparizione non era che la dimostrazione.

La temperatura di quella cabina iniziava a farsi insopportabile.

Il timer sul cellulare segnava altri dieci minuti e i bip che ne scandivano i secondi erano dolorosi come il sale sulla ferita causata da un sottile foglio di carta sulle dita. Così decise di attenderli tutti quanti prima di provare a disinnescarla: non avrebbe sprecato dieci minuti della sua vita. Lasciò andare quei fili con estrema delicatezza, avendo cura di non tirarli e strapparli per sbaglio. Poi, dopo aver passato la manica della divisa sulla fronte per asciugare il sudore, si accovacciò di fronte a quella maledetta trasmittente.

Nove minuti e cinquantotto, cinquantasette, cinquantasei, cinquantacinque, cinquantaquattro.

Diventa quasi ipnotico osservare i secondi che preannunciano la tua morte. Improvvisamente una ridarella nervosa la sorprese, tanto da non riuscire più a fermarsi. Rideva senza ritegno, fino a far arrivare le lacrime agli angoli degli occhi. Si rimise in piedi, più accaldata che mai e la giacca mimetica ben presto venne allontanata dal suo corpo.

Con canotta bianca e pantaloni, continuava a pensare alla sua vita e l'unico essere umano che avesse mai mostrato vero interesse nei suoi confronti, benché in senso dispregiativo, era proprio il Capitano.

Regina Mills.

Il solo nome destava timore al soldato più coraggioso.

C'erano comunque alcuni momenti in cui la paura verso quell'essere umano mutava in curiosità, attenzione. Attrazione.

Il suo sedere dietro la gonna bianca era assolutamente illegale, andava contro ogni legge di gravità. Ma il vice capitano Hood sicuramente ne sapeva qualcosa visto il suo atteggiamento di eccessiva confidenza che frequentemente aveva scorto tra i due. Si era riscoperta quasi gelosa di lui, perché non aveva dovuto faticare per ottenere la sua fiducia, la stima e il rispetto di quella donna integerrima. Invece lei si ritrovava a fare il conto alla rovescia in una cabina nelle viscere della nave con lui e col colonnello Jones come unica compagnia, ma apparentemente, nemmeno il tentativo di salvare le vite di tutti era servita a qualcosa.

Una imponente voglia di scappare iniziava a scorrere dentro le sue vene, a bruciare, a incendiare tutto il coraggio mantenuto fino ad ora, fino a ridurre tutto in un cumulo di cenere.

Ma ormai mancavano solo sette minuti e non sarebbe mai riuscita a raggiungere il ponte della nave, gettarsi e iniziare a nuotare fino a che ne avesse avuto le forze. Continuava a guardare quei fili, seguendo con lo sguardo il percorso che tutti facevano, in entrata e in uscita. Tutti utili e nessuno indispensabile, tranne quello bicolore che collegava direttamente il telefono agli esplosivi.

Anche il Capitano Mills era così: indispensabile e capace di far esplodere chiunque si avvicinasse a lei. Emma aveva rischiato che ciò accadesse molte volte, ma era il prezzo da pagare per imparare dalla migliore, e lei decisamente lo era.

Mentre rifletteva sulla perfezione di ogni sua decisione o movimento, la pesante porta della cabina si aprì all'improvviso e la figura snella, agile e muscolosa del Capitano fece capolino dietro di essa, accompagnato da uno sguardo preoccupato e quasi... sollevato nel vederla.

Occhi verdazzurri dentro gli occhi marroni.

Occhi marroni dentro quelli verdazzurri.

Emma era incapace di contenere la sorpresa, un leggero sospiro di sollievo fuoriuscì incontrollato dalla sua bocca, assieme a due lacrime, solo due, prima di mandare giù le altre, tornare ad avere una dignità e salutare il suo superiore con la mano sulla fronte.

«Signor Capitano, è un immenso piacere vederla qui.»

Da un lato della bocca comparve un mezzo sorriso sghembo che bloccò ogni tentativo di Emma di rimanere lucida.

«Riposo, sottufficiale» si avvicinò alla bionda, puntando quei suoi occhi scuri come la notte dentro ai suoi. A quel contatto visivo, i suoi parvero sciogliersi.

«Un Capitano non lascia mai i suoi sottoposti da soli nel momento del bisogno, Swan. Vediamo di uscire insieme da questa stanza.»

Annuì col capo prima di inginocchiarsi di nuovo di fronte a quella trappola mortale piena di fili. Lei la seguì a ruota. Profumava di mele, mentre Emma solo di paura.

Le sue dita forti e perfette sfiorarono quei fili con dolcezza.

«Swan, mi hai descritto questa trappola mortale alla perfezione, brava.»

«Mancano sei minuti e mezzo, Capitano, dovrebbe uscire da qui, senza di lei la nave non va avanti, soprattutto senza il suo prezioso vice Capitano, rinchiuso là dentro.»

Il Capitano strabuzzò gli occhi prima di fissare la porta dietro di loro.

«Non volevo metterla in imbarazzo di fronte a tutti dicendo che il responsabile di questo casino è la persona da cui è attratta o che ama... insomma quel che è. Se fossi sopravvissuta glielo avrei comunicato a quattrocchi, così da avere il tempo di metabolizzare da sola questo suo... errore di vedute.»

La bionda non aveva abbassato lo sguardo nemmeno una volta e dentro di lei montava un sentimento che ora galleggiava chiaro di fronte ai suoi occhi così come gli ultimi minuti che probabilmente le rimanevano da vivere. Per cui prese un unico profondo respiro.

«Io la rispetto, Capitano. Ma mancano pochi minuti e io non avrò altra opportunità di dirle queste cose, per cui mi ascolti solo un attimo. Nonostante la sua intransigenza, lei, in questa nave, mi ha fatto sentire a casa. Le sue attenzioni, le sue punizioni, mi hanno dato l'importanza che non ho mai avuto per nessuno. È una donna molto affascinante, bella, sexy e ha un sedere da sballo. Avrei solo voluto avere l'opportunità di dimostrarle che valgo davvero. Sia come soldato che come persona. Mi sarebbe piaciuto darle una soddisfazione, solo una, per saperla fiera di me, orgogliosa. Come io sono orgogliosa di averla avuta come maestra, nel lavoro e nella vita. Quindi grazie, Capitano Mills.»

Regina la guardò allibita mentre Emma, con mano ferma, riprese in mano le forbici con cui avrebbe tagliato quei fili di fianco a loro. Il petto della bionda andava su e giù in un respiro incontrollato e con un mezzo ghigno tornò al suo compito, sistemando il filo bicolore tra le lame delle forbici.

La mora fece trascorrere alcuni secondi, forse due, prima di prendere il viso della donna accanto a lei tra le mani. Le sistemò una ciocca di capelli che era sfuggito dal tiratissimo chignon con fare quasi materno e le sue dita le sfiorarono le labbra in un modo che di materno non aveva assolutamente niente. Emma a quel punto pensò di essere già morta: quelle labbra, a quella breve distanza, erano assolutamente inappropriate. Ma il Capitano la destò dai suoi pensieri posando le labbra sulle sue, ferme, decise, calde. Forse non ci sarebbe stata altra occasione per farlo, e il Capitano non voleva morire senza averla baciata almeno una volta, senza averle dimostrato che tutti i suoi tentativi di controllo verso di lei erano causati da questo.

Prese con forza il suo labbro inferiore prima di posare la fronte sulla sua e iniziare a parlare.

«La trattavo con strafottenza perché sono attratta da lei, da te, dal primo giorno che ti ho vista. Volevo baciarti da quando ti ho osservata salire la corda a una velocità che avrebbe battuto di gran lunga la mia quando avevo la tua età. Non era odio Emma, era desiderio, che non dovevo assolutamente provare. Ora taglia quel filo, Swan, non esitare con lui come ho fatto io con te fino ad ora.»

Emma deglutì a vuoto cercando di dare un senso alle sue parole.

Mancavano dieci secondi e li fece passare tutti prima di eseguire il comando del suo Capitano.

Non voltò nemmeno lo sguardo mentre pollice e indice destri facevano forza su quel filo, continuò a guardare quella donna di fronte a lei, mentre i loro occhi bruciavano di desiderio e paura.

Regina si specchiò negli occhi di Emma, Emma si specchiò negli occhi di Regina. Poi chiusero gli occhi insieme.

Entrambe avevano avuto l'opportunità di confessare quello che rappresentavano l'una per l'altra.

Pochi millesimi di secondo e il rumore delle lame delle forbici che si incontrarono di nuovo le fece trasalire, attendendo il momento della deflagrazione.

I toraci si alzarono e si abbassarono faticosamente e rumorosamente. Ma in quel momento, il rumore dei loro respiri era l'unica cosa che risuonava e rimbombava in quella stanzetta. Il bip fastidioso del timer era scomparso così come i numeri sullo schermo del telefono. Solo che loro non se n'erano ancora accorte. Avevano chiuso gli occhi e così erano rimaste, in attesa di quell'esplosione che avrebbe dovute ucciderle.

Ma nulla di tutto ciò accadde.

Fu il Capitano Mills la prima ad aprire gli occhi e a sbirciare con la coda dell'occhio la trappola di fianco a lei. Quando capì che avevano vinto, posò le sue labbra sulla fronte di Emma.

«Sapevo che ce l'avresti fatta, Emma.»

Sospirò il nome della donna davanti a lei sulla sua fronte, liberandosi dell'ansia e della tensione che aveva accumulato fino a quel momento. E quando anche Emma, finalmente, ebbe il coraggio di sollevare le palpebre, scostò il capo quel po' che bastava per trovare gli occhi lucidi e infuocati del suo Capitano che, per la prima volta nella sua vita, la guardava piena di orgoglio. Regina Mills era sempre stata orgogliosa di Emma, solo che non era mai riuscita a dimostrarglielo perché cedere su quella linea avrebbe significato peccare in debolezza e lei non poteva, non poteva mai. Ma quando vide nascere sul viso della donna di fronte a lei un enorme e riconoscente sorriso, non poté fare a meno di sciogliersi come neve al sole. Si sentiva completamente inerme, vulnerabile, feribile. Poi, gli occhi di Emma si riempirono di molte, molte lacrime e senza nemmeno accorgersene, se la ritrovò addosso, abbracciata a lei.

Emma singhiozzava tra le sue braccia e Regina ci mise qualche secondo a rispondere a quell'abbraccio liberatorio. Poi la cinse tra le sue calde e sicure braccia, con le mani che salivano di tanto in tanto alla testa e alla nuca, come a volere imprimere la sagoma di Emma addosso a lei, perché di certo quella sarebbe stata l'unica volta che tutto ciò sarebbe accaduto. Rimasero così per alcuni minuti, a liberarsi della tensione, ognuna come poteva, e a registrare come dei computer ogni battito, ogni respiro, ogni fragranza che ciascuna sprigionava e che trasmetteva all'altra.

Fu Regina la prima a staccarsi da Emma. Si guardarono insistentemente negli occhi per dei secondi che parvero interminabili e a Emma sembrò di leggere il suo nome in ogni loro riflesso.

Solo allora trovò la forza di alzarsi, di provare a reggersi di nuovo solo sulle proprie gambe e con le proprie forze. Regina aveva abbattuto il velo di odio nello sguardo che indossava sempre in presenza del sottufficiale Swan e quest'ultima si sentì denudata. La guardava come non era mai stata guardata e senza nemmeno pensare, le sue mani, che avevano aiutato il suo Capitano a riprendere la posizione eretta, la spinsero fino al tavolo situato a pochi passi da loro.

Regina reggeva lo sguardo della sua sottoposta in un modo che a Emma fece ribollire il sangue e non solo. Le sue mani tremavano, assieme al resto del corpo. Emma scrutò ogni piccolo dettaglio del viso, dagli occhi profondi, le ciglia lunghe, le gote rosse e le labbra gonfie e umide, abbellite da quella cicatrice di cui aveva sempre voluto conoscerne la provenienza. Era un gioco di sguardi, una danza di mani e corpi incollati l'uno all'altro anche senza un reale contatto.

Che arrivò. Il sottufficiale Swan posò con una lentezza estenuante le sue mani sui fianchi del suo Capitano e, con una facilità inattesa, la sollevò quel poco che bastava per farla accomodare su quel tavolo.

Regina pensò che fosse inappropriato, voleva dirlo a voce alta, voleva interrompere quella dolce e sensuale tortura, ma non ci riuscì. Riusciva solo a mettere le radici dentro allo sguardo di Emma, senza che lei facesse nulla per impedirlo.

Emma non aveva più il controllo di se stessa. Sentiva qualcosa alla bocca dello stomaco che la faceva stare fisicamente male e a niente servivano i suoi tentativi di autocontrollo. Così si infilò letteralmente tra le gambe del Capitano e, afferratole il bacino, la spinse contro il suo corpo. Le loro bocche erano quasi a contatto ma non si muovevano, semplicemente respiravano l'una il respiro dell'altra.

Poi Emma indietreggiò, abbassando lo sguardo.

«Perché?» Regina riuscì a dire solo quello mentre osservava la donna di fronte a lei allontanarsi.

Emma alzò un attimo lo sguardo, solo un attimo, prima di scorgere un'espressione di insoddisfazione sul volto del Capitano.

«Io...» provò a parlare, ma il fiato le mancava «mi scusi, non so cosa mi sia preso, è stato inopportuno e me ne rendo conto. Mi dispiace anche per ciò che le ho detto prima, ma ero fermamente convinta che sarei morta oggi. Qui, con lei.»

Si passò le mani tra i capelli mal raccolti e Regina pensò che tormentata fosse ancora più sexy.

«Emma» scandì ogni singola lettera del suo nome, con tono basso, languido, seducente.

E il corpo di Emma lo percepì.

La guardò di nuovo.

«Prima ti ho baciata, non lo trovi inopportuno?» inclinò un po' la testa di lato prima di scivolare sul pavimento e muovere piccoli passi verso di lei.

«Ho detto che ti trovo attraente, ho detto che ti ho desiderata dal primo giorno che ti ho vista, quanto è inopportuno ammettere queste cose per un Capitano, Emma? Per me.»

I suoi passi la portarono fino allo spazio personale di Emma, superandolo, riempendolo, togliendo all'altra quell'aria necessaria al mantenimento della lucidità. Ma il sottufficiale l'aveva persa nel momento in cui aveva aperto la sua bocca per confessare qualcosa che non sapeva nemmeno di aver impresso nella sua memoria, marchiato sotto la pelle.

Il brusio della radio interruppe quel gioco di seduzione.

«Capitano, va tutto bene?»

Il Capitano, impassibile, si abbassò quel tanto che bastava ad afferrare il ricevitore della radio.

«Ci sono, ci siamo. Venite a prendere questi due delinquenti e dopo averli rinchiusi, buttate via la chiave.»

Emma fissava i lenti movimenti delle sue labbra che mai più avrebbe potuto osservare a quella distanza così ravvicinata ma il suo cuore parve rallentare, calmarsi, tornare a far scorta di ossigeno che quella donna di fronte a lei le aveva tolto. Regina, al contrario, era innervosita dal fatto di essere stata interrotta.

«Riprenderemo questo discorso, sottufficiale Swan, non ne dubiti.»

«Sì, signor Capitano.»

Rispose in modo automatico, tornando sull'attenti. Non aveva nemmeno sentito le parole di Regina, voleva solo andare a farsi una doccia fredda fino a che tutta quella tensione non fosse scomparsa.

 

I giorni seguenti Emma Swan fu sollevata da ogni incarico. Passava le sue giornate nella palestra della nave, in attesa di nuovi ordini da sua maestà il Capitano Mills che, quando incrociava il suo sguardo, la ignorava in modo eclatante. Emma era disturbata da questo atteggiamento, dopotutto era stata lei a baciarla, ma ne era anche sollevata perché non avrebbe saputo come affrontare il suo sguardo... eppure quel bacio lo sentiva ancora sulle sue labbra, caldo, controllato, quasi un assaggio di quello che, in un'altra occasione, sarebbe potuto diventare. Emma aveva immaginato molteplici conseguenze dove quel bacio non era che il principio dei preliminari, l'annuncio di un'opera teatrale, la prefazione di un libro, l'intro di una canzone.

Ci pensava e voleva smettere di pensarci, così indossava i guantoni e colpiva con forza ogni pensiero proibito, ogni remake di quel bacio, ogni parola che aveva sentito, assaporato, concretizzato in quei dieci minuti di follia con Lei. Come un dannatissimo dejà vù.

Solo la notte diventava complicato sfuggire a questo tormento. Non c'erano sacchi da colpire e gli sguardi insistenti dei colleghi durante il giorno, che la fissavano come se fosse stata affetta da una malattia contagiosa, non la aiutavano. Sentiva il giudizio di tutti addosso e soprattutto, era convinta che il suo viso lasciasse trapelare ogni parola, scena o emozione vissuta quel giorno.

Paura ed eccitazione.

Incredibili e incontrollabili paura ed eccitazione.

Su quel sacco colpiva l'immagine del suo viso e del suo Capitano, troppo vicini da sentire il proprio respiro, troppo lontane per toccarsi davvero.

Regina aveva deciso che per Emma fosse più opportuno non avere compiti di rilievo. Era stata la prima vera operazione rischiosa e sapeva bene quanto questo potesse cambiare una persona, lei stessa l'aveva vissuta molte volte. Ignorava volontariamente la sua sottoposta perché desiderava ardentemente che raggiungesse il massimo della sopportazione, come era successo a lei molte e molte volte.

Cinque giorni di riflessione potevano bastare. Regale come la sovrana di un regno lontano, allineava i piedi uno di fronte all'altro, facendo ticchettare le décolleté che portava ai piedi. Il cappello metteva in ombra solo per metà i suoi occhi, mentre chi la incrociava si fermava, come ipnotizzato.

Entrò nella sala adibita a palestra e, sfruttando il fatto che Emma non l'avesse ancora vista, rimase qualche minuto a fissare quella donna che, con la sola forza delle braccia, sosteneva tutto il suo peso fin sopra una sbarra. Per tante, tante volte. Il corpo della giovane era umido e brillava di sudore, mentre i capelli raccolti le scoprivano il viso arrossato e affaticato. Teneva gli occhi chiusi Emma, concentrata. Addosso un top corto mostrava il suo addome piatto e muscoloso e dei pantaloni stretti e aderenti evidenziavano ogni muscolo dalla vita in giù.

«Sottufficiale Swan.»

Disse improvvisamente, spaventando la sottoposta che si lasciò andare all'improvviso, cadendo sui propri piedi.

Lo stomaco di Emma tremò e Regina se ne accorse. Si guardarono dallo specchio in fondo alla parete, e dopo aver deglutito rumorosamente, Emma, ansimante per lo sforzo dell'allenamento, si voltò per compiere il solito saluto.

«Riposo, Swan» disse in modo severo e deciso.

Emma guardò la parete dietro il suo Capitano, evitava in ogni modo il suo sguardo che l'avrebbe di certo messa in soggezione.

«La aspetto tra venti minuti nel mio ufficio, dobbiamo parlare» camminò fino a raggiungerla. Le girò intorno, come un'ape attorno al suo fiore. Emma trattenne il respiro.

«Ha il tempo per una doccia, se vuole, ma può raggiungermi anche così.»

«Sì, signor Capitano» esclamò Swan con voce ferma.

Apparentemente ferma. Dentro si sentiva letteralmente morire, sommersa dal mare di domande che inevitabilmente si stava ponendo.

Cosa voleva da lei quella donna? Magari voleva semplicemente avvisarla che doveva rientrare a svolgere le sue mansioni. Che volesse parlarle di quel bacio? O di quello che si erano dette?

Quando ancora si sentiva il ticchettio dei suoi tacchi fuori dalla palestra, Emma volò fuori direttamente nella sua cuccetta, in preda a un'agitazione che non aveva provato nemmeno quando aveva rischiato di morire. La doccia non aiutò a lavar via da lei la sensazione di impotenza ed eccitazione che si sentiva addosso ogni volta che incrociava il suo capo e sperava che, qualunque cosa fosse accaduta dopo questo incontro, sicuramente si sarebbe concluso.

Indossò la sua divisa beige, avendo cura di non sgualcirla: sapeva bene quanto il Capitano amasse l'ordine.

Un passo dietro l'altro, respirava a pieni polmoni, cercando di far scorta di ossigeno... quell'ossigeno che di sicuro le sarebbe mancato in quella stanza, con Lei.

Bussò.

«Avanti» sentì poco dopo.

Abbassò la maniglia e spinse la pesante porta. Superata la soglia, vide il Capitano dietro la sua scrivania, con gli occhiali a mezzo naso e un rossetto rosso, così rosso da non riuscire a smettere di fissarle le labbra.

Indecente. Ecco cos'era.

Regina sogghignò di fronte alla reazione del sottufficiale, poi si alzò e ordinò alla giovane di rilassarsi e sedersi sulla poltroncina di pelle rossa accanto alla scrivania.

Emma ubbidì.

Regina la raggiunse poco dopo, di fianco a lei. Emma continuava a fissare la foto del Presidente degli Stati Uniti sulla parete dietro la scrivania, come se fosse l'apparizione di qualche santo: tutto pur di non guardare negli occhi quella donna.

«Emma, guardami per favore» disse con voce bassa e roca.

La saliva del sottufficiale attraversò con fatica quel breve tratto anatomico che andava dalla bocca alla faringe, semplicemente perché il cuore, che pompava velocemente e ritmicamente il sangue, era diventato come un tamburo nel suo petto, che le doleva. Era una spina... Anzi no, un martello, una pressa. Emma semplicemente aveva seria difficoltà a compiere qualunque azione e sicuramente guardare il suo Capitano a quella distanza era la più complicata.

«Signor Capitano, non posso obbedire, mi perdoni» si alzò. Spalle dritte, nervi tesi. Percorse a ritroso il tragitto che aveva fatto poco prima. Poi si fermò e la guardò dritta negli occhi.

Regina si alzò in piedi nel momento in cui incrociò gli occhi della bionda che, con le pupille totalmente dilatate, avevano assunto sembianze quasi diaboliche.

«Le sto così antipatica?»

Regina sapeva di confondere la giovane Emma Swan, sapeva che bastava respirarle addosso per farle perdere la ragione, ragione che lei stessa aveva perso da un pezzo. Così, la raggiunse nuovamente e le afferrò le mani, guidandole dove lei voleva. Voleva che la toccassero, che sentissero quanto aveva bisogno di metter fine a quell'equilibrio instabile. Posizionò le mani di Emma sui propri glutei... visto che quello era la parte del suo corpo che preferiva. Poi, le lasciò andare. Arretrava mentre il corpo di Emma si sporgeva verso il suo.

Le mani della mora accarezzavano delicatamente le proprie gambe avvolte dai collant mentre indietreggiava, senza mai mollare la presa dagli occhi della bionda che tuttavia faceva danzare i propri occhi tra quelli di Regina e le sue mani che si muovevano in modo spudorato sul suo stesso corpo. Risalirono il loro contorno sotto la gonna bianca, esibendo il pizzo delle autoreggenti color carne. Indugiò ancora verso l'alto, fino a quando un microscopico slip dello stesso colore delle calze scivolò sul pavimento. Se ne liberò sollevando di poco prima un piede e poi l'altro e si sedette sul tavolo, sollevando un po' la gonna e accavallando le gambe.

Lo sguardo di Emma passava dagli slip alle gambe alla bocca, doveva essere sicuramente un sogno.

Quella donna era il diavolo in persona e se avesse ceduto sarebbe finita dritta all'inferno.

«Capitano...» era un sussurro.

A Regina non importava quanto Emma soffrisse o si sentisse in colpa o fuori posto. Lei la voleva e otteneva sempre ciò che desiderava, questa volta non sarebbe stato il contrario.

«Avvicinati a me, Swan, è un ordine.»

Pronunciò queste parole con voce bassa e severa. Emma mosse due passi veloci verso di lei e la raggiunse, senza pensare più alle conseguenze di quella decisione che lei non era cosciente di aver preso. Le sue mani raggiunsero immediatamente le gambe del Capitano, che si aprirono a lei senza indugio, permettendole di posizionarsi tra di esse, come era successo pochi giorni prima.

«Perché mi sta facendo questo, Capitano...» Emma aveva perso la capacità di ragionare. Guardava quella donna che si stava concedendo a lei senza saperne il motivo, mentre con le mani, mosse ancora verso l'alto la gonna, raggiungendo così il muscoloso e perfetto fondo schiena di Regina..

«Di' il mi nome, Emma...»

«Signor Capitano...»

«Emma, per favore...»

«Regina...»

Finalmente, le sue richieste vennero esaudite. Col cuore galoppante, spostò le sue mani sul viso dell'altra che cercò inutilmente di scansarsi. Continuava ad avere paura di lei. Ma era una cosa reciproca. Per quanto si sforzassero di trovare la parte positiva della questione, per quanto cercassero una sola via d'uscita a quella follia, nessuna delle due ne aveva trovato una.

Dalle gote della sua sottoposta, quelle forti mani si spostarono sui capelli che Emma aveva raccolto, come al solito, in una solida crocchia all'altezza della nuca, per tenere i capelli fermi e ordinati. Maneggiò quella matassa bionda e ne estrasse quattro forcine che tenevano fermo il tutto. I capelli ancora umidi di Emma caddero leggeri sulle sue spalle mentre un delicato profumo di cannella raggiunse le narici di Regina.

Emma teneva le mani ferme sul sedere della donna di fronte a lei, ammirando quei precisi e sensuali gesti delle sue mani che la toccavano come se fosse di cristallo: lenta, precisa, possessiva. Tremava come una foglia. Poi, Regina le scoprì una parte del collo spostando tutti i capelli dal lato opposto e prima di posarvi le labbra ammiccò, sollevando un sopracciglio. Nel medesimo istante in cui le labbra sfiorarono la pelle della bionda, il corpo di Regina fu avvicinato violentemente a quello di Emma, per permettere più facilmente l'adesione dei due corpi. I due bacini erano a stretto contatto mentre la mora faceva suo quel collo diafano.

Con gli occhi chiusi e il fiato corto, Emma muoveva le mani senza sapere cosa fare, dove andare, cosa toccare. Sentiva solo la necessità fisica che quel corpo divino che giaceva di fronte a lei, fosse al più presto libero da ogni minima copertura. Il bisogno del contatto sul palmo delle sue mani divenne insopportabile tanto da avere necessità di scansarsi, di nuovo. Fece due passi indietro, prendendo un profondo respiro.

Gli occhi di Regina diventarono due fessure. Sbigottita da quel gesto, si inumidì le labbra con la punta della lingua prima di chiamare di nuovo il nome della donna di fronte a lei.
«Emma» disse a fior di labbra.

Emma sussultò di nuovo nel sentire pronunciare il suo nome in quel modo.

Era confusa e spaventata. Quello che voleva fare avrebbe messo a rischio la sua intera carriera e questa era l'unica cosa che le rimaneva. Ne sarebbe valsa la pena? Il Capitano l'avrebbe spedita dall'altra parte del mondo? Se qualcuno l'avesse scoperto, che cosa avrebbe detto?
Regina, tornata nuovamente con i piedi per terra, davanti alla sua scrivania, temeva di vedere quella donna fuggire via, togliendole quella possibilità di un confronto, per lo meno verbale, di cui lei aveva estrema necessità. Respirò a fondo.

«Parlami, per favore.»

«Non saprei cosa dire, Signora» rispose Emma poco dopo, con voce flebile.
«Che cosa senti?»

A questa domanda, Emma preferì non rispondere. Si tormentava le mani e i capelli, cercando le forze per uscire da quella stanza: invano.

«Allora te lo dico io» con due passi la raggiunse, facendo in modo di non invadere nuovamente il suo spazio privato, ma sistemandosi abbastanza vicina da permettere alle sue mani di sfiorarle il viso e i capelli.

«Ho paura. Ho avuto una dannata paura di perderti durante l'esplosione. Ho avuto paura che quei due trogloditi potessero farti del male e no, Hood non è mai arrivato nemmeno lontanamente accanto a me, in nessun senso» le sistemò i capelli, spingendoli dietro le spalle di Emma che stava rigida e con le braccia conserte ora, in attesa di quella parola che l'avrebbe fatta cadere ai suoi piedi, come la più stupida delle adolescenti.

«Hai un profumo così buono e sei così... bella... » abbassò la testa, imbarazzata. Emma non riusciva a credere di aver di fronte a sé il suo Capitano imbarazzato.

«E non so davvero cosa mi porti a volerti in questo modo, per questo ne vorrei discutere con te, per questo vorrei capire se e quanto la pazzia che mi ha colpito, appartenga anche a te» alzò la testa quel poco che bastava per guardarla nuovamente negli occhi.

«Noi non possiamo, Signor Capitano» disse di rimando Emma. Lo sguardo di Regina si contrasse di dispiacere poco prima di correggersi.

«Regina, volevo dire. Lei è il mio Capitano e io... non posso mettere a rischio la mia carriera per questo momento di... » parve pensarci qualche momento «... pura follia.»

«Il mio momento di follia verso di te dura da cinque anni ormai» disse con sguardo triste e consapevole. Poi fece un passo indietro e dopo un altro, prima di sedersi nuovamente sulla poltroncina poco lontana.

Finalmente la bionda tornò a respirare. Si tormentava per lei da cinque anni? Come aveva fatto a resistere? Come aveva fatto a sopportare? Come era potuto succedere?

Nessuno aveva mai pensato a lei per così tanto tempo, nessuno si era mai interessata a lei da lontano semplicemente per rispettare la sua crescita personale e la sua carriera.

Il Capitano Mills era il personaggio più misterioso, severo e irraggiungibile che avesse mai visto. Aveva un viso diabolicamente sexy e un corpo che parlava da solo. E anche ora, mentre tornava a darsi un contegno, continuava a rimanere l'essere umano che rispettava di più al mondo, anche più di se stessa.

«Come... io... mi dispiace, non avevo idea» furono le uniche parole che riuscì a dire.

Regina voltò lo sguardo amaramente, tornando ad accavallare le gambe. Come aveva potuto innamorarsi di una sua sottoposta? Erano anni che se lo chiedeva e tutte le volte che aveva provato qualche approccio verso di lei, il tutto si era concluso con un niente di fatto vista la rabbia che montava nel momento in cui si avvicinava a lei e si faceva strada la consapevolezza che non doveva volerla, non doveva desiderarla, non doveva amarla. Avvolta nella divisa beige, vedeva chiaramente il petto alzarsi e abbassarsi velocemente e fu allora che capì: se voleva avere una risposta, doveva andare a prendersela. Emma la rispettava troppo per fare anche solo mezzo passo verso di lei, la temeva.

E la voleva.

Era così, la voleva esattamente come lei.

«Signor Capitano, lei non sa come mi sento ora. Lei non sa come mi sono sentita quando mi ha baciata la settimana scorsa.»

«No Emma non lo so, perché non provi a spiegarmelo?»

Gli occhi del sottufficiale Swan si velarono di lacrime, che lei subito nascose posando il dorso della mano su di essi.

«Mi sono sentita ferita e tradita. Ma anche sollevata, perché capivo il suo odio verso di me.»

«Odio? Ma io...» cercò di aggiungere il Capitano, ma fu interrotta di nuovo.

«Lei ha preferito nascondere quello che c'è in questa stanza piuttosto che mettere a rischio me, me in primis, perché lei è arrivata in cima ai suoi desideri, ma io no, io ero all'inizio. Lei è stata ferma, con un autocontrollo degno del miglior militare quale è appunto e senza di lei non sarei quello che sono ora. Ha preferito odiarmi piuttosto che cedere ai suoi istinti.»

«Non sono solo istinti, Emma!»

«Lo so. Per questo voglio ringraziarla. Nessuno mai aveva fatto una cosa simile per me.»

«Emma perché hai così paura?»

«Perché non voglio perdere l'unica certezza della mia vita!»

«Non staremo per sempre in questa nave, la vita vera sta sulla terraferma.»
«La mia vita è qui. Mi sento viva solo quando lavoro, quando lei mi urla contro, quando imparo qualcosa!»
Se voleva imparare, Regina Mills le avrebbe insegnato anche qualcos'altro. Si rimise in piedi, ignorando totalmente i segnali del corpo inviati dalla sua sottoposta. Di fronte a lei, specchiandosi in quegli occhi color del mare, quel mare che tanto amavano, sciolse le braccia con cui Emma si proteggeva e con delicatezza e lentezza, aprì quei piccoli bottoncini della camicia, uno a uno.

«Allora impara anche questo, Emma» si sporse a sfiorarle le labbra.

«Impara che esistono anche i desideri e i sentimenti» la baciò di nuovo, spostandosi sulle gote e sugli occhi umidi di lacrime dell'altra che, inavvertitamente, spostò le sue mani sui fianchi del Capitano.

«Impara che ci si può sentire vivi anche così» le sfilò la camicia e Emma non fece nulla per fermarla.

«Impara che la vita è una sola» si fermò un attimo solo per ammirare quel seno sodo circondato da un reggiseno color carne, senza pizzi.

Poi portò le mani sul fianco sinistro e abbassò la zip della gonna, che cadde a terra, lasciando Emma solo in biancheria intima.

Regina avrebbe voluto ammirarla, guardarla, baciarla in ogni punto del suo corpo, ma non voleva staccare lo sguardo dal suo perché se ci avesse anche solo provato, Emma sarebbe di certo fuggita: doveva dimostrarle che lei era già dentro i suoi occhi e più in profondità.

Emma si sentì protetta e rassicurata da quegli occhi scuri. Non aveva vestiti addosso ma lo sguardo di quella donna la faceva sentire al sicuro come mai prima.

«Baciami, Emma, so che lo vuoi.»

«Il fatto che lo voglia non significa che sia giusto.»

Le sue parole la allontanavano ma il suo corpo la attirava a sé, cingendola per la vita e solleticando la pelle della schiena sotto la camicia candida.

Il Capitano deglutì e un lampo raggiunse gli occhi di Emma, così le sue labbra furono su quelle della mora. Le assaporò, le torturò, le fece sue mentre la spingeva di nuovo indietro, verso la scrivania, unica superficie orizzontale della stanza. La camicia bianca del Capitano sparì, insieme ai bottoni, strappati con forza dalla bionda.

Né l'una né l'altra avevano mai toccato il corpo di un'altra donna, ma le loro mani trovarono ogni punto debole dell'altra, incatenando i loro corpi in una danza che ricordava tanto il movimento delle onde del mare. Dapprima lentamente, poi rapide, violente, travolgenti come in caso di tempesta. Ed è così che si sentivano, in tempesta. Col cuore impazzito, la mente farneticante e la pelle dei loro corpi impregnata l'una della fragranza dell'altra, si guardavano senza sapere dove quella tempesta le avrebbe portate, se in salvo a riva o giù, sul fondo del mare, nel profondo e freddo oceano dove erano solite navigare.

Regina avrebbe potuto saziarsi di Emma soltanto posandole lo sguardo addosso perché ogni volta che la bionda sprofondava in lei, sentiva che la sua unica chance di sopravvivenza erano proprio quegli occhi, che facevano l'amore con i suoi. Il suo respiro non era sufficiente a dar ossigeno al suo corpo, scosso da tremiti e imprigionato dal corpo di Emma, che giaceva sul suo.

Emma voleva morire in quell'istante, dentro di lei, perché nel momento in cui tutto sarebbe finito, non sarebbe sopravvissuta al doloroso distacco che era certa ci sarebbe stato. Solo quando la mano del Capitano riuscì a trovare spazio tra i due corpi e scivolare in lei, allentò un attimo la presa dal suo corpo ma non dagli occhi scuri del suo Capitano. No, quelli non li lasciava mai. Quelli, da soli, erano un orgasmo continuo. E al Capitano servì davvero poco per soddisfare la sua sottoposta, che rimase in piedi solo grazie alle braccia della mora che la tenne ben salda contro il suo corpo.

Regina posò un altro bacio sulle labbra di Emma prima di circondarne il collo con le braccia e affondare il viso tra i suoi capelli. Emma la imitò.

Rimasero ferme, cercando di riprendere fiato, per alcuni minuti. Fu Regina a rompere quel silenzio.

«Sottufficiale Swan, tra tre mesi la nostra missione sarà finita, mi piacerebbe invitarla a cena, se per lei non è un problema» sussurrò queste parole all'orecchio della bionda che, spaventata, tornò a fissare gli occhi scuri di Regina, per accertarsi che non stesse scherzando.

No, non stava scherzando.

«E fino ad allora, dovrò ignorarla?» aggiunse Emma in tono sarcastico.

Regina rise di gusto e la sua risata gutturale invase la stanza, facendo tremare lo stomaco di Emma.

«Fino ad allora potremmo bere dei caffè. Mentre tu obbedisci ai miei ordini, sia chiaro.»

Emma arrossì e sorrise e quel sorriso portò Regina nel pianeta Emma Swan, quello che si era costruita negli ultimi cinque anni e dove faceva capolino una volta ogni tanto, quando decideva di farsi del male, quando immaginava che i sorrisi che Emma raramente regalava ai propri colleghi, fossero in realtà per lei. Era lì che Regina amava stare, e si stupì nel vedere come ora, quel pianeta, fosse esattamente tra le sue braccia.

 

 

Note dell'autrice: ciao a tutti :)

Io sono una che mantiene sempre le promesse U_U

Voglio che siate particolarmente critici, questa è la seconda storia che scrivo in terza persona e francamente non pensavo di riuscirci perché mi immedesimo molto meglio quando racconto con gli occhi dei protagonisti.

Due persone hanno già letto questa OS: la mia metà, che ha commentato con “è la più bella che tu abbia scritto fino ad ora” (capisco che sia molto di parte) e ha continuato a nominarmela per tutto il fine settimana, come un'invasata :O

L'altra persona che ha letto e betato è la mia fidata Nadia (alias _Gilestel_ , che ha recentemente aggiornato la sua ff... vi consiglio di andare a leggerla perché merita davvero. Mi ha anche promesso che per il prossimo capitolo non dovremo aspettare i prossimi 5 mesi :) ) che ha più o meno confermato il parere precedente.

Sperando di avere la stessa reazione anche da parte vostra, vi ringrazio in anticipo per il tempo che mi concederete per leggerla :)

 

A presto :)

  
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