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Autore: LadyBones    06/07/2016    5 recensioni
Dal testo:
[...] "Speravo di trovarti qui..." sussurrai semplicemente, ignorando appositamente il rumore del mio cuore rimbombarmi nelle orecchie.
Lanciai appena un'occhiata nella sua direzione e vederlo restare immobile in quel modo mi fece capire che - no - quello non era assolutamente da prendere come un buon segnale. Quando lo vidi voltarsi nella mia direzione e puntare i suoi occhi chiare su di me, mi ritrovai a trattenere involontariamente il respiro. [...]
Genere: Angst, Commedia, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'We Are All Lost Stars Trying To Light Up The Sky'
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Avevo perso molte persone nella mia vita, il che era assurdo visto e considerato che aveva appena ventiquattro anni. E, nonostante la mia giovinezza, potevo affermare che – probabilmente – le perdite improvvise erano quelle meno dolorose.

Non fraintendetemi, dover dire addio a mio padre era stato qualcosa di straziante. La sua scomparsa aveva squarciato il mio cuore, lasciando solo brandelli di carne impossibili da ricucire. Quella ferita sarebbe rimasta lì con me per sempre e – chissà – con il tempo magari avrebbe finito per fare meno male, o forse no.

Tuttavia, per quanto il dolore fosse stato devastante aveva aiutato il fatto che fosse successo all’improvviso. Nessuno avrebbe mai potuto prevederlo realmente. Certo, il suo lavoro implicava determinati pericoli, ma quello era uno giorno come tanti altri e nessuno avrebbe mai potuto immaginare ciò che sarebbe successo.

Poi, però, c’erano quelle perdite che avvenivano lentamente. Nessun effetto sorpresa, ma la semplice consapevolezza che da un momento all’altro avresti dovuto direi addio alla persona che amavi. L’attesa – ecco, lei aveva la capacità di distruggerti più della perdita stessa. Tu eri lì e non c’era niente che potessi fare per impedire l’impossibile.

L’attesa era la cosa che più odiavo in assoluto.

Avevo dovuto attendere mesi prima di veder mia madre arrendersi. Ero troppo piccola per poter fare qualsiasi cosa, ma sembrava che allora neanche gli adulti avessero capacità migliori delle mie. Non avevo potuto fare altro che vederla spegnersi uno giorno alla volta. Era stato disumano.

Quando pensavo di aver finalmente chiuso il capitolo degli addii, era comparsa Charlie. Ci avevo provato a non farmi coinvolgere dalla sua esuberanza, ma lei aveva finito per vincere e io mi ero ritrovata – due anni più tardi – a vederla scomparire dietro la porta del gate numero 4.

E, poi, era stato il turno di Bucky, l’ultima persona al mondo a cui avrei anche solo potuto immaginare di affezionarmi. Quella volta avevo fatto un errore da vera principiante: sottovalutare il potere dell’umanità. Non avevo neanche provato a tenerlo lontano, no, perché ero fermamente convinta di non correre nessun rischio. In quel modo, invece, gli avevo praticamente concesso libero accesso. Era stato assurdo da parte mia illudermi di uscirne indenne. Avevo lasciato che si fidasse di me, ma senza rendermi conto della realtà e cioè che io per prima avevo finito per fidarmi di Bucky.

Mi ritrovavo, così, di nuovo nella stessa situazione delle volte precedenti. Dovevo dire addio a qualcuno che proprio non volevo uscisse fuori dalla mia vita.

Ero abituata a vedere la gente andar via? Sì, lo ero ma questo non rendeva le cose più facili perché, ancora una volta, io non ero pronta. Ero praticamente preparata a tutto – persino ad un’apocalisse zombie – ma non a quello, dannazione a me. Ormai era troppo tardi per fare qualsiasi cosa, così, mi ero messa ad aspettare.

All’inizio lo avevo fatto nella mia camera, seduta al centro del letto e il peluche appoggiato sulle mei gambe. Bucky, invece, era nella sua camera a raccogliere le sue cose e ci stava impiegando una vita. Insomma, era un uomo e in più aveva – occhio e croce – quattro cose contate da prendere, eppure ci stava mettendo un’eternità. Non che avessi tutta questa fretta di vederlo andare via, ma tutta quell’attesa mi stava tormentando. Gli avrei concesso ancora altri cinque minuti e poi sarei andata a controllare quello che stava combinando, sì.

Al diavolo… sussurrai lanciando il peluche sulla poltrona vicino alla finestra balzando, subito dopo, in piedi.

Cinque minuti sarebbero potuti essere troppi, pensandoci. Mi bastò varcare la soglia della mia camera per sapere per quale motivo ci stava impiegando così tanto. Era seduto sul bordo del letto, lo zaino ai suoi piedi e il diario che gli avevo regalato tra le mani. Aveva la testa inclinata verso il basso, quindi non potevo perfettamente vedere la sua espressione. Fu, così, che mi feci coraggio e lo raggiunsi sedendomi al suo fianco.

Credi che sarà contento di vedermi?

Hai dubbi al riguardo? Sei il suo migliore amico.

Quella persona dubito che esista ancora, o per lo meno non è la stessa che potrebbe ricordare lui.

Vorrà dire che vi aiuterete a ricordare a vicenda.

E se non gli piacesse la persona che sono adesso?

Fino a quando resterai qui non potrai mai saperlo…

Mi era costato tanto – molto – dire quelle parole, ma non avrei potuto fare altrimenti. Non avrei mica potuto tenerlo lì con me per sempre, quello si chiamava rapimento. Certo, non che lui si fosse mai lamentato a riguardo e per giunta mi aveva seguito di sua spontanea volontà. Questo, però, non significava che non mi sarei sentita in colpa. Avrei potuto decidere di essere egoista in quel momento, ma sembrava che dopotutto non fossi una così brutta persona. Preferivo mettere lui e ciò di cui aveva bisogno al primo posto, a me ci avrei pensato dopo.

Bisognava ammettere che avesse fatto degli enormi progressi da quando le nostre strade si erano incrociate. Adesso, però, quelle due strade avrebbero dovuto separarsi perché lui aveva bisogno di percorrere quella in direzione di Steve – ammettiamolo, lui era l’unico e il solo che avrebbe potuto realmente aiutare Bucky, lui lo conosceva da una vita intera. Ciò non voleva assolutamente dire, però, che le nostre strade non avrebbero finito per incrociarsi ancora. Un giorno, magari.

Restava solo un ultimo passo da fare e sembrava che, ancora una volta, toccasse a me incoraggiarlo. Mi ritrovai, così, a sollevarmi dal letto e provai a sorridere ma quello che uscì fuori fu qualcosa di molto più simile ad una smorfia. Lui finì per seguirmi a ruota, come previsto. Restammo uno davanti all’altra a fissarci, un solo passo di distanza a separarci.

Sta attento là fuori.

E tu cerca di non cacciarti in qualche guaio mentre sono via.

Farò del mio meglio, ma non ti assicuro niente.

Sorridemmo entrambi, consapevoli che c’era un’alta probabilità che io finissi in qualche guaio nell’immediato futuro. Il che era triste, a pensarci. Persino il Soldato d’Inverno ci teneva a ricordarmi di rigare dritto, insomma, dovevo davvero essere un caso disperato. Questa volta avrei provato a metterci un po’ di impegno in più. Nonostante tutto, però, mi era piaciuto il modo in cui lo aveva detto. Mentre sono via… sì, aveva detto proprio così.

Mi morsi il labbro inferiore leggermente indecisa sul da farsi, fino a che non mi decisi. Accorciai la distanza che ci separava e allaccia le braccia intorno al suo collo. La prima volta che lo avevo abbracciato lui era rimasto immobile – pietrificato – e io mi ero scostata come se scottata. Adesso, invece, ero rimasta lì e lui aveva finito per ricambiare la stretta, allacciando le sue braccia intorno alla mia vita.

Grazie per avermi dato lezioni di auto difesa.

Avevo sorriso divertita  e credo che abbia finito per sorridere anche lui, nonostante in quella posizione non fossi in grado di vederlo in volto.

Credo di dover essere io ringraziarti.

Per cosa?

Per avermi trattato come una persona. Era da molto tempo che qualcuno non era così gentile con me…

Era stato un po’ come ricevere un pugno nello stomaco, perché all’improvviso mi sembrava di non riuscire più a respirare tanto bene. Mi scostai appena, quel tanto che mi permetteva di guardarlo negli occhi – le mani poggiate ancora sulle sue spalle. Non ero riuscita a dire nulla, niente di niente. Era stato come se la mia mente avesse subito un blackout. Nessuno mi aveva mai realmente ringraziato per qualcosa, figuriamoci per essere stata gentile con qualcuno. Avevo avvertito gli occhi inumidirsi, ma ero riuscita a trattenere le lacrime per un puro colpo di fortuna.

Sapevo che avrei dovuto lasciarlo andare, era arrivato il momento. Ciò nonostante, nessuno dei due aveva ancora avuto il coraggio di allentare la presa. Sembrava un po’ come se fossimo finiti all’interno di una bolla incredibilmente confortevole che nessuno dei due voleva rompere. Mi ritrovai, così, a prendere coraggio e feci un passo indietro. Di solito ero io quella a cui era destinata la prima mossa, ma risulta difficile fare qualsiasi cosa quando a bloccarti è un braccio di metallo.

Sollevai lo sguardo nella sua direzione non appena avvertii la sua presa farsi un po’ più stretta. Non so neanche se fosse possibile, ma sembrava che fossimo molto più vicini di quanto non lo fossimo un attimo prima. Vorrei poter dire che in quel momento avevo il pieno controllo della situazione, e che non fosse il mio cuore che avesse preso a battere in quella maniera assordante. Se lo avessi fatto, però, avrei mentito. Dopo tutto il tempo trascorso insieme, quella era l’unica volta – forse – in cui era lui ad avere il controllo. E una parte di me stava odiando quella situazione.

Beh, per lo meno fino a quando non avevo sentito le sue labbra sulle mie. Dio – stavo cercando di capire come diavolo fossimo arrivati a quel punto, ci stavo provando davvero ma il tutto mi risultava alquanto difficile in quel preciso istante. Sapevo che tecnicamente quel bacio non era propriamente corretto, ma… ma, al diavolo, probabilmente non l’avrei visto mai più e quelle labbra erano dannatamente morbide. Le mie non sarebbero riuscite a essere così soffici neanche grazie all’effetto di tonnellate di burro di cacao.

E fu, così, che - anziché fare la cosa più sensata e posare la mia mano sul suo petto per interrompere quel contatto – spostai le mie dita dalla spalla tra i suoi capelli ricambiando quel bacio. Avevo schiuso le labbra quel poco che bastava per lasciargli libero accesso alla mia bocca. Quel bacio era stato veloce e lento, tenero e passionale allo stesso tempo. Era stato il tutto e il niente, tanto intenso da avvertire le ginocchia tremare. Nessun altro bacio aveva avuto lo stesso effetto – era stato inebriante.

Purtroppo, però, tutte le cose sono destinare a finire – come quel bacio. Avevamo fatto entrambi un passo indietro, il respiro affannoso e lo sguardo puntato ovunque purchè non sulla persona che ci stava davanti. Nessuno dei due disse niente, insomma, sarebbe stata difficile dire qualsiasi cosa dopo quello che era successo. Bucky si piegò ad afferrare lo zaino portandoselo – subito dopo – sulla spalla, il diario in mano. Mi lanciò un’ultima occhiata prima di avviarsi in direzione dell’uscita di quell’appartamento. L’unica cosa che riuscì a fare fu sospirare senza mai staccare gli occhi dalla sua schiena.

Era a qualche passo dalla porta quando, improvvisamente, mi risvegliai dal torpore in cui avevo finito per sprofondare.

Aspetta un attimo…

Lo avevo detto forse con un po’ troppa enfasi, mentre percorrevo il corridoi. Ero riuscita ad afferrare una penna al volo e – accorciata la distanza tra di noi – presi il diario tra le sue mani. Lo aprì su una pagina a caso, senza prestare realmente attenzione al fatto che vi avesse già scritto sopra oppure no. Infilai il tappo in bocca, la penna in una mano e scrissi sotto il suo sguardo incuriosito.

- Ricordati di me... -

Quella fu l’ultima volta che vidi Bucky.
 
 
 

***

 
 
 
Dovevano essere passati, sì e no, un paio di giorni da quando quella mia folle avventura era giunta al termine e io ero tornata alla mia solita vita. D’accordo, per la precisione erano passati quattro giorni, tredici ore, dieci minuti e qualche manciata di secondi. Non che stessi lì a contarli, ovvio. Insomma, chi farebbe una cosa del genere?

Dio, non ero neanche capace a prendermi in giro da sola. Il fatto era che Bucky aveva finito per mancarmi molto di più di quanto avessi potuto immaginare. Come è che si dice? Oh sì, capisci quanto ti manca qualcuno solo quando finisci di perderlo. Già, triste, ma vero. In poche parole la storia della mia vita.

Sorrisi appena a quel pensiero, continuando a scarabocchiare sul mio quaderno. Tim stava parlando ininterrottamente riguardo qualcosa da quando la lezione era iniziata. Non ero riuscita a capire non solo quello su cui il mio amico stava farneticando, ma neanche quello che il professore stava spiegando. La mia testa sembrava cercasse di rifiutare tutto quel rumore, beh, tutto eccetto la parola “pausa”. A quel suono un sospiro di sollievo aveva finito per sfuggirmi.

Con Tim ci eravamo diretti al distributore automatico, forse un caffè avrebbe finito per sortire un qualche effetto. Avevo avuto ragione, effettivamente. Peccato che l’effetto era stato molto più simile a un conato di vomito.

Dio mio, dovrebbero vietare questo caffè. È orribile… esclamai con la faccia disgustata.

Sempre meglio di niente. Piuttosto, il tuo amico come sta?

Accartocciai il bicchiere di plastica prima di gettarlo nel bidone della spazzatura a qualche passo da me. Nel sentire la domanda di Tim, però, fui costretta a sollevare lo sguardo nella sua direzione. Sarà stata la mia espressione leggermente stralunata a farlo continuare.

Bucky…

Oh, sì. No, è dovuto tornare… a casa. È tornato a casa.

Rispondere in quel modo era stato del tutto naturale e mi ero ritrovata a sorridere. Lui mi mancava non potevo certo dire il contrario, ma era giusto così. Dopo tutto quel tempo era riuscito, finalmente, a tornare a casa.

Certo, quello aveva significato dover lasciare che le nostre strade si separassero, ma era giusto che lui finalmente cogliesse quell’opportunità che gli era stata negata: vivere la sua vita.

Sorrisi a quel pensiero, mentre lentamente ritornavo al mio posto. Il professore pronto a ricominciare esattamente dove aveva interrotto, un po’ come Tim che aveva ripreso a parlare senza sosta. Mi ero lasciata cadere sulla sedia con la solita grazia che mi contraddistingueva, e fu allora che lo vidi.

Un bigliettino ripiegato tra le pagine del mio quadernone. Corrugai la fronte osservandolo incuriosita. Ero certa che non ci fosse lì quando mi ero alzata. Lanciai un’occhiata in giro, prima di afferrarlo. Non so per quale motivo, ma mi ritrovai a trattenere il respiro come se quel pezzo di carta potesse esplodermi tra le mani, e forse era così. Lo aprì con cautela e una calligrafia lievemente disordinata spiccava in tutto quel bianco.

- Non ti dimenticherò, promesso. -

E il mio cuore perse un battito. Forse – chissà – le nostre strade erano destinate a incrociarsi ancora. 








 


NdA:
E siamo giunti così alla fine. Non avrei mai potuto immaginare che questa storia sarebbe piaciuta così tanto, quindi tutto il vostro entusiasmo è stata una piacevolissima sorpresa. Adesso che siamo arrivate alla fine, però, un pò mi spiace perchè è stato bello condividere qualcosa con voi che fino a poco prima era solo nella mia testa. xD Visto e considerato, però, che le cose nella mia testa sono tante e come - giustamente - qualcuna di voi mi ha fatto notare, non tutte le vostre domande hanno avuto una risposta. Effettivamente, questo capitolo della storia finisce qui, ma - come Lenny stessa ha detto - la sua strada e quella di Bucky potrebbero incrociarsi ancora. Ecco perchè, invece di salutarv, vi lascio appuntamento per la prossima settiamana. Se avete amato questa storia e la sua protagonista, allora spero di rivedervi tutte. Io ed Eleanor vi aspettiamo, stesso giorno, stesso posto. ;)

A presto e con immenso affetto, 
- LadyBones <3

   
 
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