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Autore: Hikari_Sengoku    07/07/2016    0 recensioni
[Nurarihyon no mago]
[Nurarihyon no mago]Cosa sarebbe successo, se a proteggere ed allenare il nipote di Nurarihyon ci fosse stata un'altra persona? Se tutto avesse avuto un altro finale, in cui lei si fosse messa in mezzo? Questa in realtá non é una vera long-fic, ma una serie di ricordi falsi a cui ho dato un motivo per essere espressi, una fantasia a cui diedi vita unendo un mio vecchio personaggo e questa serie. Grazie a chi leggerá e recensirá! Ben accetti son critiche e consigli! Scadenza altameeente variabile!
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai
Note: Lime, Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Era notte da poco, quando si svegliò. I suoi occhi nocciola brillarono nell’oscurità del giardino in cui si era riparata dalla calura di quel torrido giorno d’estate, a Kyoto. Per un istante, rimase come confinata in un limbo di dimenticanza, prima di rivedere subito davanti agli occhi il giallo sguardo dei demoni che le avevano chiesto di proteggere ciò che di più prezioso avevano al mondo. Era la sua missione ormai da secoli. La sua mente, non percependo nessun pericolo, sentendosi quasi al sicuro – che patetica illusione – tra le fronde di quello striminzito ciliegio in quel loculo di giardino in cui si era riparata, si abbandonò ai ricordi. Le succedeva spesso, ultimamente, in effetti, stremata com’era dal cercare una soluzione per salvarlo da morte certa. Sapeva che superata il mezzogiorno di quello stesso giorno, per il ragazzo sarebbe stato impossibile salvarsi dall’ira di Hagoromo-Gitsune. Doveva fare assolutamente qualcosa, ma cosa?


Stava dirigendosi al fiume per darsi una sciacquata dopo la lunga notte insonne, quando vide un enorme oni blu lanciare in aria una donna stretta ad un fagottino, probabilmente il figlio. In un istante la raggiunse, prendendola in braccio, e uccidendo il demone semplicemente emanando reiatsu. Scese lentamente per non spaventare la donna, che invece la fissava sbigottita, ma senza la minima ombra di paura. Arrivata a metà strada, un demone afferrò la donna dalle sue braccia con delicatezza, e lei percependo le buone intenzioni del demone, la lasciò andare. Si ritrovò dunque a volteggiare sulle loro teste, elegante ma non volgare nelle sue forme femminili, le curve accentuate, il seno proporzionato alla sua figura alta e longilinea, avvolta in una candida tunica sbracciata, sorretta appena sotto il seno da un obi lilla. Un mantello di bianco leggermente più scuro si chiudeva intorno alle sue spalle, coprendone con il cappuccio il viso. Brillanti e corte ciocche bionde si agitavano sinuosamente intorno al viso pallido, anemico.
Un demone dai lunghi capelli albini la fissava dal basso col suo giallo sguardo felino. In braccio teneva la sua umana compagna ed il suo giovane pargolo, un piccolo, quasi gracile mezzodemone dalla lunga capigliatura corvina come quella della donna e due inquietanti –non per lei – occhi gialli. I due la fissavano incuriositi tra le braccia del demone. Rimase sospesa a mezz’aria, così, attendendo le parole del demone, che non tardarono ad arrivare.
“Grazie per aver salvato la mia famiglia.” La voce calda dell’uomo la raggiunse. La fissò ancora mentre deponeva a terra la giovane ed il bimbo, quasicome se lei fosse un animale selvatico da non spaventare. Quello sguardo penetrante la inquietò. Gli occhi gialli si strinsero, osservandola ancora. Doveva aver visto qualcosa nel suo sguardo.
“Tu desideri… proteggere. Il tuo potere è grande, persino più grande del mio, ma a te sembra non interessare. Vuoi essere libera, ma desideri proteggere, a tutti i costi, e tornare ad avere qualcosa di caro che ti leghi a questa terra che non siano i rimpianti. Entra a far parte della mia Schiera dei Cento Demoni, ed avrai un motivo per combattere, qualcuno da difendere. Sarai libera, poiché c’entrerai per tua scelta, e per tua scelta potrai uscirne.” Quel demone aveva capito così tante cose di lei con un solo sguardo?! Doveva essere un grande leader. Ma non l’avrebbe ammaliata tanto facilmente.
“Accetto”
Aveva semplicemente deciso di fidarsi.


Da quel giorno molte cose erano cambiate. Lei era entrata a far parte della schiera, aveva ritrovato qualcosa della famiglia perduta. Il demone divenne l’unico custode dei suoi segreti, in una notte di tempesta tanti anni prima. Erano seduti, immobili, a fissare fuori dalla porta spalancata. Mentre fissavano i fulmini spezzare la tinta livida delle nuvole temporalesche nella stanza vuota, lei gli aveva raccontato di una piccola sacerdotessa, il cui enorme potere era in parte chiuso da sigilli che le rubavano le forze. Gli raccontò di una giovane donna innamorata di due ragazzi bellissimi ma terribilmente umani, un giovane e bel monaco dalla luccicante e bionda capigliatura e due bellissimi occhi color del lago, ed un burbero ma dolce forgiatore d’armi dalla pelle abbronzata dal sole e dal fuoco, dai liquidi occhi castano scuro come i suoi capelli, amici da una vita. Gli raccontò di sigilli che si spezzavano sotto il controllo di un malvagio demone, e delle urla disperate dei due giovani, dilaniati davanti ai suoi occhi, e di un’ultima promessa fatta in fin di vita, che un giorno, in un’altra vita, loro si sarebbero ritrovati, di un corpo distrutto dal dolore della perdita e dal suo stesso potere che la stava divorando. Gli raccontò della sua natura. Lei poteva essere qualsiasi cosa: demone, sacerdotessa, mezzodemone… Poteva addirittura creare creature nuove, o diventare chi voleva, sia nell’aspetto sia nel modo di fare. Ma il suo corpo non sapeva reggere al suo strabiliante potere, costringendola a vivere come spettro ed a vagare senza meta, incorporea. Certo, sapeva solidificarsi, ma durava poco. Doveva ritrasformarsi entro due giorni, anche solo per un breve periodo, affinché il potere che rischiava di schiacciarla venisse liberato.
Il demone, quasi sconvolto dal modo di lei di aprirsi completamente anche a chi non conosceva, semplicemente guidata dal suo istinto, le aveva donato la sua casacca col simbolo del suo clan, e le aveva chiesto di difendere suo figlio da ciò che avrebbe potuto fargli del male, qualsiasi cosa avesse potuto fargli del male. Da allora, lei ed il piccoletto erano diventati migliori amici. Lei era diventata la sua ombra. Dopo la morte della madre, il piccolo riusciva a tranquillizzarsi solo con lei, e spesso si addormentava, ancora in lacrime, fra le sue braccia. Né lei, né il padre, l’avevano mai abbandonato. Erano passati tanti anni da allora, quel gracile mezzodemone si era fatto un giovane e bellissimo uomo, dai lunghi capelli corvini e gli spaventosi occhi gialli, la loro principessa li aveva abbandonati ormai da tempo, sebbene lei fosse sicura che la donna vegliasse su di loro dal suo albero di ciliegio, quello che lei stessa aveva piantato al centro del loro giardino. Lei si era fatta come una luogotenente per la schiera, e non abbandonava mai il suo fianco, seguendolo in qualsiasi impresa – lei doveva ammetterlo, si divertiva un mondo in quelle imprese! – lui volesse compiere. Ogni volta una cosa diversa. Ah, quanto si era divertita, allora! Il suo amico si era anche sposato nel frattempo, ma la povera demone non era stata in grado di dargli un figlio, ed era morta.  Poi un giorno, il suo bambino si era innamorato di una dolcissima fanciulla umana. I due non avevano atteso un anno prima di convolare a nozze, e lei era così felice di vederlo con quel sorriso spettacolare in volto, che tanto le ricordava qualcuno che non c’era più, e qualcuno che non c’era mai stato, e che era stato in parte sostituito da quel bambino dai capelli corvini. Nemmeno un anno dopo, era nato un bellissimo bambino. Anche quella sera c’era tempesta, e noi la guardavamo nella stessa stanza. La neomamma riposava dopo il parto, e noi due eravamo rimasti soli come ai tempi delle nostre lunghe chiacchierate notturne. Ma quel giorno l’attenzione era tutta per quel dolcissimo frugoletto fra le braccia del mio protetto. Il mio amico lo coccolava come un tesoro, cullandolo fra le braccia. Aveva occhi solo per lui. Poi, per la seconda volta, un fulmine squarciò le nubi livide, e alzò lo sguardo verso di me, come colto da una spettrale premonizione. “Amica mia, promettimi che se io un giorno non dovessi più esserci, tu ti occuperai della mia famiglia esattamente come hai fatto con me per tutti questi anni.” Non ci fu bisogno di parlare. I nostri sguardi si erano già trasmessi tutto. Io lo avevo promesso prima ancora che me lo chiedesse. Quanto piansi, quel giorno, quando capii che quella richiesta era una premonizione, quando vidi quel corpo senza vita, in quella pozza di cupo dolore rosso cremisi, con quegli occhi così arditi ed onesti, felici, ormai spenti, e quella chioma corvina impregnata di sangue. Un pezzo del cuore mi era stato nuovamente strappato via, e se ne portava dietro mille altri mentre la povera donna, che sembrava appena una bambina, si stringeva disperatamente al mio petto, battendo i pugni sul mio torace forte. Quanto mi costava restare salda per loro! Quanto erano pesanti quei pugni sul mio petto! Avrei voluto piangere e disperarmi, gridare al mondo il mio dolore, la mia anima dilaniata, le mie ferite che urlavano “Morte, morte, solo morte! Quanta ancora, quanta? Basta! Ti prego basta, lasciaci andare, non ne possiamo più!”. E più il mio cuore urlava, più io mi ancoravo a quel bambino, a quella donna. Io dovevo proteggerli. Io dovevo sostenerli. Adesso mi sarei dovuta occupare io di loro. Ed era proprio quello che avevo intenzione di fare, anche oggi. Non sono riuscita a salvare il mio amico, una bambina l’ha ucciso, ma non permetterò a quella puttana di rifare la stessa cosa, se io posso evitarlo! Quella volta ero stata ingannata. Mi era stato detto che il demone ormai non più albino mi aveva chiamata, ma non era così! Mio Dio, quanti anni ho vissuto nei sensi di colpa! È colpa mia se lui è morto, è sempre colpa mia se loro muoiono! Ma non lo permetterò ancora. No! Nessuno mi strapperà di nuovo le persone cui voglio bene! Non permetterò a nessuno di portarmi via anche lui. Quella donna… un veleno che ci sta uccidendo, che ci ha ucciso e che ha tentato di ucciderci. Aspetta, cosa? Un veleno? Ma certo! Ho trovato! Io diventerò il suo veleno. Mi farò assorbire da lei nella mia forma più pura, ed una volta arrivati al momento del parto, la ucciderò dall’interno attraverso il suo stesso, amatissimo bambino! Ha intenzione di fargli assorbire l’odio e la forza di quelle anime umane? Bene! Perché una volta che mi avrà assorbito, la purificherò dall’interno! Sarà doloroso per entrambe, ed io sicuramente non sopravvivrei. Ma sai che mi dico? Non me ne frega niente! Lo so, sentendomi dire queste cose, naturalmente mi sarei presa a schiaffi da sola, ma non c’è altro modo, ed a costo di pigliarmi a schiaffi per tutto il tragitto, lo farò!






Era appena l’alba, quando la ragazza si era materializzata ad inizio via, col suo solito aspetto. Una vocetta fastidiosa le riempiva la testa con la sua eco, impedendole di pensare, con un tono fastidiosamente simile a quello di Kubinashi. “Sei sicura di quello che stai facendo?” “Si, si, si, dannatamente si! Ed ora taci, stupida vocetta interiore! Ho bisogno di te quanto può averne un pesce del fuoco.”  “Ed allora perché non ti muovi?” "Tsk!"
Le guardie del palazzo di Hagoromo-Gitsune si avvidero appena della giovane che era comparsa all’improvviso in fondo alla via, avvolta nella nebbia mattutina. Si confuse con quel grigiore, diventando solo un’anonima sagoma, finché giunse al castello. Nessun umano avrebbe potuto oltrepassare quella densa coltre d’odio, poiché i demoni nascevano da quell’odio e lo sfruttavano, se non qualcuno con lo stesso odio all’interno. Se non voleva farsi notare, l’unico modo per oltrepassare la barriera era lasciare che i suoi sentimenti negativi fluissero al suo interno insieme al sangue, uniformandosi alle creature malvagie che pullulavano in quei sobborghi.
“Chi è là?” chiese una guardia con fare annoiato, un miscuglio fra uno scimmione ed una viola del pensiero.
“Ehilà! Sono venuta a sacrificarmi!” rispose con fare poco sobrio la ragazza.
“E come mai tu, una tanto bella e tenera umana, verresti qui a sacrificarti?” chiese di nuovo il demone con fare suadente, accarezzandole col piatto dell’unghia affilata la guancia. Cavolo, tutte a lei! Non poteva capitarle la solita, stupida guardia?! Rabbrividì al tocco irsuto del demone.
“Perché? È così brutto volersi sacrificare per la propria dea?!” urlò forte, sperando che, pur di farla tacere, il demone la accompagnasse, quando un giovane dai capelli d’argento, vestito di nero, si avvicinò prendendola per mano.
“No affatto, dolce fanciulla. Potessi farlo, mi sacrificherei volentieri io stesso per la nostra dea!” Disse il giovane dalla pelle fredda e bianca come il marmo, fulminando con lo sguardo la guardia.
Il volto della ragazza rimase indifferente, mentre il tipo la conduceva come stesse conducendo una principessa ad un ballo, attraverso il corridoio scuro. Sorrise sotto il cappuccio che le nascondeva gli occhi. L’umidità gocciolava dalle pareti in stille di ghiaccio sulla sua pelle già fredda. La candida veste le svolazzava intorno ad ogni passo, nell’incedere lento e solenne, accompagnata dal fruscio del mantello. La luce della grotta le ferì gli occhi. Un lago di nero odio le si parò davanti, dal quale sorgevano imperterriti, pilastri di puro quarzo. Nel mezzo del lago, accovacciata sulle ginocchia, una ragazza dai lunghi capelli corvini era immersa fino a metà coscia nel liquido color petrolio. La nera veste da studentessa si apriva intorno a lei come una sorta di spirale tentatrice. Teneva gli occhi chiusi in una dolce espressione di pura innocenza, un tenue sorriso ad arcuarle le labbra.  Un braccio era come abbandonato, e la mano sfiorava il pelo del lago, mentre l’altra teneva il gomito, come se le dolesse.
“Mia dea, questa ragazza si offre gentilmente a voi come omaggio.” Disse suadente il giovane argenteo, lasciandole la mano ancora a mezz’aria.
La ragazza concentrò la sua aura in una barriera purissima, perché l’odio non la contaminasse. Scese lentamente i gradini con fare solenne. Il mantello le copriva il viso e le dava un’aria misteriosa. Infine, entrò nell’acqua, che presto le raggiunse il ginocchio. Procedendo, si lasciò dietro un a lacrima argentea, una scia pura. A vedere questo, tutti i demoni si allarmarono, ma non appena quelli minori provarono ad entrare in acqua si dissolsero, e quando attaccarono la sua barriera, furono respinti. In poco tempo, il silenzio ritornò sovrano sotto gli occhi attoniti dei pochi demoni maggiori rimasti, immobili come statue di marmo. Se la loro regina non reagiva, perché dovevano reagire loro? Solo Kyokotsu osò pigolare: “Onee-chan?”, ma la donna la fermò con un gesto della mano. La corvina aprì gli occhi vuoti, privi d’espressione, e li lasciò scivolare quasi lascivi sul magnifico corpo della ragazza. Posò il suo sguardo sul capo coperto, sul mento pallido e sulla bocca sottile ed anemica, scese lentamente, quasi accarezzandola, lungo la curva del collo, sulla pienezza dei seni sorretti dall’obi lilla, che accentuava il suo fisico longilineo, sulle gambe forti e ben tornite che emergevano dalla candida veste, per poi tornare a socchiudersi sul volto misterioso della sconosciuta. Questa si portò di fianco a lei, avvolgendola nella sua barriera, nella goccia argentea. Hagoromo-Gitsune rimase spiacevolmente sorpresa: il suo corpo era come paralizzato dal punto in cui l’acqua lo toccava. Tentò di attaccare la donna, di lasciar fuoriuscire le sue code, ma il potere di quella cosa glielo impediva. La ragazza liberò una mano, per stringerla intorno al niveo collo della corvina, sollevandola senza il minimo sforzo al di sopra della sua testa. Hagoromo-Gitsune, sorpresa, si ritrovò ad ammirare, piccata, il guizzo dei muscoli del braccio di quella creatura, il biancore innaturale della sua pelle, mentre questa la teneva, senza farle in realtà alcun male. Non era certo una stupida umana, lei! Tentò di nuovo di liberarsi con tutte le sue forze, accorgendosi repentinamente della purissima forza spirituale della donna. “Baciatemi!” ordinò la pallida creatura. Lei tentò di alzare le braccia per strangolarla, ma la donna fissò il suo sguardo nel suo. All’improvviso le parve come di essere schiacciata da un peso enorme, mentre la vista le ondeggiava. Non era possibile! Nessuna creatura poteva avere un’aura così potente da metterla in ginocchio in quel modo, senza che lei potesse muovere un muscolo. La donna continuò a fissarla negli occhi. “Voi mi bacerete. Adesso.” La donna piegò il braccio verso di se con fatale lentezza, mentre con fatica la corvina portava le sue mani sulle guancie della sconosciuta, accogliendo il suo viso in una carezza priva di sentimento. Dunque, socchiuse di nuovo gli occhi, inclinando il volto in una posa languida. Infine, assaltò quelle labbra pallide come la morte, trovandole più morbide di quanto avesse immaginato. Vi affondò, cercando di ottenere una reazione. Vi si scontrò quasi con violenza, più e più volte, assaggiando con un desiderio appena sorto quelle labbra dal sapore fruttato. Non desiderava prenderne la forza subito. Voleva concedersi ancora per qualche istante quel brivido di eccitazione che le stava scivolando lungo la spina dorsale, quel torpore che le attanagliava il ventre. Le sembrava di baciare la statua di un angelo vendicativo, un angelo che, ormai lo sapeva, la voleva portare alla morte, ma voleva comunque provare a tentarlo.
Alla bionda non era piaciuto quel bacio. Sapeva di liquirizia. Aveva sempre odiato la liquirizia.
All’improvviso, l’angelo lasciò la sua statuaria posizione. Si abbandonò a quel bacio, rispondendo con passione inaudita, lasciandosi andare ai suoi più cupi istinti. Hagoromo-Gitsune sapeva che era solo un modo per accorciare i tempi, ma decise di assecondare quella spinta di passione. Circondò il collo di lei con le braccia, approfondendo ancora di più quel bacio che sapeva di proibito, di disgusto e di mera passione fisica. Due pallide braccia le circondarono la vita con possessività, stringendola a se. Hagoromo-Gitsune, non staccandosi dal bacio, accarezzò con voluttà quelle spalle forti, quel petto pieno, quelle braccia così rassicuranti… E si rese conto, per un istante, di non volersi staccare da quel caldo abbraccio. Di non voler assorbire quella creatura, di volersi illudere che lei era solo sua, sebbene ne conosciesse a malapena l’aspetto. Staccandosi da lei, le tolse quel cappuccio, e per un istante la meraviglia la inondò. Corte ciocche bionde circondavano quel viso affilato, quel volto d’angelo. Due brillanti occhi nocciola la fissavano quasi supplichevoli di lasciar finire quella che per lei doveva essere una tortura. Non sapeva quanto. La giovane sentiva di star compiendo un terribile tradimento verso coloro che aveva amato, si sentiva orribile, e pregò con gli occhi la sua aguzzina di lasciarla andare. Non volse il viso. Si sentiva scoperta, si, quasi loro potessero vederla, ma oramai… cosa poteva più importare? Guardò di nuovo in quegli abissi spenti, e vi colse una nota di dolore e compassione, di sentimento! No! Non poteva permetterlo!
“Vi prego, fatelo. O temo di non poter più resistere.”
Hagoromo-Gitsune non sussultò, non pianse, non strepitò. Solo il suo cuore si spezzò. Ma giurò, su tutti i Kami, che avrebbe di nuovo riavuto quell'abbraccio al suo fianco, per sempre, con lei ed il suo bambino, per il quale non volendolo lei stava dando la vita. Infine, con un breve lampo di dolore negli occhi, la baciò. Nere lacime scesero su quel volto, confondendosi coi neri pensieri che le avvolgevano la mente. Lacrime di sangue e dolore scesero sul volto angelico della compagna, mentre un’unica smorfia di dolore lo deformava. Un fumo bianco lasciò lentamente il suo corpo per addensarsi nel grembo di Hagoromo-Gitsune. Fitte lancinanti percorsero il corpo, spasmi dolorosi la fecero sussultare, ma non lasciò andare il suo abbraccio. La strinse fino alla fine, augurandole che sentisse ancora più acuto il dolore della perdita a cui lei sottoponeva decine di persone ogni giorno. Infine, esalò l’ultimo respiro fruttato dentro di lei, un ansito di dolore e gioia al contempo. Hagoromo-Gitsune sentì il calore del suo abbraccio sciogliersi lentamente, provocandole una lunga agonia. Sentì il gelo dell’aria colpirla come mille lame di ghiaccio, mentre il suo calore la abbandonava. Vide riflesso in quegli occhi prima pieni di rassegnazione, di rabbia, d’amore, di sentimento, il suo abisso. Pianse nere lacrime, mentre si accasciava sulle ginocchia. Il corpo della donna si adagiava sul fondo del lago. E giurò, che un giorno, l’avrebbe fatta tornare. L’avrebbe costretta a tornare.

Il corpo toccò il fondo del lago. Il rumore rimbombò a lungo nella sua coscienza ormai sciolta verso il cielo. Spirali di ricordi la avvolsero…



 


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