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Autore: Euthymia    11/07/2016    3 recensioni
«Wendy?»
La voce di Peter la riscosse dai suoi pensieri. Si scambiarono uno sguardo, intenso e vivo, e ciò che passò in quell'istante fra i loro occhi non poté davvero esser colto, quantomeno non in maniera razionale, da nessuno dei due – il ragazzo mai cresciuto e la giovane che fu bambina.
«Sì, Peter?»
Lo guardò a lungo, un misto di tristezza e dolcezza nei suoi occhi così consapevoli da un lato, e così smarriti dall'altro.
«Wendy, ritorna sull'Isola che non c'è. Con me. Un'ultima volta.»
(cap. III)
Questa è una storia di crescita. È una storia di scelte e insicurezze, di timori e gioie. È una storia per tutti coloro che almeno una volta si sono sentiti al tempo stesso troppo grandi e troppo piccoli per la vita, che si sono scontrati col diventare adulti sentendo di non avere gli strumenti per affrontarlo. Questa è la storia di Wendy Darling, e del suo ultimo viaggio sull'Isola che non c'è.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Peter Pan, Quasi tutti, Wendy Darling
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo VIII: Secrets and revelations.

 

 

Catch me as I fall,
say you're here and it's all over now.
Speaking to the atmosphere,
no one's here and I fall into myself.
This truth drives me into madness.
(*)

 

 

Materna, l'Isola che non c'è accoglie e culla i suoi figli con indulgenza. Peter Pan, così diverso da se stesso e al contempo così uguale, sedeva solo sotto un cielo grigio fumo in cima a una scogliera che, anche se lui non ne aveva idea, aveva ospitato non molto tempo prima la tempesta emotiva di qualcun altro.

E tu che ne sai?

Le persone cambiano.

Un gorgo, un vortice.

Le persone cambiano, Peter.

Solo tu rimani sempre uguale a te stesso.

Un mantra, una litania conturbante.

Sempre uguale a te stesso.

Non riusciva a liberarsene. Le parole di Wendy gli roteavano nella mente come lame gelide – solo tu rimani, taglienti – sempre uguale, affilate – a te stesso. Invincibili. Ogni parola un colpo, ogni frammento di voce una ferita aperta. Sanguinante. Come potevano poche semplici parole provocare un dolore così grande, una frustrazione così intensa, una rabbia così cieca? Peter Pan non ne aveva idea. Una volta soltanto, in passato, le parole di qualcuno l'avevano colpito tanto a fondo.

Ti stava lasciando, Peter Pan. La tua Wendy… ti stava lasciando. Perché avrebbe dovuto rimanere? Tu cos'hai da offrire? Sei… incompleto. Piuttosto che stare con te preferisce diventare adulta.

Una volta soltanto, quella volta, il peso schiacciante delle parole l'aveva privato della sua leggerezza, facendolo precipitare a terra. Disarmato, rotto. In balia dell'ultima voce dalla quale avrebbe mai pensato di udire una verità di tale portata, per quanto cruda e abietta. Uncino aveva capito di lui molto più di quanto avesse capito Pan stesso, Uncino lo conosceva, sapeva dove colpire e come fare male davvero. L'ultima volta che Wendy aveva messo piede sull'Isola che non c'è, se aveva deciso di andarsene e diventare grande era stato a causa sua, a causa della sua incapacità di…

Wendy, è tutto solo facciamo finta, vero? Che tu e io…

Improvvisamente Peter Pan si rese conto di quanto grande e profondo fosse, in realtà, il potere delle parole.

Peter… quali sono i tuoi veri sentimenti?

Sentimenti?

Che cosa provi? Felicità? Tristezza? Gelosia?

Gelosia? Trilli!

Rabbia?

Rabbia… Uncino.

Amore?

Amore?…”

Amore.

Non ne ho mai sentito parlare.

Io penso di sì, Peter. Oserei dire che l'hai provato di persona, per qualcosa… per qualcuno.

Mai. Basta solo il suono a offendermi.

Era stato cieco, era stato sciocco. Non c'era nessun facciamo finta, non c'era mai stato, almeno non per lei. Non per Wendy, che nell'ingenua malizia della fanciullezza gli aveva donato ciò che aveva di più caro. Gli aveva donato…

Questo ti appartiene, Peter. E ti apparterrà per sempre.

La consapevolezza si fece strada dentro di lui nel silenzio più assordante. Improvvisamente, una calma innaturale lo colse, mentre una vertiginosa sensazione di vuoto s'impadroniva di tutti i suoi organi interni, nessuno escluso.

Il suo bacio nascosto.

Ecco cosa Wendy gli aveva donato. Ecco come l'aveva salvato da morte certa, quando ormai Uncino l'aveva lasciato orfano di qualsiasi speranza. Come aveva potuto dimenticare? D'improvviso lo assalirono le sensazioni e le emozioni di quell'istante, e si sentì libero e felice, così felice… ma quelle sensazioni si scontrarono ben presto con un sentimento diverso, un sentimento che Peter non aveva mai provato – e negli ultimi giorni queste prime volte emotive parevano capitargli spesso – prima di allora. Rimorso. Lei gli aveva salvato la vita, e lui l'aveva lasciata andare, aveva preferito rimanere così com'era, ragazzino, principe del divertimento senza eguali. Solo tu rimani sempre uguale a te stesso. Aveva ragione lei. Aveva sempre avuto ragione lei. Nonostante la sua mente e il suo cuore non riuscissero ancora a mettersi d'accordo sul nome da dare a questa nuova consapevolezza, a questa nuova luce, Peter aveva capito.

È il tuo 'facciamo finta' più grosso.

E lo era davvero. Un facciamo finta talmente grosso che era riuscito a ingannare anche lui. Un facciamo finta che lo aveva salvato da molte responsabilità troppo impegnative, prima fra tutte quella di scegliere. Peter era rimasto a bocca aperta a fissare il vuoto, cercando di fare i conti con l'entità delle sue nuove scoperte, ed era ancora così quando un discreto scampanellio chiese il permesso di invadere la sua solitudine. Si voltò, incrociando lo sguardo di una Trilli incerta e preoccupata, e sorrise facendole cenno di avvicinarsi. La fata, rincuorata da quel breve ma incoraggiante sorriso, svolazzò fino a lui posandosi con grazia sul palmo della sua mano. Rimasero così, a guardarsi, per istanti interminabili. Istanti durante i quali, improvvisamente consapevole della fragilità del momento, la piccola Trilli rivisse l'eternità trascorsa con il suo compagno d'avventure, a guardarsi le spalle e proteggersi a vicenda, a litigare e ridere, a salvarsi la vita…

«Sono davvero un idiota, Trilli.»

Lei imbastì un sorriso furbo e annuì tintinnando con ironia, riuscendo come sempre a farlo sorridere di nuovo. UccelloWendy non le era mai piaciuta, non poteva certo fingere il contrario. Ma in fondo, molto in fondo, sapeva che era una brava ragazza, lo vedeva nel bagliore dei suoi occhi proprio come ora vedeva, negli occhi di Peter, una luce completamente nuova. Una luce diversa, strana, che non aveva mai visto – e che tuttavia non la spaventò. Scampanellò con dolcezza, un suono leggero e soave che sembrava dire 'io sono con te e ci sarò sempre, qualunque cosa accada'. E Peter, come sempre, capì senza indugio. Annuì.

«Devo fare qualcosa. Non possiamo permettere che Wendy cada nella trappola di quel viscido Capitano dei miei stivali. L'unica soluzione è… Devo andare da Lei, Trilli.»

La fatina sgranò le palpebre, sorpresa, e fece un salto che la portò di nuovo per aria in un tripudio di scampanellii. Gettò un'occhiata quasi timorosa verso la foresta poco distante. Poi, con una punta di concitazione negli occhi vispi, tornò a squadrare il suo giovane amico. Ma lui non la stava guardando.

«Sì, è un rischio, ma cos'altro posso fare? Il bacio nascosto… sono davvero un idiota» ripeté quasi fra sé e sé, alzando gli occhi al cielo. Lì i suoi occhi si arenarono, a fissare il vuoto. Lentamente si portò una mano alle labbra e le sfiorò piano, quasi potesse percepire tra le dita quel dono lontano e potente, quasi potesse sentire ancora una volta il tocco delle labbra di Wendy.

«E se fosse troppo tardi?» sussurrò, gli occhi verdi sbarrati a guardare il cielo plumbeo. Poi scosse il capo con risolutezza, e prese un gran sospiro. «No, ci devo provare.»

Peter si alzò di scatto, e quando Trilli lo guardò le parve quasi di vederlo più alto del solito. Una sensazione, un'impressione. Quando il ragazzo abbassò lo sguardo su di lei, quello che la fata vide fu un miscuglio di paura, fermezza e concentrazione.

«Ma è una cosa che devo fare da solo.»

E su queste parole Peter si allontanò, incamminandosi verso il ciglio della foresta oltre la quale, ben presto, scomparve. Trilli rimase lì dov'era, sospesa a mezz'aria.

 

§

 

Wendy camminava tra l'erba alta e gli arboscelli multicolori della foresta. I suoi piedi sembravano indecisi tra la determinazione e la titubanza, ma in un modo o nell'altro camminava. In cerchio. Un cerchio quasi perfetto che ormai, dopo quasi mezz'ora di passi, cominciava a distinguersi chiaramente sul terreno rigoglioso. In una mano teneva saldamente un foglio di carta, e le parole che vi erano elegantemente vergate in inchiostro nero ormai erano impresse a fuoco nella sua memoria.

 

Amabile Miss Darling,
Consideratevi ufficialmente invitata a cenare col
sottoscritto, questa sera, a bordo della Jolly Roger.
Certo che siate impaziente quanto me di riprendere
la deliziosa conversazione iniziata ieri pomeriggio,
vi aspetto alle otto.

E. M.

 

Cafone, presuntuoso e pure ignaro delle più semplici regole di buona educazione. Wendy strinse il pugno, accartocciando sgraziatamente l'invito. A cena. Come si permetteva di invitare lei a cena? Come poteva essere tanto arrogante da pensare di poter invitare a cena chicchessia solamente due ore prima dell'ora prestabilita? E non meno importante, amabile a chi? Era furiosa. Furiosa con LamaNera, che fin dal loro primo incontro era stato capace di innervosirla fino all'inverosimile. Furiosa con il cielo, che minacciava pioggia da ore interminabili senza degnarsi di mantenere le proprie promesse. Furiosa con Peter, che non si faceva vivo dalla sera precedente, allarmando i Bimbi Sperduti che proprio adesso erano in giro per l'Isola a cercarlo. Furiosa con se stessa, per ciò che gli aveva detto. E furiosa perché, nonostante tutti i suoi buoni propositi, in fondo sapeva che poche ore dopo si sarebbe presentata all'appuntamento. Non avrebbe saputo spiegarsi il motivo, ma qualcosa dentro di lei – difficile capire se fosse la testa o qualcos'altro – le diceva che era necessario.

Scivolò dentro il Nascondiglio di Pan, vuoto e silenzioso, e si diresse verso la sua stanza che, doveva ammetterlo, i ragazzi si erano davvero impegnati ad allestire. Sorrise. In un angolo faceva bella mostra di sé una specie di specchio sgangherato e crepato in più punti, recuperato chissà dove, che distorceva leggermente la sua immagine riflessa. Wendy si osservò qualche minuto, poi, congratulandosi mentalmente con se stessa per non averla lasciata a Londra, afferrò la spazzola e prese a districare dagli innumerevoli nodi i vaporosi capelli biondi.

Pochi istanti più tardi si ritrovò nuovamente immersa in una marea di pensieri fastidiosi. Dove si era cacciato Peter? Stava bene? E se LamaNera fosse riuscito a catturarlo? Wendy sussultò. Forse l'invito di quel farabutto era dovuto proprio a questo! Forse aveva rapito Peter, e stava architettando una qualche sorta di trappola… No, pensò scuotendo il capo, Peter non si farebbe catturare così. Cercò di tirar fuori un mezzo sorriso, nel disperato tentativo di tirarsi su il morale da sola. Tornò a guardarsi allo specchio, passandosi le mani fra i capelli.

«Devo trovare qualcosa per legarli.»

Del resto, si sa, la capacità delle ragazze di affiancare riflessioni tragiche a pensieri frivoli senza batter ciglio, con la consapevolezza che entrambi rivestono un'importanza da non sottovalutare, è ineguagliabile. Wendy si guardò intorno per un po', alla ricerca di una soluzione, e l'occhio le cadde sulle ghirlande di corde e conchiglie appese a mo' di decorazioni sopra il suo giaciglio. Ne staccò delicatamente una, facendo attenzione a non romperla, se la passò dietro la nuca e l'alzò, raccogliendo la morbida massa dorata dei suoi capelli in una semplice coda di cavallo. Rimirò il risultato del proprio lavoro allo specchio, e ne ottenne una figura accettabile, per quanto incrinata.

Si sporse oltre la tenda-lenzuolo che separava la sua stanza dal resto del Nascondiglio e gettò un'occhiata all'orologio a muro – un dolce ricordo del passato di cui Peter non aveva mai voluto privarsi, come spesso diceva sbellicandosi dalle risate. Erano le sette e mezza. Ora di andare. Trasse un respiro profondo, e cominciò a elencare dentro di sé tutte le ragioni per cui non avrebbe assolutamente dovuto fare ciò che stava per fare. Ezra Morgan era un criminale. Un criminale incallito, nemico dei suoi amici più cari, i quali aveva peraltro minacciato di morte innumerevoli volte. Aveva ucciso delle persone. Era insopportabile. Si pavoneggiava in maniera irritante, e lei lo odiava. Giunta con soddisfazione a quest'ultima considerazione, Wendy era già uscita dal Nascondiglio e si dirigeva a passo sicuro verso la baia dove ormeggiava la Jolly Roger.

 

§

 

Il Capitano osservava il sole avviarsi pigramente verso l'orizzonte marino. La luce aranciata del tramonto rifletteva contro la sua pelle olivastra, donando al suo viso affilato linee ed ombre che finivano per intrecciarsi al complesso intrico di tatuaggi che gli decorava gli zigomi, le tempie, il naso, gli occhi. Persino l'oro dei suoi occhi aveva assunto una tonalità particolare, simile a una goccia di miele in controluce. Erano occhi di un'eloquenza disarmante, per chi sapeva capirli. Il fatto è che nessuno, sull'Isola che non c'è, era in grado di parlare quella lingua fatta di sfumature cangianti ed espressioni ermetiche. Il Capitano in un sospiro se ne rammaricò, ma neanche così tanto. Fu un suono stonato nella quiete della sera a distoglierlo dai suoi pensieri. Si mise all'erta, ma non si mosse. Sapeva esattamente quale fosse l'origine di quel rumore.

Wendy, una volta giunta a riva, era stata accolta da una scialuppa di salvataggio governata nientemeno che dal nostromo della Jolly Roger. Aveva osservato Spugna con un misto di disprezzo e indecisione negli occhi, ma al suo «Il Capitano vi sta aspettando, signorina» si era infine decisa a salire a bordo. Il breve tragitto dalla costa alla nave, Wendy l'aveva trascorso maledicendosi per la propria completa stupidità. Non solo aveva accettato un invito a cena da parte del cattivo – perché in ogni fiaba degna di chiamarsi tale, quell'individuo avrebbe certo interpretato il ruolo del cattivo – ma si stava lasciando accompagnare in barca dal suo leccapiedi, un soggetto talmente onorevole che non appena Uncino era morto non aveva lasciato passare mezzo secondo prima di attaccarsi alle gambe di un nuovo padrone, incurante della possibilità di essere rapita, uccisa, insomma, conciata per le feste.

Fatto sta che niente di tutto ciò era finora accaduto: Spugna era sembrato più volte sul punto di parlarle, ma forse per l'estrema benevolenza e l'agio abilmente scorti negli occhi di Wendy, era rimasto prudentemente in silenzio. L'aveva lasciata proprio ai piedi di una delle scalette che portavano a bordo, e una volta assicuratosi che fosse in grado di arrampicarsi senza arrecare danno a se stessa o ad altro, se n'era andato. Una volta salita a bordo si lisciò l'abito con le mani e si strinse la coda di cavallo. Poi alzò lo sguardo, e proprio davanti a lei, dall'altra parte del ponte, lo vide. Alto e asciutto, indossava un paio di pantaloni neri molto stretti infilati in stivali di cuoio scuro, e quella che da dietro sembrava una semplice camicia bianca. La sua scura testa rasata creava un netto contrasto con l'orizzonte color pesca. Lo stomaco di Wendy si accartocciò su se stesso e il suo cuore perse un battito, senza che lei avesse alcuna voce in capitolo. Irritata dalla propria reazione incontrollata alla vista del giovane, la ragazza non seppe trattenersi.

«Complimenti per l'accoglienza.»

La voce delicata di Wendy arrivò alle orecchie del Capitano prima ancora che egli si voltasse. Sorrise vagamente, e si concesse svariati secondi di silenzio prima di risponderle.

«Adorabile come ricordavo, miss Darling.»

Wendy era già sul punto di replicare, irritata, quando lui si voltò. Lei rimase rigida sul posto, ancora prossima al parapetto da cui era salita. Mentre rifletteva su cosa sarebbe stato opportuno dire, cercando di ostentare un'espressione di neutrale indifferenza, il Capitano si voltò e le si fece incontro con studiata lentezza, fermandosi a poco meno di due metri da lei. Con una mano ingioiellata, fatta di dita affusolate e venature in rilievo, indicò la porta che conduceva sottocoperta.

«Nella mia cabina troverete il vostro abito da cena.»

«Prego?»

Lui la guardò ironico, e una punta di labbra gli s'inarcò in un sorriso lieve.

«Nella mia cabina troverete il vostro abito da cena» ripeté, scandendo maggiormente le parole.

Wendy era sul punto di esplodere.

«Non ho nessuna intenzione di indossare alcunché, soprattutto se siete voi a chiedermelo» replicò, in un malcelato tentativo di mostrarsi insensibile alle sue provocazioni.

Il Capitano rimase immobile a osservarla per qualche breve istante, poi avanzò di un passo, un altro e un altro ancora, fino a che per guardare la giovane in faccia dovette abbassare gli occhi allungati. Wendy sembrava incapace di muovere un muscolo. Lui alzò una mano, l'avvicinò al suo viso e con due dita le scostò una ciocca di capelli dalla fronte, portandogliela dietro le orecchie.

«Temo che la mia non fosse una richiesta, miss Darling» sussurrò, la bocca a un palmo dal suo naso.

Dentro Wendy infuriava una guerra feroce di istinti contrastanti. Provò un'ondata di disprezzo verso quell'uomo, tale da farle desiderare di avere un'arma a portata di mano. Al contempo, però, al tocco delle sue dita le si era creato tra il ventre e lo stomaco un nodo che le impediva di ragionare lucidamente. Alla fine il primo istinto ebbe la meglio, e la giovane alzò fulminea una mano nel tentativo, vista la mancanza di armi, di tirargli un sonoro ceffone. Ovviamente non fece neanche lontanamente in tempo: la sua mano non aveva neanche raggiunto l'altezza necessaria quando quella di lui la bloccò afferrandola per il polso – una stretta incredibilmente delicata, ma di una fermezza tale da farle paura. Trattenne il respiro e alzò gli occhi, lasciandoseli invadere dalla colata d'oro che era il suo sguardo.

«Non siate sciocca, miss Darling. Posso aver deciso di essere gentile con voi perché ammiro il vostro temperamento e apprezzo il vostro aspetto, ma se non iniziate a ricambiare la mia gentilezza finirò per… rimanerci male.»

Aveva parlato a voce bassa, piuttosto lentamente, e nei suoi occhi Wendy vide qualcosa che la fece temere, per la prima volta in maniera concreta, per la propria vita. Erano occhi animati da un'intensità forte, febbrile, ma si trattava di un'intensità vuota e fredda, priva di qualsiasi traccia di emozione. Annuì piano.

«Molto bene… Capitano Morgan» rispose, con voce pacata e forzatamente serena. «Se mi fate la cortesia di lasciare la mia mano, andrò a indossare il vestito che siete stato così gentile da prepararmi.»

Lui inclinò il viso di lato, e i muscoli del suo collo si tesero sotto la pelle. Molto lentamente staccò le dita dal polso di Wendy, accarezzandolo mentre abbassava la mano.

«Mi sembra che così vada molto meglio, non credi anche tu, Wendy?» chiese ancora a voce piuttosto bassa, arretrando di un passo senza smettere di guardarla. «Posso chiamarti Wendy? Personalmente, sarei lieto se volessi chiamarmi Ezra.»

Wendy, che aveva abbassato lo sguardo nell'impulso di controllarsi il polso – il quale sembrava rovente al tocco, nonostante l'uomo non avesse fatto alcuna forza nell'afferrarglielo – ricambiò la sua occhiata, e cercò di riempirla di tutto il gelo che trovò dentro di sé.

«Ma certo. Ezra.»

«Meraviglioso» fece lui, sfoderando un sorriso radioso che, maledetta stupida che non sono altro ma che razza di problemi ho, le fece tremare leggermente le gambe. «Scese le scale, seconda porta a sinistra. Sono sicuro che lo troverai senza problemi.»

Wendy non rispose. Si limitò a incamminarsi verso la porta e, senza guardarsi indietro, la oltrepassò.

 

§

 

Il villaggio del capo Toro in Piedi pullulava di vita. Il falò nella piazza principale scoppiettava allegro fin dalle prime avvisaglie di tramonto, costantemente alimentato, e fuocherelli più piccoli cominciavano a spuntare qua e là tra le tende. Ormai da diverse ore Peter Pan sedeva in mite silenzio ai margini della vita sociale degli indiani, a gambe incrociate e con gli occhi chiusi. Peter non poteva certo definirsi un ragazzo paziente, ma ci sono momenti la cui serietà deve avere la precedenza sul nostro temperamento – se l'era ripetuto svariate volte, da quando Toro in Piedi l'aveva spedito in attesa proprio lì dove stava adesso: a ridosso di una foresta di pini, seduto davanti a una grossa pietra dalla singolare forma a stella.

«Se di te vedere lei decide, lì essere dovrai» gli aveva detto, con il suo vocione baritonale.

E Peter aveva obbedito senza replicare. Del resto, era certo che se lei non avesse voluto vederlo non l'avrebbero lasciato avvicinare così facilmente a Wicapi wakan*. Aprì una fessura d'occhio e sbirciò la pietra poco distante, ma la richiuse immediatamente. Poi soffiò una folata di vento, e Peter ci riprovò. Quando schiuse nuovamente le palpebre, invece della pietra si trovò davanti una donna minuscola e decrepita. Reprimendo a fatica un sussulto, spalancò gli occhi e guardò l'anziana, che in piedi era alta circa quanto lui seduto per terra.

«Bambino» esordì senza preamboli, scrutando il viso di Peter con occhi neri come la notte circondati da una miriade di rughe. «Non pochi problemi potresti causare, se in fondo al pozzo vuoi davvero andare.»

Vestiva una tunica grigia, lunga fino ai piedi scalzi, e i suoi capelli erano completamente intrappolati in innumerevoli treccine che, a loro volta, sfioravano il suolo provocando suoni secchi con gli svariati gingilli di cui erano ricolme. Guardava Peter con aria impassibile, le mani rugose giunte al ventre.

«Lo so, maiara shimasani wakanda*» replicò lui chinando il capo, prima di tornare a guardarla con aria risoluta. «Ma non posso fare altro. Devo tentare. Se avete consultato il fuoco sapete, sapete che devo tentare. Lei rischia di perdersi. Rischia la vita. Io… Io le devo la vita.»

La vecchia rimase qualche secondo in silenzio, soppesando la figura del ragazzo con occhi attenti e pensosi. Poi allungò le mani segnate da tempo inestimabile e gli posò delicatamente le dita sulle tempie. Chiuse gli occhi e prese a muovere le labbra in silenzio, come se stesse parlando una lingua muta e inaccessibile. A Peter parvero trascorrere ore intere, durante le quali il sole tramontò e non tramontò, la notte venne e non venne e, quando finalmente l'anziana terminò il suo strano rituale e staccò le mani dal suo viso, lui si accorse che la luce era la stessa di prima e il villaggio, non lontano, vociava ancora la sua allegria.

La donna gli voltò le spalle e oltre la sua schiena, talmente minuta da non crederci, Peter vide la sua mano posarsi sulla pietra a forma di stella. Vi restò solo qualche secondo, poi lei annuì, e senza guardarlo parlò un'ultima volta.

«Wicapi wakan ascolterà.»

Nel giro di pochi attimi era già lontana, sempre più piccola, e Peter fece a malapena in tempo a gridarle un «Grazie, shimasani!».

Solo quando ormai la vecchia fu scomparsa alla sua vista, nelle orecchie di Pan risuonarono poche parole, pronunciate dalla sua inconfondibile voce gracchiante: «Buona fortuna, bambino».

Peter rimase immobile qualche secondo. Prese un profondo respiro, si avvicinò alla stella di pietra e vi posò entrambe le mani, i palmi volti verso l'alto. Era fresca e liscia. Per interi minuti non accadde nulla. Poi, impercettibilmente, i rumori intorno a lui presero a farsi più ovattati, le voci più sottili, finché fu circondato soltanto da un silenzio sordo, quasi insopportabile. Fu quando le orecchie di Peter cominciarono a tapparsi che accadde. La pietra divenne prima tiepida e poi calda, e ad un tratto lui poté distintamente percepire un battito, lento ma costante. Come un cuore pulsante di vita, forte e regolare, la stella di pietra pareva aver preso vita, e stava svelando quella vita a Peter Pan. Lui sorrise piano, un sorriso intimo e dolce.

«È da molto tempo che non parliamo, mia Isola.»

 

When you reach for the stars
don't forget who you are,
and please don't turn around
and grow up way too fast. (…)
Story's read, prayer is said.
(**)


 

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Il caldo, l'afa, gli esami, il lavoro... insomma, spero mi perdonerete, faccio quel che posso! Comunque, fedele alla parola data, eccomi qui con il nuovo capitolo: è un capitolo un po' di transizione, lascia molti interrogativi e molte situazioni in sospeso... ma era necessario! Passiamo alle cose serie: i ringraziamenti! Come al solito, grazie a Misaki37 per la sua immancabile recensione. Grazie per i tuoi pareri, per me preziosissimi, e per la tua presenza costante. <3 Poi grazie a Jessica akunoklaroline01Kyuube e aly7 per aver inserito la mia storia tra le seguite, e grazie a tutti i lettori silenziosi: prima di cimentarmi in questa folle impresa ero una di voi, vi capisco, ma se qualcuno volesse uscire dal silenzio mi farebbe davvero felice! Baci :*

Wicapi wakan significa "stella sacra" in lingua Sioux.
** Maiara shimasani wakanda significa "saggia nonna dai poteri magici" in un mix tra le lingue Sioux, Tupi e Navajo (insomma, mi sono divertita).

(*) Parole tratte da Whisper degli Evanescence.
(**) Parole tratte da Hourglass di Mindy Gledhill.

N.B. Le frasi scritte "così", tra virgolette e in corsivo, sono tratte dal film Peter Pan (2003) parola per parola.

  
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