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Autore: Dragon gio    11/07/2016    1 recensioni
Raccolta Stucky Superfamily con Peter Parker.
Peter era steso su un tavolo di acciaio, legato mani e piedi, mezzo nudo, il viso privo di maschera.
Era così pallido e immobile, che perfino il cuore di Bucky sussultò a quella vista.
Genere: Angst, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: James 'Bucky' Barnes, Steve Rogers
Note: Movieverse, Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti! E’ con piacere e, timore, che metto piede nel fandom Marvel per la prima volta! Prima di lasciarvi alla lettura, due paroline; questa che vi apprestate a leggere è una raccolta Stucky Superfamily con Peter Parker, insomma avete presente che ci sono scrittrici che la fanno in versione Stony? Bene, la mia è versione Stucky! XD Come linea temporale, parto da dopo gli eventi di Civil War (io mi rifaccio unicamente al Marvel movie universe) e, detto brevemente, Bucky è stato scongelato, il Cap perdonato e sono tornati a vivere a New York, dove i due hanno cominciato una relazione. ♥ Voglio precisare inoltre, che non ho nulla contro zia May ma, che per ragioni di trama, ho dovuto farle fare questa brutta fine, vi chiedo perdono! Sebbene la storia seguirà una linea temporale, ogni capitolo si può considerare autoconclusivo, indi per cui verrà aggiornato solo nel momento in cui avrò qualche idea decente da presentarvi! XD
 
Detto ciò, vi auguro buona lettura! Come sempre, consigli, critiche costruttive e quanto altro saranno sempre ben accette!
 
 
The Soldier, The Captain & The Spider
You’re Not Alone
 
 
Si trovava in un luogo a lui sconosciuto, buio, umido e silenzioso. Le luci, i suoni, ogni cosa pareva lontana, irreale. Peter si sentiva come una piccola e fragile bolla di sapone nell’oscurità, pronta ad esplodere alla minima vibrazione. Camminava piano, mettendo un piede dopo l’altro con incertezza, proseguendo sempre dritto. Un tintinnare di gocce d’acqua scandiva i suoi passi, lentamente e con cadenza misurata.
 
Un grido squarciò le tenebre, la voce di una donna. Una voce che invocava il suo nome.
 
Zia May!
 
Peter si mise a correre. Le sue gambe si muovevano frenetiche, il suo cuore si dibatteva con ferocia nel petto, eppure, era sempre fermo nello stesso punto.
 
La voce si placò tutto un tratto. Peter tremò, davanti a lui si stagliava una porta. Alta, scura, una scritta in bianco accecante che diceva “obitorio”. Il giovane deglutì più volte, il respiro sempre più affannoso. Spalancò la porta e dentro vi trovò una stanza asettica, senza niente dentro. A parte un letto con sopra un cadavere.
 
Zia May…
 
Ripeteva come in trance Peter, gli occhi che gli si riempivano velocemente di calde lacrime. Si avvicinò al corpo privo di vita, continuando a domandare scusa. Ancora, ancora e ancora. Fin quando ogni cosa svanì e, Peter, riemerse con violenza dal suo incubo.
 
Scattò seduto, trattenendo a stento un grido di terrore. Premette con forza una mano sulla bocca per soffocare i singhiozzi che lo stavano scuotendo. Pensò di averla scampata, di non essere stato udito dalle due persone che dormivano nella stanza adiacente.
 
Toc toc.
 
Invece non era così. Si asciugò rapidamente le lacrime e il sudore sul viso usando il lenzuolo, prima di saltare giù dal letto e correre vicino alla porta.
 
« Peter, stai bene? Ho sentito che ti lamentavi! » Chiese una voce gentile dall’altra parte.
« S… sì! Sto bene! E’ tutto a posto, davvero! » mentì, la voce ancora roca e spezzata. Teneva una mano salda sulla maniglia, per impedire a chiunque di varcare la soglia.
« Peter… ti prego, lo so che hai avuto un altro incubo… fammi entrare… »
Dinanzi quella supplica, Peter cedette. Si lasciò andare ad un lungo sospiro, sconfitto, prima di fare qualche passo indietro. La porta si aprì, permettendo ad un uomo biondo e alto di entrare.
« Signor Steve… » disse formale Peter, lo sguardo che vagava a terra, sentendosi colpevole e sciocco.
« Non c’è bisogno che mi chiami “signore”, te l’ho già detto! »
« Ok… è che, me ne dimentico… »
 
Steve cercò a tentoni l’interruttore della luce e lo premette. Non appena la stanza fu illuminata, Rogers constatò il pallore e le profonde occhiaie presenti sul volto di Peter. Corrugò la fronte per un istante, preoccupato per il ragazzino che ormai non chiudeva occhio decentemente da almeno settantadue ore. Ma come poteva dargli torto? Sua zia May, la sua unica parente, la sua  sola  famiglia era deceduta in un incidente.
Un banale incidente d’auto provocato da alcuni rapinatori che, Spider Man, non era stato in grado di fermare, perché impegnato dall’altra parte della città a salvare altre vite umane.
 
La stampa lo aveva definito eroe, per aver tirato fuori da quel bus tutti quei bambini, ma questo per Peter non era importante, no, perché rimaneva il fatto che lui aveva fallito miseramente. Ancora. Prima con zio Ben, ora con sua zia May, erano morti entrambi a causa di un suo errore e niente al mondo lo avrebbe convinto del contrario. Essendo ancora minorenne, Peter sarebbe dovuto finire in adozione, chissà dove, chissà con chi, ma nessuno fra i membri della sua nuova famiglia, gli Avengers, lo avrebbe mai permesso.
Tony Stark si era messo in moto immediatamente, usufruendo di tutte le sue conoscenze e, del suo denaro, aveva fatto in modo di far smarrire le pratiche di Peter per qualche giorno, così da dare il tempo a loro di pensare ad un piano alternativo, per non farlo andare via.
 
Nel frattempo, Peter era ospite a casa di Steve e Bucky. Nessuno si era opposto alla richiesta, tutti sapevano che era la persona più adatta a prendersi cura di Peter, in questo momento di grave lutto. Perfino Bucky, per quanto reticente, data la sua mente ancora instabile, aveva accettato di buon grado la cosa, felice di poter dare una mano ad un'altra persona.
 
« Non hai voglia, di parlarne? » Domandò nuovamente Steve.
Peter se ne stava accucciato sul letto, le ginocchia al petto, strette in un abbraccio, il capo chino, gli occhi serrati che lottavano per non far cadere altre lacrime.
Erano trascorsi ormai svariati minuti, e la situazione non accennava a mutare. Ma Steve era paziente. E discreto, cosa di cui Peter gli fu grato dal primo secondo in cui aveva messo piede nel suo appartamento.
 
« Ti porto dell’acqua fresca… » Si alzò e si diresse in cucina, prese dal frigo una bottiglietta d’acqua naturale e ritornò sui propri passi. Passando davanti la porta della camera che condivideva con Bucky, vide quest’ultimo poggiato allo stipite. Le braccia al petto, lo sguardo crucciato tanto quanto il suo. Gli fece un cenno con il capo, indicando la camera accanto, ma Steve gli fece intendere che poteva sbrigarsela da solo.
 
Quando tornò da Peter, vide che si era coricato di nuovo, dandogli la schiena. Steve comprese che tentare di forzare il ragazzino a parlare, ora, sarebbe stato inutile. Posò la bottiglietta sul comodino e si preoccupò di coprirlo con il lenzuolo, che era finito per terra.
« Lascio la porta della mia stanza aperta, se hai bisogno non esitare a chiamare, ok? »
Non ricevette alcuna risposta, ma Steve non si offese. Capiva fin troppo bene cosa stesse passando Peter, così si ritirò, spegnendo la luce, lasciando il giovane libero di sfogarsi da solo, lontano dai suoi occhi.
 
Dopo un pianto che durò ore, Peter comprese che non sarebbe riuscito a dormire nemmeno quella notte. Ma era così stanco, tanto stanco, desiderava solo poter chiudere gli occhi e riposarsi, senza la paura di rivivere quell’incubo.
Ripensò alle parole di Steve e, come guidato da chissà quale istinto, balzò in piedi e si diresse a passo spedito verso la stanza accanto. Come gli aveva annunciato, la porta sarebbe rimasta aperta quella notte.
Steve e Bucky dormivano assieme nel letto matrimoniale; non erano stati molto chiari sulla natura del loro rapporto ma, alla vista di ciò, Peter dedusse che doveva trattarsi di una relazione sentimentale.
 
Esitò a lungo prima di trovare il coraggio di varcare la soglia. Improvvisamente si sentì uno stupido, ora che era lì cosa pretendeva di fare? Svegliare Steve e costringerlo a stare a sentire i suoi sfoghi?
Era così preso dai suoi pensieri, dal non accorgersi di essere osservato già da alcuni minuti da Bucky. Quando se ne accorse sussultò appena, sorpreso. Provò una tale vergogna che desiderò unicamente fuggire, ma Bucky fece qualcosa di inaspettato. Scostò le coperte e gli fece cenno di raggiungerlo. Peter sgranò gli occhi, scioccato, pensò di aver visto male, in fondo era abbastanza buio ancora.
 
« Vieni… » Gli sussurrò il soldato, la mano umana sollevata e tesa verso di lui. Peter si lasciò convincere e, sebbene ancora pieno di dubbi, si andò a coricare accanto a Bucky. Quando fu disteso, coprì bene entrambi e poi gli diede le spalle, così che le loro schiene fossero a contatto. Nessuno dei due fiatò, e nemmeno si mossero per un tempo indefinito. Ancora prima che se ne rendesse conto, Peter si era addormentato profondamente.
 
Alle prime luci dell’alba, Steve si destò per primo e, come al solito, abbracciò Bucky per dargli il buon giorno. Si rese conto che c’era un intruso nel loro letto, solo nel momento in cui si sporse oltre la spalla del compagno.
Sorrise nel vedere Peter che dormiva accoccolato sul petto di Bucky. Un braccio di quest’ultimo che gli cingeva la vita con fare protettivo. Era decisamente un immagine insolita, ma che riempì di tenerezza il cuore di Steve.
 
« E tu che dicevi di non saperci fare con i ragazzini! »
« Taci… »
 
Molte e molte ore dopo, quando anche Peter si svegliò, si sentiva finalmente pronto per parlare con Steve. Nel cuore la consapevolezza che, qualunque sarebbe stato il futuro che lo attendeva, non avrebbe dovuto affrontarlo da solo.
  
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