Libri > Sherlock Holmes
Ricorda la storia  |      
Autore: Padmini    20/07/2016    2 recensioni
Uno scandalo in Boemia. Conosciamo tutti il rapporto tra Sherlock Homes, il più grande detective della storia, e Irene Adler, cantante d'opera e donna di dubbia memoria. Watson ci ha raccontato tutto ... ma se non fosse andata realmente così? Se Holmes lo avesse ingannato per nascondere un grande segreto?
Una storia che trae ispirazione dal Canone, ma anche dai racconti della serie "Sherlock, Lupin e Io" di Alessandro Gatti e dagli apocrifi di Amy Thomas.
Avviso spoiler per chi non avesse finito di leggere la serie "Sherlock, Lupin e Io"
Genere: Avventura, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Irene Adler, John Watson, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Buongiorno a tutti!!

Ho appena finito di leggere la serie Sherlock, Lupin e Io e non ho potuto fare a meno di pensare a una nuova storia, seguito di quella che avevo pubblicato moooolto tempo fa.

Come incastrare la storia di questa serie con il Canone? Se nei racconti di Irene era lei stessa la narratrice e in quelli del Canone era il dottor Watson a descrivere cosa sucedeva, per questo racconto ho deciso di utilizzare un narratore esterno. È una rivisitazione del racconto “Uno scandalo in Boemia”, dal punto di vista di Sherlock Holmes e di Irene Adler, nel quale verranno svelate molte cose … Molti dialoghi e frasi li ho presi direttamente dal racconto originale, ma solo nei momenti in cui è presente anche il dottor Watson.

Per chi non ha letto tutti e dodici i libri, questo racconto avrà riferimenti all'ultimo. Chi non volesse spoiler è avvisato! C'è anche un piccolo riferimento ai libri di Amy Thomas.

Detto questo, buona lettura!

 

 

 

 

Uno scandalo in Boemia - Il treno dell'arrivederci

 

 

 

Se il dottor Watson avesse conosciuto di più Sherlock Holmes, probabilmente il suo racconto “Uno scandalo in Boemia” avrebbe narrato ben altre vicende. Non si può dire però che sia colpa sua ma di Holmes stesso il quale, non per sfiducia nei confronti dell'amico ma per fedeltà verso un'altra persona, decise di modificare la realtà, trasformandosi in un perdente pur di mantenere il segreto. Gra parte delle vicende narrate in quel racconto sono false, inventate di sana pianta per coprire agli occhi del grande pubblico ciò che doveva restare celato. Una sola cosa è vera: l'incontro tra due menti straordinarie, due persone le cui anime erano legate e sarebbero rimaste unite per sempre.

 

 

 

 

La luce dei lampioni accesi si rifletteva sulle finestre e sulla strada lucida per la recent pioggia. Uno stivale lucido andò a infrangere la superfice liscia di una pozzanghera ma il propietario non ci badò, era troppo immerso nei suoi pensieri per preoccuparsi di simili sciocchezze. Il suo passo era fermo e deciso, eppure le sue mani serrate e il suo viso tradivano la tensione che inquinava il suo animo. Non era colpevole di ciò che era successo eppure aveva contribuito in modo considerevole a far precipitare la situazione.

Una carrozza sfilò accanto a lui che, preoccupato per la sua identità, si coprì il viso con il cappuccio del mantello mentre svoltava da Marylebone Road verso Baker Street. Si fermò di fronte al numero 221B e, dopo essersi guardato attorno un paio di volte per accertarsi di non essere seguito, suonò il campanello. Pochi minuti dopo andò ad aprire una donna di mezza età dal volto amichevole, che lo condusse al piano superiore, dove lo stava aspettando Sherlock Holmes.

Si sentì stranamente più tranquillo mentre saliva i diciassette gradini che lo portarono al primo piano della casa, dove lo attendeva il detective in compagnia di un altro uomo. Lo sguardo dei due era stupito, forse per la foggia dei suoi abiti, inusuale.

“Ha avuto il mio biglietto?” chiese con voce profonda, che tradiva le sue origini boeme “Avevo detto che zarei venuto a trovarla.”

“Prego, si sieda” rispose Holmes “Le presento il mio amico e collega dottor Watson, che talvolta è così gentile da volermi dare una mano nei miei casi. Con chi ho l'onore di parlare?”

“Mi chiami pure conte von Kramm, zono un gentiluomo boemo. Spro che questo zignore, amico suo, sia un uomo d'onore e una perzona discreta di cui mi possa fidare per una kvestione di estrema importanza; altrimenti, preferirei parlare a tu per tu solamente con lei.”

Il dottor Watson, intimidito da quelle parole, si alzò per andarsene, ma Holmes lo trettenne afferrandolo per un polso.

"Entrambi o nessuno", disse, "Può dire davanti a questo signore tutto quello che direbbe

a me."

Il Conte scrollò le ampie spalle. "Allora comincio", disse, "chiedendovi il più assoluto riserbo per due anni. Dopo questo periodo la faccenda non sarà più importante. Al momento però è di un tale peso da poter influenzare la storia dell'Europa.

"Prometto", disse Holmes.

"Anch'io." aggiunse il dottor Watson.

"Scuserà la mia maschera", continuò il sedicente conte, "l'augusto personaggio che mi ha ingaggiato desidera che il suo agente vi resti ignoto, e posso confessarvi subito che il titolo con cui mi sono presentato non è esattamente il mio."

"Ne ero consapevole.", disse Holmes severo.

"Le circostanze sono molto delicate e bisogna prendere ogni precauzione per spegnere quello che potrebbe diventare un immenso scandalo e compromettere seriamente una delle famiglie regnanti d'Europa. Parlando francamente, la faccenda coinvolge il grande Casato degli Ormstein, re ereditari di Boemia."

"Ero consapevole anche di questo.", mormorò Holmes accomodandosi in poltrona e chiudendo gli occhi. Un osservatore poco attento avrebbe potuto dire che era calmo, ma qualcosa in lui tradiva una certa agitazione. Watson pensò che si stesse concentrando e il cliente probabilmente che fosse annoiato. Nessuno dei due poteva immaginare che in realtà stava reprimendo la rabbia.

"Se Sua Maestà acconsentisse a enunciare il suo caso", osservò, "Sarà per me più facile

aiutarla."

L'uomo si alzò di scatto, come morso da un serpente e iniziò a camminare su e giù per la stanza, agitato, fino a quando, al culmine dell'ansia, si strappò la maschiera e la gettò a terra.

"Ha ragione!", esclamò, "Io sono il re. Perché cercare di nasconderlo?"

"Davvero, perché?", sussurrò Holmes, "Ancora prima che lei aprisse bocca sapevo di avere di fronte Wilhelm Gottsreich Sigismond von Ormstein, Granduca di Cassel-Felstein e re ereditario di Boemia."

"Ma lei può capire", disse lui, tornando a sedersi e cercando di calmarsi "può capire che non sono abituato a seguire certi affari in prima persona. Eppure la faccenda è così delicata che non potevo fidarmi di un agente senza mettermi in suo potere. Sono venuto da Praga in incognito apposta per

consultarla."

"Allora, per favore, mi consulti.", disse Holmes chiudendo di nuovo gli occhi.

"In breve, i fatti sono questi: circa cinque anni fa, durante una lunga visita a Varsavia, feci conoscenza con la nota avventuriera Irene Adler. Il nome le sarà senza dubbio familiare."

"Per cortesia, Dottore, me la cerchi sull'indice.", mormorò Holmes senza aprire gli occhi.

Il dottor Watson obbedì e andò a cercare il fascicolo in questione, che porse a Holmes per poi tornare al suo posto.

"Vediamo!", disse Holmes, "Uhm... nata nel New Jersey nel 1858, contralto... uhm... La Scala... prima donna all'Opera Imperiale di Varsavia... sì! Ritiratasi dal palco... ah! Vive a Londra, proprio così! Sua Maestà, da quel che capisco, è incappato in questa giovane, le ha scritto delle lettere compromettenti e adesso desidera averle indietro."

"Esattamente, ma come..."

"C'è stato un matrimonio segreto?"

"No."

"Carte legali o certificati?"

“Nessuna.”

"Allora non riesco a seguirla, Maestà. Anche se questa giovane dovesse tirar fuori le lettere per ricattarla, come farebbe a dimostrare la loro autenticità?"

"C'è la scrittura."

"Bah! Falsificata!"

"La mia carta da lettere privata."

"Rubata."

"Il mio sigillo."

"Imitato."

"La mia fotografia."

"Acquistata."

"Eravamo insieme in quella foto."

"Oh, no! Questo non va proprio! Sua Maestà ha commesso un'imprudenza."

"Ero pazzo...folle..."

"Si è compromesso gravemente."

"Allora ero solo un giovane principe ereditario, adesso non ho che trent'anni."

"Bisogna recuperarla."

"Ci abbiamo provato e abbiamo fallito."

"Sua maestà deve pagare. Bisogna comprarla."

"Lei non la vende."

"La rubi, allora."

"Abbiamo fatto cinque tentativi. Due volte dei ladri al mio soldo le hanno svaligiato la

casa. Una volta le abbiamo sottratto il bagaglio con cui viaggiava. Due volte le abbiamo

teso un agguato. Nessun risultato."

"Niente di niente?"

"Niente."

Holmes rise. "È un bel problema.", disse.

"Ma molto serio.", replicò il Re contrariato.

"Lo è davvero. E cosa propone di fare, questa giovane, con la fotografia?"

"Rovinarmi."

"E come?"

"Io sto per sposarmi."

"Ne ho sentito parlare."

"Con Clotilde Lothman von Saxe-Meningen, seconda figlia del Re di Scandinavia. Conoscerà i severi principi di quella famiglia. Lei stessa è un animo estremamente delicato. Un'ombra di sospetto sulla mia condotta e sarebbe finita."

"E Irene Adler?"

"Minaccia di spedire la foto. E lo farà, so che lo farà. Lei non la conosce, ha un'anima d'acciaio. Ha il volto della più bella tra le donne e la mente del più risoluto tra gli uomini. Pur di non farmi sposare un'altra donna non c'è nulla che non farebbe... nulla."

"È sicuro che non l'abbia già spedita?"

"Sicuro."

"E perché?"

"Ha detto che l'avrebbe spedita quando il mio fidanzamento fosse stato annunciato ufficialmente. Questo succederà Lunedì prossimo."

"Oh. Allora abbiamo ancora tre giorni.", disse Holmes sbadigliando, "È una fortuna, visto che al momento ho due o tre cose importanti da seguire. Sua Maestà, naturalmente, resta a Londra adesso?"

"Certo. Mi troverà a Langham sotto il nome di Conte von Kramm."

"Allora le scriverò per farle sapere come stiamo procedendo."

"Sì, la prego. Sarò molto in ansia."

"E per i soldi?"

"Lei ha “carte blanche?”

"Assolutamente?"

"Le darei una delle province del mio regno pur di riavere quella foto."

"E per le spese immediate?"

Il re prese da sotto il mantello una pesante borsa di camoscio e la posò sul tavolo.

"Ci sono trecento sterline in monete d'oro e settecento in banconote.", disse.

Holmes scribacchiò una ricevuta su un foglio di carta e glielo porse.

"L'indirizzo di Mademoiselle?", chiese.

"Briony Lodge, Serpentine Avenue, St. John's Wood."

Holmes prese nota. "Un'altra domanda", disse, "la foto è formato album?"

"Sì."

"Bene. Buona notte, Maestà. Confido di poter aver presto buone notizie per lei. E buona notte anche a lei, Watson", aggiunse mentre le ruote della carrozza si allontanavano sulla strada, "Se è tanto gentile da venire da me domani pomeriggio dopo le tre mi piacerebbe chiacchierare con lei di questa faccenda."

 

 

Il mattino seguente Holmes si alzò molto presto. Si vestì elegantemente e si avviò con disinvoltura verso l'abitazione di Irene Adler. Bussò alla porta e, quando la domestica andò ad aprire, non le porse il suo solito biglietto da visita ma una carta da gioco, una donna di picche. Lei avrebbe capito.

La donna restò ad osservare il misterioso messaggio per qualche istante poi, sospirando d'impazienza, lo portò alla sua padrona, lasciando Sherlock fuori ad aspettare. Nel silenzio della casa, i passi della domestica risuonavano, amplificati dall'eco. Il rumore di una mano che bussa a una porta, il cigolio dei cardini, voci sommesse … e poi un'esplosione. Un urlo, passi frettolosi, di una donna che corre … e infine lei, Irene Adler, di fronte a lui.

Restarono immobili per molto tempo, fissandosi. Non si vedevano da quel giorno in cui lei era partita per andare in America, lasciando lui e Arsene in quel porto. Non c'era rancore tra di loro né rabbia, solo la gioia di rivedersi.

Irene prese Sherlock per un braccio e lo trascinò dentro per poi chiudere la porta.

“Anne, hai la giornata libera, mi arrangerò. Vai pure.”

La donna obbedì all'istante, ormai abituata agli strani ordini della sua padrona. Il motivo era semplice: Irene non voleva avere in mezzo ai piedi nessuno che non fosse Sherlock.

I due entrarono nel salotto e Irene lo invitò a sedersi sul divano.

“Sarò sincera, pensavo che fosse Arsène ...” ammise lei, lievemente imbarazzata.

“Per questo eri così euforica e poi mi hai guardato delusa?” chiese lui, riuscendo a mascherare la gelosia che lo attraversava.

“Non ero delusa!” esclamò Irene, rossa per l'imbarazzo “Ero solo … piacevolmente sorpresa. Sapevo che sarebbe stato uno di voi due, ma pensavo che tu non avresti mai fatto il primo passo venendo a trovarmi … e sono rimasta senza parole per la felicità!”

Sherlock la osservò in silenzio, valutando se quello che lei gli aveva detto era sincero o meno … infine decise per il sì.

“Va bene, ti credo. Sarò dunque altrettanto sincero. Sono felice di vederti, dopo tutti questi anni … e in effetti è vero che non avrei fatto il primo passo … se non fosse stato per il tuo bene.”

Irene lo fissò, senza parole, ma stavolta per una sorpresa non felice.

“Di cosa stai parlando?”

“Credo che tu sappia che sono diventato abbastanza famoso come detective ...” iniziò lui, parlando con calma per non spaventarla. Irene annuì, fingendosi tranquilla, ma il tono volutamente cauto dell'amico e soprattutto le sue parole la misero in allarme.

“Non mi spaventerò, Shrelock, non c'è bisogno che tu usi tutta questa cautela. Parla chiaramente, per favore.”

Sherlock annuì ma non parlò subito, cercanodo le parole giuste per comunicare alla sua amica quello che era successo.

“Bene. Sarò chiaro e sincero fin dall'inizio. So cosa hai fatto all'attuale re di Boemia e ad essere onesto devo dire che approvo totalmente le tue azioni … ma lui mi ha assunto per recuperare la fotografia che vi ritrae insieme.”

Irene impallidì leggermente ma mantenne il contegno.

“Avrei dovuto immaginare che ti avrebbe consultato …” lo guardò cercando di mascherare dietro al sorriso la sua paura “Cosa hai intenzione di fare?”

Sherlock aggrottò le sopracciglia, poi scosse la testa.

“Potrei dire di essere offeso dalla tua domanda … ma te lo dirò ugualmente. Non ho intenzione di fare nulla … almeno apparentemente. Mi muoverò in base a ciò che tu deciderai di fare. Se vuoi un mio parere, dovresti sparire per un po' e fare in modo che lui non ti consideri più una minaccia.”

Irene ci pensò a lungo. Era felice del fatto che Sherlock avesse appoggiato le sue azioni, ma si rendeva conto in quel momenot a quali gravi conseguenze l'avevano portata. Ciò che le era successo nei mesi precedenti era culminato con il coinvolgimento del più grande detective d'Europa, il suo amico Sherlock Holmes.

“Io vorrei … vorrei sparire … non farmi trovare più … stare tranquilla e vivere serenamente … magari potrei diventare apicoltrice!”

Irene rise, ma Sherlock non era altrettanto allegro.

“Una novità per te, eh?” commentò lui aspramente. Il ricordo di come l'aveva vista allontanarsi a bordo di quella nave tornò prepotente ma lui seppe mascherare la sua tristezza. Ciò nonostante Irene capì a cosa stava pensando.

“Cerca di capire … non vorrei farlo, ma ho scatenato una serie di eventi che ora mi stanno travolgendo e non posso far altro che nascondermi!”

Calò il silenzio tra i due e mentre Irene si disperava, senza speranza di trovare una soluzione al suo problema, Sherlock elaborava mille ipotesi. Solo dopo qualche minuto si concesse un sorriso radioso.

“Ho trovato.”

Non disse altro, preferendo godersi la reazione della donna. Come al solito gli piaceva tenere le persone sulle spine e quella volta non avrebbe fatto eccezione. La speranza illuminò il viso pallido di Irene, che pazientemente aspettava che lui parlasse.

Quando si sentì soddisfatto, Sherlock espose il suo piano.

“Dopo tutti questi anni ci siamo incontrati per puro caso. Non faccio fatica a pensare che tu non ti saresti fatta viva con me come io non lo avrei fatto con te … ma ora siamo qui e non voglio perderti ancora. Dovrai sparire, questo è ovvio, ma lo faremo in un modo diverso, stavolta. Non te ne andrai tenendomi nascosti i tuoi piani, sarò coinvolto anch'io.”

Un altro passo avanti verso la rivelazione, ma restò in silenzio un intero minuto prima di proseguire, per accrescere ulteriormente la suspance.

“Come avrai saputo, il mio coinquilino, il dottor John Watson, ha pubblicato un resoconto riguardo il primo caso che abbiamo risolto insieme e temo che vorrà ripetere questa esperienza, dal momento che ha avuto così tanto successo. Sfrutteremo i suoi scritti su di me per permetterti di eclissarti senza problemi dalla scena. Ovviamente, per obblighi contrattuali con il mio cliente non potremo pubblicare nulla che riguardi questo caso prima di un paio d'anni, ma per il momento ci interessa che almeno lui sappia e creda in ciò che io racconterò a Watson.”

“Cosa racconterai?”

Irene non avrebbe voluto interromperlo, ma non poteva più trattenersi dal domandare.

“È semplice. Racconterò io stesso a Watson ciò che vorrò far sapere al re in modo da depistarlo. Ovviamente nulla di quello che dirò sarà vero, ad eccezione del fatto che tu partirai e che non rappresenterai più una minaccia per lui e per il suo futuro matrimonio.”

“Continuo a non capire.”

“Fingerò di aver tentanto di scoprire, sotto mentite spoglie, dove si trova la fotografia. Dovrò tornare il giorno successivo, insieme a loro, per verificare la mia teoria e in questo modo convincerli della tua partenza. Potrei chiederti di farmi trovare la foto, ma credo che il re non meriti di vincere al cento per cento contro di te. Me ne farai trovare invece un'altra che ritrarrà te da sola con un biglietto in cui mi avvisi gentilmente che sei partita e che mi hai battuto.”

Il detective sorrise e Irene lo imitò, ma qualcosa la turbava ancora.

“Io sarò realmente partita … o ...”

“Sì, lo sarai. Non posso farti restare a Londra, almeno non per ora. Prendedrai un treno per Fulworth e starai lì finché non si saranno calmate le acque.”

“Fulworth, eh? Sembra simpatico, ho sempre desiderato vivere in Sussex … ma cosa ci dovrei fare, lì? Non conosco nessuno e al momento non ho abbastanza soldi per ...”

“Nessuno, a parte Mycroft ovviamente, sa che possiedo una casa in quel paesino.”

“Non dirmi che vorresti ...”

Irene era senza fiato e senza parole per la sorpresa. Sherlock le sorrise dolcemente, il primo vero sorriso che faceva da quando lei gli era comparsa di fronte.

“Te la regalo. Vivrai lì. Diventare apicoltrice è un'ottima idea, vendendo il miele e la pappa reale potresti guadagnare abbastanza per mantenerti … e io potrei venire a trovarti … se ti farà piacere.”

Irene lo abbracciò di slancio e senza pensarci due volte lo baciò sulle labbra. Sherlock non si tirò indietro di fronte a quel bacio e anzi lo ricambiò con felicità.

“Come al solito hai avuto un'idea geniale! … ma cosa dirai al re e al dottor Watson? Il fatto che me ne vada non lo tranquillizzerà finché saprà che ho ancora la foto!”

Sherlock sogghignò.

“Dirò loro che, pedinandoti travestito, mi avrai involontariamente coinvolto nel tuo matrimoio.”

“Matrimonio? Stai scherzando?”

“Ovviamente no.”

“Un matrimonio è qualcosa di impegnativo! Scoprirà subito che stai mentendo!”

“Non avrebbero prove per smentirmi. Dirò loro che, volendo sposarti in fretta e in segreto, avrai coinvolto nelle tue nozze solo un prete e un testimone – che sarò io – e ovviamente lo sposo. Il re, sapendo della tua partenza e del tuo matrimonio con un uomo che ami, non sarà più turbato e credo, senza falsa modestia, che anche le mie rassicurazioni in merito sapranno rabbonirlo e lo convinceranno a smettere di tormentarti. Ti sembre verosimile?”

“Sì! Assolutamente sì!”

“Bene. Allora se sei d'accordo verrò a trovarti tutti i giorni per un po' di tempo. Quando lo riterrò opportuno inizierò a dare a Watson false informazioni sulle mie uscite e nel frattempo preparerò tutto per la tua partenza. La sera precedente verrò ad avvisarti, ma dovrai essere pronta per partire in qualsiasi momento.”

“Quindi ingannerai anche lui?” domandò irene, sorpresa.

“Per ora dovrò farlo. Mi dispiace, ma non ho scelta. Potrebbe lasciarsi sfuggire qualcosa e non voglio che ti metta in pericolo. Tra due anni, quando scadranno i miei obblighi di riservatezza con il re, gli racconterò tutto. Per il momento sarà il nostro segreto.

Irene sorrise e abbracciò Sherlock, che ricambiò ancora una volta quel gesto affettuoso.

“Non so come farei senza di te, Sherlock … e non so come abbia potuto restare così lontana da te per tutti questi anni!”

“Ora niente e nessuno ci dividerà.”

Il tono autoritario con cui disse quelle parole commosse Irene, che lo strinse di più tra le sue braccia.

 

 

 

Come promesso, nei giorni seguenti Sherlock andò a trovare Irene con regolarità. Contrariamente alla prima volta però non si presentava vestito elegante, ma vestito da stalliere, per non far insospettire i suoi dipendenti. Lavorò sodo per mantenere la facciata ma passò anche molto tempo con lei. Tutto sembrava essere tornato come quando erano bambini e lui non poteva che esserne felice. Certo, era strano doversi comportare come due clandestini, ma rendeva l'avventura più eccitante ed entrambi non avrebbero potuto chiedere di meglio.

Ogni momento che trascorrevano insieme era perfetto, anche se era inquinato dalla consapevolezza che presto si sarebbero dovuti separare. Ciò che li faceva pensare positivamente però era anche la sicurezza che non sarebbe stato un addio ma un arrivederci e che, pur sempre in segreto, avrebbero continuato a vedersi e a tenersi in contatto.

Il tempo volò e infine arrivò la serata tanto attesa e allo stesso tempo indesiderata.

Irene non sapeva cosa aspettarsi dal suo amico ma ormai aveva imparato a fidarsi, perciò si sentiva più che tranquilla.

Quel pomeriggio tava leggendo, comodamente seduta nel suo salotto, quando sentì bussare alla porta. Era un ragazzino vestito di stracci che la guardava con gli occhioni di un cucciolo.

“Ha qualche monetina per me, signora?”

“Aspetta qui.” rispose Irene, e intenzionata a offrire al ragazzino anche qualcosa da mangiare, tornò in casa. Quando tornò alla porta il bambino era svanito, ma aveva lasciato un biglietto, vergato con la riconoscibilissima grafia di Sherlock.

 

Spero che Wiggins sia stato educato. Esci di casa per andare a comprare qualche abito per il vaiggio e non tornare prima di stasera alle sette. Non ti posso dire altro per il momento se non di fidarti di me.

Sherlock

 

La richiesta sembrava piuttosto strama ma Irene conosceva bene ils uo amico, perciò non protestò. Si vestì e nemmeno mezz'ora più tardi era già lontana da casa. Si chiese cosa avrebbe fatto Sherlock. Probabilmente si sarebbe introdotto in casa sua per preparare qualcosa … ma non le veniva proprio in mente di cosa si potesse trattare. La risposta, totalmente diversa da qualsiasi sua fantasia, arrivò qualche ora più tardi.

 

 

 

Il sole era tramontato da un po' quando Irene tornò a casa. Si sentiva tranquilla, perfettamente in pace con se stessa, ma anche molto eccitata all'idea della sorpresa che Shelrock le avrebbe preparato. Non fece tuttavia in tempo a scendedre dalla carrozza che un gruppo di ragazzini si fece avanti per aiutarla e ottenere in cambio qualche spicciolo. Spaventata per quell'aggressione così violenta, non pensò minimamente che potesse far parte del piano del suo amico, il quale aveva previsto la sua reazione che fu totalmente spontanea e veritiera.

I ragazzini stavano diventando sempre più aggressivi, quando un uomo, per la precisione un prete, si fece avanti per difenderla. Nella confusione che ne seguì Irene riuscì a fuggire e a raggiungere l'ingresso, ma quando vide il povero prete cadere a terra con del sangue che colava dal volto, si fermò e si rivolse alla folla che lo stava soccorrendo.

"Si è fatto molto male, questo povero gentiluomo?", domandò.

"È morto", urlarono parecchie voci.

"No, no, è ancora vivo", gridò un'altra, "ma potrebbe andarsene prima che lo portiamo in ospedale." "È un tipo coraggioso", disse una donna, "se non fosse stato per lui avrebbero potuto rubare la borsa della signora. Era una banda, e pure cattiva. Ah, ecco che respira."

"Non può stare in strada. Possiamo portarlo dentro, signora?"

"Ma certo. Portatelo in salotto, c'è un divano comodo, lì. Prego, da questa parte!"

Uno degli uomini presenti portò il malcapitato in casa e lo aiutò a distendersi sul divano. Solo quando furono soli, Sherlock si tolse il cappello e rivelò la sua identità. Irene trattenne il fiato per la sorpresa ma riuscì a mantenere un certo controllo.

“Cosa ci fai qui? Perché tutta questa messa in scena?”

“Ho raccontato ciò che ti avevo detto a Watson e per rendere più credibile la storia ho dovuto fare in modo che lui vedesse. Tra poco dovrò usare uno stratagemma per trovare la fotografia. Fingerò di aver bisogno d'aria, tu farai aprire la finestra dalla tua domestica e Watson ne approfitterà per gettare nella stanza un fumogeno e inizierà a gridare 'Al fuoco!' Tu a questo punto dovrai fingerti sorpresa e guarderai al nascondiglio in cui mi farai trovare la tua foto e la lettera, come abbiamo stabilito. Sono pronti, vero?”

Irene, sbalordita per ciò che la mente del suo geniale amico aveva elaborato, non poté che annuire. Sherlock guardò alla finestra con la coda dell'occhio e vide Watson, già appostato per il suo ruolo.

Senza farsi vedere, Sherlock le passò una busta.

“Qui c'è il biglietto del treno per raggiungere Fulworth e la chiave della casa. Non te lo chiederei se non fosse importante, ma vorrei che mi scrivessi non appena arrivata. Nella busta troverai anche l'indirizzo a cui scrivermi, uno dei miei tanti nascondigli qui a Londra. Non voglio che Watson o la signora Hudson intercettino per sbaglio le tue lettere. Stasera dovrai mettere sottosopra la casa, in modo che sembri che ti sei data alla fuga in fretta e furia.”

Irene, tesa ed emozionata, annuì senza farsi notare.

“Mi mancherai.” mormrò con la voce spezzata per l'emozione.

“Ci rivedremo presto.” rispose lui con un sussurro.

A quel punto la tristezza passò e Sherlock proseguì con il suo piano. Finse di aver bisogno urgente d'aria e Irene, senza farsi prendere dal panico, chiamò la sua domestica, che aprì la finestra per far respirare il povero prete, ormai tornato nella parte. Come si erano aspettati, qualcuno – Watson ovviamente – lanciò un fumogeno nella stanza approfittando della finestra aperta e subito gridò “Al fuoco! Al fuoco!”

Irene, un po' recitando e un po' realmente scossa per ciòc he stava accadendo così rapidamente, guardò verso il nascondiglio della fotografia, gesto che non sfuggì ovviamente a Sherlock il quale, constatato che Watson se n'era già andato, salutò Irene con un lieve bacio sulle labbra e uscì a sua volta dalla fienstra per raggiungerlo per poi sparire nella notte.

Irene restò immobile per qualche istante, prima di scoppiare a ridere. Avrebbe fatto ciò che Sherlock le aveva chiesto, ma prima di tutto voleva fargli uno scherzetto e salutarlo per un'ultima volta prima della partenza. Corse in camera sua e, afferrati i primi abiti da uomo che possedeva, si mascherò con un pesante mantello e un cappello largo per poi seguire l'amico lungo le strade di Londra.

Pedinare Sherlock fu divertente, anche se sicuramente lui la vide strisciare tra le ombre, il che rese il tutto ancor più eccitante. Quando finalmente i due uomini si fermarono di fronte alla porta del 221B di Baker Street, Irene osò farsi sentire. Il dottor Watson stava chiedendo a Sherlock quando sarebbe tornato a casa di Irene per recuperare la fotografia e lei trattenne a fatica una risata.

"Buona sera, signor Sherlock Holmes."

I due si voltarono e Sherlock, recitando alla perfezione, si finse sorpreso.

"Ho già sentito quella voce", disse Holmes scrutando la strada fiocamente illuminata, "Chissà chi diavolo era?"

 

 

 

Tutto era andato secondo i piani. Irene, anche se lo avrebbe voluto, non avrebbe potuto vedere l'espressione fintamente sorpresa di Sherlock il quale, al posto della fotografia incriminata, avrebbe trovato il suo viso e una lettera in cui si complimentava con lui per la sua scaltrezza e tuttavia gli comunicava l'esito negativo della spedizione.

Se la prima volta la quella nave li aveva separati, disperdendo il loro legame tra le onde irrequiete dell'oceano, Irene sentiva che la ferrovia che la stava portando a Fulworth avrebbe continuato a tenerli uniti, nel bene e nel male.

 

 

… fine … ?

 

 

 

 

 

Bene! Eccoci alla fine, forse, di questa storia. Per ora finisce così, ebbene sì, ma non escludo di poter scrivere un seguito. Come avevo anticipato si tratta di un collage di ispirazioni: Sherlock, Lupin e Io, ovviamente, poi i libri di Amy Thomas e infine qualche brano tratto direttamente dal Canone, per riportare i dialoghi che Watson sentì in prima persona.

Spero che vi sia piaciuta tanto quanto a me è piaciuto scriverla.

Alla prossima!!

MINI

   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Sherlock Holmes / Vai alla pagina dell'autore: Padmini