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Autore: Ellery    22/07/2016    1 recensioni
Francia, Marzo 1942 - Un piccolo caccia della Royal Air Force viene abbattuto nella campagna francese, lungo il Fronte Occidentale. Per i due piloti non c'è alcuna speranza: catturati da una brigata tedesca, torturati per informazioni su una importante azione militare degli Alleati. Allo spietato capitano Weilman si contrappone il Maggiore Erwin Smith, altrettanto desideroso di ottenere informazioni; almen fino a che qualcosa non scatterà nella mente del giovane ufficiale, portando alla luce vecchi debiti e promesse.
Aveva cercato in tutti i modi di tenere su l’aereo, tirando al massimo la cloche, sterzando ripetutamente per non costringere il piccolo caccia allo stallo, ma era stato tutto inutile: le ali non riuscivano a catturare correttamente l’aria, trapassate come erano, mentre dal motore usciva una scia di fumo nero.
La ff, a più capitoli, si propone di partecipare alla Challenge AU indetta sul forum da Donnie TZ. Prompt: Historical AU! IIWW = seconda guerra mondiale.
Genere: Guerra, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Farlan, Church, Hanji, Zoe, Irvin, Smith
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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1. Catturati


Marzo 1942 – Fronte occidentale, Francia. Campagne di Arras.
 

 
Lo Spitfire era precipitato. La contraerea tedesca lo aveva forato come una forma di groviera, mentre sorvolavano Arras. La campagna francese si era mescolata rapidamente con il cielo, i colori tenui dei campi incolti confusi con l’azzurro di un pomeriggio assolato.
Aveva cercato in tutti i modi di tenere su l’aereo, tirando al massimo la cloche, sterzando ripetutamente per non costringere il piccolo caccia allo stallo, ma era stato tutto inutile: le ali non riuscivano a catturare correttamente l’aria, trapassate come erano, mentre dal motore usciva una scia di fumo nero. L’atterraggio si era fatto urgente, ma non sarebbe stato soffice né indolore; aveva gettato una occhiata alle proprie spalle: il suo artigliere stringeva spasmodicamente i pomelli delle mitragliatrici, come se questo potesse salvarlo.

«Reggiti» gli aveva gridato, sforzandosi di non badare all’espressione terrorizzata del ragazzo «Andrà tutto bene, Farlan! Non permetterò che ti succeda niente!» bugie, infinite bugie. Non aveva idea di cosa sarebbe successo: se anche fossero riusciti ad atterrare senza danni, si sarebbero comunque trovati dietro alle linee nemiche. Avrebbero dovuto pregare di non incontrare tedeschi, di riuscire a scappare e nascondersi in qualche fattoria, sperando in soccorsi che non sarebbero mai giunti.
Maledizione, maledizione! Lo sapeva che quella missione era un suicidio, ma il generale Doyle aveva tanto insistito. Bombardare Arras non era servito a niente: in città non vi erano carrarmati nemici e nemmeno contingenti militari. La soffiata a cui si erano appoggiati era falsa. Li avevano fatti decollare per nulla, soltanto per lanciarli contro la spietata contraerea.
Il suo, ovviamente, non era l’unico veicolo abbattuto; aveva visto cadere altri quattro aerei, prima di essere colpito a propria volta. E, da quel momento, aveva fatto di tutto per non precipitare.
Sforzi inutili. Alla fine, lo Spitfire si era schiantato in un campo di grano immaturo, ai margini di un bosco di latifoglie.

Levi lo vide attraverso il velo delle lacrime che gli oscuravano la vista. Un bosco, sì… nascondiglio perfetto! Ah, se soltanto fossero riusciti a raggiungerlo! Sollevò la mancina, portandola alla testa, scostando un ciuffo dei corti e spettinati capelli neri: sentiva la fronte scoppiare, come se qualcuno l’avesse presa a martellate. Un rivolo di sangue colava dalla tempia sinistra, mentre un sapore metallico gli riempiva la bocca: anche le labbra si erano spaccate in più punti, così come gli zigomi. Un  dolore lancinante gli attraversava la gamba sinistra, salendo dalla caviglia slogata – se non addirittura rotta. La divisa color nocciola era intrisa di sangue all’altezza del fianco destro, là dove le lamiere avevano strappato tessuto e pelle. Gli occhi grigi spaziarono immediatamente al proprio corpo, alla ricerca di ulteriori ferite: per essere un pilota della Raf, rientrava a stento nei parametri di ammissione. E per aver quasi raggiunto i trent’anni, era decisamente basso e minuto.

«Merda…» sibilò, cercando di ruotare leggermente il busto. Arricciò la punta del naso, in una smorfia irritata, al sentire un sordo bruciore percorrergli tutto il corpo. Si costrinse ad ignorare quel fastidio, allungando la destra per scuotere le spalle dell’artigliere «Farlan…»

Il ragazzo seduto dietro di lui si chiamava Farlan Church. Aveva ventun’anni, otto meno di lui. Il capo biondo era riverso lateralmente, su una spalla, mentre lo sguardo chiaro completamente chiuso. I lineamenti del viso, candidi e delicati, erano solcati da spesse striature rossastre, mentre a stento il respiro pareva sfuggire dalla bocca sottile, ancora dischiusa in un urlo strozzato di terrore.

«Farlan» ripeté.
Non ottenne risposta: era svenuto? Moribondo? Doveva accertarsene! Non poteva indugiare: presto i tedeschi sarebbero arrivati e li avrebbero catturati. Occorreva muoversi, trovare rifugio nel bosco, nella speranza che questo bastasse a depistare i nemici e…
Uno scoppio lo costrinse ad abbassare la testa, mentre una miriade di piccole schegge affilate gli cadevano addosso, graffiandogli il viso e le braccia. Qualcuno aveva fatto esplodere il lunotto della cabina.

«Cazzo! Sono già qui…» un disperato tentativo di estrarre Farlan dalle lamiere «Dobbiamo andare! Dobbiamo…» non poteva lasciarlo, anche se la sua mente gli suggeriva di abbandonare il compagno e correre via. No, no! Non lo avrebbe abbandonato… non era morto! Era ancora vivo! Lo sentiva… sentiva il respiro flebile sotto le proprie dita. Farlan aveva bisogno d’aiuto, di un medico, ma… i tedeschi lo avrebbero salvato? O gli avrebbero sparato in testa, senza troppi ripensamenti? Scosse il capo, cercando di scacciare quelle congetture: non aveva tempo per i pensieri cupi! Doveva sbrigarsi.
Passò le mani sotto le ascelle dell’amico, tirando con forza. Niente… sembrava come… incastrato!
«Dannazione!» imprecò, un attimo prima che un altro colpo risuonasse nell’aria. Un rumore metallico e poi l’inquietante odore del carburante. Quegli idioti avevano colpito il serbatoio! Il fuoco lo avrebbe raggiunto rapidamente, passando dal motore. Un senso di rabbia e disperazione lo colse: no, no, no! Quei bastardi! Lo avevano fatto apposta! Volevano vederli bruciare? Esplodere insieme allo Spitfire? Il fumo arrivò a sfumargli la vista, a chiudergli la gola… tossì un paio di volte, ancora cercando di disincastrare Farlan. Non avevano più tempo, non…
Un paio di mani robuste lo afferrarono e lo trascinarono via dall’aeroplano, rapidamente. Scorse un altro soldato recuperare il corpo inerte del suo artigliere e un’esplosione gli frantumò i timpani. Poi, tutto divenne buio.
 
***

Quando riprese conoscenza, realizzò di trovarsi in una stanza bassa, dal soffitto in legno e il pavimento coperto di malmesse piastrelle. Le pareti erano coperte con sudicia carta da parati ed un paio di finestre sprangate lasciavano filtrare la luce del tardo pomeriggio. Persone in divisa nera, dall’aria tutt’altro che cordiale, li stavano squadrando con disprezzo. Qualcuno parlava: una lingua sconosciuta, di cui comprendeva soltanto alcuni termini. Tedesco, senza dubbio. Per un istante, la sua mente sperò che si trattasse di un abbaglio, di una visione: forse si confondeva e quelli erano ufficiali della resistenza francese! In quel caso erano salvi. Però… il francese lo masticavano: non lui, no… ma Farlan lo comprendeva benissimo. Scoccò una occhiata al compagno: aveva ripreso i sensi, ma sedeva sulla sgangherata seggiola di legno in modo scomposto, con la schiena curva, il capo chino e lo sguardo gonfio fisso sul pavimento.

«Farlan…» provò a chiamarlo, ma un ceffone gli arrivò dritto in faccia «FANCULO! STRONZO!» sputò, ottenendo soltanto un’altra sberla. Maledetti bastardi! Come si permettevano?! Sarebbe saltato in piedi e li avrebbe presi a calci tutti quanti, se non fosse stato legato a quella stupida sedia: i polsi erano serrati da pesanti manette in ferro, fredde e pungenti al contatto. Le caviglie, invece, erano allacciate con dei logori pezzi di corda alle gambe dello scranno, impedendogli ogni movimento. Quindi, doveva stare calmo! Era in una situazione complicata, in netto svantaggio e non poteva neppure pensare di svignarsela tanto facilmente. Inoltre, i tedeschi li avevano tenuti in vita: brutto segno! Significava che volevano qualcosa da loro, altrimenti li avrebbero fucilati seduta stante. Se erano lì, invece, era perché possedevano qualcosa di valore. Non soldi, non gioielli, ma la cosa più importante in una guerra: informazioni. Gli vennero in mente mille segreti che dovevano restare tali, cose di cui era a conoscenza, ma che mai avrebbero dovuto essere rivelate. Si morse le labbra nervosamente, assaporando ancora il gusto metallico del sangue che colava dalla sua bocca.

«Sprechen Deutsch?»

Scosse il capo. Non capiva.

«Français?»

Nuovo cenno di dissenso.

«Idioti! Mi sembra evidente che sia un fottuto Inglese!» dal fondo della sala si era fatto avanti un uomo alto e robusto, le spalle larghe avvolte dalla divisa scura ove spiccavano i gradi di capitano.  La faccia spigolosa era contornata da una massa di corti capelli scuri e da una barba incolta. Gli occhi piccoli e porcini erano contornati da occhiali tondeggianti, con una montatura in corno chiaro.

«Herr Weilman!»

Il soldato si ritirò, cedendo posto al superiore, che si piantò davanti a loro con le gambe divaricate e le mani sui fianchi, in una posa chiaramente sfrontata. Levi abbassò lo sguardo, sforzandosi di celare una risatina: quel pallone gonfiato sperava di intimorirlo, così facendo? Non si rendeva conto che, invece, era soltanto ridicolo.

«Ti viene da ridere» la voce amara di Weilman lo colse impreparato.

Sollevò immediatamente il capo, negando:
«No!»

«Non era una domanda, figlio di puttana»

Puzzava di alcool, quell’ufficiale. Una zaffata dell’alito pesante lo costrinse nuovamente a voltare la faccia, senza poter celare una smorfia schifata. Blah… poteva essere peggiore di così la situazione? Prigionieri dei tedeschi, feriti ed interrogati da un capitano ubriaco fradicio.

«È questa la vostra gratitudine, Inglesi?» era decisamente sgradevole quel tono e non prometteva nulla di buono «Vi abbiamo salvato. Il vostro aereo era in fiamme» in realtà lo avevano fatto esplodere loro! Stupidi crucchi! Dopo averli catturati pretendevano persino dei ringraziamenti? «Vi abbiamo medicato. E voi ci ripagate così? Ridendo sotto i baffi, mh?» Medicato? Aggrottò la fronte, abbassando lo sguardo alla propria divisa: la stoffa chiara, ancora macchiata, si era appiccicata alle bende sottostanti, che un infermiere doveva avergli passato sul fianco. La caviglia, al contrario, gli bruciava ancora; riusciva a muoverla leggermente, malgrado le corde, ma ogni tentativo gli procurava fitte fastidiose. Farlan, al contrario, soffriva ancora: il volto era esangue, le labbra tremanti e un alone rossastro andava allargandosi lentamente lungo il suo ventre.

«è ferito! Dovete curarlo!» disse, con una nota urgente. Idioti! Perché non lo vedevano? L’artigliere non era affatto curato. Probabilmente, qualcuno si era limitato a medicare superficialmente quel taglio, senza preoccuparsi di arrestare l’emorragia sottostante. Perché? Lo ritenevano già spacciato? A nessuno, in effetti, interessava la sorte di due piloti inglesi. Li stavano tenendo in vita soltanto per cavare informazioni. Bene… finché non avesse parlato, ci sarebbe stata una speranza per lui e Farlan. Forse… fino a che Weilman non avrebbe perso la pazienza! Poi…

«Lo abbiamo già fatto» c’era noncuranza in quel tono, come se al capitano non fregasse assolutamente niente.

«No, non è vero!» quella risposta gli procurò un’altra sberla. Maledetto stronzo! L’avrebbe pagata… prima o poi… gli avrebbe fatto ingoiare quelle umiliazioni prima di ammazzarlo nel sonno. Sputò di nuovo a terra, la saliva tinta di cremisi.

«Altre obiezioni, bastardello inglese?»

Calmo! Doveva restare calmo! Non poteva permettersi di perdere le staffe! Non sarebbe servito, né a lui né a Farlan. Quelli cercavano soltanto un pretesto per ucciderli. Non glielo avrebbe fornito.
Scosse piano il capo, aggiungendo un:
«Nessuna»

«Molto bene!» scorse Weilman allacciare le mani dietro alla schiena, con aria solenne, e passeggiare avanti e indietro per la stanza «Mi servono alcune informazioni… e so che me le darai, vero? Collaborerai?» cenno d’assenso «Bene. Vedo che inizi a capire» colse una pausa di una manciata di secondi, prima che l’odioso ufficiale riprendesse a gracchiare «Sappiamo che gli Alleati stanno preparando un attacco. Abbiamo intercettato alcuni comunicati che ne parlavano. Sappiamo che, indicativamente, è previsto per la fine del mese. Certi messaggi parlavano del ventotto Marzo, altri del trenta, altri ancora del venticinque»

L’operazione Chariot! Temeva che gliel’avrebbero chiesto! Era ovvio che sapesse il piano! Se non fosse stato abbattuto e catturato, avrebbe dovuto prendervi parte. Aveva studiato il piano, lo conosceva nei minimi dettagli, ma… non poteva rivelarlo, no! Era la maggiore operazione anti-tedesca prevista! Spifferare significava mandare a monte un piano costruito in mesi di duro lavoro, costruito a costo di vite e sacrifici! Abili soldati erano morti per ottenere le informazioni necessarie per costruire la Chariot. Non avrebbe gettato tutto al vento soltanto per salvarsi la vita. Scosse il capo, sforzandosi di mantenere un’aria impassibile:
«Non ne so niente» mentì, la voce ferma, per non dare adito a dubbi.

«Non ti credo. Le vedi queste?» una mano secca gli afferrò il mento, costringendolo ad abbassare lo sguardo sulla propria divisa «Sono mostrine da caporale. Sei un maledetto sottoufficiale della Raf. So che sai qualcosa. Me lo dirai, non è vero?»

«Non so niente» ripeté, trattenendosi dal cercare di mordere quelle dita che ancora gli stringevano il viso.

«Non ti credo»

«è la verità!» no, non lo era… e anche il tedesco ne era consapevole. Si sentì strattonare i capelli, costretto a piegare il capo, mentre un coltello affilato arrivava a pungergli la gola.

«Parla!»

Non lo avrebbe fatto! Potevano anche ucciderlo! Non avrebbe aperto bocca! Non avrebbe tradito i suoi compagni, la sua nazione, gli ideali per cui stavano combattendo, la libertà che doveva tornare a regnare in Europa. Chiuse gli occhi, preparandosi al peggio. Deglutì a fatica, mentre il cuore prendeva a martellargli con forza nel petto. Morire sgozzato non era la sua massima aspirazione, ma… evidentemente era così che doveva andare! Meglio crepare che vivere col rimpianto del tradimento!

«Non so niente…» disse, per la terza volta. Colse la lama graffiargli la pelle del collo, prima di ritrarsi improvvisamente. Weilman lo lasciò andare, spostandosi verso l’altro prigioniero. Cosa voleva fare?

«No! NO!» urlò, non appena vide l’ufficiale minacciare il petto dell’amico con il pugnale affilato. Si agitò sulla sedia, cercando di divincolarsi dai ferri stretti ai polsi. No, no, no! Non gli avrebbe permesso di far del male a Farlan! Non aveva già sofferto abbastanza? Il taglio sul ventre continuava a sanguinare, il capo biondo era abbandonato contro il petto, le spalle fiacche… che cosa voleva, ancora? Farlan non era a conoscenza dell’operazione Chariot «Lascialo stare!»

«Dimmi dei piani Alleati!»

«Non ne so niente! La vuoi capire? Niente!» ma un alto grido era giunto a coprire le sue parole. Weilman aveva affondato lentamente la punta del coltello nell’addome ferito, rigirandola lentamente. Bastardo! Gliel’avrebbe pagata! Non poteva farlo! Non poteva prendersela con Farlan! «Smettila! Smettila… figlio di puttana, smettila!!» urlò, tentando  inutilmente di liberarsi «Lascialo stare!»

«No. Io e il tuo amico ci stiamo divertendo, non vedi?» di nuovo un alto lamento di dolore, al roteare indiscreto della punta «Lo torturerò finché non mi dirai qualcosa. E… se quello che mi dirai non mi piacerà, lo ucciderò.»

Era tutto sbagliato! Non doveva andare così, no! Farlan non c’entrava niente! Cosa fare? Spifferare tutto, mandare a monte un piano fondamentale e salvare, forse, le loro vite? Oppure rimanere silenzioso, sopportare le grida del compagno, consapevole d’esserne responsabile? Non lo sapeva. Era una scelta troppo difficile. Dondolò nuovamente la testa:
«Non so niente!» ripeté, testardo, la voce rotta dall’incertezza e dalla delusione. Non poteva fare nulla: non poteva salvare Farlan e Chariot! Doveva scegliere: il suo amico oppure l’Europa intera. Non era così semplice: proteggere degli ideali era nobile, ma… a che prezzo? La vita di un compagno non era, forse, più preziosa? Lo Stato Maggiore della Raf avrebbe ideato nuovi piani, nuove strategie per combattere i nazisti! Lui, invece, aveva soltanto una possibilità per salvare Farlan: quella! «Per favore, credimi»

Quelle parole non servirono ad altro che a intensificare la tortura: un nuovo grido, l’artigliere agitato sulla sedia, il sangue che ancora sgorga.
«Ti prego, bast…»

«BASTA!»

Una voce si impose sulla sala, riducendo tutti al silenzio. Dalla porta socchiusa era giunta una nuova figura: un uomo si stagliava appena oltre l’ingresso, avvolto nella nera divisa. Le mostrine con i gradi rilucevano sulle spalle robuste, mentre la fioca luce inondava la pelle candida e lo sguardo profondo ed azzurro. Il volto squadrato era circondato dai capelli dorati, pettinati in una composta riga laterale. Le ciocche si sfoltivano gradualmente lungo la nuca, sfociando in un rasato taglio militare. Era… alto, piazzato. Senza dubbio, superava abbondantemente i centottanta centimetri. Levi si ritrovò costretto ad alzare il capo, quando se lo trovò davanti.

«Herr Major» Weilman pareva irritato da quell’intrusione «Wir hinterfragen die Gefangenen»

«Non li stavate interrogando, capitano! Torturando, piuttosto…» l’inglese del nuovo arrivato era fluente, morbido e con solo un lievissimo accento berlinese «Credo che i nostri ospiti non comprendano il tedesco. Siete pregato, quindi, di parlare inglese davanti a loro»

«Riservate troppe cortesie a questi topi di fogna, Herr Major! Non meritano clemenza»

«Questo sarò io a deciderlo» il maggiore prese una seggiola, accomodandosi davanti ai piloti ed accavallando le gambe, in una posa educata e composta «Avete già chiesto le loro generalità?»

«Nossignore»

«Come dunque pretendete che vi rispondano?! Potete accomodarvi, capitano. Da qui ci penso io»

«Ma signore…»

«Non intendo accogliere ulteriori obiezioni.»

Weilman si ritirò sul fondo della sala, dopo aver prodotto un piccolo inchino.
Levi scrutò il suo nuovo interlocutore: l’aspetto era affabile, distinto, pulito. Non assomigliava affatto al capitano ubriaco. Questo, però… poteva essere un bene o un male: poteva essere capitato in mani migliori o peggiori. Non avrebbe saputo dirlo, non studiando quel sorriso enigmatico o quegli occhi quasi ipnotici. Quel tipo era… indecifrabile, già!

«Come ti chiami?» ecco la prima domanda, ma… quella era semplice e poteva rispondere.

«Levi… Matricola 690088, Caporale della Royal Air Force» era tutto quello che poteva dirgli. Non avrebbe spifferato altro «E lui… è Farlan Church. Matricola… non so. Dovreste chiederla a lui. È ferito… devi aiutarlo. »

«Farò il possibile» quelle parole suonavano quasi come una solenne promessa. Per qualche strano motivo, si sentì quasi rassicurato, come se… quell’uomo fosse abituato a dispensare e mantenere giuramenti. Sembrava affidabile, sì… «Mi chiamo Erwin Smith. Maggiore dell’esercito tedesco.»

«Smith… non è un cognome tedesco…»

«Sono inglese per… un quarto. Mio nonno era inglese.» ecco spiegato il motivo di quella parlata fluida e corretta «Mi dispiace per quanto successo poco fa. Abbiamo bisogno di informazioni, ma questo non giustifica l’accaduto» Gli andava a genio. Almeno… per quanto un nazista possa andare a genio. Sembrava diverso, il Maggiore. Più comprensivo, colloquiale… umano. Forse capiva le sue esigenze, la necessità di proteggere una importante operazione militare e, contemporaneamente, salvare la vita di un amico. «Devo insistere, però… se sai qualcosa, se hai delle informazioni… ti chiedo di rivelarle. Le intercettazioni parlano di un attacco nei prossimi giorni. Dobbiamo sapere quando e dove. Dobbiamo essere preparati»

«No. Non so niente» doveva continuare su quella linea «E se anche lo sapessi, non te lo direi»

«è giusto. È comprensibile. Nemmeno io lo farei, al tuo posto. Ma… te lo devo chiedere nuovamente. Sai qualcosa?» erano davvero testardi i crucchi! Perché non si arrendevano? Sapevano che mentiva? Probabilmente. Quel tipo, Smith… sembrava particolarmente bravo a leggere le persone. Lo stava scrutando come fosse una sorta di libro difficile ma non impossibile da decifrare «Capisco che tu voglia proteggere i tuoi compagni… come io desidero proteggere i miei e tutto il popolo tedesco. Se sai qualcosa ti prego di riferirmelo… non te lo chiederò una seconda volta, Levi. Sto cercando di essere gentile, di metterti a tuo agio… »

«Trovo difficile sentirmi a mio agio legato ad una seggiola…» sarcasmo. Non avrebbe dovuto lasciarselo scappare. Socchiuse appena gli occhi, preparandosi all’ennesima sberla che, invece, non arrivò.

«Lo so e mi dispiace. Non possiamo permettervi di scorrazzare per una base tedesca come se niente fosse. Ti prego, comunque, di riflettere: dopo di me arriveranno altri ufficiali ad interrogarvi, con minore pazienza e con minore rispetto. Credi che Weilman sia crudele? Fidati, non hai ancora visto nulla.» la voce si abbassò, un tono di avvertimento e urgenza «Sa fare di peggio. Pensaci, per favore.»

«Non so niente»

«Sono sicuro che la notte ti aiuterà a riordinare i pensieri. Domani mattina, riprenderemo l’interrogatorio.»

«Voglio che Farlan venga curato!»

«E io voglio le informazioni. Come vedi… entrambi vogliamo qualcosa»

Bastardo! Era un ricatto! Quello stronzo… si spacciava per essere una persona affabile, gradevole, gentile… faceva leva sul suo bell’aspetto per fingersi amico, complice e poi…minacciare, ritrattare, estorcere. Non era poi tanto diverso dal capitano, solo… invece che ricorrere alla violenza, preferiva la pressione psicologica. Non sarebbe caduto in quella sporca trappola! Scosse il capo con veemenza

«Non ho informazioni da darvi, solo…»

«Pensaci su. “La notte porta consiglio”» ora citava anche i proverbi? Voleva davvero fargli perdere le staffe?! Quanto lo odiava! «Ah… non mi hai detto come fai di cognome.»

«Ackerman»

Il biondo si alzò di scatto, un’espressione turbata sul viso prima calmo. Per un istante, Levi si chiese dove avesse sbagliato:

«Ho detto qualcosa che non va?»

Ricevette in cambio un semplice scuotere del capo:
«No. Tutto bene. Riposate…»

Con quelle semplici parole, Smith si allontanò, oltrepassando frettolosamente la porta. A Levi non rimase altro da fare che seguire con lo sguardo quella imponente figura, fino a perderla tra le ombre delle stanze limitrofe.


 

 Angolino: eccomi qui col secondo capitolo. Mi dispiace per il doppio invio, ma davvero... non so come inserire una interlinea decente nelle mie storie (se qualcuno lo sa, per favore, me lo scriva ç_ç sono parecchio disperata con questo html)! Allora... rispetto al capitolo scorso, qui c'è un salto in avanti di diversi anni e, finalmente, la ff entra nella sua ambientazione originria ^^ Anche qui.. mi scuso per gli errori storici (lo Spitfire è un aereo monoposto... per esigenze di trama, l'ho fatto diventare doppio, ma pazienza... XD) e soprattutto per il tedesco (fatto con Translate, già... anche qui... se qualcuno di voi lo conosce e vuole correggere quelle poche frasi in tedesco che ci sono nel testo, sarò felicissima di ascoltarlo!)
Per il resto... nulla, spero solo che il capitolo vi sia piaciuto, anche se un po' lunghetto. So che ci sono errori qui e là e ripetizioni, ma... per quanto rilegga, non riesco mai a scovarli tutti! Comunque Spero di poter aggiornare presto la ff, perchè questa ambientazione mi ispira un sacco  *_* (nella speranza piaccia anche a voi, naturalmente). Al solito, se avete consigli o pareri, sarò disponibilissima nel riceverli ^^
Grazie per aver letto *_*
  
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