Aegon the Conqueror
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I graffianti
artigli del mattino fendevano impietosi il cielo a oriente, strappando ad Aegon
il suo dono notturno. Tenne gi occhi ancora chiusi e lasciò che il respiro
regolare della sorella lo cullasse. Rhaenys era adagiata sul suo petto, ancora
immersa nel sonno in cui entrambi erano scivolati chissà quando, stremati e
appagati l’uno dell’altra, per quanto Aegon potesse davvero sentirsi sazio di
lei. Lentamente, per non svegliarla, scivolò fuori dal suo abbraccio e si
diresse verso la finestra. La Strada delle Ossa si srotolava sinuosa attraverso
il territorio brullo e irregolare. Istintivamente volse lo sguardo a sud,
scrutando la penombra che mano a mano andava illuminandosi. Nessuna traccia di
presenza umana, solo silenzio e pace.
Nel frattempo il
sole aveva fatto capolino all’orizzonte; Aegon ne seguì i vivaci raggi che
prepotentemente filtravano nella stanza, accarezzando il corpo di Rhaenys,
giocando con i mille riflessi dei suoi capelli argentati.
Un rumore di passi
lo distolse da quella visione. Rapidamente infilò le brache nere abbandonate in
mezzo alla camera la notte prima, quindi, afferrato un semplice farsetto di
cuoio, uscì dalla stanza. Come previsto, il diligente Jon Mooton stava salendo
gli ultimi gradini del piccolo fortino e per poco non perse l’equilibrio nel
trovarsi Aegon in cima alle scale, in attesa.
«Maestà,
buongiorno, stavo appunto venendo a chiamarti» disse, accentuando il più
possibile il tono infastidito.
«Non dirmelo, di
nuovo la nostra volpe?» chiese Aegon con un sorriso amaro.
«Esattamente, sire»
borbottò il lord «È più testardo di un mulo, dovrebbe cambiare stemma, lo dico
sempre» polemizzò, scuotendo esageratamente la testa mentre si avviava di nuovo
giù per le scale.
Aegon lo seguì,
interrogandosi sul sistema per liberarsi definitivamente dalle fastidiose
lagnanze di lord Florent.
Dopo la grandiosa vittoria di quella che
era stata subito soprannominata la battaglia del Campo di Fuoco, Aegon aveva
nominato i suoi nuovi lord, quindi aveva fatto levare le tende e indirizzato il
suo esercito verso Nord, per intercettare le truppe di lord Stark che
rapidamente stavano discendendo il Continente per combatterli. Evidentemente,
però, a qualcuno non era piaciuto il modo in cui lui aveva risolto la questione
di Alto Giardino. Lord Arvid Florent, infatti, subito dopo aver appreso la
notizia che Harlen Tyrell era stato nominato nuovo lord dell’Altopiano, aveva
marciato a spron battuto verso Nord, per presentare al nuovo re il suo amaro
disappunto. A quanto pareva infatti, entrambe le case dei Tyrell e dei Florent
vantavano dei legami di sangue con l’ormai ex dinastia regnante dei Gardener,
ma lord Arvid sosteneva che la sua famiglia avesse maggior prestigio, antichità
e, di conseguenza, un diritto di sangue più forte per succedere al seggio di
Alto Giardino. Tutto molto giusto, se fosse stato che ad Aegon importava ben
poco di dinastie e millantate parentele: Aegon esigeva lealtà e rispetto al
prezzo più conveniente, e, per sfortuna di lord Arvid, i bistrattati Tyrell erano
dannatamente più a buon mercato.
Alla fine, però,
lord Florent aveva afferrato il nocciolo della questione, e, a giorni
alterni, si era presentato al cospetto del re carico di omaggi: un giorno aveva
portato splendidi gioielli, un altro aveva fatto condurre con sé tre magnifici
cavalli di razza, uno per ciascuno dei sovrani, un altro ancora aveva cercato
il favore delle regine con sontuosi abiti ricamati nei colori dei Targaryen, un
dono, quest’ultimo, che aveva mandato Visenya su tutte le furie.
Persino alla
vigilia dello scontro con lord Stark, il signore delle volpi si era insinuato
nella tenda del re, blaterando di leggende degli antichi Florent, ricoprendo di
quando in quando Aegon di esagerati e immeritati elogi.
Aegon ricordava perfettamente quel
mattino. Il cielo era quasi del tutto limpido, soltanto volgendo lo sguardo
verso nord si potevano distinguere alcune nubi candide, gonfie e pesanti, come
se gli Stark stessero portando l’inverno con loro. E anche lui aveva qualcosa
della propria terra con sé. L’aria era satura dell’odore del fumo di decine e
decine di fuochi da campo ormai estinti, che avevano formato una leggera
foschia a non più di un metro di altezza, trasmettendogli quell’inconfondibile
odore di cose che bruciano, lo stesso che la Roccia del Drago trasudava;
l’odore di casa.
E che poco dopo
aveva impregnato l’aria a est di Delta delle Acque, a miglia di distanza dalla
Fortezza dei Targaryen.
Lame di fuoco erano
piovute dal cielo, uno spettacolo pirotecnico di spaventosa bellezza. Re
Torrhen Stark, come si era presentato ad Aegon, aveva osservato pietrificato i
tre draghi volteggiare in alto, in una danza mortale, e riflettersi sulla
liscia superficie della Forca Rossa. Aegon si era ritrovato a sperare che al
signore del Nord bastasse quell’innocua dimostrazione. Era stanco di morte. Lo aveva
visto guardarsi attorno, misurare la forza numerica degli avversari, quindi
voltarsi e contare le centinaia e centinaia di soldati al suo seguito: padri, figli,
mariti, fratelli, amici; e poi di nuovo scrutare il cielo, dove i tre draghi si
rincorrevano ancora nell’aria. E dopo un momento durato ore, l’ultimo re
dell’Inverno aveva posto il ginocchio a terra, gettato la spada ai piedi dei
tre Targaryen e giurato fedeltà al drago: era stata la più gloriosa sconfitta
che Aegon avesse mai visto.
E che, lo sapeva, non si sarebbe ripetuta.
Dorne era un regno orgoglioso, fiero, non si sarebbe mai piegato al dominio dei
draghi senza combattere. Quel gioco a rincorrersi era solo l’inizio della vera
guerra.
Nel frattempo lui e
lord Mooton avevano raggiunto la sala centrale di Blackhaven, la roccaforte dei
Dondarrion, dove lord Florent attendeva quietamente, affiancato da quattro
corpulenti valletti che sorreggevano due enormi casse di legno lavorato. Aegon
sospirò esasperato, aveva faccende più importanti di cui occuparsi. Superò
senza neppure degnare di uno sguardo il petulante lord, e uscì all’esterno,
seguito a ruota da lord Mooton.
«Ringrazia lord
Florent per il generoso dono» disse Aegon, non appena sentì il vento caldo del
sud frustargli il viso «E ribadiscigli pure che la mia decisione ormai è presa,
le sue insistenze mi annoiano. E dirgli che cosa capita a chi mi annoia»
aggiunse, accennando un sorriso che poteva tranquillamente significare scherno
o schietta verità. Lord Jon si affrettò ad eseguire gli ordini, felice di poter
fare la voce grossa con l’insopportabile lord Volpe, come gli piaceva chiamarlo.
Superò alcune tende
piantate nel cortile del forte e si diresse verso una delle basse alture che si
rincorrevano ai due lati della Strada delle Ossa. Era sicuro di aver visto
levarsi del fumo, volute dense e torride: il respiro dei draghi. E infatti,
superato uno sperone roccioso, come aveva previsto, si ritrovò davanti allo
spettacolo che molti sognano di contemplare, ma che pochi hanno il coraggio di
ricercare: tre magnifici draghi erano distesi al caldo sole di Dorne,
crogiolandosi sotto i suoi raggi dorati che traevano riflessi multicolori dalle
loro scaglie. Visenya era seduta in mezzo a loro, perfettamente a suo agio
nella sua leggera armatura nera, il cui colore, unito alla potenza dei
riverberi della luce solare, faceva risaltare ancora di più i suoi lunghi
capelli innaturalmente splendenti e candidi.
Aegon si sedette
accanto a lei, ad ammirare la vista di quella terra unica anche nel paesaggio,
che rifiutava ancora di sottomettersi al dominio dei draghi.
«Ancora storpi e
vecchie raggrinzite?» chiese tutto d’un tratto Visenya.
«Sì» rispose
tranquillamente Aegon «Un pugno di uomini inabili al combattimento fatti
prigionieri. I dorniani nel frattempo continuano le piccole schermaglie contro
le truppe di avanguardia» proseguì «e solo stanotte quattro esploratori uccisi»
Visenya rimase in
silenzio.
La resistenza, testarda, orgogliosa e atipica di Dorne era stata un fattore che Aegon non aveva
considerato, credendo che nessun regno avrebbe potuto resistere a lungo al fuoco
dei draghi.
Ma ormai Aegon
aveva deciso. Aveva fatto troppo per conquistarsi quella corona ed era giunto
il momento che l’intera Westeros assistesse alla sua ascesa al trono. L’incoronazione
avvenuta davanti alle nere acque della baia dove erano approdati era stato un
atto dovuto, simbolico. Ora l’intero reame avrebbe dovuto assistervi.
Quando finalmente giunse
in vista dell’Alta Torre, trovò le porte della città aperte e lord Manfred
Hightower ad attenderlo, pronto a riconoscerlo come suo signore e re. Aegon
accettò l’atto di sottomissione e, tre giorni più tardi, convertitosi al Credo
dei Sette, venne incoronato dall’Alto Septon, che lo proclamò re Aegon, primo
del suo nome, re degli Andali, dei Rhoynar e dei Primi Uomini, lord dei Sette
Regni e Protettore del Reame.
E tale rimase, per trentasette anni. Amato
dal suo popolo e dai suoi lord, governò dall’alto del Trono di Spade, contorto
e intricato scranno forgiato dal respiro di Balerion, fondendo le lame di tutti
i nemici che aveva affrontato e quindi sconfitto.
Per trentasette anni
regnò, anni felici, a volte difficili, che segnarono l’inizio della Dinastia
del Drago che per quasi tre secoli avrebbe dominato Westeros.
… Ma questa è un’altra
storia.
Angolo Autrice
Ho iniziato altre fan
fiction, dedicate alla storia di Westeros, dove ovviamente i Targaryen ci sono
dentro fino al collo, e ho pensato che fosse meglio chiudere il ciclo delle
conquiste di Aegon per approfondire poi nel dettaglio le figure dei Targaryen
nei ritratti che sto facendo nelle due raccolte “Westeros Kings” e “Westeros
Queens”. Pertanto non sentitevi sollevati, vi riempirò di fan fiction ancora
per un po’!
_Jo