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Autore: SusanTheGentle    25/07/2016    3 recensioni
Una romantica vacanza nella capitale del rinascimento? Tre giorni di favola tra le vie fiorentine? Macché! Un’idea alquanto assurda, una corsa rocambolesca e incontri improbabili fanno da sfondo a questa bizzarra fanfiction, ma sempre con un tocco di romanticismo.
Questa fic è ispirata ad un’esperienza vissuta dalla sottoscritta tra il 7 e il 9 Giugno 2016, quando ho realizzato il sogno di vedere Ben Barnes dal vivo, sebbene per pochi istanti.
Una nuova Os sulla coppia Ben/Claire. Un altro sguardo al loro futuro.
[Questa storia fa parte della serie ‘A Place For Us’]
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ve la do io Firenze!
 



 
Firenze, 7 Giugno 2016
   
 
Il sole splendeva nel cielo di un azzurro limpido ornato di nuvole di un bianco accecante. La brezza leggera che si alzava di tanto in tanto donava momenti di refrigerio contro il caldo di giugno, che in alcuni attimi della giornata costringeva i cittadini e i turisti a cercare conforto all’ombra delle mura dei monumenti come la Cattedrale di Santa Maria del Fiore. Ben si trovava proprio sotto di essa, la videocamera del suo Apple puntata sulla Cupola. Fece una breve panoramica della chiesa, incantato dalla perfezione architettonica, dalla sua maestosità. Prima di dedicarsi a lavoro desiderava fare un po’ il turista, godendosi quelle meraviglie che erano patrimonio culturale e artistico dell’Italia.
“Wow” fu l’unica parola che gli usci dalle labbra quando, dopo aver fatto una panoramica della chiesa, puntò l’obbiettivo verso di sé. Spense la videocamera e caricò immediatamente il file sui suoi profili Instagram, Twitter e Facebook, accompagnato da un post in cui scrisse: ‘Indizio numero 2. Anche se la maggior parte di voi lo ha capito’.
L’indizio numero uno lo aveva postato la sera precedente, appena arrivato a Firenze insieme al suo manager e un paio di assistenti. Gli piaceva rendere partecipi i suoi fans di ciò che faceva. Voleva che indovinassero dove si trovava. Molti tweet recavano la parola ‘Florence’, altrettanti chiedevano cosa ci facesse in Italia.
Era ormai da qualche mese che Ben lavorava a quel nuovo progetto del quale si sentiva molto fiero e lusingato: sarebbe stato il volto della nuova fragranza maschile UOMO, di Salvatore Ferragamo, uno degli stilisti più famosi del mondo. Nervoso ed euforico, ne aveva subito parlato con i suoi famigliari, gli amici, i quali gli avevano inviato le loro congratulazioni – chi a voce, chi per telefono, o per chat – e un grande ‘Good Luck’.
Ma la persona più entusiasta era Claire.
Era stata lei a prendere la telefonata di una delle segretarie, la quale si era gentilmente premurata di contattare personalmente il signor Barnes e non il suo staff. Ben si trovava sotto la doccia quando l’urlo di Claire era arrivato dal piano di sotto fino al bagno. Era schizzato via dall’acqua, impaurito e confuso, precipitandosi giù per le scale della sua casa di Los Angeles, giungendo in salotto praticamente senza nulla addosso, solo un asciugamano attorno ai fianchi. Là, due donne gridavano: una, la signora delle pulizie, arrabbiata perché aveva appena terminato di passare lo straccio e lui aveva lasciato impronte bagnate dappertutto; l’altra, Claire, gli era saltata addosso, dicendo qualcosa di non troppo chiaro sulla segretaria di uno stilista. Quando infine si erano dati tutti una calmata, Claire gli aveva spiegato ogni cosa: il contratto con Ferragamo era stato firmato, controfirmato e approvato. Ben avrebbe lavorato con loro. Sarebbe divenuto il nuovo testimonial.
Claire era sempre stata il suo più grande appoggio. Anche quando sembrava che gli altri non comprendessero le sue decisioni, lei era pronta a spalleggiarlo. Per questo Ben aveva chiesto al suo manager di procurargli un biglietto per Firenze anche per lei: in quella nuova avventura la voleva accanto. Non accadeva molto spesso che lui la portasse con sé ad eventi e manifestazioni, nonostante non fosse più necessario nascondersi come facevano all’inizio; tuttavia, cercavano ugualmente di non uscire troppo allo scoperto, non tanto perché qualcuno glielo impedisse, ma semplicemente perché non desideravano avere gli occhi di tutti puntati sulla loro sfera privata. Forse era inutile continuare a comportarsi con tanta accortezza dopo due anni che stavano insieme, ma Ben non avrebbe mai cambiato idea: il suo lavoro era una cosa, la sua vita con Claire era un’altra. Una cosa solo loro.
Lei, emozionata ed entusiasta almeno quanto Ben, aveva seguito passo passo tutta la preparazione del lancio del nuovo profumo, la cui presentazione sarebbe avvenuta la sera del sette giugno a Firenze.
Il soggiorno toscano sarebbe durato tre giorni e Ben desiderava prendersi almeno uno di questi per visitare una delle più belle città d’Italia. Lui e Claire insieme nella capitale del Rinascimento... Da favola! Si fosse trattato di lavoro o meno, entrambi non vedevano l’ora di essere là insieme.
Ancora seduto al tavolino della pizza all’ombra del Duomo, Ben guardò intorno a sé in cerca di Tyler, il suo manager, e della loro guida e interprete, Stefania, una donna sui quaranta, mora, dall’atteggiamento pratico e la parlantina spigliata. Li vide impegnati a chiacchierare vicino all’entrata del bar dove avevano preso un caffé tutti e tre assieme. Approfittando del momento di solitudine, Ben aprì la chat e inviò a Claire lo stesso filmato appena postato sui social network, il quale aveva già ottenuto un notevole numero di like e commenti. I fans erano straordinari, ma l'attore era stato costretto a disattivare le notifiche dei suoi profili pubblici, o avrebbe rischiato la pazzia con il suono di tutti quei plin ad ogni ora del giorno e della notte. Aveva tenuto attive soltanto le notifiche della mail, della chat privata e delle pagine web che gl’interessavano di più.
Poco dopo il suo cellulare squillò e, con un largo sorriso, Ben rispose alla chiamata. «Ciao, bimba!».
«Ehi, com’è andato il viaggio? Tutto ok?» fece la voce allegra di lei.
«Tutto benissimo, siamo arrivati puntuali. Tu dove sei?».
Claire non aveva raggiunto Firenze insieme a Ben. Era partita dagli Stati Uniti qualche giorno prima di lui, approfittando dell’occasione per andare a Milano a trovare la sua famiglia.
«Sono appena arrivata in hotel, mi sto dando una rinfrescata», rispose la ragazza. «Tu fai già il turista, vedo».
«Devo approfittare dei momenti liberi».
«Hai scelto bene come prima tappa: il Duomo è splendido, vero?».
«Assolutamente magnifico, sono rimasto senza parole», rispose lui, tornano a fissare l’imponenza delle mura gotiche.
Dall’altro capo del telefono, Claire sorrise, immaginando l’espressione di meraviglia che lui doveva avere sul viso. Lo capiva dal tono della sua voce. A Ben piaceva molto visitare i luoghi storici, ma avrebbe avuto poco tempo per vedere Firenze. Per il resto della sua permanenza si sarebbe dovuto occupare della campagna pubblicitaria: quella sera c’era il party inaugurale e il giorno seguente un servizio fotografico. Claire aveva già preso parte a uno di questi, e sapeva che per scattare poche foto erano necessarie anche delle ore. Bisognava davvero sfruttare momenti di calma come quello per avere un pó di tempo per sé stessi.
«Se mi dai qualche minuto ti raggiungo, così facciamo un giro insieme», proseguì lei, frizionandosi i capelli umidi con una salvietta. Infilarsi nella doccia era sempre la prima cosa che faceva quando era reduce da un viaggio. 
«In realtà avrei in mente qualcos’altro», disse lui.
«Che cosa?» chiese Claire.
Ben rimase in silenzio per qualche secondo, poi sogghignò. «Ti va di fare un gioco?».
Lei si incuriosì. «Di che tipo?».
«Io ti do degli indizi e tu mi devi trovare».
Claire posò la salvietta, stupita e un po’ confusa. «Non credo di aver capito».
«Hai visto il filmato che ti ho mandato, no?».
«Sì».
«Hai notato che l’ho postato anche su Twitter, eccetera».
«Ah-ah».
«Bene. Che cosa ho scritto nel post?».
«Ehm…». Claire incastrò il cellulare tra la spalla e il mento, infilandosi un paio di jeans leggeri. «Hai scritto ‘indizio numero due’, e poi… ».
Ben la interruppe. «Esattamente. Quindi?».
Claire si immobilizzò. «Quindi… vuoi che io indovini dove ti trovi e ti venga a cercare?». No, non poteva essere…
«Esatto. Devi trovarmi», specificò meglio lui in tono divertito. «Se ci riuscirai, faremo un giro per Firenze insieme, altrimenti niente».
«Non… Aspetta». Lei era sempre più perplessa. Scosse il capo. «Non fai sul serio, vero?».
«Sì, faccio sul serio», ghignò Ben. «Ci stai?».
«Io… sì, ma…».
«Bene. Allora trovami».
Se fossero stati in un fumetto, sopra la testa di Claire sarebbero apparsi tanti punti interrogativi.
Trovami, diceva lui.
Esalò una risata incredula. «Ben, come pretendi che io… Ben?». Scostò il telefono dall’orecchio, lo fissò un secondo e poi lo riavvicinò. «Ben?!».
Lui aveva riattaccato.
Accidenti a lei e alle sue risposte affrettate! Quando le avev chiesto se stava al gioco avrebbe dovuto dire solo ‘ma’. Con quel ‘sì’ si era messa nel sacco.
Piuttosto allibita, Claire sedette pesantemente sul letto. Fissò ancora lo schermo del cellulare, tentata di richiamarlo. Ma qualcosa le diceva che lui non avrebbe risposto. Non le restava che assecondarlo.
Afferrò una maglietta dalle valigie ancora praticamente intatte, la infilò e si affacciò al balcone. L’hotel si trovava sul Ponte Vecchio: il fiume Arno scorreva sotto di lei; in lontananza, contro il cielo azzurro quasi senza nuvole, si vedevano il campanile e la Cupola rossa della cattedrale di Santa Maria del Fiore. Era una giornata limpida e calda.
Doveva essere stato quel caldo precoce a far sragionare Ben, per forza, altrimenti come avrebbe potuto balenargli in testa un’idea tanto assurda? L’aria italiana gli faceva male, doveva esser quello. O poteva aver bevuto troppo a pranzo, o magari non aveva digerito bene. O magari aveva picchiato la tesa contro qualche monumento ed era uscito di melone. Sì, era per forza così: aveva preso una bella botta sul cranio.
Cosa cavolo voleva dire ‘trovami’? Lei adesso che doveva fare? Andare in giro per Firenze a rincorrerlo? Sul serio? Sembrava proprio che lui volesse questo.
Claire fissò lo sguardo sulla sagoma della Cattedrale. Non era lontana dall’albergo, le sarebbero bastati dieci minuti a piedi per arrivare. Se raggiungeva e trovava Ben, il gioco sarebbe finito ancor prima di iniziare.
Tu guarda cosa le toccava fare per le sue idee strampalate!
Claire uscì dalla camera e si affrettò in strada, i capelli ancora umidi che iniziavano a curvarsi in piccole onde sulle punte. Non aveva avuto tempo di asciugarli, lo avrebbero fatto naturalmente, al sole. Era la prima volta che metteva piede a Firenze, ma nelle settimane precedenti aveva studiato accuratamente varie mappe e articoli sul web, per imparare come spostarsi attraverso la città. Voleva essere pronta a passeggiare con Ben per le vie principali ed ammirare i più famosi monumenti storici. Chi l’avrebbe detto che si sarebbe ridotta ad usare quelle informazioni per tutt’ altro scopo? 
Attraversò il Ponte Vecchio, verso il Lungarno degli Acciaiuoli, continuando dritta lungo due vie differenti, fermandosi di tanto in tanto a chiedere ai passanti se stesse percorrendo la strada giusta. Voltò a destra, poi a sinistra, sbucando infine in Piazza Duomo. Avanzò verso la Cattedrale, gettando la testa all’indietro per guardarla in tutta la sua magnificenza. L’enorme orologio sopra la porta maggiore segnava le 3:20 del pomeriggio. Claire volse lo sguardo sulla marea di persone che occupavano la piazza. Trovare Ben in mezzo a tutta quella calca sarebbe stata un’impresa vera e propria. Era impossibile che ci riuscisse, e lui lo sapeva bene. L’avrebbe fatta dannare!
Iniziò la sua ricerca facendo due volte il giro della piazza, entrando in un paio di bar a controllare se si fosse nascosto lì dentro, aguzzando la vista il più possibile. Di una cosa era sicura: avrebbe riconosciuto la figura di Ben in mezzo a centinaia d’altre, e se non riusciva a individuarlo, significava che non c’era.
Entrò nella Cattedrale per ripararsi un momento dal caldo. Per essere solo il sette di giugno faceva già parecchio caldo. Il vociare della gente si spense non appena la porta si richiuse silenziosamente dietro di lei. La frescura delle vecchie mura la ristorò. La prima cosa che Claire fece fu il segno della croce, in segno di rispetto. Non era praticante ma era molto credente. Avanzò piano nella vastità della navata centrale, notando la sobrietà degli arredi interni in pieno contrasto con la ricca mole delle mura esterne. Se Ben non avesse lasciato il cervello a Los Angeles a galleggiare in riva all’Oceano Pacifico, a quest’ora avrebbero potuto essere lì insieme ad ammirare i busti dei personaggi storici, le vetrate, gli affreschi… Ma no! Lui doveva inventarsi quella cosa assurda del ‘cerca e trova’.
Ben faceva così, ogni tanto se ne veniva fuori con idee pazze, come quella volta in cui avevano mollato amici e parenti  ed erano andati a Disneyland senza dire niente a nessuno. Il manager di Ben era diventato pazzo a non sapere dove si trovasse…
Dopo un giro completo della chiesa, Claire tornò verso l'entrata principale, davanti alla quale si fermò quando il suono soffocato del suo telefono giunse dalla tasca interna della borsa. Armeggiò con essa per qualche secondo, estraendo il cellulare. L’eco della cattedrale ne riverberò il suono contro le pareti. Alcuni astanti si voltarono in sua direzione, leggermente indispettiti. Un pò imbarazzata, la ragazza si affrettò a rispondere. Logicamente era Ben.
«Ciao», la salutò allegramente. «Dove sei?».
«Dentro il Duomo» sussurrò lei.
«Ancora lì? Io me ne sono andato da un pezzo».
Claire sospirò, un po’ seccata. «Andrà avanti per molto questo gioco scemo?».
«Non è un gioco scemo!» se ne risentì lui.«Ti sei già stancata? Siamo solo all'inizio».
Claire roteò gli occhi ma senza potersi impedire di sorridere. «Coraggio, dove sei?».
«Eh no, ti ho detto che devi indovinare. Sto per mandarti un nuovo indizio, è facilissimo. A dopo».
«Nonono, aspet… ». Claire imprecò a bassa voce, ma ebbe la netta impressione che qualcuno l’avesse sentita. Vi fu un colpo di tosse alle sue spalle e allora si voltò, incontrando lo sguardo indignato del prete. Claire indietreggiò piano piano, facendo di nuovo il segno della croce misto a un breve inchino, rivolgendo al parroco uno sguardo di scuse. Schizzò fuori dalla chiesa proprio mentre il cellulare emetteva un leggero plin: Ben le aveva mandato un’altra foto, la stessa che, poco dopo, comparve anche sulle pagine social di lui. Claire non aveva mai bloccato le notifiche di quelle pagine, e forse non lo avrebbe fatto mai. Dopotutto continuava ad essere una fan di Ben, anche se il loro rapporto, ormai, era decisamente lontano da quello di attore e ammiratrice.
Claire spalancò la bocca e trattenne il fiato sonoramente mentre guardava la nuova foto-indizio, la quale raffigurava nientemeno che la splendida statua del David di Michelangelo. Il furbone era alla Galleria dell’Accademia!
Lo avrebbe ucciso! 
Lo richiamò immediatamente e Ben rispose, la calma fatta uomo. «Sì? Che c’è?».
«Che c’è?! C’è che ti strangolo appena ti ho sotto mano!» esclamò lei, non sapendo bene se arrabbiarsi oppure no. «Accidenti a te, Benjamin! Lo sapevi che spasimavo per vedere quella statua! Lo sapevi quanto ci tenevo ad andare all’Accademia! Non è giusto che tu sia lì a goderti la vista di quelle meraviglie artistiche e io qui a girare come una trottola!».
Ben rise piano, parlando a voce più bassa del normale. Probabilmente era ancora dentro la Galleria. «Allora gira più in fretta, trottolina, così vieni a farmi compagnia».
Claire restò senza parole, passandosi una mano tra i capelli, mettendosi a ridere a sua volta di quel gioco un po’ infantile, insensato, ma che suo malgrado cominciava a trovare divertente.
«Mi renderai le cose difficili, non è vero?».
«In realtà te le sto rendendo facilissime» sogghignò Ben di tutto gusto. «Ti basta seguire gli indizi. Se poi sei una lumaca, la colpa non è mia».
Lei si figurò perfettamente l’espressione che lui doveva avere sul viso: un’espressione di profondo divertimento.
«Ti odio».
«No che non mi odi».
Claire tirò un sospiro rassegnato, allontanandosi dall’ombra che la Cattedrale proiettava sulla piazza, tornando sotto il sole. «No, è vero, non ti odio», ammise, piegando il capo in segno di resa. «Però in questo momento non ti sopporto».
«Facciamo così: immagina di essere una fan che ha appena scoperto che il suo idolo – cioè io – è a Firenze. Lei decide di provare a incontrarlo, rincorrendolo per tutta la città. Che te ne pare?».
Claire si mise una mano sul fianco. «Mi pare che tu sia molto, molto narcisista. E poi io sono una tua fan», ribatté con calma, «e tu sei il mio idolo». Lo sarebbe stato sempre.
«Lo so, non lo dimentico». La voce di Ben era diventata più dolce. «Non sarò solo quello, mi auguro».
Claire chiuse gli occhi per un momento e sorrise. «Ovvio che no. Tu sei il mio mondo».
Era incredibile come, anche dopo due anni, il cuore di entrambi battesse ancora così forte.
«Forza, bimba. Io sono qua, ti aspetto» furono le ultime parole di lui.
Claire chiuse a sua volta la chiamata, incamminandosi lungo Piazza Duomo. Anche stavolta non sarebbe stato difficile raggiungere il luogo stabilito. Aprì e consultò velocemente Google Map: la strada più breve per arrivare a piedi alla Galleria dell’Accademia era tutta in linea retta. Imboccò così una lunga via, passando accanto a innumerevoli negozi e palazzi; svoltò appena a destra e in altri dieci minuti fu davanti al museo.
Era passato pochissimo dalla chiamata di Ben: questa volta lo avrebbe acchiappato!
Non dovette fare la fila per entrare: erano stati previdenti, acquistando precedentemente i biglietti su internet. Claire sorpassò le sale, sforzandosi per non soffermarsi davanti alle opere d’arte esposte: statue, dipinti, c’era persino una sezione dedicata agli strumenti musicali. Una meraviglia! Ma lei doveva trovare Ben, prima. Avrebbe voluto mangiarsi i gomiti!
Si trovò proprio sotto quella perfezione che era la grande statua del David di Michelangelo, alta quattro metri, scolpita in marmo bianco. Non poté reprimere la voglia di immortalarlo in una fotografia. Era arte pura. Ma di Ben ancora nessuna traccia. Dove era andato a cacciarsi? Possibile che se ne fosse andato? Purtroppo, qualcosa le diceva che non sarebbe rimasto fermo nello stesso posto, ci avrebbe scommesso una mano.
Puntualmente, il telefono squillò. Claire rispose (questa volta non fece brutte figure, per evitare altre occhiatacce dai turisti aveva abbassato al minimo la suoneria).
«Ben?».
«Tempo scaduto. Mi hai mancato di nuovo».
Claire aggrottò la fronte, cercando di tenere basso il tono della voce. «Tempo? Quale tempo? Cos’è un videogioco?».
«Se resto fermo in un unico posto troppo a lungo, diventerebbe troppo facile» lo sentì sorridere. «Che gusto ci sarebbe?».
Lo sapevo... «Sì, ma se continui a spostarti non ti raggiungerò mai!».
«Sei troppo lenta, te l’ho detto, per questo non riesci a raggiungermi».
«Non sono lenta, sei tu che sei peggio di una lepre». Non seppe perché, ma nella sua mente prese forma una fugace visone di lei vestita da Alice e Ben agghindato da Bianconiglio. Claire si sentiva tanto così: nella fiaba, la povera Alice non passava forse tutto il tempo a rincorrere il quadrupede con panciotto e orologio da tasca? Ecco! Avrebbe fatto la stessa fine.
«Non mi avevi specificato che avrei dovuto rintracciati entro un tempo massimo» sbuffò la ragazza, udendolo di nuovo ridere. «Sei ancora qui, almeno?» gli chiese poi.
«No. Sono uscito qualche minuto fa». 
Lei fece una risatina ironica. «Chissà perché non mi stupisce. Sei perfido, lo sai?».
«Dai, che ti stai divertendo, Claire».
«No, affatto».
«Ti sento sorridere».
Era vero, lei sorrideva adesso, anche se non avrebbe voluto. «Dovevamo essere qui insieme, però» disse con una vaga punta d'insoddisfazione. «Come diavolo ti è venuta questa idea di giocare a nascondino?».
«Sembrava divertente come cosa. E poi fa piacere quando una donna ti corre dietro».
«Ben, dimmi la verità, hai battuto la testa?» chiese lei, iniziando a preoccuparsi.
Lui rise più forte. «No, la mia testa sta benissimo».
«Su questo comincio ad avere dei seri dubbi….» mormorò Claire tra sé e sé.
«Hai detto qualcosa?».
«Niente, riflettevo ad alta voce. Dammi il prossimo indizio, avanti» lo incitò poi, rassegnata.
«Un attimo e te lo mando, non ci sono ancora. Ricorda: hai quindici minuti».
Claire uscì dalla Galleria dell’Accademia, portandosi su Piazza delle Belle Arti. Mentre aspettava che Ben le inviasse il nuovo indizio, scattò qualche altra foto alle facciate esterne degli edifici.
Ma sì, pensò, dopotutto è un gioco. Prendiamolo come un gioco e vediamo come va a finire.
Ad un certo punto, senza nessun preavviso, un ragazzo e una ragazza sbucarono dalla folla, travolgendola.
«Mi scusi», disse la sconosciuta a Claire.
«Niente», rispose lei. «Ehi, attenzione!», fece poi, afferrando al volo la scatola che l’altra aveva in mano e che, nella corsa e nello scontro, aveva rischiato di far rovinare al suolo.
«Grazie, mi scusi ancora», disse in fretta la nuova venuta, richiamata subito dal suo compagno. «Signorina, sia gentile, me la tenga un secondo», disse alludendo alla scatola. «Torno a riprenderla subito, lei aspetti qui. Grazie mille!».
«Ehi! No, un momento!». Claire non riuscì a replicare in alcun modo: la ragazza aveva già raggiunto il suo amico e in un attimo erano sparti tra la folla di turisti accalcati sulla piazza.
E ora, lei che doveva farci con quella scatola? Era anche piuttosto pesante; in più, dal nome della gioielleria stampato sul coperchio in bella grafia dorata, capì che doveva contenere qualcosa di molto costoso.
La situazione iniziò a sembrarle alquanto strana.
«Eccola, è lei!», esclamò d’un tratto una voce.
Claire si voltò per vedere cosa succedeva: un signore piuttosto grasso, ben vestito e sulla sessantina, correva attraverso la strada accompagnato da due poliziotti. Tutti e tre puntavano verso di lei. Eh, già, non c’erano dubbi. Proprio verso di lei.
Claire indietreggiò di qualche passo. «Che… che desiderano?».
«Signore, è proprio sicuro che sia la stessa ragazza?», disse uno dei due poliziotti al tizio grassoccio e ben vestito.
«Certo, certo», rispose quello, fermandosi e ansimando per la corsa. «Non vedete? Capelli castani, i jeans e una maglietta bianca. E’ lei!».
«S-scusi ma ci dev’essere un equivoco», disse Claire, titubante. Qualcosa non quadrava. Che volevano?
«Nessun equivoco, nessun equivoco!» gridò il signore, prendendola per un braccio. «Dov’è il tuo compare? E’ scappato, eh? Ti ha lasciata da sola a vedertela con la giustizia?».
«No, aspetti. Io non…».
«Non tenti di giustificarsi, l’ho vista coi miei occhi! Lei ha distratto la mia commessa e il suo compagno ne ha approfittato per rubare questa statuetta!».
«COSA???». Claire non poteva credere alle sue orecchie.
Il signore aprì la scatola – ancora tra le mani di Claire – mostrandole un grosso soprammobile a forma di farfalla realizzato in cristallo. Doveva valere un bel po’.
«Meno male che la polizia era proprio nei paraggi. Davvero un colpo di fortuna».
«Un momento!» esclamò Claire. «Io non ho fatto proprio niente!».
«Signorina, non tenti di giustificarsi» intervenne il secondo poliziotto. «L’abbiamo vista correre fuori dal negozio con il suo ragazzo, siete fuggiti lungo la strada».
«C’è un errore, vi dico! Io in quel negozio non ci ho nemmeno messo piede!». E neppure si era accorda di essere passata davanti a una gioielleria!
«Se non ha fatto niente, allora come mai aveva tra le braccia la mia merce? Eh?» insinuò il signore grassoccio che – Claire aveva capito – era il proprietario della gioielleria. «Questo soprammobile vale ben cinquecento euro, lo sa?».
Apperò… «Cos… no che non lo so! Come faccio a saperlo?».
Il proprietario si alterò e i poliziotti cercarono di calmarlo. Claire si impose la calma a sua volta. Se Ben fosse stato al suo posto avrebbe parlato con tranquillità, in tono pacato e condiscendente, alla maniera inglese. Ma lei non era inglese, lei era italiana e gli italiani discutono ad alta voce, e se è necessario urlano pure. Claire non urlò, ma fece sentire le sue ragioni. Tirò un bel respiro e ricominciò da capo.
«Va bene, ascoltate: la persona che dite abbia rubato questa statuetta non sono io. Ho visto la ragazza di cui parlate, sia lei che il suo ragazzo: mi sono venuti addosso mentre scattavo delle foto. Lei mi ha chiesto se potevo tenerle la scatola, che sarebbe venuta a riprenderla qualche minuto più tardi. Poi se ne sono andati».
«Andati dove?», chiesero i poliziotti.
«Lungo la strada, non so dove di preciso».
«La sua spiegazione è veramente patetica!» l’accusò il gioielliere. «Non le credo. Non le credo neanche un po’!».
«Ma è a verità!».
«Secondo me, invece, lei è una complice!».
«Nemmeno per idea!».
«Allora è colpevole»insisté il gioielliere..
«No».
«Allora è una complice».
«Le ho detto di no!». 
«Eh, insomma, una delle due cose dovrà essere!».
Claire lo fissò a occhi sbarrati, più allibita che mai.
Mi vien da piangere...
Il gioielliere mise in fuori la pancia, sistemandosi la cintura del calzoni. «Mi spieghi, signorina: perché ha preso la scatola se non la voleva rubare?».
«Non lo so, per riflesso credo. Gliel’ho appena detto: ci siamo scontrati, la scatola stava per scivolare di mano alla ragazza, così ho fatto per aiutarla, per evitare che cadesse».
Si era formato un piccolo capannello di osservatori, turisti e cittadini che si erano fermati a guardare, incuriositi dall’accesa conversazione. Cercavano di capire l’accaduto, qualcuno bisbigliava.
Mancò poco che Claire non si infilasse mani nei capelli. Era la cosa più assurda che le fosse mai successa. E mentre loro se ne stavano lì a discutere, i veri ladri erano già belli che andati. Queste cose potevano accadere solo in Italia.
Intanto, i due agenti di polizia si erano consultati sul da farsi. 
«Il padrone del negozio, però, afferma sia la stessa persona», mormorò il secondo al primo.
Claire e il gioielliere allungarono le orecchie per sentire meglio quei bisbigli.
«Sì, ma il signore mi pare alquanto alterato e un po’ confuso», ribatté il primo poliziotto, «potrebbe aver scambiato questa signorina con un’altra ragazza».
«Ma ha anche detto che era vestita proprio allo stesso modo» disse ancora il secondo poliziotto, che era il più giovane e sembrava nuovo del mestiere.
«Sì, sì, proprio vestita così. Uguale», confermò il padrone della gioielleria, indicando gli abiti di Claire. «Da qui, non si scappa».
Claire guardò esterrefatta dall’uno agli altri. «Oh santo cielo! Quante ragazze ci saranno vestite come me, oggi, in giro per la città?».
«Su questo ha ragione: di ragazze in jeans e maglietta ce ne sono a decine», disse il primo poliziotto osservandola attentamente. Poi si rivolse al proprietario del negozio. «Lei è certo che fosse proprio la stessa ragazza?».
«Uhm…non è che l’abbia vista bene. Però, se non è la stessa, sono sicuro che sia una complice!».
D'un tratto, alla folla di curiosi emersero un paio di persone che, inaspettatamente, affermarono di aver visto la scena e che si era svolta esattamente come aveva detto Claire: due ragazzi in corsa le erano andati adosso, la ragazza in jeans e maglietta le aveva scaricato la scatola tra le mani e poi era corsa via insieme all’altro tipo.
«Senta, io ci rifletterei bene», intervenne il primo agente di polizia, rivolto al gioielliere. «Questa signorina sembra a posto, sembra che dica la verità. Vogliamo lasciarla andare?».
«Cosa? Come?».
«Abbiamo dei testimoni che hanno visto l’accaduto e, dopotutto, non abbiamo niente contro di lei, a parte la descrizione che, mi consenta di dirlo, con tante ragazze in giro con i capelli castani, vestite di jeans e maglietta bianca, come prova risulta insufficiente».
«Come sarebbe?!».
«Sarebbe che questa ragazza potrebbe essere stata coinvolta nella faccenda ma che in verità non c’entri nulla. Non sarebbe la prima volta che capita una cosa del genere. A me sembra sincera».
«Però tiene ancora in mano l’oggetto rubato!», insisté il gioielliere.
Claire rimediò subito al problema: senza tanti complimenti, mise la confezione e la farfalla tra le braccia del proprietario. «Ecco fatto. Se la riprenda pure, tanto io non la voglio. Ora scusate, ma ho da fare».
«Stia ferma dov’è! Dove crede di andare? Deve pagarmela!».
Il signore riprese a sbraitare e i poliziotti tentarono di indurlo nuovamente alla calma, anche perché c’era il rischio che gli partisse un embolo se continuava in quel modo. Lui voleva essere risarcito, altrimenti avrebbe sporto denuncia che si fosse trattato della ragazza giusta o meno.
Claire, che indignata era dire poco, tirò fuori il portafogli dalla borsa. «Va bene, tenga», disse al gioielliere, ficcandogli tra le dita grassottelle una banconota da cento euro. «Non sono abbastanza, mi dispiace, ma le prometto che più tardi mi premurerò di consegnarle il resto della cifra personalmente».
«Molte bene, molto bene», fece il primo agente, il quale aveva subito creduto alla sua innocenza, ed era stanco di perdere tempo con quella storia quando c’erano cose più gravi di cui occuparsi. «La sua merce è tornata nelle sue mani, signore. Tutto è risolto».
«Un piffero! Voglio essere risarcito come si deve!», gridò il gioielliere. «Non basta mica restituirla!».
«D’accordo», disse Claire, il cui cellulare aveva ripreso a suonare, «allora faccia mettere quella statuetta sul conto Barnes. Così sarà certo che verrà ripagato del danno. Ora devo andarmene, arrivederci». E detto ciò, si dileguò tra la folla di curiosi, marciando in fretta su per la strada. Non si voltò indietro nemmeno una volta, ignorando completamente le urla del proprietario del negozio che, rosso come un pomodoro, continuava imperterrito a gridare alla denuncia. Poi vi fu un fracasso seguito da risate, ma Claire non si curò nemmeno di quello. Lei non aveva fatto niente. Se quell'uomo voleva essere pagato andava bene, ma se non gli bastava, lei non aveva idea di che altro inventarsi.
. Pensò di tornare indietro su Piazza del Duomo, così fece per consultare nuovamente la mappa di Google e ricontrollare il percorso, notando però che Ben l’aveva chiamata due volte. Lasciò perdere la mappa, ricomponendo il numero di lui, che rispose subito.
«Ehi, bimba! Perché non rispondi? Che fine hai fatto?».
«Ciao, Ben, scusa, ho avuto un contrattempo».
«Che è successo?».
«Oh niente, non preoccuparti. È tutto a posto, arrivo subito».
«Sicura?».
«Sì, sì, sicura. Più o meno». Claire lanciò un’occhiata alle proprie spalle, notando con terrore il gioielliere ballonzolare verso di lei.
«Torni qua! Torni qua!».
Fossi matta… «Scusa, Ben, ti richiamo».
Temendo di essere inseguita, Claire schizzò lungo una via senza preoccuparsi se fosse quella giusta da percorrere, decisa a mettere più distanza possibile tra sé e quel gruppo di matti. Corse dentro un piccolo ristorante, dove c'era solo un ragazzo con un grembiule, intento a lavare i tavoli. Claire gli rivolse un sorriso appena accennato, lui invece niente, neanche un cenno. La guardava storto, come se trovasse il suo atteggiamento sospetto. Beh, non aveva tutti i torti...
Claire si mise in un angolo accanto all'entrata, sbirciando di tanto in tanto dalla vetrata anteriore del locale. Sentendosi osservata, si voltò verso il cameriere.
«Sto aspettando una persona» si giustificò, ma quello se ne stava sempre zitto.
Magari non è  italiano…
Trascorsi un paio di minuti circa, quando fu certa che in strada non ci fosse traccia del gioielliere e degli agenti, uscì dal ristorante, salutando educatamente il cameriere, il quale però persisteva nel suo mutismo.
Camminò speditamente lungo quella via. Poco dopo, finalmente Ben le inviò l'immagine che aspettava: questa volta si trattava della Galleria degli Uffizi.
Claire rimase letteralmente a bocca aperta per diversi secondi. Richiamò Ben all'istante, mentre la sua testa elaborava già un possibile piano di tortura.
«Il cliente da lei chiamato non è al momento raggiungibile» cantilenò la voce preregistrata dell’operatrice telefonica.
Te lo do io il non raggiungibile!
Lui non poteva farle questo! L’aveva fregata con il David di Michelangelo, non l’avrebbe passata liscia anche con le opere degli Uffizi: Raffaello, Tiziano, Botticelli, Leonardo da Vinci…
Stavolta lo uccido sul serio. Lo butto nel fiume, giuro!
Vedendo un taxi parcheggiato davanti a un hotel poco più in là, le venne una bella idea. Perché non ci aveva pensato prima? Se avesse preso un taxi avrebbe raggiunto Ben in un secondo e seminato definitivamente il gioielliere e gli agenti, se mai fossero ricomparsi. E ricomparvero.
Ma perché mi inseguono?
Claire si avvicinò svelta al taxi, chinandosi in avanti verso il finestrino aperto. «E’ libero?».
Il tassista posò lo smartphone sul quale stava tranquillamente smanettando. «Come l’aria. Ho appena accompagnato un cliente. Salga pure».
«Grazie mille». Claire si infilò sul sedile posteriore.
Il tassista accese il motore. «Dove la porto?».
Claire rifletté un istante. Quali vie doveva imboccare per arrivare al museo in macchina?. «In realtà non lo so. Beh, non importa, parta».
Il tassista le rivolse un’occhiata perplessa. «Deve darmi una destinazione».
«Ehm…Piazza del Duomo» disse lei, pronunciando il nome del primo luogo che le venne in mente. Da lì avrebbe potuto raggiungere gli Uffizi a piedi senza sbagliare e, per lo meno, se il gioielliere e i poliziotti l’avessero inseguita, avrebbe potuto entrare in chiesa e chiedere il diritto di asilo. Il parroco glielo avrebbe concesso anche dopo averla sentita pronunciare quella parolaccia, vero?
Ma che sto pensando?
«Se vuole un consiglio» disse il tassista, «farebbe molto prima ad andare a piedi che in auto, sa?».
«Dice davvero?».
Il tassista annuì. «Girare Firenze in auto non è tanto conveniente. Ma se lei insiste... ».
Claire guardò alle sue spalle, oltre il finestrine posteriore dell'auto. Il gioielliere rimbalzava sempre più vicino. «Insisto, insisto eccome».
«Non posso entrare in piazza con la macchina, però», precisò il tassista.
«Può lasciarmi in una strada vicina, va bene lo stesso. Ora, potrebbe ingranare la marcia?».
«D’accordo».
Lasciatasi alle spalle il gioielliere urlante, Claire tirò un sospiro di sollievo. Poco dopo, per la millesima volta in quella giornata, il suo telefonò suonò.
Ah! Finalmente! Adesso l'avrebbe sentita...
Claire prese la chiamata e, senza dargli tempo di dire niente, gridò forte, facendogli prendere un bello spavento.
«BENJAMIN!!!»
Al suo grido anche il tassista fece un bel salto sul sedile, frenando di colpo. Lei si sbilanciò in avanti, tenendosi al sedile del guidatore.
«Che cavolo urli, Claire?!» esclamò Ben a sua volta.
«Traditore maledetto!».
«Cos…che ho fatto?». Povero Ben, era completamente perso. Cosa poteva aver combinato di così grave per farla infuriare?
A lei mancava poco ed avrebbe avuto serpenti per capelli. «Hai fotografato il Museo degli Uffiziiii!!!!».
«Eh?...S-sì, la facciata esterna. Come…?».
«Ti avverto Benjamin Thomas Barnes, non osare entrare in quel museo senza di me!».
Ben deglutì. La sua bimba poteva anche essere minuta e tanto dolce, ma quando si arrabbiava diventava peggio di un tornado. «Io non… Aspetta, devo andare, scusa.Ti richiamo subito».
«Nonononono, un second-oh, ma insomma!» Claire ringhiò contro il telefono qualcosa di astratto.
Il tassista le rivolse un’occhiata dallo specchietto retrovisore. «Litigi con il fidanzato?». Non aveva capito nulla della conversazione, dato che lei aveva parlato in inglese, ma ciò non gli aveva impedito di trarre le sue conclusioni.
«Si faccia gli affari suoi» rispose Claire, irritata e imbarazzata, arrossendo leggermente.
Una decina di minuti più tardi, il taxi la lasciò in una via che faceva angolo con Piazza del Duomo.
«Sono otto euro».
Claire aprì la borsa e il portafogli. «Scusi tanto se ho urlato, poco fa». 
«Non si preoccupi, mi è capitato di peggio».
«La ringrazio molt…». Lei si bloccò sul sedile, ferma come un pezzo di marmo.
«Qualcosa non va?» domandò il tassista.
Claire non aveva più un soldo. Era uscita con cento euro in tasca, convinta che bastassero e avanzassero per acquistare souvenir, comprare da bere o un gelato, pagare l’entrata a musei per i quali non aveva prenotatoli biglietto; invece, aveva dovuto usare quel denaro come acconto di risarcimento per quel brutto rotolo incravattato di gioielliere!
«Io… ehm, non credo di avere abbastanza denaro. Posso usare la carta di credito?».
Il tassista la fissò con occhi cattivi. «Solo contanti».
Che imbarazzo! Fu costretta a frugare in ogni tasca del suo portafogli e della borsa, riuscendo infine a racimolare tre euro e cinquanta con il solo aiuto dei centesimi.
«Mancano quattro euro e cinquanta. Se vuole glieli porto». Si e come?
Il tassista, mosso a compassione, disse che andava bene così. Lei ringraziò, scese dal taxi e poi, rossa di vergogna, corse via letteralmente.
Non ritornò in piazza, prese invece verso sud. La sua meta era poco lontano. Il sole batteva forte. Claire estrasse dalla borsa il volantino che aveva preso all’entrata della Galleria dell’Accademia, sventolandosi con quello. Lasciò Piazza del Duomo, scendendo per una strada che la portò a Piazza della Signoria. L'attraversò accostando le mura del Palazzo Vecchio, le quali gettavano una buona porzione di ombra sul terreno. Infine, sbucò nel Piazzale degli Uffizi... quando un’orda abominevole di turisti giapponesi sbucò da chissà dove, travolgendola.
Claire fu costretta ad indietreggiare. «No, fermi, io devo andare da quella parte. Permesso. Scusate, permesso».
Una signora si voltò a guardarla, notando il volantino che la ragazza aveva in mano. Indicò dunque a suo marito prima Claire, poi il volantino, ripetendo in uno stentato inglese la parola «Guida».
«Come? Oh, no, no, signora, non sono la guida» cercò di farsi capire Claire.
La signora giapponese prese un altro volantino dalla sua borsa: era simile a quella di Claire ma non uguale, solo che la donna - che parlava solo la sua lingua - pareva non notarlo.
Claire scosse il capo. «No, ascolti… Ehm, io non sono la vostra guida, sono una turista. Turista. Capisce? Non capisce…».
Anche i giapponesi, adesso! Era possibile che capitassero tutte a lei, quel giorno?
Claire prese il volantino dalle mani della donna, indicandole prima quelo e poi il proprio. «Vede? Sono diversi. Ho preso il volantino all’interno di un altro museo, non questo…». Ma che glielo spiego a fare?
«Museo» disse ancora la signora, scandendo bene le sillabe. Segnò con il dito i due volantini e poi le mura degli Uffizi. «Museo».
«S-sì, è un museo, ma io non sono la vostra…».
Vedendola annuire, la signora prese a sorridere, tornando a parlare velocemente con suo marito (che era evidentemente il capogruppo), il quale alzò un poco la voce e mosse le mani per far sì che i suoi compagni di ascoltarlo, e dicendo qualcosa che li rallegrò. I giapponesi esibirono espressioni sollevate, accalcandosi attorno a Claire.
Lei capì che quei poveretti dovevano aver avuto dei disguidi con la guida turistica che avrebbe dovuto accompagnarli nel loro tour agli Uffizi, e chissà per quale strana ragione pensavano fosse lei!
«No, no, no, non ci siamo. Io-non-sono-la-guida» ripeté Claire, scandendo con energia le parole. Ma non c'era verso.
Possibile che nemmeno uno di loro parlasse un’altra lingua oltre al giapponese? A quanto sembrava no, perché quando provò a farsi capire pronunciando qualche frase in inglese, tutti le rivolsero occhiate perplesse.
La signora si mise a discutere col marito, il quale intanto le stava parlando fare impaziente.
«Guida. Guida», continuava a ripetere la donna, indicando Claire. Era l’unica parola straniera che conosceva, evidentemente.
«Non sono la vostra guida, signora» ripeté nuovamente Claire con uno sbuffo. «Mi guardi: no! Lo capisce questo? No».
«No guida?» disse la signora giapponese.
«Esatto. No guida. Niente guida». Claire sospirò di nuovo, speranzosa, ma le sue parole ebbero un effetto devastante.
una bambina accanto alla signora, con due codini sparati in aria, legati da due fiocchi azzurri più grandi della sua testa, scoppiò improvvisamente a piangere. Probabilmente, ‘no’ era l’unica parola che avessero finalmente capito, ed era andato a segno. Ma la bambina, forse per colpa del tono un pò brusco usato da Claire, la prese davvero male. Ed ora, un’altra donna che era senza dubbio la madre della piccola, guardava Claire come fosse un mostro e inveiva contro di lei.
Non è proprio la  mia giornata questa…
Dispiaciuta per le lacrime della bambina, Claire frugò nella borsa alla ricerca di una caramella. Magari così avrebbe smesso di piangere. Ma di caramelle non ne aveva.
«Mi dispiace, veramente, ma non posso farci nulla».
A un certo punto, là da qualche parte, in fondo alla strada, intravide la figura di un’auto della polizia, dalla quale scesero tre uomini: due in divisa e uno piuttosto grasso.
No, ancora loro?! Ma dove siamo, in un film tragicomico?
Non aveva nessuna voglia di mettersi ancora a discutere con quelli. Decisamente no.
Si fece largo a bracciate attraverso l’orda abominevole dei giapponesi, i quali tentarono di fermarla. Non ci riuscirono, ma fermarono gli alti tre. Il gioielliere e i poliziotti furono costretti ad arrestare la loro corsa nel momento in cui questi ultimi vennero presi d’assalto dal gruppo nipponico.
Claire li seminò in fretta uscendo dal Piazzale, attraversando un altro portico, sbucando in un’altra via. Il cellulare squillò per la duecentesima volta.
Emise un verso di rabbia prima di rispondere. «I quindici minuti sono scaduti. Lo so».
«Altro che quindici minuti, è passata mezz’ora!». Ben era palesemente perplesso, irritato e forse anche un po’ preoccupato. «Si può sapere dove ti sei cacciata? Che è successo? Perché ti sei arrabbiata?».
Lui era un treno in corsa. Claire alzò una mano per fermare il flusso di domande, come se lo avesse davanti a sé. «Frena, calmati, è tutto ok». Sospirò, continuando a camminare a passo spedito. «Non mi chiedere cosa è successo Ben, non ci crederesti. Ma mi sono arrabbiata perché non si fa così! Tu in giro per musei e io qui a correrti dietro come una forsennata!».
Lui sghignazzò. «Beh, lo scopo del gioco era proprio che tu mi corressi appresso».
«Ben!».
«No, scusa. Ok. Rifacciamo: dove sei?».
Claire si guardò intorno, facendo un mezzo giro su sé stessa. «Aspetta… Non lo so. Stavo andando agli Uffizi, pensavo che tu fossi lì, ma i giapponesi mi hanno bloccato il passaggio».
«I giapponesi?!» domando lui, incredulo.
«Ehm, sì. Poi ti spiego».
«Quindi ti sei persa!». Ben si allarmò.
«Non mi sono proprio persa, è solo che non so dove sono».
«Claire, è la stessa cosa…».
«Dipende dai punti di vista».
«Sei un impiastro». Ben era leggermente in ansia. Dopotutto, lei era pur sempre in una città che non conosceva. Ma sapeva che Claire era abbastanza in gamba da non farsi prendere dal panico e trovare una soluzione. «Usa Google Map, o chiedi in giro. Sei nel tuo paese, capirai le indicazioni meglio di me».
«Già fatte tutte e due le cose» rispose lei. «Non preoccuparti, un modo per entrare lo troverò».
«Entrare dove?».
«Agli Uffizi, ovvio».
«Ma io non sono agli Uffizi» rispose Ben, confuso.
Lei smise di colpo di camminare, fermandosi in mezzo al marciapiede. «Non sei agli Uffizi?».
«No. Ci sono solo passato per andare in un altro posto».
«Ma allora perché mi hai mandato quella foto? Io credevo fosse il prossimo indizio!».
«Quale foto? Io non ti ho… ah». La voce di lui si fece piccola piccola. «Mi sa che ho sbagliato a inviartela».
Claire lasciò cadere il braccio libero lungo un fianco. «Quindi ti ho urlato contro per niente?».
«Già. Grazie tante per il traditore maledetto, eh!!», fece lui, in tono vagamente seccato.
Fu lei, adesso, a fare la voce piccola. «Scusami…».
Lui sbuffò. «Tranquilla, sei perdonata. Pensa piuttosto a tornare sulla strada giusta, o finisco per preoccuparmi sul serio».
«No, non c'è bisogno. Vedo le mura degli Uffizi, non devo essermi allontanata di molto».
«Allora sto tranquillo?».
«Certo che si», lo rassicura lei.
«D'accordo», rispose lui, sgranocchiando qualcosa.
Sgranocchiava?
«Ben, ma stai mangiando?».
«Sì. Sto facendo merenda».
Ora, Claire non si figurava più Ben vestito da Bianconiglio, ma da Cappellaio Matto. Quella giornata si stava trasformando nella brutta copia della fiaba di Alice…
«Sono con il mio hair stylist», le spiegò Ben. «Credevo di doverlo incontrare domani ma ho ricevuto un suo invito per un aperitivo questo pomeriggio. Sei inviata anche tu, sai?».
«Per essere invitata dovrei arrivare lì» incalzò lei. «Devi mandarmi l’indizio giusto».
«Arriva subito! Ah, ricordati: il tempo scade. Hai dieci minuti, stavolta».
Quella cosa del tempo le metteva addosso ansia.
Ben le inviò velocemente un’altra foto. Ritraeva una chiesa. Purtroppo, Claire proprio non riuscì a capire dove poteva trovarsi. Cercò qualche immagine delle chiese di Firenze tra le immagini di Google, ma il wi-fi non voleva collaborare. Fermò un paio di persone per chiedere indicazioni, mostrando loro la foto del monumento chiesa. Una gentile signora, nel suo bell’ accento toscano, le spiegò come raggiungerla.
«E’ la chiesa della Santa Trinità, si trova nella piazza omonima. Sono cinque minuti a piedi: torni verso gli Uffizi ed esca dal vestibolo che da sulla sponda dell’Arno. Continui sempre dritto, non svolti in nessuna via laterale, tenga sempre la sponda del fiume e arriverà sul Lungarno degli Acciaiuoli. Quando è arrivata in fondo svolti a destra e proceda finché non vede la chiesa».
«La ringrazio, è stata gentilissima!», esclamò Claire.
«Si figuri, è stato un piacere».
La caccia all’uomo – o per meglio dire, la caccia a Ben – continuò.
Claire si fece una breve e piacevole passeggiata lungo l’Arno, assaporando la freschezza del venticello che soffiava. Non accadde nulla per fortuna, non sbucò gente matta da nessun angolo. Seguì alla lettera le indicazioni della signora e finalmente sbucò in Piazza della Santa Trinità. La chiesa si trovava alla sua sinistra. Confrontò l’immagine sul cellulare con quella reale e non ebbe dubbi: era la stessa. Claire si incamminò all’ombra dei tanti nobili e antichi palazzi che sorgevano nella piazza, incerta se entrare o meno nella chiesa. Ben poteva essere lì intorno e non per forza là dentro. Si arrestò sul sagrato, davanti alle porte di ingresso. Prese il telefono e attese che lui rispondesse alla sua chiamata.
«Ben?».
«Ehi. Sei qui?».
«Se per ‘qui’ intendi piazza della Santa Trinità sì, ci sono».
«Ok. Arrivo».
Claire mise il cellulare nella borsa, posò le mani sui fianchi e tirò un gran sospiro, sollevata che la sua corsa fosse finalmente conclusa.  Mancava solo lui.
E lui arrivò.
Bello come il sole, senza un capello fuori posto, meraviglioso suo malgrado – era ancora tentata dall’idea di buttarlo nel fiume – dentro una maglietta grigia e un paio di pantaloni neri semplicissimi. Gli occhiali scuri nascondevano il suo sguardo, ma non quel sorriso che era sempre stato la sua rovina. In un lampo lo raggiunse e gli si gettò addosso. Ben la strinse tra le braccia, lei gli allacciò le braccia attorno al collo e non lo mollò più.
«Alla fine mi hai trovato» disse lui, continuando a sorridere. «Non è stato difficile».
«Se all’inizio credevo potesse essere divertente», rispose Claire burbera, «mi rimangio tutto. L’idea di questo gioco è stata la più balorda che tu abbia avuto in tutta la tua vita».
«Balorda?».
«Sì. Balorda». Claire avrebbe voluto dirgliene quattro ma tutto quello che riuscì a fare fu iniziare a ridere insieme a lui. Dopotutto, non aveva davvero intenzione di buttarlo nel fiume…
Continuarono a ridere per parecchi secondi, senza che nessuno dei due riuscisse a smettere.
Sì, forse era stato infantile, ma loro due erano fatti in quel modo. A loro piaceva giocare, perché, in fin dei conti, la vita non era altro che un gioco, un’avventura dove vittorie e sconfitte si alternavano. Lo avevano imparato sulla loro pelle e si erano promessi di non farsi mancare mai niente. Bisognava giocare bene, e a loro piaceva farlo provandoci gusto. 
«Hai intenzione di rimanermi attaccata come un koala per il resto del giorno?» la prese in giro Ben.
«Solo per un altro po’. Devo essere sicura che non sparisci di nuovo». Claire tirò su le gambe, incrociandole attorno al suo busto. «Tienimi, altrimenti cado».
«Ora sì che sembri un koala». Ben le mise le mani sotto le cosce per sorreggerla meglio. Era leggera e non aveva mai avuto difficoltà a tenerla in braccio. «Claire? Ci stanno guardando tutti».
«Non mi interessa».
Ben sorrise. Dopotutto, chi se ne importava di un po’ di gente? Quella sera sarebbero stati sotto gli occhi di una folla ben più assortita di giornalisti, fotografi e ospiti.
«Non dirmi che sei stanca» le disse poi, sentendola emettere un breve lamento.
Claire posò il mento sulla sua spalla, sospirando ancora. «Sono stanca e ho caldo. Sono due ore che corro avanti e indietro per la città. Tu come ti sentiresti? Per di più ho incontrato un mucchio di gente fuori di testa: un gioielliere che mi ha accusata di aver rubato nel suo negozio, due poliziotti tonti, e un gruppo di turisti giapponesi che credevano fossi la loro guida turistica. Che pomeriggio tremendo…».
Ben rise ancora, allontanandola un poco da sé per guardarla in faccia, ma sempre tenendola in braccio. «Questa me la devi raccontare».
«A proposito», con un piccolo balzo, Claire si staccò da Ben e tornò dritta in piedi. «Mi stavo dimenticando di una cosa».
«Prima dammi un bacio» le disse lui, lasciandola senza difese.
Quando faceva così, lei non era capace di dirgli di no, non quando sapeva prenderla di sorpresa e le circondava il viso tra le mani con tanta dolcezza.
A un certo punto, un coro di voci sovrastò i rumori nella piazza, e i proprietari di quelle stesse irruppero dalla strada.
Claire protestò quando Ben interruppe il bacio per vedere chi faceva tutto quel fracasso. Sì voltò insieme a lui, ma se Ben esibì solamente un’espressione confusa, lei sgranò gli occhi e trattenne rumorosamente il fiato. Li riconobbe tutti: il gioielliere grassoccio, i due poliziotti e la signora giapponese col marito.
«Oh, no, non è possibile!» esclamò, afferrando Ben per un braccio.
Lui guardò da lei al bizzarro gruppetto. «Quelli chi sono?».
«Le persone di cui ti stavo parlando». Claire alzò le mani come per fermare l’assalto del drappello urlante, senza però riuscirci. Quando cercarono di prenderla d’assalto, si nascose dietro Ben, la cui alta figura la copriva senza troppi problemi. Il padrone della gioielleria urlava più di tutti gli altri, tutto rosso, sudato e ansimante. Claire sperò seriamente che non fosse in età da infarto o c’era il rischio di dover chiamare un’ambulanza, e ci mancava solo quella.
«Ehi, ehi, ehi, stop!» fece Ben, parlando nel tono più minaccioso che gli riuscì. Non era nella sua indole discutere troppo con la gente. «Qual è il problema?».
«La signorina è il problema!» disse (ovviamente urlando) il gioielliere, che a quanto sembrava capiva l’inglese.
Si fece avanti il più ‘vecchio’ dei due poliziotti, intimando la calma a tutti e cominciando a spiegare l’accaduto.
Ben lo interruppe gentilmente: «Mi scusi, potrebbe parlare in inglese? Io non sto capendo niente».
«Spiego io!» gridò il gioielliere.
Ma il poliziotto lo fermò. «No, parlo io. Lei, per piacere, resti in silenzio. Oh!». Poi si rivolse a Ben con aria incerta. «Non so parare bene la sua lingua. Ci provo», disse, ricominciando da capo.
A quanto pareva, dopo che Claire aveva lasciato Piazza delle Belle Arti, il padrone della gioielleria – non contento che le cose si fossero risolte così facilmente, e insoddisfatto per aver ricevuto solo cento euro per un oggetto che ne valeva molti di più – aveva cercato di seguirla per costringerla a pagare l’intera somma; ma era inciampato non si sapeva dove (probabilmente nei suoi stessi piedi), perdendo la presa sulla sua preziosissima farfalla, la quale era letteralmente volata in aria per poi frantumarsi al suolo. La gente lì intorno era scoppiata a ridere, facendolo infuriare il doppio. Dopodiché, il gioielliere aveva obbligato i due poliziotti a seguire il taxi sul quale aveva visto salire Claire. L’avevano persa di vista e poi ritrovata. Quando ecco spuntare i giapponesi! I poliziotti non avevano ben capito che cosa volessero da Claire, ma tant’è: moglie e marito, senza possibilità di replica da parte degli italiani, erano saltati sull’auto della polizia per inseguire la ragazza a loro volta.
Ed eccoli tutti lì.
«Aveva detto che mi avrebbe pagato!» si impuntò il gioielliere. «Che avrebbe fatto mettere tutto sul conto Barton… Barrens… come si chiamava? Barnes! Ecco!».
Ben si fece male al collo per quanto velocemente si volse a guardare Claire.  «Il mio conto?».
Lei guardò in aria, facendo la finta tonta. «Cosa? Ah, sì, una cifretta da nulla».
«Quanto?».
Claire alzò una mano, le cinque dita aperte.
«Cinquanta?» provò Ben, dubitando in un sì.
«Più cento».
«Cinquecento?!», gridò lui, facendo trasalire Claire.
Ebbene sì, anche gli inglesi sapevano urlare.
«E voglio anche i danni!» aggiunse il gioielliere.
«Quali danni? Mica gliel’ho rotta io la farfalla» cercò di protestare Claire.
«Se non fosse stato per lei non si sarebbe rotta, quindi mi paga anche il danno!» replicò il gioielliere. «Se lo farà, ritirerò la denuncia».
«Quale denuncia?» esclamarono Claire e Ben a una sola voce.
«Quella che ho intenzione di sporgere. Agente…».
«Veramente, signore, preferirei risolvere le cose con più calma» disse l’agente.
«No e poi no! Voglio le mie cinquecento euro!» s’impuntò il gioielliere.
«Pensandoci bene, sono quattrocento» lo corresse Ben con calma, «tenuto conto che i primi cento glieli ha già dati la mia ragazza».
Il signore gli lanciò un’occhiata torva. «Uhmpf…. Quattrocento, allora. Più trecento per il danno».
Claire fece per protestare ma Ben la fermò.  «Lascia stare, non c’è problema». Poi estrasse il portafogli dalla tasca posteriore dei pantaloni, traendone un blocchetto rettangolare. «Qualcuno ha una penna?».
La faccia rubiconda del gioielliere divenne una maschera di soddisfazione. «Io! Tenga!». Quasi saltellò sulle punte dei piedi quando tirò fuori dal taschino della giacca una penna a sfera.
«Un assegno le va bene?», chiese Ben.
«Benissimo!».
Ben prese il blocchetto, scrisse la cifra, firmò e strappò l’assegno. Il gioielliere ballò di gioia nel tenerlo tra le dita.
«E questa l’abbiamo risolta» sentenziò l’agente di polizia, tirando un sospiro di sollievo. «Cercheremo di trovare i veri ladri, comunque».
«Sì, sì, ma non ha più importanza, ho avuto il mio risarcimento» disse il gioielliere tutto giulivo.
Ben si chinò verso Claire. «Che sta dicendo?».
«Che non gl’importa se non trovano i veri ladri, ha avuto i suoi soldi lui. Brutto barile avaro…».
Ben ridacchiò. «Si può sapere che hai combinato, oggi?».
«E’ stato tutto un equivoco». Lei lo guardò dritto in viso, dispiaciuta.
Ma non era finita lì, dovevano ancora chiarire le cose con i giapponesi. Fortunatamente, quelli non avevano nulla contro Claire. La signora aveva capito di aver preso un abbaglio scambiandola per la guida turistica ed era venuta a chiederle scusa. Claire non si capacitava di tanto affanno per una cosa del genere, ma era evidente che il concetto di scuse doveva avere un’importanza capitale nella cultura nipponica, se aveva costretto marito e moglie a seguirla sin lì. Si sentì molto imbarazzata quando iniziarono ad inchinarsi alla tipica maniera giapponese.
«E’stata gentile a venire a cercarmi ma non c’è bisogno, davvero».
«Claire, non ti capisce», le fece notare Ben.
«Sì, lo so, purtroppo».
«Nessuno di noi riesce a farsi capire da questi signori», disse il poliziotto più giovane.
Claire provò con un largo sorriso. «Ehm… è tutto ok», tentò, accennando col capo. «Ok. Non importa. Grazie».
La signora e suo marito intesero le sue parole e sorrisero a loro volta, tornando ad inchinarsi.
«Oh santo cielo… no, vi prego».
A quel punto intervennero i due agenti di polizia, i quali presero in custodia i due coniugi per riaccompagnarli al museo. Avrebbero cercato di rintracciare la loro guida turistica, altrimenti gliene avrebbero trovata un'altra. Insieme al gioielliere, risalirono tutti e cinque sull’auto azzurra della polizia e se ne andarono.
Claire rilassò le spalle, soffiando per scostarsi un ciuffo di capelli dagli occhi. «Che giornata incredibile».
Ben, un passo dietro di lei, la guardava sorridendo a braccia conserte. «Certo che queste cose capitano solo a te», disse scuotendo il capo.
Claire si riavviò i capelli all’indietro con un gesto della mano. «Mi dispiace».
Lui la fissò. «Ehi, cos’è quella faccia, adesso?»
«Mi dispiace per le cinquecento euro».
Ben le sorrise ancora. «Ho firmato un contratto di decine di euro con Ferragamo. Le riguadagnerò».
«Non è bello ostentare la propria abbondanza di averi, lo sai?».
Ben arrossì. «Era solo per fare un esempio».
«Sì, lo so, scherzavo». Lui non era il tipo che si vantava di quanto guadagnava. Sì, era un attore e di soldi ne aveva parecchi, ma per lei non aveva mai avuto molta importanza. A parte questo, si sentì sollevata vedendo che Ben non era affatto arrabbiato per la questione delle cinquecento euro aveva temuto, cosa che invece aveva disturbato profondamente lei.
«Dai, non fartene un cruccio Claire, ti ho detto che non importa».
Lei annuì, non proprio convinta.
Ben le mise un braccio attorno alle spalle. «Ora ti dispiacerebbe, miss, spiegarmi per bene cosa diavolo ti è successo?».
La condusse lontano dalla chiesa mentre lei iniziava a raccontare. Si spostarono sull’altro lato della piazza, entrando in un bel palazzo antico: Palazzo Feroni, sede del Museo di Ferragamo e luogo in cui, il giorno seguente, Ben avrebbe scattato le foto per la campagna promozionale. Ad aspettarli c’erano Tyler e Stefania, l’interprete, che Claire non aveva ancora incontrato. Tyler e Claire non si erano mai trovati molto simpatici; non che ora si amassero alla follia ma, rispetto ai primi tempi, il loro rapporto era notevolmente migliorato. Per lo meno, adesso riuscivano a parlare senza che lui tirasse frecciate continue a lei e al suo lavoro di pasticcera. Poco dopo uscirono tutti e quattro dal palazzo e si spostarono a piedi verso una delle vie più eleganti di Firenze, diretti a un bel locale dove Claire fece la conoscenza di Bledi, l’hair stylist che lo staff di Ferragamo aveva assegnato a Ben. Si sedettero tutti al tavolo e Claire ordinò qualcosa da bene. Non si era accorta di essere tanto assetata.
Dopo alcuni minuti, lei, Ben, Tyler e Stefania, lasciarono il locale. A bordo dell’auto che Tyler aveva noleggiato per muoversi attraverso la città senza, Claire riprese il racconto della sua strana giornata. Ben non poteva fare a meno di ridere di tanto in tanto, e lei ebbe una fugace visione di sé stessa che apriva il finestrino posteriore e lo gettava giù dall’auto, dritto dritto nell’Arno. Sarebbe stato un peccato perdere un’occasione simile, proprio quando la strada era così vicini alla riva…
«Come ti è venuto in mente di farla correre di qua e di là in quel modo?» domandò Stefania. «Non è stato affatto carino da parte tua! Se fossi io la tua ragazza, stasera ti manderei in bianco».
Ben smise subito di ridere. Non la trovò una battuta divertente. Lanciò un’occhiata a Claire, seduta accanto a lui sul sedile posteriore.
Lei tratteneva un sorriso. «Sarebbe un ottimo modo per vendicarmi, sai?» gli sussurrò senza guardarlo.
Lui le passò un braccio attorno al collo in modo falsamente minaccioso, avvicinandola a sé. «Devi solo provarci».
Claire gli prese i polsi e lo guardò divertita. «Potrei».
«Non lo faresti».
«Ah no?».
«No».
«Sei molto sicuro di te».
«Lo sono. Perché so che mi adori».
Lei sorrise e scosse il capo, dandogli un buffetto sul petto con il dorso della mano.
Quello che lui diceva era la pura verità: lei lo adorava ed era incapace di fare diversamente. Questo era un aspetto del loro rapporto su cui aveva cercato di lavorare molto, per non seccarlo e lasciargli i suoi giusti spazi, per non essere troppo dipendente da lui. Per un certo periodo c’era riuscita, solo che, in seguito, aveva capito che nessuno dei due desiderava essere libero dalla presenza dell’altro. Indipendenti, certo, ognuno con i propri singoli problemi derivanti dai loro mondi così diversi, ma anche con una vita in comune, vita in cui lui aveva bisogno di lei, come lei di lui. Perché sotto l’abbagliante luce che lo circondava, Ben Barnes era solo Ben. Il suo Ben. Il ragazzo che l’aveva fatta innamorare piano piano, avvicinandosi in silenzio, invadendo il suo mondo, conquistandolo.
«Insegnami qualcosa da dire in italiano davanti agli altri ospiti, stasera» le disse poi lui.
«Che cosa, di preciso?».
«Non so… ad esempio ‘thanks for having me’. Come si dice?».
«Si dice ‘grazie per l’invito’».
«Grazie per l’invito» ripeté Ben, incerto.
Claire sorrise. «Bravo. Però prova a pronunciare meglio le ‘r’. Più marcate».
Stefania lanciò loro un’occhiata dal sedile anteriore. «Non credo che a Ben servirà ancora il mio aiuto» bisbigliò a Tyler. «Ha già la sua insegnante personale».
Rientrarono in albergo, si riposarono un poco e poi si prepararono per il party inaugurale. Ben indossò un completo nero con giacca e cravatta, i capelli pettinato all’indietro come sempre; lei aveva un bell’abito vintage, nero, con un pattern a roselline bianche che richiamavano un effetto pois, i capelli pettinati in una treccia alla francese che le ricadeva su una spalla. Lasciarono l’hotel alle sette sempre accompagnati da Tyler e Stefania. Raggiunsero l’altra sponda del fiume attraversando in auto Ponte di Santa Trinità, fino ad arrivare a Palazzo Pitti, luogo in cui si sarebbe tenuto il lancio della nuova fragranza maschile targata Ferragamo. Il Palazzo, ex residenza granducale di Toscana, accoglieva al suo interno molte gallerie artistiche e musei. Tra essi vi era la Galleria del Costume, la più rilevante esposizione della moda esistente in Italia e nel mondo: centinaia di abiti rappresentanti il susseguirsi della moda attraverso il tempo, compresi costumi cinematografici e abiti d’epoca risalenti persino al 1.700.
Gli ospiti vennero condotti attraverso le sale e i corridoi, verso l’esterno, dove sorgeva il Giardino di Boboli. In quella stupefacente cornice fatta di viali, fontane e laghetti, statue, prati e rosai, vi era anche un anfiteatro, posto sulla parte posteriore del palazzo. Qui era stata allestita una pedana fornita di un leggio e un microfono. Dietro di essa, il viso sorridente di Ben faceva bella mostra di sé da un grosso pannello pubblicitario. Davanti e ai lati della pedana, invece, erano state allineate diverse file di sedie, il tutto circondato da bellissime siepi di lecci. Vi erano anche altri pannelli espositivi sui quali passavano splendide immagini di Firenze. Più in là c'erano dei tavolini, più alcuni lungi tavoli ricoperti di bianche tovaglie, sopra i quali erano stati sistemati aperitivi, vari drink e qualcosa da mangiare.
Salutarono gli ospiti, persone che Claire ancora non conosceva ma che ricordava di aver visto un paio di volte, come ad esempio Francesco Carrozzini, il fotografo che lei e Ben avevano già incontrato a Los Angeles alcuni mesi addietro. Era lui il fotografo ufficiale della campagna.
Da che stavano insieme, Claire aveva conosciuto molti attori, attrici e qualche musicista; sarebbe stato emozionante incontrare alti esponendoti del mondo della moda. Quando riusciva ad accompagnarlo a qualche premiere o a qualche party – sebbene non amasse particolarmente la vita mondana – lei si sentiva importate, totalmente coinvolta: Ben le faceva vedere tutto, le faceva conoscere tutti, proprio come adesso. C’erano stati giorni in cui erano stati costretti a fingere di essere amici e nient’altro. Ma non quella sera. Ben le dedicò attenzioni tutt’altro che equivocabili. La volle vicina, sempre, finché non arrivò per lui il momento di alzarsi e parlare davanti a tutti gli ospiti, ringraziando l’intero staff di Ferragamo dell’opportunità datagli.
«Grazie per l’invito» disse in uno stentato italiano, subito interrotto da un applauso.
Ben aveva scelto di leggere un breve passo tratto dal libro ‘Parfume’, di Patrick Suskind. Quale libro migliore di quello? Era un pò nervoso, Claire lo capiva da come gesticolava, dal modo in cui stringeva gli occhi. Era un suo vizio serrare le palpebre come in cerca di concentrazione. Ormai, non era più soltanto lei ad essere un libro aperto per Ben.
Dopo l’ennesimo ringraziamento, Ben lasciò la parola ad altri, tornando accanto a Claire, seduta in prima fila.
«Com’era la pronuncia?» le chiese chinandosi al suo orecchio.
Claire ammiccò. «Perfetta».
Lui le regalò un sorriso, uno dei suoi, quelli che anche a distanza di tempo la lasciavano senza fiato. Le sedette a fianco, prendendole la mano. Lei la tenne stretta tra le sue per molto tempo.
Quanto era fiera di lui?
Ben rimase impegnato per buona parte della serata a ricevere congratulazioni. Tutti volevano scambiare una parola con lui, come giusto che fosse: era la sua serata, era il centro di tutte le attenzioni. I fotografi lo presero d’assalto mentre posava per le prime immagini pubblicitarie; accanto a lui alcune tra le più note personalità della moda made in Italy. 
Claire rimase leggermente in disparte da tutto questo, cercando di non invadere spazi che non le appartenevano. Non era quel tipo di fidanzata invadente che pretende di stare appiccicata al suo uomo ventiquattrore al giorno. Ma Ben non era dello sesso avviso, e non aveva nessuna voglia di fingere che tra loro non vi fosse nulla. Così, di nuovo, lui non si preoccupò di circondarle i fianchi con un braccio mentre parlava con le personalità presenti.
Più tardi, nel momento in cui furono certi di potersi defilare in modo da restare un po’ da soli, si allontanandosi lungo i viali ghiaiosi del Giardino di Boboli. Oramai era sera inoltrata. Faceva ancora chiaro quando erano arrivati al Palazzo, ma con l’avanzare del buio, quando le luci del giardino avevano iniziato ad accendersi, tutto aveva acquisito maggiore fascino. Molte delle persone presenti parevano non essersi avvedute di quanto bello fosse quell’immenso giardino, tra i cui viottoli avevano camminato centinaia di persone in un passato molto lontano dal loro. Claire lo trovava un pensiero affascinante.
«Ho la netta impressione che tra il tuo manager e Stefania sia nato del tenero» commentò la ragazza, risalendo la doppia rampa di scale che dall’anfiteatro portava verso quello che veniva chiamato il Bacino di Nettuno.
«Te ne sei accorta?» disse Ben.
«Un po’ difficile non accorgersene, stanno sempre a chiacchierare fitto fitto. Sarebbero carini, insieme, non trovi?».
«Sì, non sarebbero una brutta coppia. Se lei riuscirà sopportarlo» rispose lui in tono divertito, una mano che indugiava continuamente sul fianco o sulla schiena di lei.
Era una gesto abbastanza tipico in Ben, specialmente quando si trovavano in mezzo a molte persone per lo più sconosciute. A Claire non era mai dispiaciuto quel suo modo di fare. Quella mano che pareva condurla, che emanava un senso di protezione pur senza mai posarsi su di lei.
Superarono l’anfiteatro, giungendo al limite della scalinata ornata da statue. Si immersero tra il percorso di siepi e i viali ghiaiosi, parlando piano, nel silenzio interrotto solo da fruscii d’erba e il crocchiare della ghiaia calpestata al loro passaggio. Continuarono a camminare fino ad incontrare il Bacino di Nettuno, al centro del quale si ergeva una fontana rappresentante il dio del Mare che impugnava un tridente, circondato da creature marine. Il Giardino di Boboli era un vero e proprio museo all’aperto.
«Mi piacerebbe visitarlo tutto quanto, e anche l’interno di Palazzo Pitti» disse Claire. «Credi che riusciremo ad organizzarci per tornare qui, prima di ripartire?».  
«Domani pomeriggio dovrò tornare a Palazzo Feroni per il servizio», rispose Ben, «ma domattina sono libero. Vedremo cosa riusciremo a fare».
«Non dobbiamo per forza tornare qui domani», precisò Claire. «Abbiamo anche tutto venerdì. Basta che non ricominci a farmi correre come una matta per Firenze», lo avvisò con un’occhiata di falso rimprovero.
Ben alzò le mani in segno di resa. «Giuro di no».
«Va bene, mi fiderò», ribatté lei, scherzosa. Si aspettava che lui ribattesse, invece lo vide farsi pensieroso, le sopracciglia appena contratte. «Che cosa c’è?».
Si fermarono davanti alla fontana. Ben allungò una mano, iniziando a giocherellare con l’estremità inferiore della treccia di lei. «Non sei arrabbiata, vero?».
«Cosa? Perché?» domandò Claire, un po’ stupita.
«Per quella specie di gioco che abbiamo fatto oggi. Per averti fatta scorrazzare per la città». Ben, lo sguardo fisso sulla treccia, lo alzò piano su di lei. «Un pò infantile vero?».
Claire lo fissò attentamente. Era davvero dispiaciuto, ma non era stata colpa sua se a lei erano capitati tanti guai durante quella giornata. Ben voleva solo giocare un po’, forse per alleggerire la tensione su sé stesso, forse per non farla sentire sola e farla divertire, anche se non nella maniera più comune del termine.
«Infantile, dici?». Claire mosse appena le spalle. «Sì, giusto un po’. Non c’è nulla di male nel fare qualcosa di un po’ infantile e illogico, ogni tanto».
«Quindi non sei in collera?».
«Ti sembro arrabbiata?». La voce di lei era tranquilla, senza ombra di scherno.
«Direi di no».
«Infatti non lo sono». Lui le teneva ancora i capelli tra le dita. Claire gli si accostò e lo baciò sulla curva delle labbra. «Non sono neanche lontanamente vicina all’essere arrabbiata. Ammetto che oggi c’è stato un momento in cui avrei voluto affogarti nel fiume, ma…».
Lui le sorrise, tranquillo, lasciando andare la treccia, facendo ricadere il braccio lungo il fianco.
«Sai come mi sento adesso?» disse poi lei.
«Felice?».
Lei annui. «E fiera. Di te».
Lui abbassò il capo per nascondere l’imbarazzo. Alcune volte, in passato, Claire aveva pensato che Ben giocasse a sminuirsi. In seguito, conoscendolo a fondo, si era resa conto che lui era veramente così: non fingeva di imbarazzarsi, era solo modestia la sua, quasi non sapesse di essere così speciale quanto era. E a lei piaceva viziarlo.
Gli diede un altro bacio sul viso, sorridendo sulla sua pelle. Odorò la nuova fragranza maschile, protagonista insieme a Ben di quei giorni a Firenze. «Quanto di quel profumo ti sei messo?».
«Solo un po’» si giustificò lui, credendo le desse fastidio. «Ho dovuto spruzzarmelo addosso per scattare una foto».
«Sì, lo so. Quella in cui hai fatto la faccia da pagliaccio. Ti stavo guardando».
Lei lo sentì sorridere sul suo viso, sfregare brevemente la guancia ruvida contro la sua. «Non ti piace?».
«Al contrario. E’ molto buono». Claire si allontanò piano, mantenendo vivo il suo sorriso. Era raggiante il suo Ben, ma dubitava potesse essere felice quanto lei. Felice nell’averlo accanto, felice che avesse scelto lei fra tutte, felice di poter vivere istanti da sogno insieme a lui.
Ben la guardò aprire la borsetta e tirare fuori una monetina da cinque centesimi. «Che cosa fai?».
Claire diede le spalle alla fontana. «Credi che se lanciassi una moneta in acqua ed esprimessi un desiderio, si avvererebbe?».
«Non saprei» rispose Ben, infilando le mani nelle tasche anteriori dei pantaloni. «Non è il pozzo dei desideri delle fiabe».
«Non importa, fa lo stesso».
Lui la osservò piegare il braccio all’indietro e gettare la moneta dentro l’acqua. Insieme, studiando per alcuni attimi le increspature concentriche formatesi sulla superficie.
«Come mai questo gesto?» le chiese.
«Parlavamo di cose infantili. Da piccola credevo che la fontanella che c’era nella piazza della mia città fosse una specie di pozzo dei desideri, proprio come hai detto tu. Ci buttavo dentro una monetina ogni domenica appena uscita dalla chiesa, pregando perché i miei desideri si avverassero»
Era da lei, pensò Ben. Non faticava ad immaginarla fare una cosa simile. «E si sono avverati?».
«Qualcuno sì». Claire tornò a guardarlo, catturando i suoi occhi con i propri. Non c’era bisogno che gli dicesse che lui era il miglior desiderio mai avveratosi nella sua vita, perché Ben lo sapeva.
«Posso domandarti che cosa hai chiesto?» fece lui.
Claire rimase incerta. «Non avrei problemi a dirtelo, non è un segreto. Però non posso: se te lo rivelassi, l’incantesimo si spezzerebbe».
«Oh, giusto, non si avvererebbe più. Quindi mi lascerai con il dubbio?».
«Dentro di te sai già quello che ho chiesto. Non c’è alcun bisogno che te lo dica». Claire gli si accostò, aggrappandosi saldamente alle sue spalle, posando con decisione le labbra sulle sue. Subito, le mani di Ben corsero a serrarle il viso in una tenera morsa.
Fa che lui sia sempre felice.
Questo era il desiderio di Claire. Perché non c’era altro che volesse di più, per Ben e per sé stessa.
«Perciò…» fece poi lui, curvando piano le labbra, «non farai come ha detto Stefania?».
Lei lo guardò perplessa. «Eh?». Che c'entrava desso Stefania?
«Non mi manderai in bianco, stasera?».
Claire nascose una risata contro la sua giacca. «Sei proprio un pagliaccio».
Continuarono a passeggiare ancora per un poco, per poi ritornare all’anfiteatro per concludere la serata.
Il giorno seguente fu un susseguirsi di impegni, ma il mattino, come pronosticato da Ben, lo avrebbero avuto per loro. Riuscirono a svegliarsi presto, contando l’ora tarda in cui erano andati a dormire… e quello che c’era stato prima di dormire, che li aveva lasciati parecchio impegnati…
Lasciarono Tyler e Strania in hotel e fecero colazione al ristorante panoramico sul Piazzale Michelangelo, ammirando il cuore della città di Firenze in tutto il suo splendore. Era la mattina giusta per visitare il Giardino di Boboli, che fu la loro prima tappa da veri turisti. Faceva meno caldo del giorno precedente, i profumi delle piante riempivano l’aria, veniva voglia di sdraiarsi sui prati e restare lì. Rifecero il percorso della sera, superando il Bacino di Nettuno, la fontana, inoltrandosi nuovamente tra le decine di viali, attraverso perrcorsi costeggiati da siepi, statue, laghetti, sopra terrazze che guardavano sulla città. Passarono alle sale interne di Palazzo Pitti, dedicandosi soltanto a una parte di esse, poiché non c’era il tempo materiale per vederle tutte. All’una si fecero trovare in hotel per pranzare con Tyler e Stefania, e alle due e mezza erano a Palazzo Feroni, dove trascorsero buona parte del pomeriggio. Qui ritrovarono Bledi, l’hair stylist, che insieme a una make up artist e una stilista pettinarono, truccarono e vestirono Ben, preparandolo per posare di fronte all’obbiettivo di Francesco Carrozzini. Gli addetti al marketing mostrarono come si sarebbe svolta la campagna pubblicitaria: i primi depliant da distribuire nelle profumerie di tutta Italia e del mondo erano già stati stampati, e i web editor erano pronti a lanciare i loro articoli sulla rete.
Ben era molto più rilassato della sera prima: durante le pause sedeva accanto a Claire, chiacchierando con tutti, facendo battute, canticchiando, tentando di dire qualche frase in italiano mentre gli altri lo prendevano bonariamente in giro. Ben temeva sempre che Claire si annoiasse, costretta a restare seduta in un angolo a guardarlo, mentre cinque o sei persone gli ronzavano attorno sistemandogli i capelli, gli abiti, il trucco. Ma Claire non si annoiava affatto.
Terminato il servizio fotografico, i due ragazzi salutarono tutti, ringraziando ancora e sempre. Lasciarono che Tyler e Stefania rientrassero in albergo, mentre loro fecero un nuovo giro a piedi. Tornarono al Duomo, salendo fin sulla Cupola. Rimasero entrambi senza fiato osservando Firenze dall’alto, paralizzati da tanta meraviglia. Lungo la strada, Ben venne riconosciuto e fermato da alcuni fans che non persero occasione di farsi una foto con lui.
Purtroppo, d'un tratto il tempo sembrò volgere al brutto. Sole e nuvole iniziarono ad alternarsi, le seconde coprendo la luce del primo, finché presero il sopravvento; da bianche divennero prima grigie e poi quasi nere, promettendo un bell’acquazzone. Ben e Claire tornarono indietro di corsa, mentre i primi goccioloni si abbattevano su di loro. Furono costretti a rifugiarsi sotto un portico nei pressi del Ponte Vecchio. Erano abbastanza vicini al loro albergo ma non volevano rischiare di bagnarsi, così attesero che Tyler mandasse un’auto a prenderli.
«C’è mancato poco che la prendessimo tutta!» commentò Claire, appoggiandosi al muro, osservando la pioggia martellare sul suolo, sentendo piccoli schizzi sulle braccia e il viso. «Aspettiamo Tyler o facciamo una corsa fino in hotel?».
«Sei matta! Se mi bagno i vestiti quello mi uccide!».
«Sono già un po’ bagnati».
Ben si guardò la giacca grigio chiaro, sulla quale vi erano piccole chiazze più scure, colpa della pioggia che aveva bagnato la stoffa. Meno male che non la doveva restituire. Ben sbuffò. Per andare a cena con il nuovo international marketing director di Ferragamo avrebbe dovuto indossare qualcos’altro.
Al suono di un tuono, alzò gli occhi verso il cielo. Poi guardò Claire. «Ho idea che dovremo interrompere il nostro giro turistico».
«Credo anch’io». Lei mosse appena le spalle. «Pazienza. Abbiamo ancora un giorno intero. E poi sono già le sette».
Ben controllò l’ora e vide che aveva ragione: il tempo volava via troppo in fretta quando era con lei. «Domani staremo fuori tutto il giorno e non trascureremo neanche un mattoncino, promesso».
Claire sorrise, riavviandogli la frangia spettinata dal vento. «Non c’è bisogno che tu prometta. Se non riusciremo a vedere tutto quello che vogliamo, vorrà dire che torneremo a Firenze un’altra volta».
Ben la fissò per diversi secondi, in silenzio.
Lui le aveva fatto un’unica promessa in tutto quel tempo, poi, entrambi avevano capito che nel turbine di situazioni di cui era costellata la vita di lui, potevano fare pochissimi progetti e quasi nessuna promessa. Forse era meglio così, piuttosto che impegnarsi e poi venir meno alle aspettative dell’altro.
«Dovremmo iniziare a cambiare punto di vista, non credi? Sulle promesse, intendo».
«Come?», rispose Claire.
L’espressione seria sul volto di lui non mutò. «Continuerà ad andarti bene questa situazione?».
Lei gli offrì un sorriso disteso e un gesto d’assenso.
«Sempre?».
«Sempre è una parola che non dici mai, Ben».
«La dico ora».
Claire reclinò un poco il capo. «Che succede tutto a un tratto?».
Lui mosse nervosamente un piede sull’asfalto umido. «Niente, solo… ogni tanto ci penso, sai? Penso che dovrei iniziare a darti qualche certezza in più».
«L’unica certezza di cui ho bisogno è quella in cui mi sveglio al mattino e so che tu mi pensi tanto quanto lo faccio io».
Lui le mise un dito sulla punta del naso. «Questa è un’ovvietà».
«E’ una certezza, a modo suo» ribatté lei con calma. «E non è l’unica che ho. Quando ho accettato di stare insieme a te sapevo a cosa andavo incontro, e non mi sono mai pentita».
Ben si umettò le labbra, abbassando la testa. «Questo lo so. Ma se, per ipotesi, io volessi cambiare le cose?».
Claire vide il sorriso ricomparire sulle sue labbra. Ben la fissò rialzando il capo, come se si aspettasse una risposta immediata alla sua domanda, o una reazione ben precisa.
«Abbiamo fatto parecchi cambiamenti in questi due anni, non indifferenti» rispose lei, sentendo che avrebbe dovuto aggiungere qualcos'altro, ma non sapeva cosa.
«Risposta sbagliata».
«Eh?».
«La tua risposta, Claire, è sbagliata». Lui sorrideva ancora in quel modo strano.
«Ah, no! Non ci provare sai», fece lei, scattando sulla difensiva. «Ieri la caccia al tesoro e oggi il quiz domanda - risposta?».
Ben rise. «No, non era mia intenzione fare un altro gioco. Niente, non hai capito…».
«Cosa dovevo capire?». Claire lo fissò un momento, prima che lui distogliesse lo sguardo scuotendo il capo. Si sentiva un po’ sciocca.
«No, niente» ripeté Ben. «Se non hai capito non importa. Te lo richiederò un’altra volta».
Richiederle… cosa?
Claire fece un replay mentale delle ultime frasi: lui aveva promesso che l’indomani sarebbero rimasi fuori tutto il giorno; lei aveva ribattuto che non c’era bisogno di promesse, e poi… e poi avevano iniziato quello strano discorso di certezze maggiori e ulteriori cambiamenti. Ben era divenuto più serio, non preoccupato o arrabbiato, solo serio, come se stesse riflettendo su qualcosa di importante.
Ma se, per ipotesi, io volessi cambiare le cose?, era stata la domanda di lui.
Ben stava pensando di cambiare le cose… in che modo? A lei andava benissimo ciò che avevano ora. Forse a lui no? Ma che cosa potevano cambiare più di così? Erano sufficienti quelli già intrapresi, nei modi più inaspettati e a volte dolorosi. Avevano superato le incomprensioni e gli ostacoli più grandi, avevano trovato una soluzione alla distanza, per cui…
Claire ancora non capiva, benché sembrasse che la risposta avrebbe dovuto essere implicita. Quando lei aveva tentato, Ben le aveva detto che la risposta era sbagliata. Quindi ce n’era una precisa?
Le stava chiedendo di cambiare vita? Di nuovo? Come? Le veniva in mente un solo modo in cui la loro vita avrebbe potuto cambiare radicalmente, ma non credeva che Ben volesse chiederle di…
Di…?
«E’ arrivata l’auto. Vieni» disse lui, interrompendo i suoi pensieri.
Lei lo guardò muoversi, uscire da sotto il portico e correre verso la macchina. «Ben!».
Lui si voltò a un passo dall’auto, la portiera già aperta. «Che fai ancora lì sotto? Sbrigati».
Claire era rimasta immobile come una sciocca. Si riscosse, raggiungendo rapidamente l’automobile, salendo dietro di lui.
Non tornarono più sul discorso. Lei ci pensò ancora per un po’, convincendosi poi dell’impossibilità della cosa: Ben non aveva cercato di chiederle se voleva passare la vita con lui. Di certo, intendeva qualcos’altro.
Per sua parte, Ben non era mai stato veramente sul punto di chiederle niente, ma…
Per un motivo impreciso, quelle giornate a Firenze lo avevano portato a domandarsi come sarebbe stata la sua vita se non avesse mai incontrato Claire, e tutte le volte in cui aveva provato a immaginarlo aveva avvertito un gran senso di vuoto. Lei era la sua roccia, forte benché così piccola all’apparenza. Era il suo mondo, Claire lo sapeva anche se lui non glielo aveva mai detto chiaramente. E non lo aveva fatto per una sua assurda ed infondata paura che lei non fosse pronta per un passo in più. Una paura forte tanto quanto la continua voglia di addormentarsi con il suo capo posato sul tuo petto dopo aver fatto l’amore, e svegliarsi al mattino ancora con lei accanto. Qualche volta, Ben vi rifletteva seriamente, e si rendeva conto che non era più solo una questione di desiderare di stare con lei, ma la necessità di vivere con lei. 
E non era la stessa cosa.
Le prese la mano posata sul bracciolo del sedile. Claire distolse l’attenzione dal finestrino dell’aereo e gli rivolse un sorriso. Infine erano riusciti a fare i turisti, dedicandosi solo ed esclusivamente a quell’attività per tutto il loro ultimo giorno di soggiorno. Proprio come lui le aveva promesso.
«Dovremo tornarci sul serio a Firenze, un giorno o l’altro» le disse.
«Sono d’accordo». Claire posò il capo sulla sua spalla e chiuse gli occhi.
Ben la guardò intenerito. «Il viaggio dura solo un paio d’ore, non ti conviene dormire».
«Non voglio dormire» rispose lei. «Ma ho scoperto che viaggiare in aereo mi rilassa».
Stavano volando verso Londra. Vi avrebbero trascorso un paio di settimane.
«Ti dispiace?».
«No, fa pure». Ben le sfiorò la fronte con le labbra, guardandola ancora. «Se ti addormenti ti sveglio io, tranquilla».
Sul viso di Claire era comparso un leggero sorriso colmo di serenità. Ben la strinse un poco a sé, poggiando il capo alla testata del sedile.
C’era tutto il tempo per le proposte, dopotutto. La cosa migliore che potevano fare, per adesso, era continuare a vivere come stavano facendo. Non sapeva bene cosa gli era preso sotto quel portico, sotto la pioggia, per indurlo a pensare di voler cambiare qualcosa.
Non era già tutto perfetto così com’era?
 
 
 
 
 
 
 
A poco più di un mese e mezzo dalla mia vera avventura fiorentina in cui ho potuto realmente vedere Ben Barnes, anche se sotto la pioggia e per pochissimi secondi, finalmente riesco a postare questa Os. Chi mi segue su Facebook sapeva già che era in lavorazione. 
Non posso fare a meno di scrivere queste One-shot, di tanto in tanto, e cerco anche di non spoilerare nulla di quello che ho in mente sul futuro della coppia, così vi godete la lettura rimanendo però inconsapevoli su cosa porterà Ben e Claire a vivere queste avventure. E qui si parla proprio di avventura, ahaha! xD Credo che la mia decisione di descrivere una Claire in corsa per la città, sia dovuta a che la sottoscritta lo ha fatto davvero insieme a una sua amica (Joy Barnes, sei in ascolto?). E’ stata una pazzia ma ne è valsa la pena rincorrere Ben per due giorni e mezzo! Alla fine non ho né una foto né un autografo, ma l’ho visto, anche se un po’ da lontano, sotto un portichetto vicino al Ponte Vecchio, mentre mi riparavo dalla pioggia. Lui è spuntato fuori da non so dove, io e la mia amica abbiamo fatto appena in tempo a chiamare il suo nome; lui ci ha sorriso e poi è saltato su un’auto, lasciandoci sbalordite, felicissime, incredule. Delusa? No. Per niente. Ok, avrei voluto parlargli, non posso negarlo, ma lui era lì, io ero lì, mi ha guardata, mi ha sorriso. Ogni volta che ci ripenso volo a tre metri da terra. E’ stata l‘esperienza più bella della ma vita!!! Si è realizzato un sogno!!!
Tornando ala fic, per le descrizioni dei luoghi ho ovviamente preso tutto dalla realtà, cercando di seguire, più o meno, l’itinerario di Ben aiutandomi con i vari post apparsi su Instagram. Spero di non aver inserito troppe descrizioni, ho cercato di contenermi per non annoiarvi, perché si potrebbero spendere pagine e pagine per descrivere quanto Firenze sia meravigliosa! Se non l’avete mai visitata vi consiglio di pensarci su.
Eccetto Tyler, Stefania e gli strani individui incontrati da Claire, tutti gli altri personaggi che ho nominato sono realmente esistenti. 
Come ‘Nuvole’ (altra Os pubblicata tempo fa), questa è una porta sul futuro dei nostri Ben e Claire, con un finale che si affaccia su altri, prossimi, molteplici spiragli (avete capito di cosa voleva parlare Ben sotto quel portico, vero? ;) ) . Firenze la rincontrerete anche nella long, ma molto, molto avanti rispetto a dove siamo ora: contate che avete appena letto una fanfiction ambientata due anni nel futuro. Se qualcosa non vi è chiaro riguardo gli sbalzi temporali, chiedete pure xD
 
Mi auguro di avervi fatti sognare e sorridere.
In ultimo, vi lascio i link delle mie pagine facebook Claire Barnes e Chronicles of Queen
Un grazie immenso a chi ama e segue Ben e Claire.
 
Un bacio e alla prossima,
Susan♥
   
 
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