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Autore: SherlokidAddicted    28/07/2016    3 recensioni
[ Wholock | Johnlock ]
- Voglio sapere chi è lei e che ci fa qui. –
- Sono il Dottore! – Dice porgendomi la mano ed aspettandosi che io la stringa, cosa che però non succede. Assottiglio lo sguardo e lo scruto con attenzione mentre, deluso dalla mia mancata stretta, abbassa il braccio e lo riporta lungo il fianco.
– Il suo vero nome. –
- Beh, è questo il mio nom… -
- Non il nome con cui si fa chiamare, ma il suo vero nome, quello che nasconde a tutti da sempre, forse perché ha fatto qualcosa. Oh, allora è così! Ha fatto qualcosa di brutto, qualcosa di inaccettabile di cui si pente, talmente tanto che si vergogna ad utilizzare il suo vero nome e si nasconde dietro un titolo che la fa sentire meno in colpa di quanto vorrebbe, non è così… Dottore? – Gli occhi del mio nuovo conoscente si strabuzzano non appena mi sente pronunciare quelle parole con quel tono indagatore che mette la maggior parte delle persone che mi stanno attorno in soggezione, lui compreso.
- Oh, è proprio bravo come dicono… –
Genere: Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro personaggio, John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The side of the Angels'
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Il tè di John Watson e il caso Jefferson

 

John sta preparando il tè. Vederlo alle prese con i fornelli del nostro appartamento mi fa rimanere di sasso sulla porta d’ingresso. È leggermente ricurvo sul piano della cucina. Sta sistemando l’acqua calda in due tazze di porcellana, la sua e la mia. Ha scelto l’Earl Gray, e la caraffa di latte appoggiata sul tavolo mi fa intuire che lo avrebbe aggiunto alla fine della preparazione. La cosa che mi fa più stranezza non è l’atto in sé, ma il fatto che stesse fischiettando allegramente come se niente fosse, e il mio stupore è talmente tanto che la mia testa si piega impercettibilmente verso sinistra, con l’espressione più confusa che potessi mettere su. Nello stesso istante, John si volta per prendere la caraffa e aggiungere qualche goccio di latte. Mi sorride… un sorriso vero e proprio.

- Sei tornato! – Un’affermazione ovviamente inutile. Certo che sono tornato, sono qui davanti a te!

Non dico nulla, e continuo a fissarlo come poco prima.

– Ti ho preparato il tè, ti conviene sbrigarti, prima che si freddi. – Afferra entrambe le tazze e si avvia tranquillamente alle nostre poltrone, poggiando la mia sul tavolino di fianco. Quando si mette seduto ne beve qualche sorso e comincia a sfogliare il giornale mattutino che aveva occupato la poltrona del mio blogger fino a qualche secondo fa.

Non mi muovo per un po’ e fisso la sua nuca, cerco di leggere dal suo viso quella espressione concentrata ed improvvisamente rilassata.

Con un colpo di tosse cerco di ritornare alla realtà, mi tolgo sciarpa e cappotto, e mi sistemo comodamente al mio posto, di fronte a lui. Non gli stacco gli occhi di dosso mentre la mia mano raggiunge il contenitore bollente di ceramica e le mie labbra ne assaggiano appena il contenuto. John sembra non notare il mio sguardo indagatore e continua a leggere le colonne dell’articolo in prima pagina, quello che parla della rapina alla villa di un nobile spagnolo venuto in vacanza a Londra, caso che ovviamente ho risolto personalmente e recentissimamente.

Vi starete chiedendo cosa ci sia di strano nel vedere John Watson preparare il tè e leggere il giornale, come era di sua routine… almeno fino a qualche mese fa, quando Mary Morstan venne uccisa con la loro bambina in grembo. Ma questo è un particolare che racconterò pian piano.

Perché questa mattina John sembrava sul punto di una crisi depressiva (come lo è da quel giorno), e invece, allo scoccare delle cinque del pomeriggio, ha preparato il tè? Perché proprio oggi dopo mesi e mesi in cui soltanto la signora Hudson si era premurata di farlo, mentre John fissava un punto indefinito della stanza, mormorando solo qualche monosillabo ad ogni nostra domanda? Cosa è cambiato?

- Mi stai fissando. – Mormora senza staccare gli occhi dal quotidiano che ha fra le mani.

- Mh, cosa? – Chiedo io, facendo finta di nulla e distogliendo lo sguardo sulla tv accesa, fingendo interesse per la trasmissione inutile che stanno mandando in onda.

- Sherlock, non fare il finto tonto, mi stavi fissando. – Mentre lo dice ripone in giornale accanto a sé e finalmente la sua attenzione è puntata su di me. – E da un bel po’, direi. – Non dico nulla, mi limito a bere un sorso del tè che lui ha preparato. Possibile che non ci arrivi da solo? Doveva superare un gran bel lutto: la moglie, la figlia… tutti quegli interminabili mesi che ho passato a prendermi cura di lui e a cercare di trovare un qualsiasi tipo di caso interessante per non fargli pensare alla faccenda, a volte anche inutilmente, dato che il suo unico pensiero sembrava ruotare intorno a quella vettura senza controllo che ha investito la povera Mary senza neanche darle il tempo di correre in salvo. La sua immediata tranquillità mi turba alquanto.

- Hai preparato il tè, non lo fai da mesi. – La sua espressione curiosa si tramuta in una assai confusa, quasi come se non credesse a ciò che aveva appena fatto ai fornelli. Era stata probabilmente un’azione involontaria, dovuta alla noia, alla solitudine. Credo fosse uno dei modi per poter superare il lutto, ovvero ritornare alle vecchie abitudini, seppur questa fosse una delle poche. Non aveva ancora ripreso a scrivere sul suo blog.

Lo vedo intento a guardare il liquido ambrato e fumante nella tazza, e storcere appena il labbro verso destra.

- Già. – Sussurra, facendo dei piccoli movimenti del braccio per far ondeggiare la bevanda contro le pareti della porcellana.
Faccio un leggero sorriso, cercando di non darlo a vedere. Sono felice che pian piano si stia riprendendo, e quello è un ottimo e perfetto segnale della tranquillità che a poco a poco stava ritornando nella sua mente. A piccoli passi.

- Conosci la signorina Tracy Jefferson? – Probabilmente cambiare discorso avrebbe aiutato, e non vedevo l’ora di parlare di questo stranissimo caso al mio amico, un altro dei tanti modi in cui avrei potuto distrarlo.

- Jefferson… mh, sì, è una delle mie pazienti! – Esclama, poggiando la tazza al bracciolo della poltrona.

- Poco fa, mentre ero da Lestrade a discutere del caso dello spagnolo, mi ha contattato con una telefonata, in cui mi chiedeva di poter parlare con me di presenza di uno strano tipo che le desta qualche sospetto. Questa è l’unica cosa che mi ha accennato, ma sono curioso di sapere cosa succede. Ti interesserebbe aiutarmi e restare qui con me mentre la signorina mi illustra il suo caso? – Lo guardo alzarsi dalla poltrona ed afferrare le tazze ormai vuote per riporle nel lavandino.

- Perché no! –

Passano all’incirca dieci minuti, e la nostra cliente è già seduta di fronte a noi pronta per esporci il suo strano problema. Spero sia almeno qualcosa di interessante e di non banale, sia per cacciare la mia continua noia, sia per distrarre John.

- Ci spieghi tutto, con calma, ma si sbrighi. – Alla mia incitazione, John alza lo sguardo verso di me e mi fulmina. Io roteo gli occhi, scocciato dalla sua preoccupazione per la signorina Jefferson. Per farlo contento abbozzo un sorriso di scuse e, con un gesto della mano, la invito ad iniziare il suo racconto che, per fortuna, non tarda ad arrivare.

- Deve sapere, signor Holmes, che mio padre ed io vivevamo da soli in una graziosa villa lasciataci dalla mia nonna paterna. Dopo che lei morì ci trasferimmo subito lì, dato che non avevamo più soldi a sufficienza per pagare il mutuo della nostra vecchia casa. I primi due anni trascorsero tranquilli come normalmente dovrebbero essere, ma… la scorsa settimana accadde qualcosa di strano. – La donna aveva iniziato da un po’ a muovere la gamba in un nervoso tic. Detesto quando la gente normale fa così e per non sbottare e dirle di smetterla, cerco di prestare attenzione alle sue parole e di ignorare quel fastidioso movimento… cosa che, a quanto vedo, turba anche il mio amico, che non smette di sospirare.

- Cosa è accaduto, Tracy? – Le chiedo gentilmente.

- Io e mio padre eravamo a tavola per la cena, quando abbiamo sentito uno strano rumore molto forte che ci ha fatti sobbalzare dal nostro posto, costringendoci ad alzarci per andare a controllare da dove provenisse. Siamo usciti in giardino e abbiamo controllato sul porticato e sul nostro terreno, poi ci siamo divisi: papà è andato sul retro, mentre io sono rimasta a controllare l’ingresso. Sembrava non ci fosse nulla di strano, ma dopo qualche minuto mio padre non si decideva a tornare. Decisi di raggiungerlo e il suo grido soffocato mi fece tremare le braccia. Era troppo buio per riuscire a vedere, ma quando sono arrivata sul retro sono convinta di non aver visto proprio nessuno, né il presunto assalitore, né mio padre che dopo quell’urlo di spavento, sembrava essere svanito nel nulla. – Questo sembrava proprio uno di quei casi adatti a me, misteriosi e all’apparenza molto difficili da capire. Finalmente avrei potuto fare qualcosa per fuggire dalla noiosa routine. – Mi sono rivolta alla polizia immediatamente, ma di mio padre non c’è proprio traccia. –

- Potrebbe aver visto qualcuno, si sarà spaventato e sarà fuggito… - La supposizione di John mi fa sorridere per la sua ingenuità.

- Non mi pare che un ex detenuto, accusato di rapina a mano armata, potrebbe essere così fifone da fuggire se vede qualcuno nel buio. – La signorina Jefferson strabuzza gli occhi, incredula dalla mia deduzione.

- Mi scusi, ma non credo di aver mai parlato di questo argomento, anche se… è vero, come fa a saperlo? – Sorrido spontaneamente per il suo stupore e lancio uno sguardo d’intesa a John, che scuote rassegnato la testa.

- Non è importante. Il suo racconto finisce qui? Non mi sembra, ha ancora quel tic nervoso alla gamba, c’è altro vero? – La donna si mordicchia il labbro ed annuisce. Dopo un lungo sospiro, riprende il suo curioso racconto.

- Mia sorella Amber è venuta a stare da me, lasciando Cardiff per trascorrere questo momento difficile insieme e per aiutare me e la polizia nelle indagini. Una sera, mentre ci stavamo avviando nelle nostre camere, abbiamo intravisto dalla finestra un movimento fra i cespugli e gli alberi del mio giardino. All’inizio avemmo paura fosse il rapitore di nostro padre pronto a fare qualcosa anche a noi, ma poi ci rassicurammo che quella visione era probabilmente un brutto scherzo della nostra immaginazione. Infatti non successe altro e andammo tranquillamente a letto. Ma la cosa si ripeté la notte dopo: un movimento, delle ombre nel mio giardino, strani suoni, quasi come un “ding” di un qualche strano oggetto elettronico. –

- Un “ding”, dice? – John aggrotta le sopracciglia mentre espone la sua perplessità, che raggiunge in egual modo la mia.

- Esattamente, un “ding”! Quando sono uscita per controllare, ho intravisto un uomo dietro un albero. E questo per diverse sere, anche se… quando mi avvicinavo questo strano tipo svaniva nel nulla. Non riuscivo a vedere molto per colpa del buio, ma posso descrivervi il suo viso che si notava più di tutto il resto perché esposto alla luce. –

- Certo, mi parli di lui. –

- Era un viso buffo, un uomo davvero strano. Aveva due grandi occhi marroni ed indossava degli occhiali dalla montatura nera. I capelli erano castani, una pettinatura stravagante, oserei dire. Ciò che più ho impresso era la forma del suo naso leggermente storto e con una piccola gobba. Purtroppo non ho altro da dire. –

- E questo “ding”? – Chiedo mentre porto le mani davanti al viso, congiungendo le dita sulle labbra schiuse.

- Credo fosse un oggetto che aveva con sé, la prima notte che lo vidi, l’ho sentito imprecare per il mal funzionamento di qualche aggeggio che teneva in mano. – John sposta lo sguardo su di me, storcendo il labbro in attesa. Il racconto era ormai concluso ed entrambi si aspettano le mie delucidazioni al riguardo.

- Bene, signorina Jefferson! – Esclamo battendo un solo colpo delle mani per sottolineare il mio entusiasmo sul caso appena descritto. – Direi che sarebbe di grande aiuto per il mio acume se la raggiungessi nella sua villa domani pomeriggio. Chi è l’ispettore che si occupa della sua faccenda? –

- L’ispettore Greg Lestrade. –

- Ah-ah, bene allora! Le dica di raggiungerci con tutte le prove che ha raccolto e con le foto risalenti al giorno in cui la polizia ha ispezionato casa sua. Dica che lo chiede il signor Holmes, lo farà sicuramente. – Mi alzo, seguito dallo sguardo furtivo di John che, dopo avermi visto dirigere alla porta per aprirla, si limita ad alzarsi a sua volta per stringere la mano a Tracy, augurandole una buona giornata e salutandola con un flebile “ci vedremo domani”. Anche io rivolgo un sorriso fintamente cortese alla giovane donna e, non appena mi assicuro che è uscita dall’edificio, richiudo la porta e la mia espressione cambia come dal giorno alla notte. Al posto del mio sorrisino cortese, ecco la solita faccia seria, fredda e calcolatrice di sempre.

- Hai qualche idea, Sherlock? – Mi chiede John mentre raggiunge la finestra per osservare la signorina che si allontana dal marciapiede. Io congiungo nuovamente le mani davanti alle labbra e sollevo un sopracciglio, percependo il mio palazzo mentale mettersi in funzione per il nuovo caso che mi si stava presentando.

- Cinque o sei, decisamente. – Rispondo, ricevendo in cambio un’occhiata scettica e una risata divertita.

- Bene, io vado a farmi una doccia adesso, se non ti dispiace. – La sua frase non mi fa nessun effetto all’inizio, ma il vederlo allontanarsi fa nascere in me una strana sensazione alla bocca dello stomaco, quella cosa chiamata… preoccupazione? Così la chiamano i comuni mortali?

Sento le mie braccia agitarsi leggermente dalla loro posizione e per calmarmi le distendo leggermente sui braccioli della poltrona. Lo vedo andare via con un passo trascinato, stanco, quasi esausto.

- John! – Lo chiamo nello stesso istante in cui raggiunge la porta del corridoio. Lui si ferma e si girà verso di me per aspettare che io reagissi, che dicessi una qualunque cosa per giustificare il mio comportamento. Dapprima non so cosa dire… il suo sguardo mi sta studiando. Vuole applicare il mio metodo sul sottoscritto. Povero John, è convinto di potercela fare!

- Sì? – Chiede dopo interminabili secondi del mio silenzio.

- Quello che hai fatto… è stato buono. – Dico, stranamente incapace di esprimermi al meglio. Le sue sopracciglia inarcate mi fanno intuire la sua confusione e sono (più o meno) pronto a spiegarmi meglio. – Intendo… il tè che hai fatto prima, era buono. – Per un attimo lo vedo sorridere e reclinare il capo da un lato, il destro, come lui fa sempre, cosa che ho capito dopo le innumerevoli volte che lo ho osservato e studiato, anche di nascosto. Dite che esagero con ciò? – Insomma, era… nella norma, cioè… era buono, molto buono rispetto a quello che prepari di solito. Anche se, beh, hai lasciato troppo tempo il bollitore sul fuoco, forse perché, anzi, sicuramente perché la tua analista ti ha telefonato mentre lo stavi preparando. Parlare con lei ti ha fatto perdere la cognizione del tempo e non ti sei minimamente accorto del fatto che stesse già fischiando da un bel pezzo. Nonostante ciò il tuo tè era straordinariament… -

- Sherlock! – Il suo richiamo mi fa bloccare all’improvviso, con la bocca mezza aperta e lo sguardo stralunato puntato sul suo viso.

- Ho solo apprezzato il gesto. – Dico dopo un paio di secondi di silenzio. La mia spiegazione sembra non convincerlo, visto che è ancora immobile a fissarmi. Faccio un lungo sospiro e per una volta cerco di essere il più umano possibile, e ci riesco talmente bene che la mia espressione sembra abbastanza tenera da stupirlo. – Sono fiero dei tuoi progressi… anche se involontari, ma ne sono davvero fiero, John. – Il suo stupore viene sostituito da un sorriso dolce che non mi fa smettere nemmeno per un secondo di guardare le sue labbra leggermente incurvate verso l’alto.

- Grazie. – Mormora a bassa voce, prima di girare sui tacchi e dirigersi a passo deciso verso il bagno. Si vede che quello che avevo detto era riuscito a fargli dimenticare anche un po’ della sua stanchezza.



Note autrice:
Questo è il mio primo esperimento su una Wholock, è da un po' che ho questa idea in testa e finalmente mi sono decisa a pubblicarla. Spero, comunque, che vi piaccia.
Volevo avvertirvi che questa storia è presente anche su Wattpad. Se volete seguirmi, lì sono SherlokidAddicted, proprio come qui.
Un bacio e buona lettura!
  
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