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Autore: Dragasi    28/07/2016    0 recensioni
Una vita da Tiefling.
Una vita dannata, una vita a metà.
La ricerca di uno scopo. La battaglia per la libertà.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Johan
Rinchiuso.
Come inizio non mi parve uno dei migliori. Non feci in tempo ad ammirare il paesaggio. Lo scoprii in seguito. Non c’è che dire, i ninja sanno scegliersi dei bei posti: un ampio altopiano delimitato dai rami di un torrente che si biforca a Nord con una cascata e si riunisce a Sud con un’altra cascata. Le montagne fanno da sfondo a questa struttura imponente che si erge su questa isola, protetta dalla natura e dalle guardie. Appena fui avvistato dalla ronda della base venni catturato e portato nelle celle sotterranee. Almeno c’era buio. Al mio “accompagnatore” non fu riservato un destino migliore: rinchiuso nella cella di fronte.
Ci volle una settimana prima che la “direzione” si decidesse a parlarmi. Nel modo più educato possibile spiegai la mia storia e il mio desiderio di diventare un ninja, cercai di essere diplomatico, di convincerli.
Venni rinchiuso, di nuovo.
Dopo un ulteriore settimana di reclusione iniziai a pensare di non essere un buon oratore. Dopotutto me la sono sempre cavata meglio con i fatti che con le parole.
Presi la mia decisione.
Avrei dimostrato di cosa ero capace. Sapevo di avere le capacità per diventare un buon ninja.
 
Sarei evaso.
Se fossi riuscito ad eludere la sorveglianza, avrei dimostrato le mie abilità. Mi avrebbero dovuto ammettere al loro addestramento, almeno per non macchiare la loro reputazione.
Durante le settimane di prigionia avevo iniziato a legare col mio compagno di sventure, il cui nome scoprii essere Drake. Benché riluttante gli illustrai il mio piano: in due le possibilità di riuscita sarebbero state maggiori e poi lui conosceva la base e anche alcune delle nostre guardie. Ce n’era una in particolare che faceva al caso nostro. Dall’aria spavalda e sicura di sé era tranquillizzata dalle catene che mi legavano al muro e più di una volta usò toni sprezzanti con me. Drake mi rivelò inoltre che durante gli allenamenti non prestava mai troppa attenzione ai dettagli.
Questo gli costò caro.
Aspettammo una sera in cui fosse lui a portarci la razione giornaliera. Fummo fortunati. Quella sera aveva voglia di prendersi gioco di me. Incautamente si avvicinò troppo e non si ricordò della mia coda libera. Nessuno aveva preso in considerazione l’idea di incatenarla, perché ancora troppo debole per essere considerata una minaccia. Con un gesto rapido però riuscii a rovesciargli addosso la ciotola di brodo bollente. Si distrasse un attimo e per me fu sufficiente. Con una testata si accasciò a terra, privo di sensi. La mia natura si stava rivelando utile: prima la coda e ora le corna. Con l’ausilio della coda gli sfilai le chiavi che teneva alla cintura e liberai me e Drake. Incatenammo il nostro “salvatore” al muro e lo imbavagliammo, per scongiurare qualsiasi tentativo di ricerca d’aiuto.
Uscire dalle segrete non fu facile, ma avevamo dalla nostra una certa esperienza di movimenti furtivi e soprattutto nessuno sospettava della nostra fuga. Riuscimmo ad arrivare fino al salone principale grazie alle conoscenze di Drake, e lì ci fermammo. Alle primi luci dell’alba arrivarono i maestri ninja per l’assemblea mattutina e, dallo stupore dei loro occhi, ebbi la conferma che cercavo: avrei iniziato il mio addestramento.
 
                                                                       ~  ~  ~
 
I primi mesi si alternarono tra lezioni pratiche e teoriche. Imparai a padroneggiare le tecniche di combattimento con armi esotiche come il nunchaku e gli shuriken, ma era la wakizashi che mi aveva stregato il cuore! La percepivo come un naturale prolungamento del mio braccio e i movimenti erano fluidi e veloci. La sua lama era corta e all’apparenza innocua rispetto alla più temibile katana, ma nelle mani giuste sapeva rendersi straordinariamente letale.
Non imparai solo a combattere. Durante le lezioni teoriche imparai a parlare. I ninja compiono spesso missioni per conto di signorotti locali e quindi un buon ninja deve sapersi rapportare con la nobiltà. Non fu semplice per i miei maestri insegnarmi la diplomazia, ero pur sempre un Tiefling, bastava il mio aspetto a rendermi poco diplomatico. Eppure in quei mesi d’addestramento imparai che, se m’impegnavo, potevo davvero esser un buon oratore. Fortunatamente la mia natura mi concedeva anche tratti positivi: nessuno intimoriva come me. E questo si poteva rivelare molto utile quando bisognava recuperare informazioni nei bassi fondi delle città.
Poi fu l’avvento della botanica.
Fu una rivelazioni sconcertante. Alcune piante velenose già le conoscevo, ma la varietà e le proprietà che l’universo vegetale poteva fornire mi colpì profondamente. Ero affascinato da questa materia e presto imparai a combinarla con il combattimento. Ora ero in grado di uccidere anche con il veleno.
 
Giurai.
Poche settimane dopo l’inizio dell’addestramento, prima che i nostri maestri potessero svelarci segreti noti solo ai ninja, dovemmo prestare giuramento. Drake, che l’aveva già fatto, mi spiegò che sarebbe stato sancito col sangue. Il giorno della cerimonia, se di cerimonia si può parlare, mi presentai al cospetto del sommo Jonin[1] e di alcuni testimoni, tendenzialmente tutti Chunin.
Da solo davanti a quei grandi guerrieri giurai su quelle poche regole che avrebbero per sempre vincolato la mia vita.
Sarei stato fedele al mio signore e ai miei superiori.
Avrei mantenuta segreta la mia identità.
Sarei sempre stato leale coi miei compagni.
Non avrei mai ucciso un ninja del mio gruppo o un mio alleato.
Quattro semplici regole. Una vita da dedicare a loro.
Per ricordarmi per sempre questo codice e chi sono diventato il Jonin mi incise sull’avambraccio con la mia wakizashi quattro segmenti a formare un sai ninja. La ferita bruciava ma mai fui più convinto di una mia decisione.
Ricominciai l’addestramento. Ora ero allo stesso livello di Drake, ero diventato un Genin.
 
                                                                       ~  ~  ~
 
 
Ben presto i miei maestri si accorsero delle mie potenzialità. Grazie al cielo la società ninja si basava sulla meritocrazia e non importava chi fossi o da dove venissi, importava solo quanto fossi bravo.
Fu così che venni scelto insieme a Drake per una piccola missione per conto di Lord Byrion.
La mia prima missione.
 
Tutti i miei sensi erano allerta e attenti ad ogni minimo cambiamento.
Era notte ed eravamo appostati fuori la dimora di Lord Zotek ormai da tempo. La missione era semplice: dovevamo ucciderlo.
Aveva commesso l’errore di non appoggiare Lord Byrion, che spesso richiedeva i nostri servigi, per una causa a lui cara: l’ampliamento della sua tenuta a discapito di qualche povera fattoria. Non ho mai avuto il senso di giustizia che pervade mio fratello, benché abbia passato un’infanzia di stenti non provo pietà per nessuno, ancor meno dopo l’addestramento che ho seguito.
Naturalmente non si doveva lasciar trapelare alcun collegamento tra l’uccisione di Lord Zotek e Lord Byrion: doveva sembrare un suicidio. Già da tempo i miei superiori lavoravano su questo caso ed erano riusciti a contraffare i registri contabili della nostra vittima, creando così un falso bilancio fallimentare.
Ora dovevamo solo attendere che uscisse, come ogni notte, per andare al bordello del paese, a trovare la soddisfazione che la giovane moglie non gli dava.
Poi sarebbe toccato a me e Drake.
Questa parte della missione era più semplice e quindi poteva essere affidata a due “novellini” come noi.
Comparve.
Quasi sorrisi quando lo vidi “aggirarsi furtivamente” augurandosi di non farsi seguire da nessuno. Mi ricomposi subito ricordando a me stesso che nessun nemico va sottovalutato, anche se vedere i suoi modi impacciati e frettolosi mi rassicurò sull’esito della missione.
Scattammo silenziosi.
Con pochi rapidi passi lo sorprendemmo bloccandogli ogni via di fuga. Con l’aiuto del mio nunchaku, molto utile se non bisogna essere letali, lo bloccai quel tanto perché Drake potesse ficcargli in gola dell’olio di Taggit. È un particolare veleno che, se ingerito, lascia la vittima priva di sensi per qualche ora, quanto ci serviva per poter inscenare il suicidio. Lo portammo nelle stalle e iniziammo a preparare il cappio per l’impiccagione. Scegliemmo una trave facilmente raggiungibile da chiunque, soprattutto da un uomo grasso di mezza età, poi, trovata lì nei pressi una corda, ci mettemmo al lavoro. Lo issammo ancora privo di sensi e, dopo aver fatto passare la corda intorno al suo collo, mollammo la presa.
Fu un tonfo sordo.
Lo sgabello era riverso a terra e ipnotizzati osservammo il lento dondolio di quel corpo esanime. Dopo circa un minuto era già diventato cianotico e dopo pochi altri ne constatammo il decesso. Non c’era più polso.
Silenziosi com’eravamo arrivati, tornammo alla base.
 
[1] La gerarchia ninja si basava su tre importanti figure: Jonin, il più alto in grado, Chunin e Genin, considerati soldati semplici. L’ordine era stabilito in base alla proprie capacità e non in base a diritto di nascita. Le diverse sezioni potevano collaborare tra loro mantenendo sempre l’obbedienza a chi era superiore in grado.
   
 
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