Crossover
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Autore: Registe    31/07/2016    3 recensioni
Tredici guardiani. Tredici custodi del sapere.
Da sempre lo scopo dell'Organizzazione è proteggere e difendere il Castello dell'Oblio ed i suoi segreti dalle minacce di chi vorrebbe impadronirsene. Ma il Superiore ignora che il pericolo più grande si annida proprio tra quelle mura immacolate.
Questa storia può essere letta come un racconto autonomo o come prologo della serie "Il Ramingo e lo Stregone".
[fandom principale Kingdom Hearts; nelle storie successive lo spettro si allargherà notevolmente]
Genere: Fantasy, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Anime/Manga, Videogiochi
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Ramingo e lo Stregone'
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XIII ORDER



 

Prologo - Sora





Villaggio saccheggiato dai banditi





Le gambe lo implorarono di fermarsi, ma le voci dei suoi inseguitori colpirono le sue caviglie con la violenza di una frusta; per cercare di guardarsi indietro inciampò in una radice e cadde riverso nel sottobosco.
L’urlo del vecchio sacerdote, Kirisin, gli diede nuova forza; si rialzò e riprese a correre come mai aveva fatto in vita sua. Sentiva il proprio cuore pulsargli in gola, nelle orecchie e nelle tempie.
Un altro grido, stavolta di quel contadino così gentile da offrire loro un passaggio. Quando quei banditi erano emersi dai cespugli il sacerdote lo aveva spinto sotto le ruote del carretto intimandogli di scappare più veloce che potesse e lui aveva iniziato a correre senza alcuna direzione, lontano dal sentiero, nella mente soltanto il pensiero di allontanarsi da quei malfattori e di correre, correre, correre.
Era scappato riparandosi dietro un gruppo di querce, eppure i briganti si erano accorti lo stesso di lui: poteva sentire già i loro passi sulle foglie secche e le imprecazioni quando scivolavano sul fango fresco; aveva appena piovuto, ma non sembrava bastare per i suoi inseguitori. Discese per una collinetta prendendo velocità, ma quando provò ad evitare un sasso atterrò malamente a terra e la caviglia sembrò esplodergli; si avvicinò ad una seconda collina stavolta carica di grandi rocce grigie, vi passò sopra e si aggrappò ad una di esse per mantenere l’equilibrio e riprendere fiato fosse stato anche solo per un istante.
Una freccia sibilò sopra la testa di Sora: nella sua mente prese forma un piccolo ringraziamento verso gli dèi, ma fu solo un pensiero che gli morì quando la paura riprese il sopravvento e riprese la fuga lasciandosi rotolare per un pendio nonostante la caviglia destra gli urlava di fermarsi. I banditi gridavano tra di loro in uno strano dialetto delle terre del nord: forse qualcuno di loro voleva prenderlo vivo ed aveva bestemmiato contro l’arciere. Si rimise in piedi e si infilò in un sottobosco di pruni senza badare alle spine, alle ferite e alle radici, sentiva solo il proprio cuore scoppiare anche sopra quelle parole che non facevano altro che sovrapporsi alle ultime preghiere disperate del vecchio Kirisin.
Doveva correre, solo correre.
Qualcuno degli inseguitori estrasse una lama ed iniziò a tagliare i pruni.
Ma non doveva pensarci, doveva correre ancora. Doveva trovare un villaggio, una capanna di un taglialegna, doveva, doveva farlo ed aveva i polmoni in fiamme, doveva trovare qualcuno che avrebbe chiamato aiuto in nome degli dèi. Correre, correre, correre più veloce di loro.
Vide l’ombra troppo tardi.
Il primo uomo lo afferrò per la testa, stringendolo e scaraventandolo a terra; si voltò per mordere quel palmo sporco di terra ma quello lo spinse nel fango facendogli mancare l’aria. Una seconda figura accorse non appena cercò con le proprie dita di liberarsi della presa del primo assalitore e lo sentì strattonargli i polsi fino allo spasmo mentre per gridare aiuto il terriccio gli entrò nella bocca immobilizzandogli persino la lingua. Cercò di fare appello alle ultime forze per sollevare la testa e guadagnarsi almeno una boccata d’aria, ma tutte le sue energie si trasformarono solo in un calcio sferrato contro uno di quei briganti che rise al suo tentativo di ribellione e iniziò a frugargli nelle tasche senza dubbio alla ricerca di qualche moneta. Ne arrivarono altri –tre, quattro, forse cinque, non riusciva e non poteva rendersene conto- e sentì qualcuno afferrargli la caviglia dolente e passarci intorno una corda.
Intorno a lui le bestemmie si moltiplicavano mentre l’aria diventava sempre di meno. Sputò la terra e morse una delle dita che lo imprigionavano; la mano sporca si allontanò da lui per un istante, ma non appena cercò di sollevare la testa un pugno, forte e improvviso, trasformò tutto in un’esplosione di dolore e di sangue che sembrò volergli esplodere nella tempia. La stessa persona lo afferrò per i capelli, ma gli occhi di Sora erano coperti da un velo rosso e biancastro e non riuscì nemmeno a vederlo in volto; le voci si erano fatte ovattate, e quando quel bandito lo apostrofò con parole prive di forma cercò soltanto di piegare la testa tra le spalle per proteggersi dal secondo pugno che sarebbe senza dubbio arrivato.
Ma ciò che arrivò non fu un pugno.
L’uomo abbandonò la stretta sui suoi capelli e Sora rovinò a terra. Le voci intorno a lui si erano fatte più alte e concitate; provò a muovere i piedi e non appena si accorse che la corda non era stata stretta intorno ai suoi piedi fece appello agli dèi e cercò di portarsi almeno sulle ginocchia. Si portò una mano alla tempia dolente nel tentativo di allontanare il sangue dagli occhi, ma quando riuscì a sollevare le palpebre senza più nessuno a immobilizzarlo le chiuse immediatamente trattenendo un conato: il bandito che fino a qualche istante prima lo immobilizzava era riverso nel sottobosco, la schiena aperta in due da … una cosa. Una cosa bianca e rossa con una punta ancora infissa tra i visceri dell’uomo. Il ragazzo cercò subito di distogliere lo sguardo.
Si voltò a sinistra cercando una via di fuga verso i pruni, ma qualcosa attraversò di nuovo il suo campo visivo, stavolta leggero come un’ombra.
La figura ammantata di nero comparve dal nulla –no, non poteva essere davvero apparso dal nulla, pensò Sora nonostante la confusione- come se una scheggia della notte più oscura l’avesse scagliata: il giovane si accorse in quell’istante di un altro brigante che si stava muovendo nella sua direzione, ma la persona con l’abito nero si portò tra loro e afferrò l’aggressore per una manica, incurante del coltello che aveva in mano. Sora si retrasse appena in tempo, perché l’attimo successivo una fiammata comparve proprio nel punto in cui il nuovo venuto stava afferrando il brigante; il fuoco arse con una velocità incredibile ed in un battito di ciglia l’urlo del malcapitato attraversò tutta la foresta. Si infiammò completamente, dalla manica alle scarpe fino alla punta dei piedi: Sora strillò a sua volta, più forte, cercando una forza per scappare di lì che non arrivò mai e rimase immobile mentre le fiamme si ritrassero dall’aggressore, lasciandone a terra solo un corpo annerito, e si avvolsero intorno al braccio della figura ammantata come delle serpi per poi guizzare di nuovo ad un suo schiocco di dita contro gli altri briganti. Il mondo si trasformò in un’esplosione di scintille mentre quelle cose bianche e rosse apparvero nell’aria tra le mani dell’uomo, ma il ragazzo si portò la testa tra le ginocchia e cacciò un altro grido nel disperato tentativo di scacciare tutto, di far sparire tutti, di cancellare tutto quello che gli stava accadendo intorno. L’odore del corpo incendiato gli arrivò alle narici e vomitò.
Con la coda dell’occhio riuscì a vedere solo uno dei briganti –l’ultimo, probabilmente- abbandonare l’ascia a terra per fuggire nella foresta, ma tutto ciò che sentì dopo fu uno schiocco di dita e le urla del malfattore che gridò mentre tutto il suo abito prese fuoco.
Il giovane realizzò solo qualche istante più tardi che adesso l’unico rumore in quel posto era quello del suo cuore che batteva all’impazzata. Nel rialzare la testa ed asciugarsi la bocca dai conati vide le strane armi del nuovo venuto dileguarsi con delle fiammate.
Aveva visto alcuni maghi in vita sua, ma nessuno … così.
I maghi erano tutti anziani e saggi, in fondo. I pochi che erano passati nel suo paese conoscevano delle formule per compiere degli incantesimi ed avevano tutti abiti strani, nulla a che vedere con quel vestito nero che dava l’idea di aderire al suo padrone come un guanto. Eppure il suo salvatore sembrava giovane e veloce. Forse solo i demoni potevano fare quel genere di cose, ma Sora non ne aveva mai visto nemmeno uno –non sarebbe stato vivo, altrimenti.
Si chiese se fosse un angelo.
Forse sua madre, con le ultime preghiere, gliene aveva mandato uno che lo proteggesse nel viaggio verso il Grande Tempio. In fondo l’anziano Kirisin nominava spesso angeli con le armi fiammeggianti, e anche se il suo soccorritore non era proprio come se lo aspettava avrebbe dovuto comunque ringraziarlo inchinandosi ai suoi piedi. Nonostante un dolore violento in ogni parte del corpo cercò comunque di alzarsi e venirgli incontro.
Fu solo quando furono a pochi passi di distanza che lo sconosciuto si levò il cappuccio e Sora lanciò un urlo.
Quello non era un messaggero degli dèi.
Era finito tra le grinfie di un servitore del Diavolo.
  
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