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Autore: Mary P_Stark    01/08/2016    2 recensioni
2024. Malcolm Hamilton e i suoi amici si apprestano a terminare i loro studi alla Columbia ma il giovane, Guardiano dello Spirito e Fulcro del Pentacolo di Potere della sua famiglia, sente che qualcosa non va, che qualcosa lo minaccia, pur se non direttamente. Niente e nessuno sembra riuscire a comprendere cosa stia curiosando attorno al giovane, neppure un'entità potente come la Fenice Araba, che si è presa personale carico di aiutare l'amico e Guardiano.
Cosa vi può essere che riesce a sfuggire agli occhi di un Dominatore dello Spirito? E sarà un'entità davvero malvagia, o solo incuriosita dal potere di Malcolm e della sua famiglia?
E' difficile scoprirlo, specialmente quando cuore e anima vanno in due direzioni diverse. Se il primo vorrebbe pensare agli occhi dolci di Eiko, la seconda è incuriosita da Rin, le due nuove amiche che Malcolm conosce all'università.
Riuscirà il ragazzo a non cacciarsi nei guai, o saranno i guai a trovare lui? - SPIN-OFF serie 'The Power of the Four' (è necessaria la previa lettura della saga, per comprenderne gli intrecci)
Genere: Romantico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario, Sovrannaturale
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Power of the Four'
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Capitolo 1
 
  
Settembre 2024
 
 
 La brezza sommoveva le foglie verdi e gialle del ciliegio, che ostentava la sua chioma ancora rigogliosa nel mezzo del giardino dietro casa.
 
 Poco importava che quell’angolo di verde si trovasse a Silver Spring, Maryland, niente più di una costola di Washington, D.C.
 
 Le piante al suo interno parevano trovarsi in tutt’altro luogo, ove l’uomo era solo forma indistinta e secondaria, non predatore e distruttore.
 
 La lussureggiante vegetazione che cresceva e prosperava in quel modesto appezzamento di terreno, infatti, aveva un segreto millenario e ancestrale.
 
 Un segreto che la famiglia Hamilton – e così i loro predecessori – aveva mantenuto fin dal momento in cui il primo membro della loro stirpe aveva ricevuto il dono.
 
 In quel luogo galleggiavano poteri forti, poteri millenari, poteri avevano il profumo dell’acqua, del fuoco, dell’aria, della terra e dello spirito.
 
 Malcolm Anthony Hamilton, nell’accarezzare la ruvida porosità della corteccia del ciliegio, sorrise sornione nell’avvertire il profumo di questa forza senza tempo.
 
 Il tocco di sua zia Spring, Guardiana della Terra, era facilmente percepibile in quella trama scura e rugosa fatta di corteccia, Elementali e magia.
 
 Quattro gemelli erano giunti dalle verdi terre d’Irlanda assieme ai loro avventurosi genitori, Anthony e Camille Hamilton, e alla loro giovane zia, la veggente Brigidh.
 
 Il fato avverso aveva segnato il futuro di questi giovani virgulti, strappando loro madre e padre alla tenera età di quattordici anni.
 
 Questo, però, non li aveva fermati, né annientati.
 
 Come non li aveva fermati il Consiglio degli Anziani del Clan della Ruota, cui ogni suo membro aveva dovuto sottostare, almeno fino al momento della Purga.
 
 Così, all’interno del potente Clan legato alla dea Arianrhod – la loro benefattrice – si parlava di ciò che era successo dodici anni addietro, nel castello degli Hamilton.
 
 La vecchia cerchia di Guardiani aveva tentato, andando contro ogni regola imposta dalla dea, di spodestare i giovani Dominatori degli Elementi.
 
 Questo non aveva soltanto risvegliato Arianrhod, ma l’aveva portata ad agire – per la prima volta da secoli – obbligandola a recidere il filo della vita della vecchia Guardiana del Fuoco.
 
 Shaina Pearson Hamilton era morta maledicendo i nipoti e la dea, lasciando dietro di sé solo la consapevolezza dei suoi errori e il peso amaro del suo nome.
 
 Ciò che ella aveva tentato di portare avanti si era liquefatto come le torque costrittive che, per secoli, avevano tenuto in scacco i giovani Guardiani.
 
 Malcolm ricordava a malapena la nonna paterna e, anche a causa di quel che aveva sempre saputo sulla sua famiglia, non l’aveva mai amata molto.
 
 Tutt’altro discorso poteva dirsi per il nonno paterno, Angus Hamilton, e i nonni materni, Peter e Sarah.
 
 Nonno Angus aveva aborrito fin dal principio il piano della moglie e, pur non potendovi mettere un freno, non ne aveva neppure appoggiato la creazione. Alla fine di ogni cosa, non aveva potuto che accettare il gesto definitivo della dea.
 
 Peter e Sarah, invece, avevano finalmente seppellito l’ascia di guerra – levata dopo la fuga delle figlie nel Nuovo Mondo – e avevano fatto fronte comune con Angus, in favore dei nipoti.
 
 Era scaturito molto dolore, da quella morte così come da quegli eventi, ma anche un nuovo inizio per il Clan.
 
 La legge sui Prescelti era stata abolita, poiché dichiarata ufficialmente e definitivamente illegale.
 
 I Guardiani avevano ottenuto una libertà che, per secoli, era stata loro negata a causa del potere che, nel Clan, si era voluto detenere alle loro spalle.
 
 Nessuno avrebbe più obbligato i giovani Dominatori a sottostare a leggi imposte, e la dea avrebbe potuto essere amata in piena libertà, e non più scomodata per le loro faccende mortali.
 
 Come avrebbe dovuto essere fin dall’inizio.
 
 Lanciata un’occhiata verso il retro della casa, Malcolm sorrise nuovamente. Dabbasso, seminascosta da un traliccio di rose rampicanti, stava una porta che conduceva nel seminterrato della villa bifamigliare dove abitava.
 
 Nascosta ai più, esisteva una piccola fucina ove il padre era solito creare i suoi lavori di artigianato. Ma non v’era solo questo, in quella taverna molto particolare, naturalmente.
 
 Un enorme salone medievale si estendeva dinanzi a un ampio pozzo cerimoniale ove sua zia Spring, ogni anno, officiava Beltane e ringraziava la dea.
 
 Aveva sempre apprezzato quella festività pagana, rispetto alle altre che erano soliti festeggiare, in cui onoravano la Madre Terra e il suo risveglio alla vita.
 
 Da quando la sua famiglia si era allargata, poi, tutto era diventato anche più bello e completo.
 
 Il sorriso gli si illuminò spontaneamente, andando col pensiero ai suoi fratelli e alla cuginetta Sunshine.
 
 Vivendo in una bifamigliare assieme a zia Spring e zio Max, era praticamente cresciuto assieme a Sunshine e, con lei, condivideva un sacco di bei ricordi.
 
 Quando poi, con sua somma letizia, erano nati i gemelli, la sua gioia non aveva potuto che aumentare esponenzialmente.
 
 Kimberly, sua madre adottiva e primo amore del padre, aveva passato la maggior parte della gravidanza a rassicurarlo circa il suo amore per lui.
 
 L’amava anche per questo. Lei si era sempre sentita in dovere di dimostrargli coi fatti, e non solo con i suoi sorrisi, il legame che li univa.
 
 Poco importava che lei fosse solo una persona normale, una donna priva di poteri. Per Malcolm, così come per suo padre Winter, Kimmy era speciale.
 
 Lo era stata all’inizio, accettando senza troppi problemi la strana presenza della vera madre di Mal, la fata della bruma Erin.
 
 Lo era stata poi, prendendo per buone tutte le spiegazioni fornitele da Winter Hamilton, sua antica fiamma e attuale marito.
 
 Era difficile capire cosa volesse dire non sapere, poiché Malcolm aveva saputo della loro magia, dei loro doni, fin da quando era poco più di un bambino.
 
 Kimberly aveva dimostrato sommo coraggio, venendo a scoprire la verità in uno dei momenti più terrificanti della sua vita, così come l’avevano dimostrato gli zii Max e John, e la zia Melody.
 
 No, entrare a far parte di un mondo di magia e di incredibili poteri non doveva essere semplice, eppure tutti loro si erano dimostrati forti e caparbi a sufficienza.
 
 La sua era una famiglia unica, magica in tutti i sensi possibili e immaginabili.
 
“Mal! Che ci fai qui fuori tutto solo?” domandò una voce alle sue spalle, portandolo a voltarsi e a disperdere nel nulla i suoi pensieri errabondi.
 
 Sorridendo a mezzo alla madre, Mal si scostò dal ciliegio e disse: “Pensavo, mamma. Nulla di che.”
 
Kimberly inclinò il capo di riccioli castano rossicci, così simili alle foglie autunnali, e sorrise dolcemente.
Quel sorriso avrebbe potuto stregare chiunque, perché diceva tutto, di lei. Di come fosse dolce e spontanea, fiera e indomita, appassionata e amorevole. Non stentava a capire come il padre, già in tenera età, si fosse innamorato di lei.
 
“Terrorizzato all’idea di completare l’ultimo anno alla Columbia?” ironizzò Kimmy, lanciando un’occhiata alla vasca dei pesciolini, che si trovava nelle vicinanze del patio.
 
 Malcolm seguì il suo sguardo con espressione interessata e, ghignando, replicò: “Non vorrai far intervenire Erin per farmi il terzo grado, vero?”
 
 “Tu che dici, Erin, …nostro figlio ne ha bisogno?” ammiccò la donna, rivolta alla polla d’acqua.
 
 A quell’accenno, la superficie liscia della vasca si mosse come sospinta da lieve brezza e, goccia dopo goccia, prese forma e struttura la piccola immagine di una donna.
 
 Quest’ultima, con naturalezza e grazia innate, andò ad accomodarsi sul bordo in muratura della vasca e li fissò con espressione divertita.
 
“Può essere, Kimmy. A volte sa essere davvero criptico, il nostro ragazzo.”
 
Per loro, era naturale parlare al plurale.
 
 Non solo le due donne andavano d’amore e d’accordo ma, spesso e volentieri, facevano comunella contro Winter, l’uomo a cui entrambe erano legate, pur se in modo diverso.
 
 Per Malcolm, era normale avere a che fare con entrambe loro, e non gli spiaceva affatto sottostare al loro fuoco incrociato, per quanto non volesse darlo a vedere.
 
 Sapeva che suo padre amava vederle assieme, e lui non era da meno, ma non trovava giusto rendere loro la vita così semplice, quando si trattava di lui.
 
 Pur non avendo amato Erin dello stesso amore che, ora, lo legava a Kimmy, Winter era stato un buon marito, per lei, oltre che un amorevole padre per Mal.
 
 La morte prematura di Erin, causata da una leucemia terrificante e senza scampo, aveva creato una frattura enorme nel cuore di Winter.
 
 L’aver tramutato in fata della bruma la moglie, sottraendo il suo spirito dall’abisso della morte, pur se non il suo corpo, lo aveva salvato dall’annientamento, ma non dal dolore.
 
 Solo Kimberly, infatti, era stata in grado di riportarlo alla vita vera e, grazie a ciò, a riabbracciare il vero se stesso.
 
 Erin non aveva potuto che gioirne, lei che, per tutta la vita, aveva sempre e solo voluto il bene più grande per il suo migliore amico, per Winter.
 
“Voi due, messe insieme, fate paura” ironizzò Malcom, intrecciando le braccia sul petto robusto.
 
 In famiglia, Malcolm era solo l’ultimo di una lunga stirpe a poter vantare un fisico possente e asciutto. Tutti i maschi Hamilton erano imponenti e fieri, retaggio degli antichi guerrieri di cui si era composta la loro ancestrale famiglia per millenni.
 
 Le due donne risero sommessamente al commento del figlio e Mal, ancora una volta, ringraziò la dea per il dono di poterle vedere assieme.
 
“Mamma!” gridarono dalla finestra i due gemelli di tredici anni.
 
 Mal levò lo sguardo a osservare Shanna e Coryn, sua sorella e suo fratello e, salutatili, esclamò: “Ve la mando subito, ragazzi!”
 
 “Veniamo giù noi, fratellone!” urlarono in coro i due, sparendo alla sua vista.
 
 Kimmy sorrise indulgente e mormorò: “Il giorno in cui non urleranno più, dovrò cominciare a preoccuparmi.”
 
 “Passerà ancora del tempo” motteggiò Malcolm, scrollando le spalle.
 
“Come passerà ancora del tempo, prima che tu ce la faccia in barba, Mal. Che succede?”
 
Sorridendo esasperato all’indirizzo della piccola figura d’acqua che era la sua madre naturale, Mal borbottò: “Un po’ meno veggenza, Syhyl-vyh’in, sarebbe gradita, sai?”
 
Uno dei pochi a saper pronunciare il nome fatato di Erin, Malcolm la chiamava a quel modo al solo scopo di farla ridere.
 
 Sapeva quanto, pronunciare quel nome, gli facesse arricciare labbra e naso, tramutando il suo viso in una buffa caricatura di se stesso.
 
 Erin, infatti, scoppiò in una risata argentina e Kimmy, sospirando, esalò: “Ammaliatore di donne… cosa mai potremmo fare per spegnere tanto fascino?”
 
 “Lo uso solo a fin di bene, mamma” precisò Malcolm, ghignando.
 
 Kimberly sorrise indulgente e, avvicinatasi al figlio, gli sistemò una ciocca scomposta dei neri e morbidi capelli.
 
 Scrutando in quei profondi occhi verde foglia, che il giovane aveva ereditato da Erin, la donna asserì: “Qualcosa ti turba, è evidente. Non vuoi dirci cos’è? Percepisci delle correnti anomale tra gli Elementali dello Spirito?”
 
Come Guardiano dello Spirito, e quinta punta del Pentacolo di Potere attualmente in carica, Malcolm era dotato di una qualità unica.
 
 Se suo padre e i suoi zii erano padroni degli elementi, lui governava le anime, gli spiriti di ogni creatura vivente.
 
 Non era un dono da prendere alla leggera, o su cui non prestare la massima attenzione, sempre e comunque.
 
 Ciò che poteva percepire attorno a sé, dentro di sé, era qualcosa di terrificante e, se non fosse stato più che preparato ad accettare un simile peso, sarebbe impazzito.
 
 C’erano volte, però, anche il suo addestramento pareva non bastare.
 
 Come quella mattina.
 
 I suoi amici sarebbero arrivati a breve e, assieme, sarebbero risaliti lungo la costa per raggiungere New York City e la Columbia University, dove studiavano alla facoltà di Arte e Scienze.
 
 Eppure, qualcosa lo metteva in ansia, lo rendeva nervoso e rendeva, perciò, quel rientro all’ateneo, un evento per nulla faceto quanto, piuttosto, preoccupante.
 
 Una corrente di fondo miscelava, confondendole, le sue percezioni sul mondo, e questo non era mai avvenuto prima.
 
 Maeb, la sua anziana maestra - perita tre anni addietro - gli aveva sempre detto che questo avrebbe potuto succedere, un giorno ma lui, scioccamente, aveva ritenuto il suo dono di molto superiore a quello degli altri.
 
 Loro, infatti, non erano le uniche creature magiche a vivere sulla Terra, e di certo non sarebbero state le ultime a camminare su quel vasto mondo.
 
 O nell’Ultramondo, il regno degli spiriti erranti, dei sogni più vivaci, così come degli incubi più oscuri.
 
 Migliaia di creature mistiche vivevano indisturbate, e ignote ai più, e più di una poteva navigare e prosperare in entrambi i mondi; solo di alcune, però, Malcolm conosceva l’esistenza.
 
 Altre, invece, erano celate persino a lui. Poteva solo avvertirne la presenza, ma non la natura, né il luogo in cui dimoravano.
 
“Niente che non sappia gestire, davvero” le rassicurò entrambe Malcolm, sorridendo poi gioviale ai gemelli, che piombarono in giardino come due furie scatenate.
 
“Ciao, Erin!” esclamarono i due bambini, notando al loro arrivo la fata ancora seduta sul bordo della vasca.
 
“I miei due tesori… ma quanto siete belli?”
 
Shanna rise di gusto, facendo dondolare le onde biondo-castane per il gran ridere mentre Coryn, più ombroso, si limitò a sorridere timido, di fronte al complimento.
 
 In tutto simile alla nonna materna, Shanna appariva come un tenero angioletto, ai più… tranne quando iniziava a parlare, e dimostrava chi era veramente.
 
 A quel punto, il suo carattere indomito e peperino – ereditato dalla madre – sorgeva come una zampillante fontana a sorprendere tutti.
 
 Coryn, invece, somigliava più al padre, meno caotico della sorella e scuro di capelli come l’uomo a cui il ragazzo sperava ogni giorno di assomigliare sempre di più.
 
 Malcolm sorrise a entrambi i gemelli, impegnati a parlare con Erin, prima di rendersi conto dell’arrivo del padre.
 
 Alto e fiero come un guerriero celtico, Winter Hamilton incuteva reverenziale timore in chi non lo conosceva e, a volte, anche in chi lo conosceva da tempo.
 
 I suoi occhi color del ghiaccio esprimevano un sapere antico quanto mistico e, solo a pochi eletti, lui effondeva anche il suo lato più dolce, più tenero.
 
 Uomo dalla risata sincera quanto rara – al di fuori della famiglia –, era uno stacanovista sul lavoro, e un mito per più della metà dei tecnici che lavoravano con lui.
 
 Solo Kimberly e pochi altri sapevano quanto, quell’apparenza fredda e distaccata, fosse ingannevole e ben lontana dalla realtà.
 
“Immagino ti servano rinforzi, Mal” esordì l’uomo, sorridendo complice al figlio maggiore.
 
 Sia Erin che Kimmy lo fissarono vagamente accigliate, ma lui non vi fece caso alcuno.
 
 Batté una mano sulla spalla del figlio e, indicando verso casa con un cenno del capo, aggiunse: “Bobby e Keath sono arrivati. Ti stanno aspettando in strada. Ho detto loro di entrare, ma hanno preferito rimanere fuori.”
 
 “Hanno fretta di mettersi in marcia, a quanto pare” ironizzò Malcolm, sapendo però bene quale fosse il vero motivo della ritrosia degli amici a seguire suo padre.
 
 Quando Winter era nei paraggi, loro si sentivano a disagio.
 
 Non aveva mai capito bene il vero motivo – non si era arrischiato a origliare –, ma forse dipendeva dal fatto che suo padre appariva davvero maestoso, quando ci si metteva.
 
 Sfiorando il metro e novanta, poteva guardare molte persone dall’alto al basso, ma erano soprattutto la sua imponenza fisica - e mistica - a incutere timore.
 
 Non che lo facesse di proposito ma il suo potere, a volte, poteva essere inconsciamente percepito anche dai normali, pur se non ne comprendevano la natura e la provenienza.
 
“Li raggiungerò subito. Vado a prendere le…”
 
 “Le valige sono già di sotto” lo prevenne Winter, ammiccando.
 
“Grazie, papà” sorrise il giovane, prima di piegarsi per scrutare in viso Shanna.
 
 Sì, sembrava davvero un angelo fatto e finito. Peccato che avesse anche la lingua tagliente come quella di un piccolo diavoletto.
 
 Scrutando in quelle giade screziate d’oro, Mal disse: “Cavalca gli Elementali con riguardo, mi raccomando. Sai che sei ancora troppo piccola, per saperli gestire. Chiedi sempre alla mamma o a Erin, va bene, prima di tentare qualsiasi cosa?”
 
 “Lo so, fratellone. Non farò pazzie, promesso” brontolò lei, pur sorridendo maliziosa.
 
 All’età di soli sette anni, Shanna aveva percepito per la prima volta gli Elementali dello Spirito.
 
 A questo modo, aveva manifestato al mondo chi sarebbe stata la quinta punta del Pentacolo di Potere dei novelli Guardiani.
 
 Maeb se n’era stupita non poco, vista la sua giovane età, e visto soprattutto che il potere dello Spirito si era già manifestato in casa Hamilton con la nascita di Malcolm. Era dunque stato chiaro alla donna che, ben presto, la sua vita avrebbe visto la fine.
 
 Non sarebbe caduto sulle sue spalle, l’addestramento della bambina, ma sul suo allievo, come in una ruota senza fine. Non potevano infatti esistere più di due Guardiani dello medesimo Elemento, nel breve decorrere della stessa epoca.
 
 Al risveglio del più giovane virgulto, quello più vecchio avrebbe dovuto avvizzire e perire, e così era quindi iniziato il lento declino della Anziana Guardiana dello Spirito.
 
 Malcolm, quindi, si era preso personale carico di Iniziare prima del tempo il suo addestramento con la sorellina, e il segreto sulla morte di Maeb le era stato debitamente tenuto segreto per non farla sentire in colpa.
 
 Coryn, sulle prime, ne era stato geloso. Pur sapendo che sarebbe stato il prossimo Guardiano del Fuoco, il suo dono non si era ancora destato in lui.
 
 Nello scoprire quali e quante difficoltà, però, la sorella avesse dovuto superare all’inizio di quel training, il gemello si era però presto ripreso, e si era dannato l’anima per aiutarla.
 
 Quel pensiero lo fece irragionevolmente rabbrividire. Sua sorella era ancora così inesperta e giovane, che…
 
Era ancora troppo presto e lui doveva tornare a scuola, ma sapeva che Shanna era più adulta della sua età, e non avrebbe fatto sciocchezze.
 
 Baciata la sua erede sulla guancia, mormorò: “Sai che ci sono sempre, per voi, vero?”
 
 “Sì, Mal” assentì la bambina, abbracciandolo per un attimo al collo prima di scostarsi da lui.
 
 Quando fu il turno di Coryn, Malcolm si fece più sorridente.
 
 Il fratellino era già naturalmente ombroso di suo; non aveva bisogno che lui fomentasse la sua propensione alla serietà e alla responsabilità.
 
 Avvicinatolo, gli posò una mano sulla spalla e chiosò: “E’ inutile che io ti dica di stare attento alla tua sorellina, vero?”
 
 “Già, del tutto inutile” replicò Coryn, atteggiandosi ad adulto nell’intrecciare le braccia al petto.
 
 Winter e Kimmy si scambiarono un’occhiata divertita ma nessuno dei due parlò, né fecero l’atto di lasciarsi sfuggire la risatina che aleggiava sulle loro labbra.
 
“Mi raccomando, non ridere troppo. Fa venire le rughe anche ai più piccoli” motteggiò allora Malcolm, ammiccando con esuberanza.
 
 Coryn cercò di non sorridere, ce la mise davvero tutta, ma gli sfuggì un risolino.
 
 Il fratello maggiore, soddisfatto, lo abbracciò per un attimo, asserendo: “Ti voglio bene, fratellino.”
 
Il ragazzino rimase in silenzio, ma si strinse forte al fratello, affermando con i fatti – pur se non con le parole – di provare lo stesso sentimento.
 
 A quel punto, la famiglia al completo si avviò perciò verso l’esterno e, mentre Erin spariva in un ricciolo di vapore, Malcolm venne percorso dall’ennesimo brivido di aspettativa.
 
 Che diavolo fosse quella sensazione, doveva ancora comprenderlo, ma tant’era. Avrebbe dovuto conviverci finché non fosse scemata fino a svanire, o ne avesse scoperto la natura.
 
 Una volta raggiunto il marciapiede dinanzi alla villetta, Mal sorrise nel vedere Sunshine e Spring impegnate a chiacchierare con Bobby e Keath.
 
 Bionde e bellissime entrambe, madre e figlia sembravano due bambole di porcellana, dalla pelle d’alabastro e i candidi occhi di cielo.
 
 Neppure il più intuitivo tra gli uomini avrebbe potuto pensare che la tenera Spring, se spinta a farlo, avrebbe potuto scoperchiare Washington con un terremoto. O che l’elegante e raffinata Sunshine, di lì a qualche anno, avrebbe potuto abbattersi sulla città a cavallo di centinaia di tornado.
 
 No, era proprio vero che le apparenze ingannavano, specialmente in casa Hamilton.
 
 Keath, in quel momento, stava facendo ridere beatamente Sunshine e Malcolm, avvicinatosi loro, avvolse protettivo le spalle della cugina, brontolando: “Non starai cercando di irretire mia cugina, spero?”
 
 “Sai già che io e Sun ci sposeremo, quando lei sarà abbastanza grande” replicò Keath, strizzando l’occhio alla ragazzina, che esplose in una frenetica risata.
 
 Burbero, Mal replicò: “Dovrai passare sul mio cadavere. Poco ma sicuro.”
 
 “Non mi vuoi come cugino? Tu mi ferisci, Mal!” esalò Keath falsamente affranto, passandosi una mano tra la folta chioma ondulata e fulva.
 
 Bobby, ghignando all’indirizzo dei due, si sistemò con un dito la montatura degli occhiali sul naso e, pacato, celiò: “Non hai capito, Keath, che Mal vuole me, come parente?”
 
 “E in che modo, di grazia, riusciresti in questa impresa?” domandarono in coro i due giovani, fissandolo sarcastici.
 
“Ma è semplice. Perché Bobby sposerà me” ironizzò a quel punto Shanna, ghignando nell’osservare il trio di ragazzi fissarla a bocca aperta.
 
 Winter, scrutando curioso la figlia, le domandò serafico: “Non sapevo di questa tua passione per Robert. Ma è amore vero, mo chroí?”
 
 “Oh, sì, papà” assentì la bambina, allargando il suo ghigno diabolico quanto affascinante.
 
Sapeva di poter ammaliare chiunque, con quel sorriso e, fin troppo spesso, Shanna ne faceva uso per i suoi scopi.
 
 Aveva imparato presto a usare il suo fascino, e Malcolm aveva idea che, in parte, fosse colpa dell’influenza di Summer.
 
 Un lampo divertito passò negli occhi del padre che, sollevata da terra la figlia – nonostante fosse ormai grandicella per quel servizio – la squadrò ben bene prima di dirle: “Allora, così mi costringi a chiedere a questo ragazzo che intenzioni ha nei tuoi confronti.”
 
Sentendosi preso in causa, Bobby deglutì a fatica ma, in suo soccorso, giunse Kimmy che, sorridendo esasperata a marito e figlia, disse: “Non ascoltarli, Robert. Questi due amano fare i burloni.”
 
 “Non sono mai seri” assentì a sua volta Coryn con fare saputo, dando man forte alla madre.
 
 Bobby non parve molto convinto del fatto che Winter Hamilton potesse avere una vena comica, dentro di sé, ma sorrise grato alla donna ed esalò: “Credo che, per chiedere la mano di Shanna, ci vorrà ancora qualche anno.”
 
 “Lo penso anch’io” dichiarò Kimberly, sorridendo melliflua.
 
 Sorridendo maliziosa al fratello, Spring celiò: “Sempre a fare scherzi, eh, fratellone?”
 
 “Tu sì che mi conosci, Spry…” ghignò Winter al pari di Shanna, che strinse le braccia al collo del padre, così come le gambe attorno alla sua vita stretta.
 
“Sarà meglio che andiamo, prima che qualcuno si metta veramente in imbarazzo” dichiarò a quel punto Malcolm, prendendo in mano le redini della situazione.
 
 Afferrata la maniglia della portiera dell’auto a idrogeno di Bobby, aggiunse: “Ci sentiamo appena arriviamo, okay?”
 
 “Ovvio” assentì quieto Winter, ammiccando al figlio.
 
 Tra loro passò un messaggio, non detto a parole, di reciproco rispetto e amore e, quando Malcolm si sistemò finalmente in auto, seppe di poter partire tranquillo.
 
 Anche se quella sensazione di disagio sarebbe partita con lui.
 
 
 
 
 
 
 
 
 






Note: Ed eccoci sui blocchi di partenza per un'altra avventura! Si ritorna in seno alla famiglia Hamilton che, con gli anni, si è allargata a dismisura. Il piccolo Mal ora è diventato adulto e sta per terminare i suoi studi alla Columbia e, a quanto pare, ha dei problemi di cui non vuole apertamente parlare con la famiglia. Farà bene, farà male? Lo scopriremo ben presto.

Per chi si chiedesse chi è la misteriosa Araba Fenice cui faccio riferimento nel plot della storia, è presto detto.Si tratta di un personaggio che appare nella mia storia standalone Ali Scarlatte 2.0, che potete trovare qui

La storia è ugualmente comprensibile, pur non avendo letto questo racconto ma, se vi andasse, mi farebbe piacere sapere cosa pensate anche di questa mia vecchia storia.

  
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