Bacio mortale
Alcuni linfociti T riescono a riconoscere e neutralizzare cellule estranee tramite i propri recettori, che possono legarsi per affinità a complessi presenti sulla membrana delle vittime sprovvedute. Una volta instaurato il legame, esso si rafforza sempre più: i linfociti rilasciano granuli contenenti molecole in grado di perforare la cellula bersaglio e di digerirla per lisi. In seguito si distaccano, lasciando la cellula alla sua lenta agonia, che termina inevitabilmente con la morte.
Per questo motivo questo breve contatto viene chiamato “bacio mortale”.
Tra noi non è stato molto diverso, anzi, forse tu sei stato persino più crudele di un inconsapevole e meccanico linfocita T: perché il nostro contatto non è stato breve e perché tu te ne sei andato, certo, ma io non ne morirò. Non ne morirò, ma il dolore che mi attanaglia è forse un destino peggiore.
I tuoi occhi erano i tuoi recettori. La prima volta che li ho visti su di me, quella dannata volta, mi hanno legata a loro senza offrirmi una via di fuga. Ed è banale, scontato ed infantile, ma non saprei come altro descrivere la dipendenza che hanno creato in me. Li avevo immaginati in così tante occasioni, mentre ti aspettavo, da non poterne fare a meno nemmeno per un istante.
Erano recettori anche le tue mani, esperte e sottili, simili a quelle di un ragazzino che conosce troppe cose rispetto a quelle che dovrebbe. Le tue mani mi si sono avvicinate, intraprendenti ed insistenti, delicate e traditrici nelle loro intenzioni: hanno toccato tutto di me ancora prima di poterlo fare effettivamente, mi hanno sfiorata col pensiero e hanno scovato tutti i miei punti più sensibili, scatenando ed incentivando un’affinità tra i nostri corpi che non pensavo potesse esistere.
Mi hai baciata per la prima volta in quel bagno bianco e asettico, e quello è stato il tuo primo bacio mortale. Mi hai baciata aggrappato a me, respirando sul mio viso come se fossi la preda e non il predatore, sussurrando parole che non potevo capire e urlandone altre con quei maledetti occhi, che non potevo fraintendere.
A quel tempo non potevo sapere cosa fosse successo realmente: ero troppo confusa, troppo frastornata da quelle nuove emozioni, per vedere i semi di pericolo che le tue labbra avevano insidiato in me. Alcuni li chiamerebbero sentimenti, io preferisco considerarli sostanze nocive che mi hanno intossicata, armi invisibili pronte a ferirmi nel momento più opportuno.
Quanti altri baci mi hai donato.
E quanti me ne sono presa da me.
Con rabbia, con stizza, con divertimento e passione, con timidezza e quotidianità. Con amore.
Ad ognuno di essi, il mio destino veniva ricalcato con tratto pesante e sempre più deciso. Ero ormai segnata, senza alcuna via di uscita.
Il distacco è avvenuto di mattina presto, con una sciarpa intorno al collo che non smettevi di sistemarti e quegli occhi che si ostinavano a tenermi legata a loro fino all’ultimo, solo per essere più crudeli. Tra lo smog ed il rumore assordante, tra i miei pugni chiusi e le mie gambe tremanti.
Me ne sono accorta quando mi hai voltato le spalle dopo avermi dato l’ultimo dei nostri baci mortali. In quell’esatto istante mi sono accorta delle tue armi depositate in me, asserragliate intorno al mio cuore in ostaggio, con le lame puntate verso le sue pareti in una minaccia asfissiante. Le ho sentite pungermi dolorosamente, urlarmi di arretrare, di arrendermi.
Ho fatto un passo indietro senza respirare.
Ho scoperto l’inganno.
Ho soffocato un gemito tra le mani coperte dai guanti, serrando gli occhi umidi, e ho aspettato di morire di una morte che non sarebbe mai arrivata.
|