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Autore: renge_no_hana    07/08/2016    2 recensioni
"Avrei potuto definire la mia vita in mille modi: ripetitiva, anonima, normale, mai entusiasmante. Tuttavia "entusiasmante" non era di certo la parola più adatta a descrivere la situazione in cui mi ero andata a cacciare sin dal momento in cui quei due mi avevano trovata agonizzante sul marciapiede... "Pura follia" sarebbe stato probabilmente più accurato."
Questa fanfiction nasce in risposta alle molteplici contenenti statuarie Mary Sue che bazzicano per il Grande Tempio, sterminando i potenti Gold Saint con i loro occhi cerbiattosi, maciullando i cattivi coi loro poteri incredibili e cercando di soppiantare l’autorità del Big Boss, ovvero la dea Atena.
Si tratta della storia di una ragazza che può "fare cose", ma le quali priorità fino al giorno prima erano comprare il tonno e studiare per l'esame bastardo della sessione. Uno stuolo di bei ragazzi in armatura non conta molto, quando l'immediato futuro prevede il fuoricorso assicurato, allenamenti spaccaossa e l'incombere di un nemico terribile... O forse mi sbaglio?
Genere: Avventura, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aquarius Camus, Nuovo Personaggio, Saori Kido, Scorpion Milo, Virgo Shaka
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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Prologo - Parte I


Avevo cominciato ad accusare problemi a una settimana dall’inizio della sessione estiva.
I continui capogiri e conseguenti svenimenti per me non erano altro che la reazione spontanea a quel primo anno di magistrale in una città semisconosciuta.
All’inizio avevo dato la colpa anche alla canicola milanese: a fine maggio, infatti, aveva già fatto capolino una cappa di afa oscena che faceva quasi sfrigolare l’asfalto e rendeva l’odore dei Navigli più mefitico del solito.
La combo caldo-più-ansia mi accompagnava ormai da quando avevo messo piede all’Università per la prima volta ed era palese che neanche quell’anno mi avrebbe abbandonata, nonostante i buoni propositi e i bigliettini tumblereschi inneggianti al self-love che avevo attaccato davanti alla scrivania.
Sospirai e mi rigirai sul letto, asciugandomi la fronte sudata e valutando per la centesima volta -in un giorno- l’idea di mollare tutto e di aprire un ristorante italiano in qualche paradiso fiscale.
La cosa peggiore è che ogni volta che andavo giù come una prugna secca mi si presentavano davanti una serie di immagini talmente mostruose e assurde che per un regista di horror di serie B sarebbero state oro colato. Il tutto mi lasciava addosso una spossatezza che mi intorpidiva i muscoli e mi faceva sudare freddo, come se mi fossi appena risvegliata dal peggiore degli incubi.
Che poi, ero davvero messa così male? Forse avrei dovuto dare retta a mia madre e provare ad andare da uno psicologo, oltre che a darmi una calmata.

Mi tirai su con un oooohiohiohi non propriamente consono a una ragazza di ventitrè anni e diedi un’occhiata al mio viso stanco riflesso nello specchio del Luigi XIV gentilmente concessomi dal padrone di casa e che ancora odorava di persona anziana deceduta da poco.
L’incanto e la bellezza: i capelli castani tirati su con un pinzone da casalinga degli anni 80 e due trolley griffati sotto occhi verdi come il mare di soldi che avevo sborsato per trasferirmi lì.
 E porca paletta, dato che il post-studio all'insegna del fancazzismo non si presentava mai come un’opzione, dovevo anche andare a fare la spesa.


“Eva, stai uscendo? Non è che me le prenderesti tu, le G*cciole? E magari già che ci sei anche il sugo, il tonno e aspe’ che prendo la lista, non ricordo tutto...”


Ah, i coinquilini. Odi et amo.
Con Nadia e Veronica era abbastanza facile andare d’accordo, quando non erano vittime di improvvisi attacchi di pigrizia acuta. Tuttavia non mancavamo di spirito di squadra, dato che ci ritrovavamo a condividere l’appartamento con Ignacio, l’Erasmus spagnolo che si era guadagnato la damnatio memoriae immediata dopo aver usato il bidet come recipiente in cui preparare la sangria.
Dopo aver sciacquato il viso ed aver indossato la cosa più leggera e allo stesso tempo anonima che avevo nell’armadio –il discount dietro casa era un covo di buzzurri ingrifati- uscii di casa ancora mezza rimbambita, mentre nella mia testa i neuroni cercavano di rielaborare cosa avessi imparato durante quello che, teoricamente, avrebbe dovuto essere un fruttuoso pomeriggio di studio.


Il nulla più totale. Che schifo, gli esami di economia.


Puntuale come l’e-mail del proprietario che reclama la mensilità come un usuraio del Cinquecento, le orecchie cominciarono a ronzarmi e la mia vista si fece offuscata; la strada era semideserta e nessuno mi vide crollare a terra come un peso morto, battendo forte la testa contro il marciapiede bollente.
Di nuovo le scene di una battaglia sanguinosa, di nuovo quella voce altisonante.


Il sangue dei maledetti scorrerà.

Per Medhelan.

Per tutto il regno.


Riavremo quello che è nostro

Solo un altro po'.




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Lo ammetto, pubblicare questa fanfiction mi mette non poca ansia. 
Non scrivevo qualcosa per il puro gusto di farlo ormai dal lontano 2011 e tornare sul sito sul quale ho conosciuto gente fenomenale appartenente ai fandom più disparati mi riempie di gioia, ma allo stesso tempo mi fa pensare: sono ancora in grado di creare qualcosa di bello e divertente? Riuscirò a superare la mia naturale sinteticità (?) e a mettere su una long-fic come si deve? 
Per ora beccatevi questo prologo sfigatino. 
La fonte di ispirazione per questa storia non sono solo le Mary Sue appostate nel bagno dell'Ottava Casa, ma anche le leggende celtiche riguardanti la città di Milano. Documentarsi è difficile in quanto vi è penuria di materiale, ma è anche per lavorare di fantasia che ho accettato questa sfida!
Mi auguro che questa breve introduzione abbia stuzzicato la vostra attenzione! Aspetto con ansia le vostre uova marce recensioni! 

 
  
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