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Autore: SunVenice    08/08/2016    1 recensioni
Quando alla vigilia di Natale Wade Wilson a.k.a Deadpool aveva deciso di scolarsi la mastodontica riserva alcolica di sua moglie si era aspettato di risvegliarsi con un'emicrania in grado di mettere fuori gioco Hulk in persona, non certo di ritrovare allo specchio il volto pulito e liscio di Peter Parker!
Seconda Classificata al Concorso di Fanfiction di Slash Radio
Genere: Comico, Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Altri, Deadpool, Peter Parker
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Triangolo
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La mattina di Natale Wade si alzò stranamente fresco e riposato. Non si sarebbe detto che la sera prima si era preso una sbornia così imponente da scialacquare almeno 3/4 della riserva speciale di sua moglie.

Fosse stato un essere umano normale sarebbe già morto per overdose d’alcol… multipla, se anche quello fosse stato possibile. Prima di crollare Deadpool era certo di aver sentito distintamente il suo fegato fermarsi e ripartire tra un conato di vomito e l’altro, ma -ehi- dove stava il divertimento in una sbronza se alla Vigilia non ti ammazzavi - letteralmente- di alcol?

Wade attese Scatola Gialla e Scatola Bianca dare il via ad un dibattito acceso sulla sua ultima, brillante, uscita comica, ma nulla riecheggiò tra le pareti della sua scatola cranica.

Si diede qualche colpetto a mano aperta sulla tempia e fu in quel momento che lo vide: un braccio liscio e morbido. Lo mosse un paio di volte, rigirando il polso con disarmato stupore.

Ci mise un po’ a capire che era il suo. Individuò in fretta uno specchio e quasi si ruppe il naso, nel buttarcisi contro. Niente crateri insanguinati. Niente pelle martoriata  e agonizzante. Solo un paio di occhi estranei azzurri (ok anche i suoi erano azzurri, ma non così! Cacchio! Sembravano quelli innocenti del lattante della pubblicità dei pannolini!) e una pelle liscia, compatta come il culetto roseo di un neonato. 

Si rigirò il viso con una mano, assorto. Anche il viso non era suo. C’era più carne sulle guance, gli occhi e il naso non avevano niente a che fare con quello che era stato il suo aspetto prima dell’Arma X. I capelli poi, non erano affatto del colore giusto: quel castano chiaro non si avvicinava minimamente al bion-!

Deadpool si bloccò. I suoi pensieri smisero di ronzare tutti d’un colpo.

Un nome si ricollegò al volto riflesso nello specchio: Peter Parker. 

 

•––••––••––••––••––••––•

 

“Ohmerdaohmerdaohmerda!”

“Torna qui e affronta il tuo castigo!! Depredatore!!Vile di un consorte!!”

Peter non sapeva perché stesse scappando da una Shiklah adirata e provvista da un rinnovato paio di corna demoniache, o, meglio, lo sapeva. In fondo si trovava, fino a prova di pizzicotto, nel corpo di Deadpool, ma il motivo preciso, che gli stava facendo rischiare l’osso del collo giù per le interminabili scale di quella fortezza medievale sotterranea in cui si era ritrovato, restava ancora ignota. 

Com’era iniziata? Esattamente, cos’aveva fatto di così atroce da essere infilato nottetempo nel corpo del Mercenario Chiacchierone?! Tutto quello che sapeva era che quella mattina, scendendo dal letto più intontito e dolorante che mai, era inciampato in almeno una dozzina di bottiglie di vino spesse e pesanti, sistemate a mo’ di scendiletto proprio dove lui aveva deciso di lasciarsi scivolare, mosso dall’istinto di trascinarsi fino al cassetto della propria scrivania dove teneva ancora una scorta di antidolorifici. Una piccola traccia di com’era stato vivere come Spider-man tra le mura di casa Parker. 

Era stato un shock ritrovarsi con braccia e gambe martoriate, così tanto da farlo inizialmente andare in panico e fargli temere di essere stato drogato e torturato fino all’osso da un serial killer con la passione per ridurre a pupazzi di carne viva pulsante le proprie vittime.

Poi però aveva riconosciuto la pelle: rinsecchita e dal colorito malsano, chiazzata da croste e lembi di pelle rotti e tirati.

“DEADP-!!??”

Neanche il tempo di finire la frase ed ecco iniziare l’inseguimento tra lui e la novella mogliettina dell’ex mercenario.

Peter si ripromise di ripagare Deadpool con un cazzotto più convinto degli altri, semmai lui e Spider-man si fossero nuovamente confrontati. 

Una fiamma violacea saettò vicino a lui, riducendo ad una cascata di coriandoli una pila di ... riviste della PLAYBOY. Era triste il fatto che in qualche modo sapesse a chi potevano essere appartenute?

In ogni caso ... per il momento gli bastava non farsi acchiappare da quella "succube indemoniata".

(AH! Gioco di parole! Dovevo tenermi pronto per fare il sottofondo da battuta scadente!)

[Per lo meno è appropriato.]

(Dai rifallo! Ora sono pronto!)

[Il solito infantile.]

(BADUM TSS!)

...Stava iniziando a sentire delle voci. No Buono.

E...oh, no. Per Madame Web, no,  quelle che stava indossando non erano mutande con stampato sul davanti lo stemma di Deadpool, vero?!

 

•––••––••––••––••––••––•

 

Wade stava ancora guardando la sua (no, non proprio sua-sua, forse sua-acquisita sarebbe stato meglio) immagine riflessa, chiedendosi quale forza karmica avesse deciso di collocare la sua anima indegna nel corpo di quello sventurato che si era ritrovato a fare i conti con la morte proprio a causa sua, quando dalla porta fece capolino la testa ingrigita di una donna di mezza età con gli occhi spalancati di paura. La conosceva: May Parker. La donna che, secondo il dossier che aveva letto su Peter Parker, quando ancora quest’ultimo stava sulla sua lista dei cattivi, l’aveva allevato fin da bambino quando la sorella e il cognato erano deceduti in un incidente aereo.

Una santa donna. Le era stata simpatica fin da subito. 

“Peter? Tutto bene? Cos’era quell’urlo?” 

Aveva gridato? Non se n’era accorto. Forse il suo (o non suo?) cervello non aveva registrato come propria la voce usata.

Un momento…aveva imprecato? Peter Parker imprecava? Oh, cacchio, sperava di non essersi lasciato troppo andare per i canoni di zia Parker!

“Ahem… un incubo. . . Zia. Niente di serio.”

Wade giurò per un attimo di aver visto lo sguardo della zietta fissarsi su di lui e scrutarlo indagatore. Si era già fatto sgamare?

A dispetto di ciò che pensava Wade non si ritrovò con una padella puntata addosso, né udì la voce gentile della signora Parker strillare teatralmente “Chi sei tu? Che ne hai fatto del mio nipotino?!”, ma, anzi, la vide sorridere benevola e sparire dietro l’uscio, riaggiustandosi sottobraccio quello che sembrava un cesto di biancheria sporca.

“Dovresti andarci più piano coi biscotti all’uva passita la sera, Petey. Ti disturbano un po’ troppo la digestione.”

“E-eh. Già.” Borbottò quasi non credendo alle proprie orecchie.

Era salvo?

“Adesso però rivestiti e scendi per la colazione. Capo di una grande azienda o meno, non permetterò che tu scenda a colazione con ancora addosso il tuo costume da Spider-man.”

Wade guardò automaticamente verso il basso e lo vide, abbassato fino alla vita e un po’ sgualcito da ore di sonno.

…Eh?

 

•––••––••––••––••––••––•

 

“Ti giuro, marito. Se questo è un sordido sotterfugio io…”

“Per l’ultima volta: non è un sotterfug-! Calma calma calma! Non puntiamo tridenti medievali sui gioielli di nessuno, ok?”

La regina dei non-morti era riuscita, infine, a metterlo alle strette. Non che avesse sperato di poter fuggire facilmente: senza la sua agilità e i sensi di ragno era stato già tanto essere riuscito a tenerla a bada per mezz’oretta circa, facendosi strada tra pugnali volanti, raggi fiammeggianti, il torpore di una palese sbornia e l’incessante impressione che il suo corpo abbrustolisse per conto proprio. 

A dover fare un paragone, Peter avrebbe detto che gli era stata buttata addosso una colata di acido solforico. Ugh! Ma era sempre così? Prudeva un casino!

Shiklah intanto continuava a scrutarlo dall’alto alla ricerca di un’espressione che tradisse una menzogna, tenendolo puntato a terra con (seriamente) un tridente orribilmente fresco di affilatura al torace.

“P-posso almeno grattarmi la faccia? Davvero. Queste piaghe fanno davvero male.” Chiese titubante, abbozzando un sorriso tirato. 

Solo allora gli occhi neri della succube si spalancarono, abbandonando ogni sospetto.

“Spider-man?”

Ma come? Era bastato chiederle il permesso di farsi una grattata perché si convincesse? A saperlo prima…

Adesso mi credi?”

Shiklah allontanò l’arma al suo petto di scatto e la sistemò sugli appositi sostegni a muro da cui l’aveva, pochi secondi prima, staccata con foga omicida, e lui ne approfittò per rimettersi in piedi, concedendosi una lunga e meritata

grattata.

“Il mio consorte è un uomo che non conosce vergogna Spider-man, ma se c’è una cosa che non farebbe mai è mostrare il suo eterno dolore dinanzi a me.” Scandì severa la donna, incrociando le braccia.

Eterno dolore… Deadpool sopportava quella tortura ogni giorno?

No fermo. Non doveva pensarci. Concentrazione. Doveva uscire da quel casino al più presto.

“Come sono finito nel suo corpo?”

La regina succube sembrò pensarci un attimo, poi sospirò frustrata, poggiando una mano sulla fronte in maniera fin troppo elegante.

“Temo di saperlo.”

“Sono tutto orecchie.”

“Ti spiegherò tutto strada facendo. Seguimi.”

Detto questo si voltò ed iniziò a camminare da dove erano arrivati, lasciando drappeggiare il mantello legato ai suoi polsi dietro di sè. Peter non vide altra scelta se non quella di seguirla.

“Ieri, mentre io ero a presenziare nottetempo un rito di sangue del mio popolo, il mio consorte ha pensato bene di dar fondo alla mia pregiata collezione di vini e liquori risalenti a secoli e secoli fa… ” seguitò a spiegare quella.

“Ah. Mi spiace. Erano tanto… antichi?”

Non era strano che fosse tanto arrabbiata con Deadpool. Probabilmente anche zia May lo avrebbe castigato per bene, se avesse anche solo osato pensare di sprecare una buona bottiglia di vino tutta in una volta. Le cose preziose si “assaporano” Petey, non “trangugiano”.- avrebbe detto. Deadpool era ovviamente su tutt’altro livello. Quel pazzoide doveva sempre distinguersi per esagerazione, nel bene o nel male.

“Il primo boccale aveva visto più di mille lune prima della nascita dell’umano che voi chiamate Cesare.”

[Appunto.]

“Oh… e, con tutto il rispetto regina Shiklah, questo cosa centra con la nostra attuale…ehm… situazione?”

“Tra quei liquori i miei fratelli avevano secoli orsono nascosto per infantile dispetto un raro e pericoloso elisir donatomi come omaggio da un mio antico pretendente. Per millenni i miei sforzi per riconoscerlo sono stati vani e la paura di sorseggiarlo erroneamente mi ha sempre impedito di toccare anche solo uno di quei nettari.”

“Mi faccia indovinare: quell’elisir ti permette di scambiare il tuo corpo con quello di un’altro.”

“Tecnicamente è l’anima ad essere scambiata. E perché l’incanto avvenga chi sorseggia l’intruglio deve prima pensare ad un’unica persona per giorni e riconoscerla come proprio pari.”

Si bloccarono di colpo e Peter si accorse che erano tornati nella stanza dove aveva avuto quel tragico risveglio.

Puzzava in maniera indescrivibile. Ovunque girasse il naso, percepiva l’odore acre e pungente di succhi gastrici riversati sul pavimento. Quanto doveva essere malata una persona per ammazzarsi di bevute?

(O quanto triste?)

“Oh, taci.”

“Come prego?”

“Nulla! Pensavo tra me e me.”

Vide Shiklah prima fulminarlo, poi avvicinarsi al tappeto di bottiglie riversate confusamente nei pressi del letto. La vide analizzarne qualcuno, prenderle una alla volta in mano, metterle controluce e per poi eventualmente scartarle.

Capì che la ricerca era terminata quando la sentì imprecare a mezza voce in una lingua sconosciuta.

Attese pazientemente che gli si avvicinasse e porgesse il bottiglione incriminato. Era nero e di forma allungata come gli altri, ma minuziosamente cesellata all’interno da simboli dal significato a lui oscuro, in modo tale che, una volta riempita, questi fossero invisibili, ricoperti dal liquido scuro. 

“Queste iscrizioni non lasciano spazio a dubbi” spiegò oramai completamente disillusa. “Le vostre anime devono tornare nei rispettivi corpi prima del tramonto o l’effetto sarà irreversibile.”

Quelle parole furono musica per le sue orecchie raggrinzite e martoriate.

“Allora c’è un modo! Cosa stiamo aspettando?”

“Io posso compiere tranquillamente a qui un contro-incantesimo ed annullare gli effetti dell’incanto, ma…”

[Ecco che arrivano i “ma”.]

(Perché ci devono essere sempre i “ma”?! Non si può fare che per una volta vada tutto liscio come l’olio?)

“Cosa?” 

“Ho bisogno dei nomi completi di entrambi.”

“Oh…”

(MERDA.)

[Per i biscotti di Zia May.]

“Immagino che per te sia un problema.”

(No, lei dice sua signoria?!)

[Siamo fregati.]

“Non c’è un altro modo?” domandò di slancio, sperando che il suo parlare facesse tacere quelle voci nella sua testa. Si sentiva impazzire ogni secondo che passava, ma non poteva sacrificare la sua identità segreta in quel modo ridicolo. Era già tanto che su Zia sapesse delle sue ronde notturne in calzamaglia. No. Assolutamente no. Voci o non voci. Dolore o non dolore.

Vide Shiklah imbronciarsi ed evitare il suo sguardo, facendo vagare il proprio in un punto imprecisato della stanza.

Perché adesso non parlava? No Buono. Per niente. I silenzi non erano mai un buon segno. 

“Un bacio.”

“…”

([EH?])

“L’unico modo che i due coinvolti in questo incanto hanno per annullare il tutto è scambiarsi un bacio, in modo tale che le loro anime ritrovino da sole la strada per le rispettive case.”

“…”

“So che è molto imbarazzante per te Spider-man, ma non esiste altra maniera.”

“…”

“Spider-man?”

“Dopo che questa storia sarà risolta…Ammazzerò Deadpool.”

Shiklah sospirò, e lui la vide combattere un sorriso divertito sulle proprie labbra.

“Auguri allora.”

 

•––••––••––••––••––••––•

 

Ok, doveva ragionare con calma. Non bisognava saltare a conclusioni affrettate. Non era detto che Peter Paker fosse Spider-man. Magari il miliardario era, come già aveva sospettato dalla loro ultima avventura nel Limbo, un fanboy accanito dell’arrampica-muri e si divertiva nel tempo libero a travestirsi con calzamaglie da supereroe… tremendamente ben fatte.

Doveva indagare.

Si diresse velocemente alla ricerca di un bagno. Non fu difficile trovarlo: quasi tutte le casette monofamiliari del Queens ne erano provviste al piano superiore.

Una volta individuato, vi si chiuse dentro, girò il chiavistello e ringraziò per la presenza provvidenziale di uno specchio lungo quanto gli bastava per avere una visione integrale del suo corpo ospitante.

Se Scatola Gialla fosse stata ancora nel suo cervello, avrebbe lanciato un lungo fischio di apprezzamento.

Non era mal messo il piccolo Parker. Forse un poco gracile e meno imponente di quanto non gli fosse sembrato avvolto dai suoi completi da uomo d’affari, ma i suoi muscoli erano ben allenati e gradevolmente tonici…

E se…NO! Non poteva! Quello non era il suo corpo! Cattivo Wade! Cuccia!

Non era entrato là dentro per ammirare il panorama, ma per appurare se Spider-man e Peter Parker fossero, effettivamente, la stessa persona.

E lui conosceva un solo modo per scoprirlo.

Si girò di schiena rispetto la superficie riflettente e ruotò la testa.

Oooooh ssssìììì.

Quello era senza dubbio il culo di Spider-man. 

Oh merda. Era finito nel corpo di Spider-man.

Peter Parker era Spider-man.

Aveva ucciso, resuscitato, ri-ucciso e ri-resuscitato l’amichevole Spider-Man di quartiere.

Affondò il viso piacevolmente morbido di Parker tra le sue mani.

E c’era di peggio…

Scoccò un’altra occhiata oltre la propria spalla.

Quel sedere superava quello di sua moglie.

“Peter? Allora non scendi a fare colazione?”

La voce della signora Parker lo richiamò al piano di sotto. 

Non poteva rovinare così la mattinata di quella povera signora. Avrebbe dovuto stare al gioco e tornare da Shiklah alla prima occasione.

Chissà quale punizione stava scontando al suo posto il suo povero Spidey.

L’odore di pancakes proveniente dalla cucina gli fece dimenticare ben presto lo sconforto.

“Arrivooo~!”  

 

•––••––••––••––••––••––•

 

Aveva sempre avuto l’impressione che, volendo e potendo, Deadpool sarebbe stato in grado di incollarsi la propria maschera in faccia con la vinilica e, in quel momento, Peter capì il perché. 

Era semplicemente atroce camminare nei panni di Deadpool a volto scoperto. Uscire così di fretta con addosso la prima felpa e tuta da ginnastica che era riuscito a a raccattare non era stata una bella mossa. Dire che fino a poco tempo prima non aveva dato così tanto peso al modo in cui il mercenario si aggiustava in combattimento la propria maschera, quando questa veniva danneggiata , cercando sempre di trattenerla, gli provocò un potente pugno allo stomaco. 

(Oh andiamo Parker. Quello psicopatico ti ha ucciso. Ti ha fatto credere di essere tuo amico solo per poi puntarti un pistola sulla fronte senza che i tuoi sensi di ragno impazzissero!!)

[Non merita la tua compassione]

Vero. Forse… Chissà.

Restava il fatto che il modo in cui la gente lo guardava, a metà tra lo schifato e il “togliti dalla strada principale, spaventi i bambini” gli faceva torcere le interiora.

Era quello che Wade sopportava ogni volta che usciva, oltre il sentire la pelle urlare nell’atto continuo di deteriorarsi e riassemblarsi?

Doveva incontrarlo. Immediatamente.

Sapeva dove aveva lasciato il suo corpo la sera precedente: per Natale lui e Zia May erano riusciti ad organizzare una festicciola in famiglia, intesa come solo loro due, e lui si era addormentato nella sua vecchia stanza dopo una scorpacciata di biscotti allo zenzero e uvetta, conscio che l’indomani tutti i suoi appuntamenti erano stati cancellati.

Sperava che si trovasse ancora lì e che Zia May non avesse dato di matto.

Molti sarebbero andati di matto nel sapere la propria zia in compagnia di un mercenario mentalmente menomato, ma quello non era il suo caso. Sua Zia sapeva cavarsela e non era una sprovveduta.

[È riuscita a mettere fuori gioco da sola il Camaleonte, dopotutto]

(Super Zia!!!)

Quello che più gli dava pensiero era quello che sua zia avrebbe potuto fare al suo corpo, se anche solo avesse sospettato di non avere di fronte il nipote, ma un impostare con cattive intenzioni.

Accelerò il passo.

 

•––••––••––••––••––••––•

 

“Eccoti qui!” gli sorrise May Parker serena, vedendolo superare la soglia del cucinino color crema che si affacciava su di un altrettanto piccolo e grazioso salottino, e gli mise immediatamente sotto il naso una pila ancora fumante di frittelle grondanti di sciroppo all’acero filamentoso e coronate da un’unica zolletta di burro fresco sulla cima. 

Era in paradiso?

Non appena si fu seduto a tavola, già pregustandosi quella delizia dal profumo di vittoria, la signora Parker gli si avvicinò e gli stampò un bacio sulla nuca, terminando con una leggera scompigliata di capelli.

Wade si sorprese nell’atto di sorridere come un ebete.

La donna, che in quel momento Wade considerava essere la migliore del mondo - scusa Shiklah -, si sedette esattamente di fronte a lui e, sempre sorridendo, mise mano a forchetta e coltello, iniziando una sinfonia rilassante di ceramica contro metallo inossidabile. 

Oh, buon Dio. Da quando il mondo era diventato così nitido?  

“Allora. Ieri sera non mi hai voluto dire com’è stato al lavoro quest’ultimo mese.”

Aveva un tono di voce gradevolissimo. Fosse stata un pizzico più giovane Wade avrebbe vagliato l’idea di sposarsela. Certo, se non fosse già stato impegnato con la regina dei Non-Morti.

“Ah, b-bene. Alla grande.” Balbettò, non certo di cosa rispondere. Circa un mese fa lui aveva…beh, fatto un buco in fronte alla persona sbagliata, quindi c’era poco da dire.

Provò a concentrarsi sui propri pancakes, ma una mano rosea e rugosa gli si tese sotto il mento, costringendolo ad alzare lo sguardo.

“Peter…” la signora Parker lo stava guardando come avrebbe fatto una madre in pena per il figlio. Non lo stava rimproverando, lo stava semplicemente implorando di aprirsi con lei, di non lasciarla fuori dalla sua vita, o meglio, quella di Spidey.

Wade sentì la gola stringersi in un groppone secco e doloroso.

Era quello che si provava ad essere amati incondizionatamente? Shiklah lo amava, certo, gli rendeva più serene le notti colme di incubi con la propria magia, facevano l’amore, condividevano lo stesso senso dell’ironia, ma non l’aveva mai implorato di parlarle dei propri problemi né tantomeno guardato in quella maniera.

Quella donna meravigliosa amava veramente il nipote e lui gliel’aveva quasi portato via, anche se lei non poteva saperlo.

Affondò le mani in quei capelli non suoi e puntellò i gomiti sul tavolo. Che bastardata erano i sensi di colpa.

“Peter, cosa-?”

Il campanello di casa impedì alla signora Parker di terminare la propria domanda e lui colse la palla al balzo.

“Vado io!” dichiarò, schizzando fuori dalla stanza, nel mentre la zia di Peter borbottava:

“Chi potrebbe mai essere a quest’ora?”

Chiunque fosse aveva la sua eterna gratitudine. Finalmente aveva l’occasione di svignarsela, fingere un’emergenza e correre da sua moglie prima che-… 

Wade si congelò non appena scorto il profilo dell’uomo dall’altra parte della porta vetrata che lo separava dall’esterno. 

Ad aspettarlo oltre l’uscio c’era il suo corpo, più infreddolito che mai.

 

•––••––••––••––••––••––•

 

Trovare una scusa per lasciare che sia lui che Deadpool si potessero allontanare da zia May senza sospetti fu abbastanza semplice: era stato sufficiente improvvisare un’emergenza al termine della via con un gatto bloccato sopra un albero ed eccoli a percorrere il marciapiede uno di fianco all’altro, come due vecchi amici.

[Non siamo amici.]

(Sì! Diglielo!)

Il difficile fu rompere il ghiaccio. Era dall’incidente che non si parlavano. Non sapeva da che parte iniziare e forse partire con la questione del bacio non era la mossa migliore.

“Hai una zia meravigliosa.”

Quell’uscita lo spiazzò. Sentire la sua voce riferirsi a Zia May come ad un’estranea gli faceva uno strano effetto.

“G-grazie.”

Avrebbe voluto dire lo stesso di Shiklah, ma il modo in cui l’aveva rincorso e attentato alla sua vita gli fece mordere la lingua.

Wade teneva lo sguardo basso. Era da una decina di minuti che camminavano là fuori al freddo senza che lui avesse mai posato gli occhi su di lui.

“Po-potresti tirarti un po’ più su il colletto della felpa?”

La richiesta lo lasciò per un attimo intontito.

Ah. Giusto. Neanche per Wade doveva essere bello guardarsi in faccia. 

Era facile con tutto quel freddo dimenticare lo strazio delle piaghe che al momento lo ricoprivano da capo a piedi. Uscire era stata la scelta migliore, dopotutto.

Eseguì la richiesta, tenendosi i due lembi del cappuccio chiusi fin sotto al naso con una mano.

“…L’hai scoperto?”

“Sì.”

La velocità con cui Deadpool aveva risposto lo buttò giù, spazzando via ogni sua speranza di lasciare Peter Parker e Spider-man divisi, almeno nella testa del mercenario.

Si fermò e si massaggiò la fronte ruvida e intorpidita.

Era tutta colpa sua. Colpa di Deadpool. Colpa di Shiklah e di quello stupido elisir senza nome.

Fu un attimo ed esplose.

“Come diavolo hai fatto a beccare l’unica maledetta pozione al mondo che ci avrebbe scambiato i corpi?!”

“Io…”

“No, aspetta. Riformulo la domanda. Cosa diavolo ti passava per l’anticamera del cervello quando hai premuto il grilletto contro la MIA fronte? Speravi forse che Spider-man ti avrebbe perdonato per averlo indotto a credere di essere cambiato solo per poi sgattaiolare alle sue spalle e uccidere un’altra persona?!”

“Petey…”

“Potevi venire da me, Wade!! Avresti potuto chiedermi di indagare insieme a te, scoprire chi stava veramente dietro quella storia di esperimenti su esseri umani!! Invece hai preferito credere al solito mandante anonimo disposto a pagare per far uccidere qualcuno!!”

“MI DISPIACE, OK?!”

Peter si sentì gelare, e non per il freddo, colto dalla sgradevole sensazione di essere andato troppo oltre.

Vide il suo corpo irrigidirsi ed il suo viso accarttorciarsi in preda al tormento. Peter si vide sull’orlo del pianto e il suo cuore ebbe un tuffo nell’acido. 

“Ho sbagliato. Lo so! So di aver fatto un errore. Di aver tradito la tua fiducia e che non potrò mai essere degno di te e di quello che fai! Ma ci sto provando! Sto cercando di essere un eroe… una persona migliore! Migliore più di quanto non lo sia mai stato! Pensavo veramente di aver fatto la cosa giusta! Non c’era niente che mi facesse pensare di essermi sbagliato! Ma sono stato raggirato per l’ennesima volta e ho fatto di tutto per mettere le cose a posto!”

La voce di Peter Parker si ruppe e il mercenario si lasciò cadere per terra portandosi dietro il resto di quel corpo non proprio.

“Anche se lo so che non varrà niente… io continuerò a dirtelo: mi dispiace.”

Tra di loro cadde di nuovo il silenzio.

(Brutto il silenzio)

[Fa male il silenzio.] 

Peter non sapeva cosa fare. Una volta non si sarebbe fatto scrupoli, avrebbe mandato al diavolo il mercenario, invitato a lasciare la città con ogni mezzo necessario, e non gli sarebbe importato di nient’altro se non continuare la propria vita senza la sua molesta ed ingombrante presenza.

Ora invece tutto era cambiato. Non riusciva più a vederlo come un assassino su commissione senza rispetto per la vita altrui. 

Che lui lo volesse ammettere o meno, Wade Wilson alias Deadpool, stava cambiando, e lo stava facendo proprio sotto i suoi occhi, ma rimaneva comunque l’uomo che l’aveva ucciso e, al tempo stesso, l’uomo che gli aveva salvato la vita.

Cosa doveva dire? 

“Hai parlato con mia moglie immagino.”

Alle volte la parlantina di Deadpool era provvidenziale.

“Sì, ha detto che può rimettere le cose a posto, ma dovrei dirle il mio nome, e io… vorrei evitarlo.”

“Ah… e quindi?”

Peter sospirò. Ecco che era arrivato il momento. 

“Un’altro metodo per evitare che anche lei venga a sapere che Peter Parker è Spider-man sarebbe quello di…”

“Di..?”

Recuperò quanta più forza poté, prima di vuotare il sacco tutto d’un fiato.

“Baciarci.” 

“…”

“Wade?”

“Tutto questo non sta accadendo davvero. Ho bevuto troppo e ora sto facendo un sogno bellissimo.”

“Sii serio.”

Lo vide saltare in piedi, pimpante come un grillo. Pareva un bambino a cui avevano appena concesso un sacchetto pieno di caramelle.

Era lo stesso Deadpool che prima era stato sull’orlo del pianto?

“Io sono serio! Sarà come se stessi tradendo Shiklah senza tradirla davvero! È una situazione di emergenza! Quindi il tuo nome rimarrà sulla lista! Quindi è Jackpot!!”

“Avevi detto che non ero sulla tua lista.”

“E tu avevi detto che sapevi che stavo mentendo.”

Gli venne quasi da scoppiare a ridere. Per un attimo si sentì come se fossero ancora in quel locale a ballare come degli scemi sommersi dai versetti eccitati di succubi fino all’orlo delle loro maschere. Solo per un attimo però.

Così come il sorriso ebete di Wade era comparso sul suo viso, così se ne andò, sbiadendo gradualmente fino a sfociare nell’incertezza.

“Però…”

Ah. Questa era nuova. Da quando Wade Wilson rinunciava ad un’occasione d’oro per metterlo in imbarazzo?

“Cosa?”

Lo vide girarsi in direzione di casa sua, con la classica espressione di un cucciolo smarrito che implora di essere riportato dalla propria famiglia. Che razza di espressioni si metteva a fare con la sua faccia?

“Posso finire i pancakes prima?”

“Cosa?! No!”

“Posso almeno assaggiarli?”

“Wade-!”

“Un sorsetto al succo d’arancia?!”

“Esattamente fino a che ora pensavi di poter occupare il mio corpo?!”

La cosa peggiore fu vederlo riposare gli occhi su di lui e pensarci seriamente su.

“… Fino a mezzanotte?”

(Come Cenerentola!)

[Ma che deliri ha questo?]

Le sue mani raggrinzite scattarono istintivamente, chiudendosi a coppa sulle guance dell’altro. Lo costrinse ad avvicinarsi a lui, cercando di mostrarsi il più deciso e spazientito possibile.

“No Wade. Questa cosa finisce adesso. Qui e ora.” 

Stava succedendo davvero. Stava per costringere, letteralmente, Deadpool a baciarlo. 

Questo Hawkeye non sarebbe mai dovuto venirlo a sapere. Mai.

“Oh, beh. Se davvero ci tieni tanto a farti baciare da me.”

Era snervante vedere Wade ridere in quella maniera con la sua  faccia. Gli avrebbe mollato volentieri un pugno in faccia, ma non voleva ripresentarsi da zia May con un occhio viola.

“…Non una parola di più.” Scandì minaccioso e finalmente il silenzio tornò a regnare sovrano.

[FINALMENTE.]

(Signori. Liberate le lingue!)

Ugh. Doveva concentrarsi. Non stava per baciare Wade Wilson. Stava baciando se stesso.

(Uhuhuh, siamo narcisisti!)

[… Devo esprimermi?]

Non doveva pensarci. Non doveva pensarci. Non-.

Sentì il cappuccio della sua felpa essere strattonata verso il basso e in un istante le sue labbra screpolate incontrarono qualcosa di morbido e… insistente.

Ci mise qualche secondo, ma alla fine realizzò: Deadpool aveva dato inizio al bacio.

Peter pensò a quanto fosse strano. Da parte dell’altro si sarebbe aspettato qualcosa di molto più invadente….e umido. Invece tutto quello che avvertì furono labbra e niente di più.

Ben presto non ci fece neanche più caso e si concentrò su altro.

Era davvero così basso? Quanto era alto Deadpool?

La cosa più bizzarra fu, comunque, l’impressione che la testa stesse galleggiando, la vista si annebbiò, e lui riaprì gli occhi solo per poi ritrovarsi con la testa - la sua- trattenuta ai lati del viso dalle mani stranamente tiepide del Mercenario Chiacchierone.

Era tornato nel proprio corpo.

“Ehilà! <3”

Mai nella vita mollò un cazzotto dal suono tanto dolce.

 

•––••––••––••––••––••––•

 

Quando rientrò a casa tutto trafelato e contento come una pasqua, Zia May lo guardò con occhi spalancati. Non sapeva nemmeno lui perché fosse così euforico. C’era sicuramente qualcosa che non andava in lui. Aveva appena baciato Deadpool, o aveva lasciato che Deadpool lo baciasse. Cosa c’era da essere felici?

L’aroma fragrante di frittelle appena cotte gli invase le narici.

Aaaah. Casa, dolce casa.

Ecco un motivo per essere contenti.

“Peter? Cos’è successo? Sei tutto rosso!”

“Il freddo Zia May! Vado a sciacquarmi subito la faccia con dell’acqua calda!” e così fece, dirigendosi al secondo piano.

“E il tuo amico che fine ha fatto? Gli hai almeno offerto una tazza di the dopo averlo aiutato con il suo gattino?”

Si bloccò a metà scala. Il buonumore sparito dal suo volto.

Amico.

Il suono di quella parola riferita a Deadpool gli fece storcere lo stomaco. Eppure non era la solita sensazione sgradevole…

“Lui… doveva tornare a casa da sua moglie.”

“Oh.”

Sembrava dispiaciuta.

“Che peccato.” 

Un po’ troppo dispiaciuta.

“Bhe. Sbrigati a scendere, mio piccolo dirigente. I tuoi pancakes di consolazione ti aspettano.”

Pancakes di consolaz-?

“Zia May!!”

 

 •––••––••––••––••––••––•

 

“Tesoroooo?”

Wade gelò, riconoscendo quella voce ammaliante alle sue spalle.

Pazzesco. Aveva a malapena fatto una decina di passi dentro casa!

Si girò. 

Alle sue spalle Shiklah sorrideva crudele e melliflua.

“Sono felice che tu sia tornato mio consorte, tuttavia, per quanto io sia grata all’universo dal non averti sottratto a me…”

L’espressione zuccherosa mutò e una luce dorata illuminò in modo sinistra i suoi occhi.

“Io e te abbiamo ancora un debito da saldare. Lungo almeno 15 miliardi di lune ed una pozione Pro Animabus!”

[Uh-oh.]

(Usiamo la tattica del biglietto sul comodino?)

[Funziona solo se la donna non è tua moglie. E solo se lei dorme.]

(Possiamo dire di aver ricevuto un incarico in Alaska! Lei odia l’Alaska! Andiamo in Alaska!)

“Ritirata!!”

“AFFRONTA IL TUO CASTIGO!!!”

Per lo meno aveva ottenuto un bel ricordo per la giornata e, cosa non meno importante, un indirizzo dove chiedere asilo e rifarsi gli occhi con il deretano più bello del mondo.

 

 

-Fine…?-

   
 
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