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Autore: Rucci    27/04/2009    14 recensioni
Milo, cavaliere di Scorpio, ne aveva viste tante nel corso dei suoi anni di combattimento.
{WHAT IF: post-Hades con presenza di cavalieri vivi e vegeti, yay!}
Genere: Comico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Gemini Kanon, Leo Aiolia, Scorpion Milo
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Waterloo

You won the war

 

 

 

My my, I tried to hold you back but you were stronger

Oh yeah, and now it seems my only chance is giving up the fight!

 

 

 

“Avete visto Camus?”

Esordì così, Milo, affacciandosi tra le colonne più interne della Quinta Casa.

Rilassò impercettibilmente le spalle, il peso dell’aria afosa che si sollevava mano a mano che il cavaliere si addentrava nel fresco del Tempio. Il sole di Grecia sapeva spaccare le rocce, d’estate, eppure di solito le brezze marine soffiavano sui templi arroccati sull’altura dello Zodiaco; quel giorno l’aria era ferma. E se c’era una cosa peggiore dell’afa, senza dubbio erano gli effetti imprevedibili che essa aveva sul cavaliere di Aquarius. Lo cercava fin dalla prima mattina, senza risultato, seguendo la discesa soleggiata sino oltre la metà della scalinata del Santuario.
Una botta sorda, un colpo secco, e finalmente, un paio di risposte bofonchiate:

“Veramente, no.”
“Con questo caldo, non sarà uscito di casa!”
“Atterrato!”

“Cos…?!”

“A casa non c’è” informò Scorpio, per poi arricciare buffamente il naso, sporgendosi ancora di più. Sul momento non aveva fatto caso ai rumori confusi – normali, considerato l’ospite di Aioria – ma una volta entrato dovette ritrarre i piedi e fare un salto per impedire ai due valorosi guerrieri in piena lotta di rotolargli addosso.
“Molla la presa! Molla la presa!”

“Kanon!” rise Milo, sollevando un altro piede, e guizzò di lato, divertito. “Ma che diamine ti hanno fatto giù da Poseidon, eh?”
“Le alghe nel cervello, gli hanno messo!” ululò Aioria, schiacciato dal peso del suo avversario.
“Bada a come parli, spelacchiotto!” se la sghignazzava il più recente acquisto del Santuario. Gran bell’acquisto, doveva ammettere Milo di Scorpio. Gonfiò il petto, orgoglioso, al ricordo di quel riconoscimento sanguinoso, quel battesimo in una notte nera e inquieta. Lui l’aveva riconosciuto a nome di tutti, aveva visto le lacrime sincere e commosse rigare il volto del suo nuovo compagno. Gran bel colpo, Kanon di Gemini. Forza da vendere, coraggio da veterano, la scaltrezza di Ulisse, e il più veloce dito di Grecia ad apprendere la combo pugno-pugno-calcio-salto-sfondamento, per chiudere con L1 e mossa speciale.
“Questo è sleale!”

“Non lo è affatto!”

“Mi hai messo tu per primo le mani sul joystick!”

“Perché ti si stava staccand—”

 “Vallo a dire a Poseidon!”
E giù un’altra zuffa. Milo li seguiva con lo sguardo, felino, valutando per che pertugio infilarsi nel rotolamento selvaggio e dimenticare il caldo asfissiante con una bella rissa, ma il caldo gli fece ritornare in mente Camus.

“No, davvero, ragazzi, avete visto Camus?”

“Di qui non è passato!” Si riscosse Aioria, sempre sveglio. Si allungò diffidente a regolare ed azzerare il volume della televisione – i Gemini e Leo sullo schermo si erano bloccati in pieno caricamento cosmo, e facevano da sottofondo alla conversazione con le loro urla elettroniche – ma Kanon sembrava più che altro concentrato su quel che diceva Milo. Tanto meglio. Gli rifilò un pugno mentre lui non vedeva. E poi un altro.
“Altrimenti l’avremmo invitato a giocare.”
Milo scosse bonariamente la testa, allungandosi a scompigliare brutalmente i capelli a tutti e due e sghignazzando ai loro brontolii contrariati:
“Vi avrebbe battuti entrambi.”
“Ehi, non resti?”
“No, vado a cercarlo. Magari più giù. Magari è andato a chiedere a Mu di scalpellargli una macchina per le granite.”

“Vengo con t—Aioria, hai barato!”
“Questo è per il calcio che mi hai dato quando stavo per pararti la Galaxian Explosion!”

“Non era un calcio, era un…”

Scorpio se la batté, voltando le spalle alla lotta.

D’altro canto, due gold saint che si scontrano fronte contro fronte hanno un unico destino: la Guerra dei Mille Giorni. Aveva un buon margine di tempo per ritrovare Camus, bersi una granita e ributtarsi nella rissa.

 

Un’altra ora al sole senza traccia né di Camus né di un filo di vento resero Milo irrequieto e sbuffante. Sbuffante piuttosto che irrequieto, per il semplice fatto che poteva continuare a sbuffare come una vecchia locomotiva senza posa, mentre brontolare e digrignare i denti gli portavano via più energia. Un allenamento valido e sfiancante, scendere sino da Mu a piedi sotto il caldo afoso del mezzogiorno. Era approdato alla Prima Casa come l’esule peregrino errante, da uomo che aveva vissuto sia lo Sconforto che la Salvezza; ma mai come quel giorno, una in fila all’altro, in tempo dieci minuti da che ebbe varcata la soglia.
Mu, per prima cosa, gli aveva detto che no, di Camus purtroppo non aveva alcuna notizia: non l’aveva visto scendere né lasciare il Santuario, il suo cosmo era celato ai sensi di tutti, la scarpinata era stata, oltre che sfiancante, inutile, e le previsioni davano le temperature in rialzo.

Poi gli sorrise. E gli offrì del succo d’arancia e dei biscotti.

Milo cominciò a capire vagamente il debito di riconoscenza che vedeva brillare negli occhi dei giovani bronze saint nei confronti di Aries mentre era intento a mangiucchiare i biscotti più buoni che avesse mai assaggiato. E facendolo gli sovvenne:
“A proposito. Dici che nessuno è uscito, stamane, dal Tempio.”
“Nessuno.”
“Ma qualcuno è entrato?”

Mu sorrise e non disse niente. Milo strabuzzò gli occhi e appoggiò con virile foga il bicchiere sul tavolo: “E non me l’hai detto? Chi!”
“Attento al succo, Milo.”

“Oh, scusa.”

Così, mentre in due virilmente ripulivano il ripiano della cucina, il padrone di casa, garbato, e senz’alcun tono di rimprovero per l’increscioso incidente, vuotò e non vuotò il sacco:
“Non è propriamente una visita ufficiale.”
“Ma… come! Non ti ha chiesto il permesso?”
I sorrisi di Mu erano dolcissimi, ma non rispondevano propriamente ad ogni cosa.

 “…ma tu l’hai visto.”
“L’ho sentito, sì.”

“Ma hai finto che così non fosse.”

Nessuna risposta. Mu di Aries quando voleva era la cosa più adorabile e muta che Milo avesse visto. Una sfinge. Un animaletto di Pet Society. Comunque lo prese per un non pronunciato, molto politically correct per il santo che difendeva l’entrata al Grande Tempio. Si alzò, confuso.
“Non mi è parso volesse dare nell’occhio, tutto qua. Ah! Porta pure i biscotti con te!” Il compagno d’arme lo accompagnò alla porta, cordiale come sempre.

“Ti ringrazio, Mu!” Sospirò grato Milo. La prospettiva di avere con sé dei deliziosi biscotti per la lunga scarpinata del ritorno era più di quanto potesse immaginare. E Mu era veramente, veramente molto gentile. Dissipò qualsiasi confusione e dubbio rimasto – in fondo, non erano affari suoi – e tornò alla risalita. Adesso, però, il mistero non era da poco. In che cespuglio si sarà mai rintanato, Camus, pensava, per sfuggire al caldo? Non si sarebbe rassegnato. Non ora che aveva i biscotti.

 

“Muori, Aioros! Muori, muori, muori!
“Hah! Prendi questo!”

“Ah!”

“E questo!”
“Maledetto!”
“Sarai tu a morire, Saga!”
“Nooo!”

“Ehm, scusate…”

Aioros emise un urlo gutturale e poco credibile, nello scagliarsi su Saga. Kanon imprecò:
“Dai, Saga, non morire! Nonmorirenonmorirenonmorire!
 “Muore, invece! Il suo livello di cosmo è troppo basso!”

“Assassino!”
“Non riesco davvero a trovare Camus” miagolò Milo, nel tono più possibile convincente, per farsi ascoltare. “Siete sicuri di non averlo visto passare? Mu dice che non è uscito!”

“Hah!” Kanon, dopo un grande smanettare con la levetta analogica, era riuscito a fare alzare Saga, e ora era Aioros che le stava prendendo. Aioria si gettò sui tasti, senza perderlo di vista un solo nanosecondo.

“Te l’ho detto che… ah, ma brutto… sarà…!, se lo rifai di nuovo ti… a casa sua, no?”
“Uffa, ma non c’è, ti ho detto!”
A Milo stava pure venendo il mal di mare per i movimenti convulsi del cavaliere di Leo, che si dondolava sulle ginocchia, joystick alla mano, come se si stesse davvero piegando sui fianchi per assestare pugni sul muso di Saga di Gemini. Kanon parava e lo sbeffeggiava.

“Io torno su per l’ennesima volta” sbuffò Milo, che ne aveva abbastanza del caldo e della scarsa collaborazione dei suoi migliori amici. “Ma se non lo trovo vi scollate di lì e mi aiutate una buona volta!”

“Dopo, dopo!”

Ho vinto!

Scorpio affrettò il passo, risoluto, decidendo di tenere tutti i biscotti per sé. E mentre Kanon urlava alla rivincita, lui si apprestava alla scalata. Di nuovo. Sospirò, prese la rincorsa e si lanciò fuori, andando a sbattere contro il primo che passava.

 

Il primo che passava imprecò, andando a rotolare sui gradini, o quasi. Quello che stupì Milo è che anche lui barcollò per un buon passo a ritroso, a causa dell’urto, e dire che raramente un gold saint rimbalzava all’indietro così facilmente.

“Ah, scus…” Una volta che fu inquadrato il primo che passava, tutto fu un po’ più chiaro. “Ah. Che ci fai tu qui?”

“Siete molto accoglienti, qui al Santuario” borbottò tra i denti Ikki di Phoenix, spolverandosi i pantaloni, per tutta risposta. Milo inarcò un sopracciglio. Il sarcasmo non era nella lista dei requisiti più apprezzati in un bronze saint, ma, come sempre, lasciò passare. Se fosse stato un altro, probabilmente, Ikki sarebbe finito fronte a terra – anche se il cipiglio della Fenice faceva come intendere che non sarebbe stata un’impresa facile – ma Scorpio non era mai stato tipo da usare due pesi e due misure in base alla scala gerarchica. I soldati semplici, in particolare gli energumeni posti a guardia del Tredicesimo Tempio, erano i più temibili giocatori di poker che avesse mai conosciuto, e non c’era da scherzarci sopra.

“Scusa” alleggerì, senza farsi problemi. “Ma non sapevo fossi in visita al Grande Tempio. È successo qualcosa?”
“Deve succedere per forza qualcosa?”
“Come non detto, come non detto.”

Sopracciglia più in alto. Il ragazzo non aveva modi di fare nervosi, ma di certo le sue erano le difese più ostinatamente all’erta che Milo avesse mai visto in vita sua.
“Dormi, la notte, Ikki di Phoenix?”
“Saporitamente.” Fu la sbrigativa risposta, mentre il giovane bronze si accingeva a riprendere la salita delle scale. Milo lo seguì, senza prenderlo come un affronto. Se avesse desiderato provocarlo, gli avrebbe voltato le spalle in maniera più eclatante, o non gli avrebbe direttamente risposto.

“Perché hai l’aria di uno che sta all’erta da quando è nato.”
“Io sto all’erta da quando sono nato.”

Milo lo seguiva divertito. Adesso cominciava a capire perché Shaka se lo fosse tirato dietro dall’altro mondo: “Anche qui?”
“Soprattutto qui.”
Milo non lo sapeva, ma i pensieri di Ikki erano rivolti al novanta per cento alla dolce dea che presidiava le Case dall’alto. Se si fosse minimamente accorta della sua presenza, gli avrebbe attaccato un bottone da non riuscire più a scrollarsela di dosso.

E come sta Seiya? E come sta Shun? Ikki, stai composto! Ti va un tè? Non dire di no, ti prego. E Hyoga come sta? E Shiryu? E Tatsumi? E…

Mentre Phoenix così drammaticamente andava ragionando, Milo badava ai fatti suoi. E mentre badava ai fatti suoi, un uccellino gli volò appresso. Lì per lì non ci fece caso, ma lo distrasse abbastanza da smettere di fare domande al taciturno ospite.

“Ma questo…?”
Ikki camminava, sbrigativo.

“Phoenix!”

“Che c’è?”
A Milo per la prima volta venne voglia di far rispettare la gerarchia.

“Non lo vedi?”
“È un canarino, Milo di Scorpio.”

Era un canarino, sì. Ma non gli pareva tanto normale.

L’animaletto si posò sulla gradinata senza timore alcuno, muovendo gli occhietti vispi. Poi li richiuse. E fu allora che Scorpio si bloccò. Quel canarino aveva gli occhi chiusi e lo stava guardando.

“Non è un canarino normale.”
Smettila di dire stronzate, avrebbe detto Ikki se quello lì fosse stato Seiya.

“Smettila di…” tacque, dato che era un gold saint. “È normalissimo. Io vado.”

E così Scorpio venne abbandonato con quell’essere inquietante.

Prima si disse che era uno sciocco, e fece un passo.

Il canarino gli zompettò dietro.

Milo si fermò.

Il canarino anche.

Milo osò salire di un gradino.

Il canarino di due.

Il cavaliere si guardò attorno, perplesso. Phoenix si era già oscurato fra le colonne della Sesta Casa, dritta avanti a lui, che aveva lasciato tanto determinato il Tempio di Leo. Il canarino zompettò ancora, silenzioso, in due saltelli leggiadri, avanti a lui. L’aveva superato. Ora si voltava verso le scale più in basso. Milo corrugò le sopracciglia e fece per muovere un passo. Il canarino assottigliò gli occhi e cirpò.

Il lungo momento che seguì fu pieno di densi perché.

Milo, cavaliere di Scorpio, si fermò, sentendosi minacciato, e arretrò di un passo per inquadrare il proprio nemico, ora ad occhi chiusi, immobile e silenzioso come una sfinge.

Il canarino. Il canarino si era parato sul suo cammino!

Il volatile lo stava sfidando, eretto e fiero: “Cirp!

Milo espanse allora il proprio cosmo, per imporre la propria volontà.

E giurò – giurò – di sentire quello del canarino entrare in risonanza col suo.

 

“Aioria! Kanon! È terribile!”

“Muori, una buona volta! Muori! Muori!”
“Muwahahahahahah!”
“Aaaah, muoriii!”

Questa volta Kanon c’era andato giù pesante, scegliendo Rhadamantis della Viverna, che sullo schermo della televisione lanciava Greatest Caution come se fossero noccioline. Aioria, strenuamente fedele ad Aioros, invece, cercava di mascherare il proprio terrore premendo i tasti del joystick al limite dell’isteria.

“Spegnete quell’affare e statemi ad ascoltare!” tuonò Milo, decidendosi a mettere piede nel groviglio di fili e prendere entrambi gli amici per la collottola. “Sta arrivando…!”
Non fece in tempo a finire la frase, che un lampo giallo si avventò su di loro.

“Che?! Cosa?! Lightin’ plasma!
I nervi di Aioria di Leo, tesi come corde di violino, cedettero. Era tutta la mattina che Kanon lo metteva a continua prova, tra un avversario e l’altro, e proprio al culmine, durante lo scontro degli scontri – il Gigante Infernale numero Uno e la sua barriera del castello di Hades, stramaledizione a lui, e che Athena gliela perdoni ma Aioria di Leo non dimentica gli affronti – quell’attacco improvviso, come un proiettile. Per puro gesto istintivo, senza pensare, schizzò via da dov’era seduto, esplodendo il proprio cosmo dorato, e trasformando l’atrio della Quinta Casa in una pista da discoteca.

“Aioria! Ma sei impazzito, vuoi ammazzarci?!”

“Che cos’è stato?! Chi è?!”

“È ancora lì!”
“Ma che cosa?” Kanon era rotolato via rapido come i lampi luminosi di Aioria, per evitare di venirne investito in pieno, e ora guardava in alto, sopra di loro. “Milo!”
“Dimmi!”
“Quello è…?”

“…un canarino, Kanon.”

“Ma è…”
“Mi ha inseguito sin qui!”

“E tu hai attirato il nemico nella mia casa?!”

“Aioria, per Athena, datti una calmata!”

Leo era schizzato sin sul divano, decisamente lontano, in piedi, e con l’identica espressione del gatto che è appena caduto nell’acqua. Decisamente non aveva inquadrato la situazione. D’altro canto, un momento prima stava combattendo con Rhadamanthis l’Atroce Monociglio, e quello dopo gli era piombata una furia alata addosso. Aveva tutto il diritto di arruffare il pelo e sguainare gli artigli.

“Non è un nemico, è un… canarino… ma come fa ad essere ancora lì?!”

L’abominevole uccellaccio si era graziosamente appollaiato sul televisore, incurante di tutto ciò che gli stava attorno. Si becchettò le zampe, sollevò l’aluccia, si ripulì. Era indenne, dopo il Lightin’ Plasma di Aioria. Tre gold saint lo contemplarono tra l’inorridito e l’ammirato.

“Ma cosa…?”
Cirp!

I tre ammutolirono. Istintivamente, si misero spalla contro spalla, tutti e tre, serrando i ranghi, e rivolgendo al volatile ogni fibra della loro attenzione.

“Qui sta succedendo qualcosa di strano, Milo!”
“È  tutta la mattina che cerco di dirvelo!”

“Quest’uccello… non è normale.”

“Che cosa vuole da noi?”
“Si è messo sulla mia strada! Mi ha sbarrato il passo alla Sesta Casa!”

“Non hai ancora trovato Camus?”
Un brivido giù per la schiena.

“Dici che… lui c’entra qualcosa?”

Cirp!
Silenzio.

Sotto gli occhi dei tre guerrieri, l’uccellino svolazzò più in là, in un frullio melodioso d’ali. Senza che nessuno glielo impedisse, si diresse a colpo sicuro verso la presa della corrente.

“Che cosa fa?”
“Non oserà…!”

La vibrazione elettrica della corrente che si staccava senza preavviso li fece sobbalzare, internamente. Quando la testolina piumata si voltò verso di loro, in uno scatto, nel becco stringeva la spina della consolle.

Quel maledetto!” un ringhio riempì la stanza: “Non avevo salvato la partita!”

“Aioria! Stai fermo!”

Milo scattò avanti, sfidando lo sguardo improvvisamente torvo dell’uccellino.
“Fermi! Ho un’arma!”
Si preannunciava la sfida del secolo, quella che avrebbe impegnato gli occupanti della Quinta Casa.
Milo, il cipiglio serio e concentrato, estrasse un involto dalla tasca e lo scartò, lentamente. Vide il volatile fremere, il suo sguardo farsi più feroce, il suo cosmo tremare.

“Fatti avanti, se vuoi questi biscotti!”

 

Un respiro lento, senza intervalli.
La schiena perfettamente eretta facilitava inspirazione ed espirazione, la gabbia toracica si espandeva e contraeva leggerissimamente, come fosse aria a sua volta. I pollici, premuti dolcemente contro lo sterno, quasi non ne percepivano il movimento.

“Finalmente” sillabò infine l’asceta, interrompendo il momento di quiete per crearne uno nuovo. Gustò il suono delle parole disperdersi nell’aria silenziosa del pomeriggio, osservandolo tramutarsi in sera, sebbene il tramonto fosse ancora lontano. Egli non soffriva il caldo. Non la fame, non la sete. Aveva appreso a non farlo, e poteva osservare cose che ad altri sfuggivano. Il pomeriggio e il suo scivolare verso la sera, nonostante il sole alto. L’ondeggiare lieve dell’erba, nonostante l’assenza di vento. Molte cose sapeva centellinare, altre sapeva risolvere.

“Guarda che questo tè fa veramente schifo!”
Altre no.

“Per cortesia, lasciami godere il silenzio.”
“E certo, e come no. Vengo qui per questo. Però la prossima volta ti porto un tè decente.”
“Sta rientrando.”
“Eh? Chi?”
Ikki alzo il capo, istintivamente, le sopracciglia corrugate.
Cirp!

 “Ancora quello stramaledetto uccellaccio. Ma non se ne va più?”
“Da quando ha nidificato qui, pare che non voglia più andarsene.”
Ikki, un passo dopo l’altro, in falcate sicure, si fece strada sull’erba immacolata dello Sharasojo. Sapeva che a pochi era concesso di posarvi piede, ed infatti lo considerava un onore; un onore talmente alto da imprimere decisione e fierezza ai suoi passi. Così raggiunse – non senza poche perplessità, appena inquadrò la scena davanti a sé – il monaco biondo, serenamente immerso in meditazione, il canarino zompettante davanti a lui, un cavo di alimentazione, e un fazzolettino colmo di fragranti biscotti appena sfornati.

“Ma che diavolo…?”
“Trovo così notevole il suo coraggio e la sua dedizione nel difendere il nido” interloquì Shaka, gli occhi chiusi, e l’aria distesa di chi si sta godendo il finesettimana “che gli permetto di stare qui.”

“…difendere il nido.”
Lo sguardo di Phoenix raggiunse punte di diffidenza mai prima sfidate, nello squadrare il cavo d’alimentazione, talmente fuori luogo in quell’idilliaca armonia di natura, venire fatto a brani dal beccuccio del piccolo, dolce canarino trillante.

“Anche l’inquinamento acustico è considerato un attacco.”
“Dì la verità. È tutta la mattina che Leo e Gemini schiamazzano come due disperati, attaccati alla playstation” incrociò le braccia, quello che aveva risalito le prime cinque case in sordina, vedendo più di quanto desiderasse vedere, qua e là “e tu non ne potevi più. Hai mandato il pennuto a fare il lavoro sporco.”

“È  solo un innocuo uccello.” Shaka tese il braccio, e l’animaletto compì un breve volo per raggiungerlo. Una volta a casa, cominciò a spiumettarsi, trillando. Ikki lo guardò storto.
Ci aveva combattuto, una volta, con uno della stessa razza. Biondo, delicato, dal viso dolce, rassicurante, dall’ovale grazioso – un po’ troppo grazioso. Aveva aperto due occhi come non ne aveva mai visti, di un azzurro sconvolgente, ammaliante. E poi erano stati cazzi amari.

“Seh. Innocuo un paio di palle.”
“Ti sembro una persona del genere?”

“Eccome.”
“Non essere sciocco, Phoenix. Vuoi un biscotto?”

 

 

 



Milo, cavaliere di Scorpio, ne aveva viste tante nel corso dei suoi anni di combattimento.
Se si contavano quelle che aveva letto su Episode G, che Aioria conservava in copie imbustate sullo scaffale sopra il letto di camera sua, arrivava a centinaia e centinaia.

Ma la disfatta di quel giorno, quella era senza dubbio la più atroce ferita di guerra mai riportata.

Quella creatura demoniaca era volata via, dopo avere strappato con gli artigli il cavo di alimentazione della playstation, in un gran stridere e sbatter d’ali in faccia a chiunque cercasse di fermarlo. Dei dettagli della battaglia, nessuno dei tre volle parlarne, in seguito, così che rimase un mistero l’alone cupo che li attorniò per giorni. Solo a Camus Milo osò confidarne il perché, giorni più tardi. In toni vaghi e criptici. Comunque c’entravano dei biscotti.

“E tu, Camus, non c’eri! Non ti si trovava da nessuna parte!”
“Ma te l’ho detto almeno un centinaio di volte, Milo. Ero a udienza dal Pontefice.”
“Ci sei stato un sacco.”
“No. Ci sono stato solo in mattinata. Ma poi tu sei stato…” tentennò Camus “…trattenuto da…”

“Non farmici ripensare!”

“Va bene, va bene, non parliamone.”

“Ti rendi conto?” borbottò Milo, scavandosi il perfetto incastro, sul divano, tra lui e Camus. Sorrise, al ricordo del suo stanco e sfinito rientro a casa dopo la battaglia. Dopo tanto cercare, era rimasto in piedi, a sbattere gli occhi, alla scena che si era ritrovato di fronte: Camus, evidentemente stanco di aspettarlo, era lì, addormentato sul suo divano come se fosse casa sua. In cerca di refrigerio, dopo l’udienza col Pontefice era sgattaiolato nell’antro più fresco dell’Ottava Casa, dove si era addormentato come un orso polare in letargo. Sentendo immediatamente tutta la tensione della giornata sciogliersi, Milo si era gettato su di lui, svegliandolo, dispettoso, solo per raccontargli tutto e farsi consolare. Nei secoli dei secoli, amen.

“Ma ti rendi conto?” insisté comunque, giacché era lì. Camus sospirò. “Tre gold saint! Da che mondo e mondo, mai si è sentito di tre gold saint sconfitti da un solo—”

Camus ebbe una vaga sensazione di déjà-vu, a quelle parole.
Di tre gold saint contro un solo individuo, e dello stato pietoso in cui ne erano usciti.

Di petali di ciliegio, di un mondo di luce e… no, impossibile.

“Spaventoso” commentò, carezzando gentilmente i capelli di Milo. “Davvero spaventoso.”

 

 

 

 







 

Tanti auguri a LeFleurDuMal, il nostro splendido Milo, che compie gli anni. Avendo Athena usato su di noi il Misophetamenos, ovviamente, per noi il tempo è un’inezia e saremo tutte per sempre splendide diciottenni. Ad ogni buon conto, le feste sono sempre una buona occasione di produrre stronzate come questa fanfic, quindi le teniamo da conto. <3

 

Titolo della fic & relativa citazione sono © degli ABBA. Wahahah!

Il suggerimento poteva venire solo da Shinji, comunque. Grazie, Hadessama!
Il suggerimento è venuto da Shinji solo perché in quel momento Kijomi era a cena.

Ringrazio tutti e due in quanto cavie da imbizzarrimento. Ghghgh.

 

 

 

Un unico rimpianto riguardo a questa fanfic. Il malefico canarino Biki – sì, si chiama Biki, non chiedetemi perché – non è farina del mio sacco, e questo mi spezza il cuore a metà. Diamo a Cesare ciò che è di Cesare: il concept del personaggio che si è formato è tutto per merito dei roleplay miei e di Fleur, ma la fonte d’ispirazione è la serie a fumetti parodica SD Seiya. Non conosco l’autore/gli autori, ma se capite lo spagnolo potete trovare le scans in questo sito. Mentre questo sulla spalla di Shaka è Biki. Veneratelo come si conviene.

  
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