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Autore: Namixart    16/08/2016    1 recensioni
La parte razionale della sua mente la diceva che era un’ingenua a farsi condizionare da quella favoletta di Halloween, ma l’altra metà non era per niente d’accordo. E, d’altra parte, quale notte migliore per ignorare la ragione, se non Halloween?
Genere: Dark, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Naminè, Roxas
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun gioco
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La favola della ragazza dal sangue puro
Naminé sbuffò. Kairi rischiava davvero di essere rimossa dal suo status di migliore amica se non avesse smesso di proporre strane idee alla McGranitt. Cioè, seriamente?
Una festa in maschera per Halloween?
Nei giardini di Hogwarts?
Naminé strofinò le mani contro le braccia scoperte, cercando di ripararsi un po’ dal freddo della sera. Maledisse mentalmente Xion. L’arpia aveva provveduto personalmente al suo vestito, ignorando tutte le proteste della ragazza.
‘Non le bastava una semplice maschera?’ pensò, passando davanti a una delle vetrate del castello e specchiandosi brevemente.
Doveva ammettere che aveva fatto un lavoro eccezionale, però. Indossava un abito lungo fino a terra, composto una gonna nera a balze e una canotta dello stesso colore senza spalline. Alle mani portava dei guanti di raso nero senza dita e in testa un diadema d’argento. Xion aveva insistito per fare… qualcosa ai suoi capelli, che adesso cadevano in boccoli morbidi sulla schiena lasciata scoperta. Il viso era coperto da una semplice maschera intonata con il resto del vestito e da un raffinato trucco che suggeriva lacrime di sangue che andavano quasi a mescolarsi con il rossetto acceso, una macchia di colore sulla pelle diafana.
Naminé si arricciò nervosamente una ciocca di capelli tra le dita. Xion l’aveva resa irriconoscibile, tanto che poco prima, durante il rinfresco, era stata avvicinata da un ubriaco Vanitas, che le aveva proposto senza tanti giri di parole una passeggiata nel corridoio della Stanza delle Necessità. Naminé controllò un’ultima volta che il corpo immobile di Vanitas fosse ben nascosto e continuò la sua passeggiata senza meta. Si stava annoiando a morte. La traditrice, Kairi, era rimasta alla festa e non pareva nemmeno lontanamente intenzionata a fare un po’ di compagnia all’amica, impegnata com’era nell’importantissima attività di stare con Sora. Non c’era nemmeno Roxas. Il ragazzo, infatti, aveva deciso di prendere un’influenza epica e di restare sepolto sotto le coperte per una settimana.  Naminé sospirò, godendosi tuttavia la quiete della serata. Era una notte limpida e stellata, con la sottile falce di luna calante che illuminava il cielo buio. I giardini di Hogwarts, rischiarati di un pallore quasi etereo, erano deserti e silenziosi, eccezion fatta per qualche coppietta tra le fronde.
Naminé raccolse una rosa bianca lasciata su una panchina e si sedette. Con un piccolo trucco insegnatole da Roxas, toccò appena il fiore per fare in modo che non appassisse. I petali candidi ripresero vita non appena le dita della ragazza li sfiorarono. Naminé chiuse gli occhi, godendosi la brezza notturna e il silenzio.
Quando li riaprì, qualche minuto dopo, un bagliore spento richiamò la sua attenzione, a pochi metri da lei.
“Dama Grigia?” chiese.
Il fantasma si voltò verso di lei e fluttuò nella sua direzione. Chinò leggermente la testa in segno di saluto e la ragazza ricambiò il gesto.
“Lo senti?” sussurrò la Dama Grigia, sollevando lo sguardo al cielo stellato.
“Sentire cosa?”
“C’è agitazione nel castello. Sta succedendo qualcosa nei sotterranei. Quasi come se la storia si ripetesse.”
Naminé attese pazientemente che riprendesse a parlare. Sapeva bene quanto poco amasse essere interrotta o incalzata.
“Non era uno spirito… Camminava ancora sulla terra, a quel tempo. Ma non sapevamo chi fosse. Aveva sigillato le segrete, impedendo a tutti noi di entrare.”
Intendeva i fantasmi. Naminé annuì, curiosa di sentire il resto della storia.
“Poi, una notte, lo sentimmo gridare. Accorremmo, ma l’entrata era ancora bloccata.”
Naminé dovette trattenersi dal fare domande. Il modo di parlare di Helena Corvonero la stava davvero irritando.
‘Non riesce a mettere due frasi insieme? Deve proprio parlare a intermittenza?’ pensò.
“Disse che aspettava qualcuno. Una ragazza dal sangue puro. Disse che lei sarebbe venuta per lui. Non si sarebbe dato pace fino a quel giorno…” la Dama sospirò, scrutando il vuoto con i suoi occhi vacui.
“Cosa… cosa è successo?” chiese Naminé, decidendosi finalmente a parlare.
“Smise di urlare. Nei sotterranei trovammo solo una rosa bianca e un biglietto. Diceva che aveva aspettato così tanto quella ragazza… Adesso che era venuta, sarebbero stati per sempre insieme. Uniti nel sangue.” concluse Helena, teatralmente.
Naminé lasciò andare il respiro che non si era accorta di stare trattenendo. Trasse un lungo sospiro e si alzò, convinta che Helena non avesse più nulla da dire.
“Sono passati esattamente cinquecento anni.” avvertì il fantasma, improvvisamente.
La ragazza si voltò di scatto, i capelli che frustavano l’aria.
“Cosa?”
“Quella notte era esattamente come questa. E i lamenti sono ritornati. Che sia ritornato come spirito per ripetere la storia?” mormorò la Dama Grigia, voltandosi e fluttuando via.
Sotto la maschera, Naminé aveva gli occhi sgranati.
Perché la Dama le aveva raccontato quella storia? Cosa aveva voluto dirle? La ragazza non riusciva a smettere di pensarci, mentre si avviava verso il centro della festa. Ben presto l’aria fu di nuovo piena delle canzoni delle Sorelle Stravagarie e delle risate degli studenti di Hogwarts. Naminé passò ai lati della pista da ballo, intenzionata a raggiungere un gruppetto di Corvonero per chiacchierare un po’. Osservando la folla danzante scorse di sfuggita Kairi, acconciata in modo da sembrare una bambola di pezza, e Sora, uno scheletro. Da quanto aveva capito recitavano le parti dei protagonisti di un film Babbano su Halloween. Poco lontano, Xion e Riku erano una coppia di zombie, mentre Axel si aggirava tra la folla in un costume che prevedeva, per qualche motivo, delle forbici attaccate alle mani. Naminé rimpianse, non per la prima volta, di aver avuto un’educazione strettamente Purosangue. Avrebbe tanto voluto poter riconoscere i costumi dei suoi amici, ma non avrebbe nemmeno avuto idea di cosa fosse un film, se non fosse intervenuto Sora.
Naminé sorrise comunque, vedendo i suoi amici che si divertivano così. Camminando lentamente, arrivò davanti alla scalinata che portava dentro il castello e, di conseguenza, davanti alla porta delle segrete.
La ragazza si bloccò di colpo.
Si voltò un’ultima volta a guardare la festa, mordendosi un labbro per l’indecisione.
Poi, stringendo la rosa che aveva preso dai giardini, aprì la porta ed entrò nei sotterranei di Hogwarts.
L’aria era umida e sapeva di chiuso, com’era ovvio aspettarsi. Sarebbe stato buio pesto se non fosse stato per le torce stregate attaccate alle pareti. I tacchi bassi di Naminé provocavano un’eco che risuonava a lungo nel silenzio opprimente. La ragazza camminava velocemente, con una sensazione di ansia che le era estranea. La parte razionale della sua mente la diceva che era un’ingenua a farsi condizionare da quella favoletta di Halloween, ma l’altra metà non era per niente d’accordo. E, d’altra parte, quale notte migliore per ignorare la ragione, se non Halloween?
Ad un tratto si bloccò a un crocevia. Oltre alla strada da cui era arrivata, davanti a lei si aprivano altri tre corridoi. Stringendo ancora la rosa al petto, esitò, incerta sulla direzione da prendere.
Ad un tratto, un rumore metallico risuonò nell’aria, insieme a una brezza di aria calda. Naminé si voltò verso il corridoio di sinistra e riprese a camminare spedita verso quella direzione.
“Devo essere del tutto impazzita.” mormorò, mentre percorreva la galleria, ora silenziosa.
Adesso rimpiangeva il non aver detto niente a nessuno. Probabilmente quello che adesso era un viaggio ansioso si sarebbe tramutato in un’avventura divertente con i suoi amici.
Naminé sospirò, senza fermarsi. Chiuse gli occhi un secondo, poi sorrise, vinta dalla curiosità.
“Sarà divertente comunque.” sussurrò.
Il suono metallico non si era più fatto sentire, e nemmeno la brezza, ma Naminé seppe di essere arrivata quando si trovò davanti a un cancello.
“E adesso?” si chiese, guardandosi attorno.
Non vedendo niente, la ragazza abbassò lo sguardo sul pavimento. Nonostante il trucco, riuscì a impallidire ancora di più.
Un pugnale d’argento giaceva sopra una roccia di forma innaturalmente sferica.
Una ragazza dal sangue puro, eh? Che cattivo gusto…” sospirò, prendendo il pugnale e incidendosi lievemente un dito, facendo attenzione a far gocciolare il sangue sulla roccia.
“Ecco, contenta? Oh, no!” esclamò, intristita.
Una goccia di sangue era caduta sulla rosa che stringeva nell’altra mano, macchiandola di rosso vivo.
“Bah. Andiamo.” disse poi, accorgendosi che il cancello era scomparso.
Era entrata in un’ampia sala rettangolare con un alto soffitto a volta. Naminé si accorse che la brezza che aveva sentito prima proveniva da una delle piccole finestre che si affacciavano sul Lago Nero. Quindi si trovava in una parte dei sotterranei che risaliva in superficie in corrispondenza del Lago, dedusse.
La ragazza si guardò intorno, incuriosita dalla stanza. Era completamente spoglia, fatta eccezione per un blocco di pietra nella parte più lontana dall’entrata, somigliante ad un altare. Naminé si avvicinò, e scorse un biglietto, che quasi brillava a causa del contrasto tra la carta bianca e l’altare di roccia nera.
Lo prese e cominciò a leggere le parole scritte in una calligrafia ordinata ed elaborata.
 
Mia amata,
ti ho aspettata a lungo, in questo luogo a me caro. Adesso tu sei finalmente venuta da me, per restare sempre insieme. Ed io, fedele a te fino alla morte, farò in modo da non rompere mai questa promessa. Mio bellissimo angelo, non ci lasceremo mai, uniti fino alla fine, in un giuramento firmato con il sangue.
 
Naminé rifletté un momento sulla lettera. Per questo, sentì il rumore troppo tardi. Il suono metallico di prima era tornato, più forte e vicino. Quando la ragazza realizzò cosa stava succedendo, si voltò di scatto.
Davanti a lei c’era una figura maschile, vestita molto elegantemente, con pantaloni di pelle nera e una giacca nera con finiture dorate. Ai polsi, ornati da pizzo bianco, erano attaccate delle catene spezzate, di ferro arrugginito tintinnante. La ruggine aveva sporcato anche i guanti bianchi dello sconosciuto. In testa portava un cilindro nero, aveva una criniera di capelli grigi incolti e il viso era nascosto da una maschera bianca che esibiva un sorriso nero largo e inquietante, che abbinato alle cavità buie degli occhi, dava un aspetto terrificante alla figura.
Naminé sobbalzò ed arretrò velocemente, andando però a scontrarsi contro l’altare.
L’uomo davanti a lei iniziò ad avanzare lentamente, con le braccia allargate come a chiedere un abbraccio e la testa che sobbalzava sinistramente a ogni passo.
Naminé sobbalzò e finì contro l’altare, rendendosi conto all’improvviso di essere in trappola. Le catene dello sconosciuto tintinnavano sinistramente e le torce si spegnevano di colpo, mano a mano che si avvicinava.
“Chi… Chi sei?” riuscì a balbettare Naminé.
La figura non accennò nemmeno a una risposta, ma si fermò e inclinò lievemente la testa da un lato in modo interrogativo, prima di riprendere ad avanzare.
“No! Io non sono la ragazza che cerchi! Tu… Tu dovresti essere morto cinquecento anni fa!” esclamò lei, cercando disperatamente una via d’uscita.
Si portò una mano su un fianco, come per mettersela in tasca, cercando freneticamente la bacchetta. Con un tuffo al cuore, si rese conto di averla lasciata in camera, prima di uscire per la festa.
“Oh, no…” mormorò, con voce strozzata.
Intanto, lo sconosciuto si era avvicinato ancora di più a lei, distante solo un paio di metri.
“Oddio, no. Non sono io! Lasciami in pace, ti ho detto!” esclamò di nuovo, cercando di scivolare lateralmente dall’altare.
L’altro non accennava a rallentare, ma Naminé era riuscita a spostarsi di lato abbastanza da corrergli incontro e superarlo, sollevando la gonna per paura di inciampare.
Corse a perdifiato attraverso la sala ormai in penombra verso il cancello. Ma quando arrivò alla fine della stanza, si accorse che il cancello si era richiuso.
Il pugnale giaceva ancora dall’altra parte delle sbarre. Naminé infilò un braccio attraverso di esse per recuperarlo. Una volta che lo ebbe in mano, si voltò verso lo sconosciuto, che aveva cambiato direzione e aveva ripreso a camminare verso di lei, allo stesso ritmo di prima.
Naminé si voltò freneticamente e si tagliò nuovamente, strofinando la mano sulla roccia. Ma il cancello rimase fermo al suo posto.
La ragazza impallidì orribilmente.
“Oddio, no. No!” gridò, voltandosi di nuovo verso il suo nemico, con tre soli metri a separarli.
Puntò verso di lui il pugnale insanguinato, vedendo con sconcerto le sue mani tremare terribilmente.
“Stammi lontano!” gridò, ormai sull’orlo delle lacrime.
Lui tese una mano verso di lei. Naminé sentì con orrore il pugnale sfuggirle dalle mani tremanti mentre la figura glielo sfilava dalle dita, per poi lanciarlo contro una parete.
Naminé schiacciò contro il cancello e si portò istintivamente le mani davanti al volto per ripararsi, il sangue che le scorreva lungo un braccio e le lacrime che cominciavano a scapparle dagli occhi.
Lo sconosciuto era ormai davanti a lei. La ragazza strinse la rosa che le era rimasta in mano fino a spezzare lo stelo e chiuse gli occhi. Sentì una vibrazione del cancello, segno che lui aveva appoggiato violentemente le mani dietro di lei, intrappolandola.
Aprì appena gli occhi e scrutò attraverso le due maschere che li separavano, cercando di scorgere qualcosa di utile.
Dai due buchi della maschera bianca di lui facevano capolino due portentosi occhi azzurri che brillavano di divertimento, anche se poteva scorgere anche un po’ di senso di colpa.
Naminé sgranò gli occhi, scioccata.
“R…Roxas!?” esclamò, quasi strozzandosi con le parole.
La figura tolse le mani dal cancello, liberando la ragazza, e si bloccò davanti a lei.
Naminé allungò le mani tremanti verso il suo viso e, lentamente, gli tolse la maschera.
Roxas sorrise, con un misto di scuse e di divertimento.
La ragazza trasse un profondo respiro, prima di scivolare a terra, completamente sfiancata.
Si coprì il volto con una mano, cercando di fermare i singhiozzi che ormai la scuotevano completamente.
Roxas, vedendo la sua reazione, si affrettò a chinarsi accanto a lei e a metterle una mano sulla spalla.
“Nami! Nami, stai bene?” chiese, allarmato.
Lei, per tutta risposta, lo afferrò per il colletto della giacca e lo avvicinò al suo viso, scrutandolo con un’espressione di pura collera.
“Mi chiedi se sto bene? Sei un idiota totale, Roxas! Non hai… non hai idea!” singhiozzò, prima di scoppiare definitivamente a piangere, il viso sepolto nel petto del ragazzo.
Roxas si tolse velocemente il cappello e la parrucca la abbracciò forte.
“Mi dispiace, Nami, mi dispiace tantissimo!” sussurrò, accarezzandole i capelli.
Lei non disse nulla, ma i singulti rallentarono un po’.
Dovettero passare alcuni minuti perché Naminé si riprendesse del tutto dallo spavento e subentrasse la rabbia.
Si allontanò di scatto Roxas e gli tirò uno schiaffo, il viso rosso di ira e spavento.
“Sei un idiota! Cosa avevi in testa, si può sapere?” esclamò, la voce rotta.
Roxas sospirò, sollevato di vedere nella ragazza un’emozione che sapeva gestire.
Si passò nervosamente una mano tra i capelli, senza guardarla, e le rivolse uno sguardo pieno di scuse e rimorso.
“Pensavo che fosse uno scherzo interessante… Non pensavo che ti saresti fatta condizionare tanto dalla storia. Forse la Dama Grigia ci è andata giù un po’ troppo pesante con la suggestione. Se devo essere onesto, credevo che mi avresti preso a pugni molto prima.” borbottò, con gli occhi fissi a terra.
Naminé trasse un profondo respiro ad occhi chiusi, prima di rialzarsi lentamente.
Roxas alzò lo sguardo su di lei, preoccupato. Raccolse la rosa bianca da terra e gliela infilò delicatamente tra i capelli.
“Xion ha dato il meglio di sé, eh? Sei stupenda.” disse, sfiorandole una guancia.
“I complimenti non ti porteranno da nessuna parte.” ribatté lei, sbuffando e senza guardarlo.
Quando non sentì che silenzio, Naminé si voltò lentamente, solo per trovarsi gli occhi enormi di Roxas davanti, nella migliore versione degli  Occhi Da Cucciolo Bastonato che aveva nel suo vasto repertorio.
Naminé sbuffò di nuovo
“Non. Farlo. Mai. Più.” scandì, sottolineando ogni parola con un colpetto sulla spalla di Roxas.
“Sono perdonato, allora?” chiese lui, a bassa voce ma contenendo a malapena un largo sorriso.
Naminé lottò per trattenere una risatina.
“Non pensarci nemmeno. Dovrai lavorare molto di più, caro.” disse, aggrottando le sopracciglia.
Roxas ridacchiò, raccogliendo da terra la maschera e la parrucca.
“D’accordo. Cosa ne dici di iniziare concedendomi un ballo?” propose, inchinandosi e prendendo una mano di Naminé.
Lei sorrise, rimettendo la sua maschera a posto e sistemandosi il fiore tra i capelli.
“Accordato. Ma ricordati che non te la cavi con così poco.” disse, prima di incamminarsi verso l’uscita, le dita intrecciate a quelle di Roxas.
 

​[The Authors rambles]
​Uhm... eccomi di nuovo, dopo... un anno? Già...
​Mi è mancato scrivere per KH. Ultimamente sto scrivendo un sacco (in inglese) per FFIV, ma a nessuno interessa, vero?
​Comunque, ecco qua. RokuNami Harry Potter AU. Random, lo so.
​Vabbè.
​Tutti i commenti sono apprezzati, fatemi sapere!
Nami :3

PS
​ATTENZIONE. La prima bozza di questa storia era per un altro fandom, con altri personaggi, e alcune parti sono state riprese e modificate. Se trovate qualche incongruenza, fatemelo sapere
  
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