Storie originali > Soprannaturale > Angeli e Demoni
Ricorda la storia  |      
Autore: Izumi Ishimaru    21/08/2016    4 recensioni
//WARNING: SLASH/YAOI PAIRING (BOYxBOY)
//Non so se il rating più adatto sia il giallo o l'arancione, metto questo per, uhm, sicurezza?//
Danny iniziò pian piano a svegliarsi, e a prendere coscienza di essere sveglio.
"È un sogno, non è vero?" si chiese, ma non poteva rispondersi, dal momento che non sapeva nemmeno cosa avesse attorno.
-
-Din. – iniziò. – Tu non esisti.
-Oh andiamo, Kimano!
-Voi non pensate davvero che io mi beva tutto questo, no?
-
Sapeva solo che un momento stava con i piedi a terra, e quello successivo si era trovato scaraventato contro l’altra parete di mattoni, con così tanta potenza che quando aprì la bocca per cercare di riempire i polmoni l’unica cosa che riuscì a fare fu sputare sangue.
-
Era, se possibile, ancora più pallido di prima, e sembrava aver perso gran parte della sua forza in pochi secondi.
Dietro di lui, a partire dalla sua schiena, si aprivano due grandi ali bianche.
-
-Un Rifiuto è un elemento che non appartiene né agli Angeli, né ai Vampiri, e per questo presenta elementi di entrambi che variano a seconda del soggetto.
-
-Mi dispiace.
-Nonostante non abbia fatto nulla per cui scusarti?
-
-E se tipo, mi baciassi?
Genere: Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Wings’ Blood

 

Danny iniziò pian piano a svegliarsi, e a prendere coscienza di essere sveglio. Non aprì gli occhi, perché nonostante avesse le palpebre chiuse, riusciva chiaramente a vedere la luce del sole insistere sul suo viso, e non ci teneva a essere carbonizzato di prima mattina.
Restò immobile un paio di minuti, prestando attenzione ai suoni che lo circondavano.
O per meglio dire, all’assenza di suoni.
Era tutto così calmo e pacato, da sembrare surreale.
È un sogno, non è vero? si chiese, ma non poteva rispondersi, dal momento che non sapeva nemmeno cosa avesse attorno.
Ricordava che di solito si svegliava sempre sommerso dal caos più totale, con voci che lo chiamavano con nomi che non riusciva a ricordare.
Scosse impercettibilmente la testa, decidendosi finalmente ad aprire gli occhi al luogo che lo stava ospitando.
Come previsto, la prima cosa che avvertì fu una fitta di luce infilarsi dritto nelle sue pupille. Poi, riuscì finalmente a dare forma alle ombre attorno a lui. Vide che si trovava in una stanza. Una stanza molto grande, volendo essere precisi, una che assomigliava a una sala riunioni, o qualcosa del genere.
La cosa che lo colpì subito fu il fatto che due delle pareti erano fatte completamente di vetro - esclusa quella alle sue spalle e quella di fronte a lui - e per questo bastava affacciarsi per guardare due differenti lati della città. Da qui dedusse che doveva trovarsi in un edificio molto alto, considerato quanto piccolo apparisse il paesaggio.
Fece per avvicinarsi alla vetrata, ma prima di accorgersi di non riuscire a muoversi, si accorse del fatto che non era solo.
Mise a fuoco ciò che aveva giusto di fronte a sé, e scoprì una ventina di volti, forse anche di più, che lo fissavano incuriositi.
La cosa lo prese totalmente alla sprovvista, e per questo balzò a sedere, indietreggiando lentamente. Quasi contemporaneamente, una delle figure sedute a gambe incrociate sul pavimento, al di sotto del piccolo palco su cui si trovava Danny, si alzò.
Era una ragazza abbastanza alta, con gli occhi scuri - o almeno così gli sembrava - e i capelli viola raccolti in una lunga treccia.
Viola? Era possibile una cosa del genere?
Beh, pareva di sì.
La ragazza si fermò proprio sotto di lui, con un quadernino e una penna in mano, e parlò, con voce ferma e profonda - forse un po’ troppo profonda - una di quelle voci pacate che non ammettevano nessun tipo di replica.
-Nome?
Danny si irrigidì leggermente.
No ma ciao, come va? Oh sì, è bellissimo svegliarsi catapultati in qualche luogo sconosciuto mentre della gente che non conosci ti fissa, grazie per averlo chiesto. Piacere di conoscerti!
-D...Danny.
-Din andrà più che bene. - segnò qualcosa sui fogli di fronte a lei.
Cos... Din?!

Alzò lo sguardo tanto quanto bastava per incontrare il suo. Aveva gli occhi assottigliati, lo sguardo concentrato sul blocchetto che teneva in mano e le sopracciglia aggrottate, non sapeva se fossero dovute al fatto che si stesse concentrando, o al fatto che qualcosa le avesse dato fastidio.

-Età?

Non ricevendo risposta, la ragazza lo guardò. C'era qualcosa nella sua espressione determinata e ferma che lo fece rabbrividire.

No, assolutamente non poteva permettersi di replicare.
-....diciannove? - non ne era sicurissimo, e pensava che rispondere con una vaga domanda l’avrebbe aiutato a ricevere una certezza, ma l’altra non sembrò farci caso. O forse lo stava solo ignorando.
-Hai dei ricordi sugli enti che conoscevi prima di oggi?
Gli salì spontanea la domanda "quindi conoscevo qualcosa?", ma proprio quando l’aveva ormai sulla punta della lingua, pensò fosse meglio tenersela dentro, e si limitò a scuotere la testa.
Ad ogni sua risposta corrispondeva un segno a penna. Era forse una registrazione in una cella di un carcere o...
-Sai come sei?
All’inizio gli venne da ridere a quella domanda.

Poi si fermò un attimo e si accorse che, per quanto ironico, non aveva la più pallida idea di come fosse fatto.
-Sono un ragazzo...? - chiese alzando le spalle.
La ragazza posò a terra il blocco di fogli e si fece passare uno specchio da qualcuno dietro di lei. Danny pensò che volesse passarglielo, invece si limitò a rigirarlo tra le dita mentre continuava a fissarlo, quasi sospettosa.
-Ogni ente del settore F non è nient’altro che un pensiero, un ideale di cui nessuno, neanche se stesso, conosce l’aspetto. - asserì dopo un po’. - Puoi confermare la tua provenienza controllando il tuo braccio sinistro, per favore?
Danny fece ciò che gli era stato detto, ed effettivamente riuscì a scovare una piccola lettera incisa
non-sapeva-come sul suo polso.
-Sì - confermò.
Finalmente lo specchietto arrivò nelle sue mani, ma esitò ugualmente un attimo prima di sollevarlo all'altezza del suo viso.

Non si era mai posto il problema di conoscere il suo aspetto, prima di quel momento. Aveva sempre dato per scontato che ne avesse uno, e gli era bastato. Anche quelli con cui viveva prima non avevano mai accennato a qualcosa del genere, e non si poteva certo dire che lui ricordasse il loro, neanche quello di uno solo di loro.

Significava quindi che era stato totalmente solo, senza amici, per diciannove anni della sua vita?

Non credeva fosse possibile…

Era così orribile, antipatico, inavvicinabile?

Pensandoci bene però, la ragazza aveva accennato qualcosa a proposito di un certo settore F. Non che ci avesse capito molto in realtà, ma poteva essere un indizio.

La sua provenienza influiva significativamente su ciò che era in quel momento e su ciò che aveva vissuto?

All’improvviso si riscosse da quei pensieri, ritornando mentalmente al presente: in quel momento, aveva un problema che, con i suoi timori attuali, poteva considerarsi anche più grande di quello riguardante il suo passato.

Inspirò profondamente e alzò lo sguardo, finendo con incontrare quello del suo riflesso nel piccolo ovale di vetro.

Vide due occhi chiari, ma non riuscì a distinguerne il colore. Forse grigi, forse verdi, non ne aveva idea.

Avevano un'espressione strana, un misto di curiosità, timore, forse anche un po’ di sorpresa.

Quello che notò subito, invece, fu il fatto che quel colore – qualunque esso forse – contrastava terribilmente con i suoi capelli rossicci, e disordinati. Soprattutto disordinati. Era propenso a credere di non aver mai usato una spazzola in vita sua.

Si rese conto di avere dei lineamenti duri, molto definiti.

Beh, quanto meno avevo ragione a dire di essere un ragazzo.

E l’ultima cosa che vide fu una lunga e sottile cicatrice sulla guancia destra.

Si concesse un paio di secondi per guardarsi interamente, senza prestare attenzione ai particolari. Provò anche a muoversi, per controllare se il riflesso che aveva di fronte gli appartenesse veramente.

Non riusciva assolutamente a identificarsi in ciò che aveva di fronte, gli sembrava tutto fin troppo assurdo. Avrebbe voluto dire che “non sono esattamente come m’immaginavo”, ma sulla base di quali immagini, se non ne aveva mai avute di sé?

Non aveva mai avuto la necessità di un’identità fisica, e ora all’improvviso si trovava a dover convivere con una.

Non provava sollievo o delusione, era semplicemente strano.

Schiuse le labbra per dire qualcosa, poi cambiò idea. Si limitò a fissare i presenti, che lo stavano guardando a loro volta, e la sua espressione iniziò a ricordare sempre di più una muta richiesta d’aiuto.

-Beh almeno non eri convinto di essere una bellissima ragazza solo perché qualcuno ti aveva messo addosso una gonna… - disse un ragazzo seduto in prima fila mentre lanciava occhiatacce fulminanti alla ragazza dai capelli viola, suscitando svariati risolini di persone che facevano difficoltà a trattenersi, al ricordo della scena.

Quest’ultima fece una smorfia divertita, poi si fermò proprio davanti a Danny.

Sembrava molto più rilassata e amichevole di qualche secondo prima. E soprattutto, sorrideva. Se l’avesse fatto dall’inizio della loro “conversazione”, forse lui avrebbe avuto perfino il coraggio necessario di opporsi al soprannome “Din” che ora gli era affibbiato.

-Molti di noi provengono dal settore F, quindi capiamo come ti senti, ci siamo passati un po’ tutti.

Danny annuì, più che altro perché non sapeva cos’altro fare. Sapere di non essere l’unico lo rassicurava, senza dubbio, ma allo stesso tempo continuava a non capire.

Non ci fu bisogno di dire nient’altro, in ogni caso, perché fu comunque lei a continuare, tendendogli la mano.

-Scusami, abbiamo un regolamento di accoglienza piuttosto freddo, non trovi? Mi chiamo Kimano, ma puoi chiamarmi Kima. Piacere di conoscerti!

-Da… - gli si fermò la parola a metà gola, dandogli il tempo di correggersi. – Din.

Le strinse la mano, sentendosi leggermente più sollevato.

Fu allora che Kima, che all’improvviso aveva di nuovo un’espressione seria, senza lasciare la stretta intorno alla sua mano lo tirò in avanti, portando il suo viso molto vicino al suo.

-Sono successe alcune cose più o meno quattro anni fa, è d’allora che i tuoi futuri compagni qui dietro mi impongono gentilmente di specificare una cosa. – detto questo fece una pausa e sfoggiò un enorme sorriso, così innocente, che Din provò paura per ciò che stava per dire.

Aveva ancora la sua mano stretta dal momento in cui si erano presentati, e fu questa la situazione che Kima sfruttò. Si divincolò da quell’amichevole stretta solo per afferrargli il polso e trascinarlo sempre più vicino a sé, fino al punto in cui la mano di Din riuscì a toccare il suo petto. Continuò a guidare la sua mano con la propria, in modo che le dita del nuovo arrivato riuscissero a captare la superficie sotto di loro.

Sono un ragazzo. – asserì infine, con nonchalance.

Din ebbe bisogno di un paio di secondi per collegare le azioni al significato delle parole che aveva appena sentito, poi avvertì l’impressione di andare a fuoco.

Probabilmente non fu solo un’impressione, perché tutti i presenti nella stanza, compreso Kima iniziarono a ridere.

-Qualcuno qui dovrebbe provvedere ad assumere un parrucchiere.

 

 

 

L’atmosfera in quella stanza era diventata in qualche modo molto più accogliente e familiare di prima. Poteva persino apparire un po’ confusionaria, eppure a Din sembrava perfetta, gli dava l’impressione di trovarsi a casa propria.

Piuttosto ironica come cosa, dal momento che non ne ho neanche mai avuta una.

Lo schieramento rigido da regolamento si era pian piano sciolto, e molti dei ragazzi e delle ragazze presenti si erano riunite attorno a lui, salendo direttamente su quella specie di palchetto su cui si era ritrovato appena sveglio. Era stata una cosa che l’aveva confortato, dal momento che stare lì sopra da solo lo faceva sentire a disagio, e non poco.

Aveva lasciato che ognuno dei presenti si presentasse, ed era stato piuttosto sorpreso di trovare più ragazze di quante credeva ne avrebbe conosciute – non c’era assolutamente nulla di cui sorprendersi, in condizioni normali, ma Din era ancora sotto shock per la rivelazione della ragazza dai capelli viola.

E proprio riguardo Kima, intanto, gli aveva promesso di spiegargli ogni cosa, ed era questa la ragione per cui ora tutti gli sguardi e tutte le attenzioni erano rivolte verso di lui, nonostante gli altri, non essendo nuovi, già conoscevano le spiegazioni che avrebbero ascoltato.

In realtà non era qualcosa che dava particolarmente fastidio a Din, anzi. Essere lì, in procinto di ascoltare la sua storia, e non essere da solo, gli faceva provare meno timore.

Era un’altra delle cose che gli davano l’impressione di trovarsi all’interno di una grande famiglia.

 

Kima intanto si era preso qualche minuto per sciogliersi i capelli, e poi si era seduto di fronte ai suoi compagni. Sembrava un qualcosa come una conferenza stampa, con l’ospite seduto da un lato e tutti i giornalisti dall’altro.

-Din. – iniziò. – Tu non esisti.

Seguirono attimi di silenzio totale.

Come dovrei reagire a questo scherzo?, fu l’unica cosa sensata che il diretto interessato riuscì a formulare nella sua testa.

-Oh andiamo, Kimano! – protestò qualcuno alle sue spalle, in tono serio.

-Preferisco partire subito dai concetti principali! – si giustificò. Poi continuò il suo discorso, ignorando le proteste degli altri e senza aspettare una reazione da Danny. - Tu non esisti. Nessuno di noi esiste sul serio. Qualcuno ci ha creati, e ci ha messi qui.

- Come sarebbe possib…

- Cercherò di spiegarlo il più facilmente possibile, ma ti prego di seguirmi. Ti avevo accennato del settore F, vero? Il settore F è l’ultimo settore in cui noi creazioni dividiamo la mente umana. Più la lettera corrispondente alla tua provenienza è lontana dalla A, più la tua origine è vaga e meno dettagliata. Provenire dalla F significa quindi che qualcuno ha pensato non a te, ma alla tua presenza. Sostanzialmente qualcuno – magari anche accidentalmente – ha avuto un’idea su un personaggio come te, creandoti automaticamente nella F. Provenire da quel luogo significa vivere nel caos, con altre centinaia di migliaia di idee create maggiormente per sbaglio. Significa lottare costantemente per non essere cancellati o dimenticati. – e qui indicò la cicatrice che segnava il volto di Din, con uno sguardo che sembrava voler dire “non pensare che sia l’unica”.

Din annuì, per dare almeno un segno di vita, un segno che facesse capire che lo stava seguendo.

-Se adesso sei qui, in uno dei Mondi del settore A, potrebbe essere grazie a due opzioni. La prima – e iniziò a contare sulle dita – è che fin dall’inizio non eri un’idea nata senza motivo, ma solo un qualcosa di incompleto da sviluppare. La seconda è che il tuo creatore ti ha ricordato per sbaglio. In ogni caso, da quel momento ha iniziato a lavorarti, a pensare a un aspetto fisico da darti, a sviluppare i tuoi tratti psicologici. Questo significa che magari il primo colore di capelli che ti è stato dato potrebbe essere stato il verde, o che all’inizio, come me, avresti dovuto essere una donna. Significa che c’è un’80% di possibilità che Danny non sia neanche il tuo nome originario.

Din stava fissando un punto indefinito, al di fuori delle pareti di vetro. Era passato molto tempo da quando sei era svegliato. Non aveva dimenticato la confusione e il timore che aveva provato, eppure con quello che sapeva adesso avrebbe preferito ritornare a quel momento.

-E questo Mondo di cui parli…

Si rese conto troppo tardi di aver dato un tono eccessivamente scettico alla sua frase, ma Kima non se accorse. O forse lo stava solo ignorando. Di nuovo.

-Ah, questo è solo uno dei tanti. È uno dei tanti soprannaturali, per essere precisi. – quest’ultima affermazione catturò l’attenzione di Din, che aggrottò le sopracciglia. – In questo mondo ci sono due specie, uhm… diciamo..

-In guerra.

La ragazza che aveva appena completato la frase dovette sopportare uno sguardo cupo in risposta che probabilmente non si aspettava.

-Non sono in guerra. – replicò Kima freddo. – Stanno semplicemente cercando ancora il giusto equilibrio di vita.

-In guerra, praticamente. – sussurrò qualcun altro alle sue spalle. Non sapeva se l’avesse detto appositamente per farglielo sentire, ma in ogni caso aveva afferrato il concetto, forte e chiaro.

Sembrava che nessuno volesse andare avanti, quindi fu Din a prendere la parola.

-Quindi.. uhm, queste due specie sareste voi, e…?

Non voleva assolutamente spostare i suoi occhi dal viso di Kima, eppure riusciva a sentire la tensione spostarsi attraverso gli sguardi.

Sembrava stessero pensando a quale delle due fosse la più credibile, per iniziare con quella.

-Noi, e i vam...piri. – concluse qualcuno al suo fianco.

-Gli angeli e i vampiri. – confermò Kimano.

Din si guardò intorno con uno sguardo impassibile, come se volesse capire qualcosa. Voleva capire fino a che punto fossero convinti di prenderlo in giro.

Si era ripromesso di affrontare tutto nel modo più diplomatico possibile, ma non riuscì a trattenere una fragorosa risata, che rimbombò nella stanza.

Una risata piuttosto vuota comunque, perché non gli costò alcuno sforzo ritornare immediatamente a un’espressione piana.

-Voi non pensate davvero che io mi beva tutto questo, no?

L’espressione che si dipinse sul volto di Kima aveva un qualcosa che lasciava intendere che in fondo una reazione del genere se l’aspettava.

-Voglio dire. Non che le cose che avete detto finora fossero credibili, assolutamente no. Ma adesso addirittura vampiri e angeli? Sul serio? Siamo in un qualche tipo di romanzo fantasy e non me ne sono reso conto?

Din aveva tutta l’intenzione di restare calmo, ma più parlava, più il tono della sua voce si alzava automaticamente. Alla fine, senza neanche sapere come, si trovò a urlare.

-Posso capire la tentazione di prendere per il culo qualcuno che si è ritrovato qui senza neanche sapere come fosse fatta la propria faccia, ma cercate voi di capire che c’è anche un limite a tutto! Non so come abbiate fatto a incidere questa – alzò automaticamente il braccio sinistro, mostrando la f – e a farmi un lavaggio del cervello, perché è quello che apparentemente avete fatto, ma so di per certo che questo scherzo di pessimo gusto è durato abbastanza, non c’è alcuna possibilità che io creda alle vostre stronz-

S’interruppe improvvisamente e alzò la testa.

O meglio, se vogliamo essere completamente sinceri, fu messo a tacere dallo strattone che avvertì all’improvviso, e alzò la testa per cercare di sentire meno dolore possibile.

Sollevando il viso in quel modo, riuscì a vedere la sagoma di un ragazzo in piedi affianco a lui, arrivato chissà da dove, che gli teneva i capelli stretti in un pugno.

Non poté evitare di lasciarsi sfuggire una smorfia, mentre l’altro al contrario, completamente indifferente, si lasciava scappare uno sbadiglio.

-Oi. – disse infine dopo qualche secondo, rivolgendosi a Din. – Eri tu a fare tutto quel casino?

-Tsk.

-Beh, pare proprio di sì.- Confermò, notando la sua reazione. Si aprì a un sorriso che sembrava quasi amichevole, mentre smetteva di tirare e lasciava la presa sulla ciocca di capelli che aveva afferrato. – Qual è il problema?

Ma Din lo ignorò e preferì invece rivolgersi a Kima, con tono sprezzante.

-È anche lui un complice di questa farsa?

-Din, per favo…

Uno schiocco di dita provocato dalla nuova comparsa lo interruppe.

-Ho capito! – esultò. Poi anche lui si voltò verso Kimano. – È un nuovo arrivato che ha problemi a credere alla storiella, vero?

Il povero Kima, ormai pallido e sconfortato, annuì.

-Gun… - aggiunse anche, in tono di supplica.

-Oh, tranquillo!

Il ragazzo che era stato appena classificato col nome di ‘Gun’ tese la mano a Din, chiedendogli con un cenno del capo di alzarsi e di seguirlo.

-Purtroppo non sono la persona più adatta per rimproverarti, dal momento che io ruppi un paio di strumenti che non erano completamente inutili, ecco… - stava dicendo, mentre camminava verso il centro della stanza. Din non sapeva cosa volesse fare. Non sapeva neanche perché avesse deciso di fidarsi e di ascoltare ciò che stava dicendo.

-Stiamo ancora cercando un modo per sostituirli! – protestò Kima alle loro spalle.

-Sono passati solo alcuni mesi, è normale, no….? – cercò di giustificarsi.

-Alcuni me… Gun! È quasi un anno!

Gun allora si voltò, sorridendo con la lingua tra i denti mentre si grattava la nuca, provocando piccole risate mal trattenute dalle persone che erano state zitte fino a quel momento.

Din ipotizzò che fosse un gesto abituale che faceva sempre, quando si sentiva imbarazzato.

All’improvviso si fermò, e fece un respiro profondo – Din riuscì a vedere di spalle i muscoli che si tendevano e si rilassavano.

-Penso che mi scuserò più tardi. – mormorò, ma nessuno lo sentì.

Quello che successe dopo fu così inaspettato e impensabile, che nessuno riuscì ad analizzare immediatamente i suoni e i movimenti che si susseguirono.

Gun si voltò improvvisamente, con un’espressione concentrata in viso, e senza pensarci due volte assestò un calcio giusto nello stomaco di Din, che intanto l’aveva raggiunto e gli stava dietro.

In realtà lui fu il primo a non capire ciò che stava succedendo. Sapeva solo che un momento stava con i piedi a terra, e quello successivo si era trovato scaraventato contro l’altra parete di mattoni, con così tanta potenza che quando aprì la bocca per cercare di riempire i polmoni l’unica cosa che riuscì a fare fu sputare sangue.

Spalancò gli occhi mentre un dolore allucinante si diffondeva ovunque nel suo corpo; per un momento pensò di star morendo sul serio.

Non ebbe tempo di riprendersi, comunque.

In una frazione di secondo Gun gli era di nuovo davanti, come se si fosse teletrasportato. Non riuscì a metterlo completamente a fuoco, ma sentì chiaramente il pugno che gli arrivò subito dopo.

Come se avesse appena metabolizzato, Kima si alzò in piedi, chiamando il suo nome affinché la smettesse, ma l’altro lo ignorò.

E non aveva neanche intenzione di fermarsi, dal momento che il ragazzo riuscì a vederlo, di spalle, mentre estraeva un coltellino dalla tasca posteriore dei suoi pantaloni.

Come spinto da una molla invisibile – probabilmente quella della paura – Kimano scattò in avanti, con l’intenzione di fermare quell’attacco che era iniziato senza una ragione apparente, ma per quanto fosse veloce, non riuscì a raggiungerli prima che Gun affondasse la lama davanti a sé.

Un brivido gli percorse la spina dorsale.

-GUREN! – urlò, prima che una luce accecante li avvolgesse.

 

Din aveva serrato gli occhi principalmente per due motivi: sia perché non sentiva neanche più la forza di tenere le palpebre aperte, sia perché sapeva che se avesse aperto gli occhi in quel momento la nausea lo avrebbe assalito.

Sembrava che non riuscisse neanche più a sentire: ci fu un urlo, ma sembrava provenire dai meandri della terra.

Era ancora abbastanza cosciente da capire che probabilmente stava perdendo i sensi.

Eppure quando avvertì uno strano senso di calore avvolgerlo, e quando riuscì a vedere attraverso le palpebre abbassate tutto l’ambiente illuminarsi, trovò nella curiosità la scusa per restare sveglio.

Cercò di schiudere gli occhi, ma tutto ciò che vedeva era luce, e questo gli rendeva quasi impossibile tenerli aperti.

Fu in quel momento che sentì qualcuno appoggiarlo delicatamente con i piedi a terra. Poi sentì una mano che si stringeva attorno alla sua vita, e lasciò che il suo braccio venisse passato su una spalla, come per sostegno. Non avendo la forza di replicare, ma neanche quella di tenersi in piedi da solo, accettò l’aiuto che qualcuno gli stava offrendo e si limitò solo a guardare cosa stesse succedendo.

Ciò che vide lo scosse così tanto che se non avesse avuto un sostegno, sarebbe probabilmente caduto di nuovo.

Di fronte a lui c’era Kimano.

Era, se possibile, ancora più pallido di prima, e sembrava aver perso gran parte della sua forza in pochi secondi. Tremava, e stava ancora cercando di riprendere fiato.

Dietro di lui, a partire dalla sua schiena, si aprivano due grandi ali bianche.

Alcune ciocche dei suoi capelli – che in più, sembravano anche più chiari del solito – forse a causa della lunghezza, erano scivolati tra le piume, e risaltavano incredibilmente col bianco candido.

Altre piume, più piccole, erano cadute a terra, e notò anche qualche goccia di sangue, ma non sapeva se appartenesse a lui, o se fosse il proprio, che aveva lasciato a seguito del colpo.

La persona che lo stava aiutando a reggersi in piedi si sporse leggermente in avanti, proprio davanti al suo viso, ed estrasse dal muro un coltello, a pochi centimetri dalla sua spalla. Fu solo quando parlò che però si rese conto che era proprio lo stesso Gun che solo qualche secondo prima l’aveva fatto volare attraverso mezza sala.

-Non l’ho colpito davvero! – disse con tono quasi ovvio – Non mi ha ancora fatto nulla, come avrei potuto? Non sono un assassino senza principi! – qui la sua voce sembrò vagamente offesa, per la mancanza di fiducia nei suoi confronti.

Din rifletté un attimo sulle parole che aveva appena sentito e, considerando la sua situazione in quel momento, pensò che non avrebbe mai, mai e poi mai infastidito Gun, per nessun motivo al mondo.

In tutta risposta, Kima – che sembrava non riuscisse più a riprendersi dallo shock – cadde sulle ginocchia e iniziò a ridere, forse per quanto fosse sembrato ridicolo a prendere una decisione così affrettata, mentre piano piano ritirava le sue ali.

-Sei impossibile.. – riuscì a mormorare subito dopo.

Gun si sentì in dovere di difendersi.

-E..Era il modo più veloce per fargli cambiare idea! Vero? – chiese rivolgendosi a Din.

Egli annuì, ma quando tutti si girarono a guardarlo e spalancarono gli occhi, si accorse che tutto ciò che aveva visto l’aveva colpito così tanto che stava piangendo, e forse questo non lo rendeva credibile al cento per cento.

Era la prima volta che aveva visto una cosa del genere. Aveva seriamente pensato che fosse meraviglioso. E non solo era la prima volta che pensava una cosa tanto imbarazzante di un ragazzo, ma bensì era la prima volta che lo pensava in assoluto. Non sapeva di essere una persona tanto sensibile, eppure non aveva potuto evitarlo.

-Ah… - cercò qualcosa con cui potersi giustificare, ma non riusciva a pensare a nulla.

Gun al suo fianco sobbalzò all’improvviso e gli si posizionò davanti, lasciando il braccio scivolare via dalla sua posizione di sostegno.

Era agitato, sembrava un bambino che teme di aver fatto qualcosa di sbagliato e quindi va in giro a cercare conforto.

Lo afferrò per le spalle e lo scosse leggermente.

-N… non è colpa mia, vero? No, so che lo è, però, però… cosa ti fa male? Cosa vuoi che faccia? Ahh, dannazione!

Din non poté far a meno di ridacchiare, nonostante gli causasse dolore ovunque.

-Va bene, va bene, non è per te – lo consolò.

Gun sospirò, si vedeva chiaramente che era già più sollevato.

-Non penso ce ne sia ancora bisogno.. comunque, io sono Danny, ma a quanto pare ‘Din’ andrà più che bene. – disse porgendogli una mano tremante, citando le stesse parole che Kimano gli aveva detto appena arrivato.

-Gun. – rispose semplicemente l’altro, guardandolo.

Fu allora che Danny prestò sul serio attenzione a come fosse colui che aveva di fronte.

Aveva visto subito, ovviamente, che i suoi capelli erano neri, che erano leggermente ondulati, e che nonostante non avessero uno stile particolarmente lavorato, erano comunque più ordinati dei suoi in quel momento.

Ma non aveva avuto l’occasione di constatare che, per esempio, i suoi occhi più che marroni erano color rame, o che le sue ciglia erano incredibilmente lunghe.

Era abbastanza sicuro di aver fatto una smorfia strana quando gli aveva stretto la mano, ed era più che sicuro che l’altro l’avesse notato.

Infatti, dopo aver sussurrato un “bene, su” non solo gli aveva prestato di nuovo la “posizione-sostegno” di prima, ma, piegandosi leggermente, aveva fatto passare il proprio braccio sotto le sue ginocchia e l’aveva sollevato.

A ben poco erano servite le lamentele e le proteste di Din. Opporre resistenza era servito ancora meno, considerato che con la forza che si ritrovava in quel momento non sarebbe riuscito a tener testa neanche a un gattino.

Quindi gli toccò tacere – e anche star fermo, se non voleva essere incolpato di eventuali urti – e farsi portare fuori da quella zona.

-Mi occuperò almeno dei danni fisici. – aveva detto Gun prima di uscire dalla sala.

_*_*_*_*_*_

 

-Sei sveglio?

L’ambientazione era definitivamente cambiata. La stanza in cui si trovavano adesso era più o meno la metà di quella precedente – il che la rendeva comunque una stanza più grande del normale - ed era completamente buia, fatta eccezione per una lanterna su un tavolo, in un angolo, che malgrado le apparenze riusciva comunque a tenere in luce un po’ tutto.

-Ah, mi sono….

- Uhm no, è stata colpa mia in realtà. – lo interruppe, mostrandogli una boccetta di vetro che conteneva del liquido azzurro. – Alcuni rimedi non sono perfettamente indolori, quindi… Riesci a sederti?

Din ci provò, poi annuì in risposta. Fu allora che notò delle bende che gli coprivano alcune parti del corpo, come lo stomaco, la schiena e le spalle.

-Ah sì, beh. Ti ho messo a posto le ossa e la maggior parte dei danni alle fibre muscolari. Ce ne sono ancora un paio minori, ma comunque guariranno in pochissimi giorni.

- Ah… grazie, suppongo…

Din era occupato a controllare se sentisse dolore da qualche parte in particolare, e per questo non si rese conto che Gun si stava avvicinando. Perciò, appena se ne accorse non poté far altro che sobbalzare e istintivamente indietreggiare, provocando nell’altro una piccola risata, piuttosto spenta.

-Non potrai mai fidarti di me, vero?

-Non è mancanza di fiducia, è solo che…

Gun annuì, facendogli capire che aveva capito il concetto.

-Mi dispiace davvero, credimi. – iniziò, sedendosi a gambe incrociate a terra, accanto a lui. – Ma nonostante la dimostrazione pratica sia la più veloce e la più efficace, per qualche motivo Kimano è contrario a usarla senza motivo…

-E quindi hai pensato di dargli un valido motivo. Beh, non fa una piega..

Gun, sollevato che avesse compreso le sue ragioni, si alzò ed estrasse qualcosa da una borsa poggiata a terra, lì vicino.

-C’è qualcos’altro qui che avrebbe bisogno di una piega, invece. – asserì mostrando una spazzola in una mano e un barattolo di gel nell’altra.

-Sono nelle tue mani. – rise Din in risposta.

_*_*_*_*_*_

 

-Kimano dovrebbe ritornare a momenti. I nuovi arrivati vengono trattenuti al Palazzo fino alla comparsa delle ali, quindi ti dovrebbe dare indicazioni per i prossimi giorni..

Din annuì con forza, mentre Gun era seduto giusto di fronte a lui, e gli stava ancora sistemando i capelli.

Dopo qualche minuto si staccò e si passò la mano sulla fronte, sospirando. Poi iniziò sistemare a mano qualche ciocca che proprio non voleva stare a posto.

-Faticaccia?

-Meno di quella che hai fatto tu, sicuramente!

-Non lamentarti, è una gran bella pettinatura.

-Sembro una ragazza. – ripeté forse per la quinta volta mentre si guardava di nuovo nello specchio a muro.

Din gli aveva spostato la fila dei capelli a destra, in modo che tutti i capelli che prima aveva davanti al volto scivolassero nella direzione opposta. Qualche ciocca che era rimasta dall’altro lato era tenuta ferma da due mollette uscite chissà da dove. –Sono senza dubbio più capace io, ma in fondo non è tanto male. – concluse ironicamente.

Poi si allontanò leggermente per ‘contemplare’ ciò che aveva combinato.

-Ahh… sapevo che saresti stato bene con i capelli tirati. – disse sorridendo, con uno sguardo fiero.

-Ho quasi paura di vedere, davvero.

Fece per alzarsi, ma senza neanche rendersi conto di ciò che stava succedendo, ricadde immediatamente.

Entrambi scoppiarono a ridere.

-Scusa.

-Insomma, non sai neanche camminare più?

Din afferrò la mano che Gun gli stava porgendo e cercò di alzarsi, ma all’improvviso si bloccò e aumentò la stretta sulle dita del compagno.

-Din?

-C’è… qualcosa che non...

Non ebbe il tempo di completare la frase, perché sentì le dita del dolore afferrarlo e stringerlo, sentì la cassa toracica chiudersi e non riuscì più a respirare.

Gun lo vide diventare cadaverico e cadere carponi, poi notò la maglietta che si stava impregnando di sangue.

Gli occorsero alcuni secondi per reagire.

-Toglila, Din!

-Ah?

-La maglia, toglila. – nonostante stesse chiedendo all’altro di farlo, fui lui a precipitarsi a sfilarla e a lasciarla cadere da qualche parte, lasciando scoperta la schiena che quasi grondava sangue come se fosse stato sudore.

Din guardò accidentalmente la maglia a terra, ma dovette immediatamente distogliere lo sguardo. Pensò che evidentemente non era una persona forte di stomaco.

-Gun…

-Va.. va tutto bene, okay? Respira. – disse lentamente prendendogli il viso tra le mani. –Abbiamo solo bisogno di Kima.

Detto questo sì alzò e si diresse verso la porta, visibilmente agitato, ma allo stesso tempo sembrava sicuro di ciò che dovesse essere fatto.

Eppure qualcosa sembrò fargli cambiare idea.

Fu un attimo.

Din sentì la carne lacerarsi, come se fosse stato fatto di stoffa, una volta, e poi un’altra, e un’altra ancora.

Urlò, mentre sentiva le lacrime scivolargli sul volto alla stesso modo in cui sentiva il sangue scorrergli sulla schiena.

Gun si fermò giusto davanti all’uscio, con la mano sospesa in aria, pronta a poggiarsi sulla maniglia. Aveva gli occhi neri adesso, e lo sguardo cupo. Mormorò qualcosa di incomprensibile in una voce che sembrava provenire dall’oltretomba, poi si voltò a guardarlo.

Quello che vide lo sorprese così tanto che istintivamente indietreggiò e sbatté contro il muro. Si prese la testa fra le mani e gridò. Si muoveva barcollando, stringendo i capelli tra le dita, come se stesse cercando disperatamente di liberarsi di qualcosa.

Stava iniziando ad emanare una strana aura che anche Din, per quanto fosse appena arrivato, appena la vide capì che non avrebbe portato nulla di buono.

Fu un attimo, entrambi stremati dal dolore, alzarono lo sguardo per incontrare quello dell’altro. Fu un solo attimo di apparente lucidità in cui Din vide che Gun stava piangendo.

Un solo attimo, perché in quello successivo una freccia – o almeno qualcosa che le assomigliava molto – attraversò l’aria e colpì Gun, che si accasciò a terra quasi immediatamente.

Un gruppo di quelli che sembravano soldati entrarono nella stanza, con a capo Kimano, che come prima cosa estrasse la freccia dal fianco del corpo privo di sensi di Gun.

Din fece per protestare, ma un'altra fitta lo colpì, facendolo urlare ancora, attirando involontariamente l’attenzione degli altri su di lui.

Tutti rimasero scossi da ciò che avevano davanti, in modo particolare Kima, che per un attimo rischiò di perdere l’equilibrio, ma cercò comunque di mantenere un contegno in qualità di capo della situazione.

-Il Rifiuto… - mormorarono un paio di persone alle sue spalle.

Fu allora che il ragazzo si riscosse.

-E allora? – li aggredì – Ha perso troppo sangue, ha bisogno di aiuto. – disse facendo qualche passo in avanti, ma in tutta risposta il resto del gruppo, che sembrava terrorizzato da ciò che vedeva, indietreggiò, schiacciandosi l’uno con l’altro, qualcuno rischiò anche di inciampare e cadere.

-Dannazione! – fu l’unica sua reazione. – Occupatevi di Guren almeno, sì?

Mentre gli uomini che aveva al seguito si affrettavano a caricarsi in spalla il corpo svenuto del ragazzo per portarlo altrove, Kima afferrò la cassetta dei medicamenti appesa al muro e si precipitò accanto all’altro, tastandogli immediatamente la fronte.

-Tsk, sei congelato... Va tutto bene, Danny. – cercò di rassicurarlo, stringendogli la mano. Sapeva che comunque non gli avrebbe creduto: non era proprio lo standard comune dell’andare tutto bene. – Tieni duro, va bene? Liberare le tue ali è qualcosa che puoi fare solo tu.

Iniziò a srotolare le bende e a immergerle una ad una in una delle medicine che aveva portato.

Ciò che Din avvertì dopo fu metà della sua schiena bruciare, a causa della reazione tra il liquido e le ferite insanguinate, e l’altra metà spingere, come se ci fosse qualcosa sotto lo strato di pelle che tentava disperatamente di uscire.

Avvertiva le mani di Kimano sistemargli le bende sulla schiena solo lontanamente, come se stesse perdendo la sensibilità delle cellule. O almeno, fino al momento in cui quelle dita sfiorarono la parte pulsante. Quello lo sentì così distintamente che gli si spezzò il respiro.

-Un altro piccolo sforzo…

Ed ecco di nuovo quella sorta di lama ferirlo dall’interno e iniziare a lacerare ciò che riteneva un ostacolo al suo passaggio.

Nonostante stesse cercando di trattenersi con tutte le sue forze, gli fu impossibile restare completamente in silenzio. E tutto quello che riusciva in qualche modo a soffocare sfogava comunque in lacrime. All’improvviso sentì tutta la presenza scivolare all’esterno con un’ultima fitta, liberarsi dalla gabbia in cui era stata costretta fino a quel momento.

Din si concesse il lusso di rilassarsi un attimo, stremato e ansimante, mentre anche l’altra metà della sua schiena veniva fasciata.

-Hai fatto un buon lavoro. – lo elogiò.

Ma in quel momento non gli interessava di sé, delle ali che aveva appena liberato per la prima volta, di tutto il sangue che aveva perso.

Alzò un braccio, ancora tremante, e lo sollevò fino a stringere la spalla di Kimano.

-Gun… - mormorò.

L’altro sospirò e prese con due dita una delle piume che erano cadute a terra, sollevandola all’altezza degli occhi del compagno.

-Penso che prima dovresti preoccuparti di te.

In quel momento, un raggio di luce riuscì ad oltrepassare la coltre di nubi che lo intrappolava ed entrò nella stanza, ferendo l’ammasso di piume nere che Din portava addosso.

_*_*_*_*_*_

 

-Non m’importa di me! – quasi urlò, sbattendo un pugno sulla scrivania.

Un brivido lo attraversò dalla testa ai piedi, e le ali si contrassero automaticamente.

Ad avvertire quella sensazione, l’espressione di Din si ammorbidì di colpo, mettendo in pausa temporaneamente la discussione.

-Oh, reagiscono!

Kima lo guardò come a dire “Non sai neanche questo…”, inducendolo a controbattere.

-Però…!

-Danny! – lo richiamò. – Quanti anni hai?

-….diciannove.

-Bene. Sai quanti anni ha Gun?

Non poter rispondere a una domanda così basica lo mise così in imbarazzo che in risposta si limitò a scuotere la testa.

-Ne ha ventidue, Din, ventidue. E sai da quanto tempo è con noi?

-Quasi un anno…

-Esattamente! Quasi un anno in cui non se n’è stato seduto in un angolo a fare nulla, ha preferito vivere con noi. Penso di sapere abbastanza bene come comportarmi e a cosa dare la precedenza.

-Mi stai dicendo che non…

-Non sto dicendo che non hai il diritto di sapere cosa è successo. Sto solo suggerendo di ascoltare le uniche quattro cose che sappiamo su di te, prima. E dal momento che è tutto collegato, magari dopo capire cosa ha passato Gun ti risulterà più facile.

Din abbassò lo sguardo. Era stato praticamente sconfitto, non aveva neanche più un solo modo per cercare di rispondere. Quindi, si limitò a sedersi di fronte alla scrivania dell’ufficio di Kimano, e a mettersi in ascolto.

Quest’ultimo sospirò, probabilmente di sollievo. Era da tanto tempo che non incontrava qualcuno così testardo.

-Sarò abbastanza diretto riguardo tutto questo.

-Din, tu non esisti.”

-Lo sei sempre stato, se non ricordo male…

-…mi piace essere il più sincero possibile e risparmiare tempo. – Din alzò le sopracciglia in modo ironico, ma non disse nulla. - So che in quel momento eri più morto che vivo e che di certo non volevi metterti ad ascoltare ciò che dicevamo, ma posso anche immaginare che sentire qualcuno definirti “Rifiuto”, a prescindere dalla situazione, ti salterà sempre all’orecchio.

Non aveva completamente torto. Indubbiamente aveva sentito qualcuno apostrofarlo in quel modo, nonostante stesse concentrando tutte le sue forze nel cercare di non mollare, ma ascoltarlo gli era stato inevitabile. Aveva pur sempre due orecchie funzionanti. E ricordava anche le espressioni che si erano dipinte sui volti degli altri subito dopo quella parola. Per questo, annuì.

-Il Rifiuto non è una cosa comune. L’ultima testimonianza di una presenza del genere l’abbiamo trovata nei diari dei Palazzo di più o meno due secoli fa. A quanto pare, l’ultimo Rifiuto fu costantemente tenuto sotto la custodia mio predecessore. Questo significa che non possiamo chiedere informazioni a nessuno, nemmeno a coloro che erano qui già duecento anni fa, perché nessuno ne era stato informato. Di conseguenza, sappiamo solo quello che il Re scelse di scrivere nei diari.

-Aspetta, aspetta un attimo. Se questo Re in questione era tuo predecessore, tu

-Non penso sia il momento di prestare attenzione a una cosa così futile. – rise Kimano, lasciando Din nello stupore più totale e nel pentimento di aver reagito più volte con una totale mancanza di rispetto nei confronti del Re.

La cosa parve traumatizzarlo più del previsto, perché si raddrizzò sulla sedia e non emise neanche il suono di un mezzo sospiro.

-E il Re decise di informarci di poche cose, troppe poche, non sappiamo se perché sapesse solo quelle, o se perché sperasse che una cosa del genere non accadesse più. Sappiamo che i Rifiuti possono comparire sia nel settore degli Angeli che in quello dei Vampiri, ma in ogni caso, per qualche ragione entrambe le parti ne verranno a conoscenza. Sai cosa significa, Din?

-Che già sanno che ne è apparso un altro…

-Esattamente. Un Rifiuto è un elemento che non appartiene né agli Angeli, né ai Vampiri, e per questo presenta elementi di entrambi che, secondo il precedente Re, variano a seconda del soggetto. Nel tuo caso, hai queste ali nere con la struttura ossea simile a quella dei pipistrelli e le piume da angelo, ma non mi sorprenderei se avessi anche delle zanne o se, come loro, ricavassi potere dal nostro sangue. Beh, in quel caso potrebbe essere un piccolo problema, ma comunque.

-Uhm… ho una domanda. – aspettò un cenno di permesso da parte di Kima, quindi continuò. – Se i Rif… cioè, se noi non apparteniamo né a voi né a loro, secondo quale principio veniamo affidati a una delle due parti?

-Ottima domanda. Il Re supponeva che, ad esempio, un Rifiuto nel mondo dei Vampiri fosse in realtà un Angelo mandato nella parte opposta per adempiere una determinata ‘missione’. Non ha mai scritto di aver capito cosa dovesse fare il Rifiuto che lui custodiva, comunque, quindi non so fino a che punto possa essere un’ipotesi verosimile. – attese quindi di ricevere un segno che gli facesse capire di essere stato chiaro. - Ti chiedo di fare molta attenzione Din, davvero. Ci troveremo, anzi, ti troverai i vampiri alle calcagna da un momento all’altro, e sarà difficile proteggerti se starai lontano da noi. Non penso che tu sia ancora immaturo o debole per difenderti, ma cerca di capire che non sarà uno scontro uno-contro-uno, e i Vampiri possono essere più cruenti di quello che sembrano. Per questo… di solito nessuno viene accettato all’interno prima dei ventun anni, e soprattutto non prima di alcuni test e allenamenti. Ma tu, entra nell’esercito e resta a Palazzo, Din, per favore.

Ci furono alcuni attimi di silenzio.

-Va… va bene. Suppongo.. Sono una frana a combattere però.

Kimano si rilassò visibilmente sulla sedia dietro la scrivania.

-Stando a ciò che scrisse il Re, sei stato molto più pacifico della ragazza che toccò a lui. – sorrise.

-È che non so quanto mi convenga essere scettico, qui... l’ultima volta che l’ho fatto, sono stato quasi ucci… Ah! – disse scattando in piedi.

Poi si ricordò di chi aveva di fronte e si risedette, continuando però a guardarlo con occhi impazienti.

Kima si prese la testa tra le mani e sospirò, di nuovo.

-Aghh, va bene, va bene! Non c’è modo di farti cambiare idea, vero?

-No, temo di no…

Kimano aveva perso il conto di quante volte avesse sospirato in più o meno mezz’ora. Lo squadrò attentamente, ma non riuscì a cogliere niente che potesse essere un ostacolo a fargli conoscere la storia. Sembrava sincero e sinceramente interessato, per qualche sconosciuta ragione.

Dopo svariati minuti di silenzio assoluto, il momento in cui iniziò a parlare fu così improvviso che Din sobbalzò.

-Gun arrivò qui più o meno nella tua stessa condizione, anche se fu molto più violento di te, comunque. Sai già che ruppe alcune cose nella Sala, no? Ovviamente non credette a nulla di ciò che gli avevamo detto, anche perché, insomma, nessuno pensò di scaraventarlo contro un muro per fare in modo che qualcuno di noi si rivelasse.

Lo sguardo che Din stava ricevendo in quel momento gli fece alzare un sopracciglio.

-Non è che alla fine dovrei anche adorarlo per avermi rotto la metà delle ossa, no?..

Kimano si allungò col busto sulla scrivania, verso di lui.

-Vediamo come tra dieci minuti avrai già cambiato idea?

Poi tornò a sedersi in posizione eretta, lasciando l’altro un tantino dubitante.

-Passò più o meno il primo mese senza che lui si muovesse dalla stanza che gli avevo assegnato, senza relazionarsi praticamente con nessuno. Il motivo che forse non sai per cui le ali reagiscono agli impulsi delle emozioni come se stessero gesticolando da sole, seguendo il tuo stato d’animo, è il fatto che loro nascono a partire da ciò. Uhm… pensa a un seme impiantato che sboccia accumulando le emozioni, le sensazioni, le relazioni legate a questo Mondo, sia positive che negative. Gun, ovviamente, non ne provò, dal momento che si era isolato. Questo portò una gran parte della nostra popolazione, e anche i Vampiri, a pensare che lui fosse un Rifiuto.

-Come facevano i Vampiri a…

-Noi Re di entrambi i settori siamo capaci di monitorare le presenze in questo Mondo in base alla specie. Pensa a un grande tabellone su cui ci sono pallini di tre colori diversi: uno per gli Angeli, uno per i Vampiri, e l’altro per le razze estranee. – Din annuì convinto, visibilmente interessato. - Gun era nel nostro settore, ma non aveva ancora nulla che lo rendesse uno di noi. Dal momento che nessun’altra specie animale o umana a parte le nostre possono arrivare qui, i Vampiri arrivarono alla conclusione che fosse un Rifiuto. Per questo, ci attaccarono. O meglio, ci tesero un’imboscata. Una decina di loro infatti, approfittando della confusione della battaglia principale, raggirarono il Palazzo e riuscirono a rapire Gun. Nel mese successivo cercammo di essere il più persistenti possibile: li attaccavamo praticamente due giorni su tre, per cercare di riprendercelo, ma ogni volta, in qualche modo, riuscivano sempre a decimarci, senza che riuscissimo a fare nulla. A un certo punto, questo “schema demografico” di cui ti parlavo prima ci avvisò del fatto che Gun aveva messo le ali, e non era assolutamente un Rifiuto. Puoi…puoi immaginare l’allegria dei Vampiri al trovarsi un Angelo tecnicamente appena nato servito su un piatto d’argento? Gun alla fine riuscì a scappare. Dopo un mese e mezzo dalla cattura, però. E ritornò qui, ma era irriconoscibile. Non fu capace di camminare per settimane, non parlava, le ferite sembravano non voler guarire, e in più, era senza un’ala.

-Cosa… cosa significa senza un’ala..

-L’avevano tagliata, Din. Per prenderne il sangue, l’avevano tagliata, e non si erano risparmiati a squarciare anche buona parte della schiena. Avevano troncato l’ala in un punto in cui ciò che restava del muscolo tentava continuamente di rigenerarsi, ma ormai era tutto infettato, ogni volta eravamo costretti a reciderla. Alla fine, non c’era nessun’altra soluzione se non quella di ricucire l’apertura. Dopo tutto questo, Gun ha… sviluppato un alter ego, una sorta di personificazione delle torture che ha ricevuto, che non può controllare.

Dovresti anche sapere che… che ognuno di noi Angeli custodisce un proprio Demone, generalmente molto, ma molto in fondo. Questo suo alter ego non ha fatto altro che rafforzare questa sua parte. Ormai le sue due personalità sono sul filo del rasoio, una di fronte all’altra. Temiamo costantemente che possa restare in piedi quella demoniaca. Sentirti urlare, prima, l’ha più o meno risvegliata. Era da un po’ di tempo che non succedeva, in realtà. Sicuramente gli avrai ricordato il dolore che provò lui, durante il suo momento, e avrà pensato che “se nessuno era lì ad aiutare me, perché io dovrei aiutare lui?”. Poi ti ha visto sfoggiare delle ali che potrebbero appartenere solo a un Rifiuto, quello vero stavolta, e quindi la situazione è degenerata. Quando arriva così vicino a lasciare che il suo demone prenda il controllo, l’unica cosa da fare è addormentarlo. È nei sotterranei adesso, quindi potresti…

Alzò un attimo gli occhi sull’altro, per trovarsi di fronte una persona visibilmente scossa, con gli occhi lucidi e qualche lacrima che già aveva deciso di scivolare giù per il viso. Stava tremando, e teneva un lembo della maglietta stretto in un pugno.

-No.. no, io non penso sia una buona idea…

-Oh, andiamo! Piangi molto più di quanto dovresti, sai. – gli sorrise, cercando di sdrammatizzare, ma non ci riuscì.

-Ho iniziato a causare problemi ancor prima di arrivare. Lui mi odia. Sono stra-sicuro che mi odi, anch’io mi odierei. Con tutto il tempo che ha avuto, avrebbe potuto tranquillamente uccidermi nel sonno!

-Non mentirò, avrebbe potuto. Ma non l’ha fatto, ci sarà un motivo, no?

-…. Ma se mi vedesse in queste condizioni..

-So che ci vorrà ancora un po’ di tempo prima che tu impari a controllarle, ma comunque, voglio avvertirti che le hai già ritirate più o meno un quarto d’ora fa. – disse semplicemente.

Din aggrottò le sopracciglia, guardandosi attorno stupefatto.

Facevano così tanto casino per uscire, e poi rientravano come se non fossero mai esistite?

Kimano lo prese per le spalle e lo guardò dritto negli occhi, serio.

-Penso che tu abbia finito le scuse per non andare a trovare un tuo compagno che sta affrontando da solo una brutta situazione.

Aveva quindi fatto chiamare qualcuno affinché gli mostrasse la strada fino ai sotterranei.

Aspettando questa nuova persona, Kimano, con occhi pieni di ammirazione, l’aveva presentata non solo come una delle sentinelle più strette che aveva, ma addirittura anche come il Comandante dell’armata.

A sentire quelle parole, Din si era più o meno aspettato che dalla porta entrasse un bestione, alto più o meno due metri e largo uno, il tipo di persona che non penseresti neanche per scherzo di contraddire.

Restò quindi abbastanza scosso quando vide entrare una ragazza piuttosto mingherlina, e lo fu ancora di più quando capì che lei non stava accompagnando nessuna persona, bensì che era lei, in carne ed ossa, colei che stavano aspettando.

Per un secondo pensò a come fosse possibile far combattere una ragazza del genere. E a come fosse possibile che fosse un tale pezzo grosso, con quel corpo sottile, quei lineamenti dolci che si ritrovava e quei capelli azzurri che, nonostante fossero più corti di quelli di Kimano, superavano comunque la lunghezza che nella sua testa s'addiceva ai combattimenti.

Dopo essersi posizionata davanti la scrivania, si inchinò per alcuni secondi, per poi ritornare in posizione eretta e rivolgere uno sguardo a Din.

Aveva l’espressione stanca di quelle persone che ricoprono la loro posizione da anni ormai – o forse, in merito agli Angeli, sarebbe più appropriato parlare di secoli? – ma non sembrava il tipo da andare in giro a vantarsi della sua esperienza o del ruolo elevato che ricopriva, e questo mise Din più o meno a suo agio.

-Din, lei è Moira. Se posso darti un consiglio, non farti idee troppo gentili su di lei prima di vederla combattere. Moira, lui è Din, il nostro Rifiuto.

-Nome formale?

Kimano alzò gli occhi al cielo come a dire “è sempre la stessa storia”.

-Danny. – rispose.

A questo punto si inchinò.

-Piacere di conoscerti, Danny.

Lui, dal canto suo, rimase leggermente interdetto davanti al fatto che un Comandante - donna, per giunta – si stesse inchinando a lui.

-Ah, no.. piacere mio! – si affrettò, abbozzando a sua volta l’inchino migliore che riuscisse a fare.

_*_*_*_*_*_

 

Quando Moira lo avvisò di essere arrivati, Din si ritrovò inconsciamente a pensare che la ricchezza di un edificio poteva tranquillamente essere definita in base ai suoi sotterranei.

Era solo il suo primo giorno lì, eppure pensò di trovarsi nel reparto più grande e ordinato del castello.

Si erano fermati in una sola, comune stanza, eppure questa era collegata liberamente, senza porte o scale, a una decina di altre stanze, fino a formare un complesso in cui – rifletté – non sarebbe stato affatto difficile per lui perdersi.

Ogni cosa in quel luogo era posizionata nel modo più sistemato e ordinato possibile. Senza contare che tutto il complesso era persino più luminoso dell’ufficio di Kimano, per quanto non riuscisse a spiegarsi come fosse possibile una cosa del genere.

Moira gli disse che sarebbe bastato continuare ad attraversare un paio di stanze alla sua destra per trovarlo, facendo intendere che lei invece sarebbe rimasta lì.

Danny quindi la ringraziò, e iniziò a camminare attraverso il reparto del grano, quello dei tessuti e quello delle armi, prima di trovarsi di fronte l’unica porta di tutto il complesso.

La sala che si aprì ai suoi occhi si sviluppava in lunghezza piuttosto che in larghezza, ricordando più o meno un corridoio, ed era tappezzata di celle da entrambi i lati.

Gun però non era dentro nessuna di quelle, bensì seduto fuori, con le spalle appoggiate alle sbarre di ferro. Non si voltò, nonostante la porta fece un gran casino per richiudersi, e aspettò che Din si sedesse al suo fianco.

-Mi dispiace. – disse poi.

-Nonostante non abbia fatto nulla per cui scusarti?

Gun rifletté un attimo.

-Sì.

Din restò in silenzio.

Voleva dirgli che non c’era nulla per cui dovesse dispiacersi, ma sembrava la solita frase fatta per cortesia, e invece lui lo pensava sul serio, quindi cercò di trovare un’altra soluzione. Era una vittima che si stava scusando, non suonava giusto in nessun modo.

Ma prima che potesse trovare qualcosa di intelligente da dire, Gun parlò di nuovo.

-Non riesco a capire se hai del fegato, o se sei semplicemente troppo stupido. – disse piano, cogliendo l’altro di sorpresa.

-Ah?

-Voglio dire… non penso che non ti abbiano detto nulla, no? Lo vengono a scoprire tutti prima o poi, e a maggior ragione tu…

-Mi hanno raccontato... – rispose piano, incerto se dirlo o no.

-E allora perché… Per quale motivo sei qui?

Din alzò un sopracciglio.

-Per quale motivo non dovrei esserci?

Per qualche ragione questa frase fece ridere Gun. Era una risata triste, malinconica. Una risata che di risata aveva quasi niente.

-Sono un mostro, Din.

-Lo sono anch’io. – fu l’unica cosa che disse, sollevando le spalle disinteressatamente.

Un altro silenzio si interpose tra le loro parole per qualche secondo.

Poi fu Din a parlare di nuovo.

-Non so…esattamente cosa fare prima tra scusarmi e ringraziarti.

-Ring…Per averti prima distrutto e poi per averti quasi lasciato morire?

-Tecnicamente sì.

-Tu stai male. – sorrise, scuotendo la testa.

Din fece un’espressione che sembrava voler dire “probabilmente sì”, poi seguì.

-E scusarmi per tutti i problemi che ti ho creato ancora prima di arrivare.

-Come se fossi responsabile.

-Beh.. neanche tu lo sei, ma ti sei scusato comunque.

Gun tacque qualche secondo. All’inizio non sembrava volesse rispondere, poi parve cambiare idea.

-C’è una cosa che puoi fare per riparare.

Din balzò in ginocchio, chiedendogli con lo sguardo di andare avanti, facendogli capire che nella sua situazione avrebbe fatto qualsiasi cosa.

Gun quindi staccò leggermente la schiena dalla sbarre, giusto quel poco che bastava per permettergli di sfilarsi la maglia, e poi si voltò, in modo che Din vedesse.

Ed era impossibile fare altrimenti, dal momento che la cicatrice risaltava in modo impressionante sulla pelle candida del ragazzo. Partiva all’altezza delle scapole e, allargandosi e stringendosi in alcuni punti, arrivava più o meno alla fine della spina dorsale. Sembrava quasi un motivo d’orgoglio, pulito e curato, quasi messo lì a posta. Ma Din ormai sapeva ciò che c’era stato dietro, prima di poter arrivare a mostrarlo così.

Gun si appoggiò di nuovo al freddo ferro, ma non si preoccupò di indossare nuovamente l’indumento che ora giaceva disordinatamente a terra.

-Hanno usato le zanne, Din. – sembrava che stesse rivivendo proprio in quel momento quei ricordi. – Sono esseri violenti, senza scrupoli, si divertono a discapito degli altri. Quindi ti prego, promettimi che non ti farai mai, mai prendere da loro.

Aveva in volto quell’espressione supplichevole, con gli occhi umidi, e gli tremavano leggermente le mani. Gli stava chiedendo di non farsi catturare, stava mentalmente supplicando che non gli accadesse ciò che lui aveva vissuto.

E gliel’aveva presentato come modo per riparare ciò che lui aveva sopportato.

Fu un attimo in cui neanche Din capì esattamente cosa voleva fare, semplicemente reagì d’istinto senza pensare più di tanto alle conseguenze.

Poggiò una mano a terra e si sporse in avanti, fino a raggiungere le labbra di Gun con le sue.

Non chiuse gli occhi, ma restò a guardare l’espressione stupita che prendeva forma sul volto dell’altro, mentre spalancava gli occhi permettendo a una lacrima appena formata di scivolare giù.

Dovettero accorgersi di ciò che stava succedendo esattamente nello stesso momento, perché all’improvviso entrambi arrossirono e si staccarono, impacciati, volgendo lo sguardo altrove.

Din, per quanto continuasse a provarci, non riuscì a trovare nessuna spiegazione razionale a ciò che aveva fatto nemmeno per se stesso.

 

 

_*_più o meno un mese dopo_*_

 

 

Una delle guardie entrò nella stanza inchinandosi rispettosamente.

-Le armi sono pronte, Signore.

Kimano si infilò il guanto squamato che gli mancava, muovendo le dita per scioglierne i muscoli.

-Grazie. – lo congedò.

Poi afferrò la spada al suo fianco a la rigirò tra le mani, cercando l’impugnatura perfetta, mentre lanciava un’occhiata all’arco poggiato a terra e alla persona seduta con la testa sulle ginocchia al suo fianco.

-Era da molto che non indossavo la divisa. Mi mancava, quasi. – affermò abbottonandosi le maniche.

Il nero assoluto che portava addosso risaltava in modo impressionante con il viola chiaro dei suoi capelli. Le uniche cose che davano un po’ di luce erano qualche linea di colore rosso qua e là, e le spille e i distintivi applicati sulla parte sinistra del suo petto.

La persona seduta a terra portava lo stesso modello di divisa, ma di un colore grigiastro e le rigature azzurre, che richiamavano vagamente quelle sul suo arco.

-Non voglio che combattiate per me. – ripeté per l’ennesima volta, rivolgendo gli occhi chiari al Re. – Non senza che io possa aiutarvi, tra l’altro!

Il giovane sovrano non aveva mai dato segni di voler cambiare idea, e il fatto che ignorò si nuovo le sue proteste fece capire che era ancora determinato sulla sua decisione.

-Stanno venendo per te, ti è chiaro questo? Stanno venendo esclusivamente per te. Non è assolutamente possibile metterti in campo a combattere, sarebbe come consegnarti direttamente alla morte, e non è una cosa che ho intenzione di fare per il momento. Capiscimi Din, con le ali che hai non è neanche possibile nasconderti.

-Posso prendermi la responsabilità e combattere da solo.

-Praticamente vuoi consegnarti?

-No che non voglio consegnarmi…

Ricevette un’espressione da “appunto” in risposta.

-E non sei ci solo tu. I vampiri hanno un “conto in sospeso” anche con Gun, ricordalo. Portare te fuori significherebbe concentrare tutte le attenzioni sul proteggerti, e nessuno potrebbe controllare un’eventuale infiltrazione come l’altra volta. – concluse, iniziando a camminare fuori dalla stanza.

Din appoggiò un’altra volta la testa sulle sue ginocchia. Ci andava sempre con i piedi di piombo quando Gun entrava nei discorsi.

All’improvviso sentì riecheggiare nella sua testa alcune parole che aveva sentito tempo addietro.

Ci tesero un’imboscata. Approfittando della confusione della battaglia principale, raggirarono il Palazzo e riuscirono a rapirlo.”

La sua mano scivolò automaticamente alla sua destra fino a raggiungere l’arco e a stringerlo tra le sue dita. Scattò in piedi.

-Kimano!

-Mh?

-Gun! È.. nei sotterranei?

-Sì, perc…? – fece per voltarsi, ma non riuscì a terminare la frase, in quanto Din si era già fiondato fuori dalla stanza e stava già correndo lungo il corridoio a sinistra, seguendo i ricordi che aveva della strada da percorrere.

Kima sospirò, mentre Moira, uscita chissà da dove, gli si avvicinava. Anche lei portava la stessa divisa che aveva Din, e in quel momento era intenta a manovrare un codino dello stesso verde acqua delle sfumature nei suoi capelli.

-È andato? – chiese.

-È andato.

Kima iniziò a raccogliersi i lunghi capelli in una delle trecce che era solito farsi.

-Li attaccheranno... – continuò a voce bassa.

-Ma ne eravate perfettamente consapevole quando avete messo a punto il piano, vero?

-Vero.

-E nel piano avete deciso di far in modo che si trovasse lì perché siete convinto che possano farcela insieme, vero?

-Vero… ma ci sarà Jae, Moira. Sappiamo già che Jae sarà lì per riprendersi Gun.

-Andrà tutto bene. Sono un Rifiuto e un potenziale Demone, Kimano. Se la caveranno.

-È meglio che sia così. Non sono pronto a perderli entrambi per un mio errore.

Distolse infine lo sguardo dalla direzione che aveva preso Din, per poi posarlo sulla lama della sua spada, che luccicava come se stesse implorando di essere afferrata. La accontentò, stringendo le dita saldamente attorno all’impugnatura, poi si schiarì la voce.

-Asmodeo!… uhm, era così?

Un’aura scura, come fumo, avvolse l’arma e si sollevò in aria, modellandosi, fin quando non assunse lineamenti umani.

Dopo qualche secondo, al posto della spada, apparve un ragazzo avvolto completamente di nero, dalla punta del cappuccio del mantello che gli copriva i capelli fino all’ultimo orlo dei pantaloni, con le braccia incrociate e un’espressione ironicamente offesa.

-È rude da parte tua non ricordarti il nome del tuo Demone, Kimi

-Piantala col Kimi. Giuro che se hai fatto qualcosa a quell’arma…

-Arma? Uhm, quale arma? – chiese con un tono innocente che aveva ben poco di credibile.

-Non fingere con me, è inutile. L’arco, quello di Danny. Non potrei mai perdonarti se gli avessi dato un’arma truccata in questa situazione.

Il Demone parve diventare improvvisamente serio.

-È un semplice arco, Kimano... era così? – aggiunse a bassa voce, imitandolo. - Non gli ho fatto nessun maleficio per permettere al Demone di sopraffare il ragazzo, se è quello che stai insinuando.

-Non parlare come se non avessi mai fatto qualcosa del genere.

Il Re, nonostante stesse cercando di conservare un’espressione dura e determinata, si tranquillizzò visibilmente, anche se per poco.

-Beh… A questo punto una cosa del genere potremmo anche farla a quel Guren, non credi? Non è che manchi molto al momento in cui il suo Demone lo possederà completamente, ad ogni modo. Non sarebbe meglio anticipar…

Kima scattò in avanti quasi senza pensare, strinse le dita attorno al suo collo e lo spinse a terra, inchiodandolo col suo peso. Aveva uno sguardo fulminante adesso, si vedeva lontano un miglio che se avesse potuto ucciderlo l’avrebbe già fatto.

-Scherzavo, scherzavo. – sussurrò, cercando di allentare la stretta attorno alla sua gola e alzandosi a sedere, con ancora Kimano che faceva peso seduto sulle sue ginocchia.

Sentiva chiaramente l’espressione del Re sopra di lui, come se stesse cercando di mandarlo a fuoco solo con gli occhi, quindi decise di lasciar cadere il discorso e di tornare a parlare di Din e del suo Demone.

-Non sarà un semplice arco a distrarlo, Leonard è stato sempre il tipo che rispetta i suoi spazi, comunque.

-Deve aver avuto molto poco a che fare con te, allora.

Asmodeo rise, e spostando un attimo lo sguardo, notò la ragazza davanti alla porta, ch’era stata in silenzio fino a quel momento.

-Moira, da quanto tempo! – in tutta risposta, l’altra guardò altrove, ignorandolo – Ahh, insomma… cosa le hai detto di me?

Kimano alzò un sopracciglio, squadrandolo.

-C’è davvero bisogno che io dica qualcosa?

Il suo aspetto in effetti si commentava da solo.

Il Demone si sfilò il mantello nero che lo copriva da capo a piedi, cercando di migliorare la situazione, ma non servì a un granché.

Nonostante avesse addosso vari colori, sembravano tutti così spenti e rovinati da essere confusi a prima vista con varie tonalità di grigio, e per questo l’unica cosa che risaltava sul serio era la sua pelle pallida, quasi argentata, e non era proprio rassicurante. In più, aveva le mani terribilmente ossute – il che faceva immaginare che fosse scheletrico, al di sotto della divisa – gli indumenti logorati e stracciati e i capelli biondi lunghi tagliati irregolarmente in più punti, probabilmente a causa delle numerose battaglie che aveva affrontato.

Persino gli occhi, di un verde spento, sembravano consumati.

Alcuni disegni neri si allungavano sul suo volto e sul collo, probabilmente erano simboli di qualche maledizione con cui aveva inevitabilmente a che fare, considerata la sua natura.

Le uniche cose che non sembravano essere state cambiate dal tempo erano le corna scure che spuntavano tra qualche ciocca di capelli.

-Beh, sarà… In fondo, ho accettato di diventare la Spada del Re. – rifletté, alzandosi finalmente in piedi e abbozzando un inchino elegante che sembrava a metà tra il rispetto e l’ironia.

-Ti ho reso il Re dei Demoni, Asmodeo. Datti una sistemata ogni tanto.

Sentire quelle parole sembrò portarlo al settimo cielo, un tipico sorriso demoniaco si aprì sul suo volto.

-Lo farò. – asserì.

Dopo alcuni secondi, un rado fumo nero iniziò a sollevarsi nell’aria, avvolgendo il Demone nello stesso modo in cui prima l’aveva liberato.

-Non hai il permesso di morire, Kimano. – disse, prima di ritornare la fedele spada che il Re impugnò saldamente, lasciandosi scappare una risatina.

-Nessuno ce l’ha. – concluse lui.

_*_*_*_*_*_

 

Din stava camminando in punta di piedi lungo l’ultima rampa di scala che lo separava dalla sua metà.

Avrebbe potuto giurare di aver sentito dei rumori di cose cadere provenire dai sotterranei.

Sapeva che i Vampiri non li stavano attaccando in modo sincero. In fondo li avevano già ingannati una volta, cosa impediva loro di provarci una seconda?

Per questo se l’era svignata prima che qualcuno potesse impedirlo, assolutamente determinato a proteggere Gun e anche se stesso.

Allo stesso tempo però, non poteva dire di essere mentalmente pronto a incontrare di persona dei vampiri…

Scosse la testa, cercando di scacciare via le sue indecisioni.

Era troppo tardi per tornare indietro, comunque.

Sporse leggermente il capo oltre l’entrata, per poter vedere all’interno della stanza

Desiderò con tutto il cuore che fosse ancora in tempo per tornare indietro.

La prima cosa che vide fu una fila di personaggi palesemente secondari sul fondo, all’incirca cinque persone che non avrebbe neanche dovuto notare. Non era possibile identificarli visivamente, dal momento che erano tutti vestiti di nero, con un cappuccio largo che arrivava più o meno all’altezza del naso.

Il fatto che fossero vampiri era palese: in un mese di vita al Palazzo aveva potuto constatare che nessuno andava in giro così.

Davanti a loro c’era una persona che dava tutta l’impressione di essere il loro capo.

Era un indubbiamente un ragazzo, indossava anche lui un mantello nero, ma aveva lasciato cadere il cappuccio, facendo in modo che si vedessero i suoi corti capelli grigi – Din era più che sicuro che non avesse nulla a che fare con la sua età – e l’espressione mista di divertimento e disprezzo allo stesso tempo che aveva in quel momento.

Infine, spostando lo guardo un po’ più a sinistra, vide una cosa che non avrebbe mai voluto vedere.

L’espressione di puro terrore sul volto di Gun era quasi raccapricciante, e la cosa che più lo sorprese fu il fatto che lui non stesse facendo nulla per nasconderla, anzi, si stava limitando a indietreggiare a ogni passo in avanti del suo nemico, e Din riusciva a vederlo tremare anche da quella distanza.

Indossava la loro divisa, e per questo riuscì a dedurre, da ciò che vedeva nello spazio della maglia apposito per le ali, che era pronto a lasciar uscire l’unica che aveva in qualsiasi momento.

Din sentì l’arco tremargli tra le dita.

 

Kimano lo portò in una stanza abbastanza scura, piena di oggetti dalle forme e dai colori più disparati. Gli occorsero alcuni secondi per realizzare che erano armi.

-Dal momento che sei nell’esercito, sarebbe stupido lasciarti senz’arma, no? – sorrise.

-Sono tantissime…

-Vero? Sarà il tuo demone a sceglierne una però.

Din aggrottò le sopracciglia, indicando se stesso interrogativamente.

-Sono armi magiche, queste. Con l’aura che emanano, saresti già impazzito da un bel pezzo. Ma tu non le avverti tutte, perché il tuo Demone ne ha già scelta una. Essendo parte di te, vivendo con te, ha già individuato la migliore per entrambi. Devi solo trovarla.

Din chiuse gli occhi e cercò di trovare nell’aria una qualsiasi cosa che non fosse normale.

All’improvviso sembrò avvertirla, una scia leggermente differente che sembrava volerlo attirare, come una calamita.

Questa consapevolezza gli provocò un brivido lungo la spina dorsale. Non si rese conto di essere realmente eccitato fin quando non sentì qualcosa aprirsi, liberarsi.

Arrossì di colpo e aprì gli occhi giusto in tempo per vedere Kimano schivare un potenziale colpo allo stomaco da un ammasso di piume nere.

-Insomma! – rise.

Din tossì imbarazzato.

-Mi dispiace. – mormorò, cercando con tutte le sue forze di ritirare le ali.

Poi si avvicinò deciso all’origine dell’onda magica che continuava ad avvertire.

Davanti a sé trovò un arco d’argento elegantemente lavorato, con alcuni nastri di color azzurro che lo avvolgevano in determinati punti, come se in realtà non stessero lì solo per bellezza.

Din sporse la mano, intenzionato ad afferrarlo, quando all’improvviso si bloccò e si rivolse al Re.

-È.. sicuro toccarlo?

L’altro annuì, e guardò il giovane familiarizzare con la sua nuova arma, prima di avvicinarsi nuovamente.

-Immagina di essere parte di un gioco, Din. – gli disse. – Ci sono solo due finali possibili, una volta ottenuta un’arma, il mezzo di comunicazione tra gli Angeli e i Demoni. Creare un legame col Demone, o essere sopraffatto da egli. Sta a te decidere. Nel caso riuscissi a seguire la prima opzione e ad instaurare un vero legame con il Demone, pensa di poter avere anche un extra..

-Extra…?

-Far diventare il Demone stesso la tua arma. Questo vi permetterebbe rispettivamente di diventare un Angelo puro e un Demone puro che diventerebbe esattamente quello stesso arco. Ma con tutti gli aspetti positivi che puoi trovare, non ci sono solo quelli. Una creatura del genere tenderà sempre a ingannarti, e a farti credere di aver stabilito una buona relazione quando in realtà punta solo a sopraffarti. Non ti sto dicendo di non credergli assolutamente, in fondo un rapporto solido si basa anche sulla fiducia, no?

-Io.. non sono bravo in questo tipo di situazioni rischiose..

-Dovrai affrontarle, però. La vera fiducia di un Demone è la cosa più salda di questo Mondo. Una volta stabilito quel tipo di rapporto, potrà minacciarti, ignorarti, prenderti in giro, esagerare in tutto, potrà anche fare in modo che tu abbia paura di lui, ma non sarà mai serio, non ti tradirà mai, né farà mai qualcosa che tu non vuoi.

Din aprì istintivamente le dita, come spaventato, e l’arco cadde di nuovo nulla mensola da cui l’aveva preso.

-Stava…vibrando? - si giustificò.

-È già un buon segno. – sentì in risposta.

Kimano gli fece poi segno di seguirlo e iniziò a camminare fuori dalla stanza.

-Ah! Kimano – lo chiamò nervosamente, chinandosi a riprendere l’arco. Il Re si fermò e lo guardò. -Quali.. frecce dovrei usare?

L’altro sorrise.

 

Una voce lo richiamò improvvisamente alla realtà.

Si affacciò ancora una volta. Era tutto uguale a prima, tranne per il fatto che il vampiro dai capelli grigi era riuscito a incastrare Gun in un angolo, e ora gli era incredibilmente vicino.

-Allora? Il tuo amichetto non verrà a salvarti? – all’inizio sembrava più una presa in giro, ma la mancanza di risposta dal ragazzo accovacciato che aveva di fronte sembrò irritarlo.

Per questo si abbassò all’altezza del suo viso e gli afferrò i capelli, tirandoli.

-Stai cercando di farmi incazzare anche oggi?

Ma Gun, a parte una smorfia mista di dolore e disgusto, non diede altri segni.

Fu allora che Din decise di dare ascolto al suo Demone, che non smetteva di emettere un continuo tremolio nella sua mano.

-Va bene Leonard, va bene.

Chiuse un occhio per calcolare la distanza e la direzione e tese l’arco in avanti con la mano sinistra. Avvicinò poi la destra e fece il gesto di incoccare una freccia invisibile. Seguendo i suoi movimenti, i nastri azzurri dell’arma si avvolsero attorno all’aria, per poi rivelare una freccia d’argento perfettamente a posto tra le dita del giovane, come se l’avesse avuta sin dall’inizio. Aveva avuto l’opportunità di provarlo per settimane, eppure non riusciva a non stupirsi ogni volta che evocava una freccia così.

Prese poi la mira e lasciò la presa.

La vide procedere velocemente attraverso la stanza e arrivare a pochi centimetri dal suo obiettivo, ma proprio due secondi prima che il tiro andasse a segno, questi si spostò, lasciando che la punta d’argento si conficcasse nel muro.

Il vampiro si voltò con un enorme sorriso in volto.

-Ecco qui il nostro secondo bersaglio.

Din capì che ormai nascondersi era inutile, quindi avanzò, con l’arco ancora teso in avanti.

Sentì Gun mormorare un “no” afflitto, ma lo ignorò, e continuò a tenere gli occhi fissi sul suo avversario.

Si aspettava che iniziasse ad attaccarlo o che puntasse al suo compagno come minaccia, invece al contrario, si allontanò dal ragazzo a terra e si sedette su una cassa lì vicino.

-Chiacchieriamo un po’, okay?

Il sorriso che quell’essere portava sempre stampato in faccia gli stava iniziando a dare la nausea. Non abbassò l’arco.

-Non dovresti essere così diffidente nei miei confronti. – sospirò – Sono pur sempre la persona che si è presa cura del tuo amichetto, sai.

Gun si alzò sui gomiti e guardò entrambi.

-Jae… - lo supplicò, ma l’unica cosa che ricevette in risposta fu un calcio nello stomaco, che gli interruppe il respiro.

Din scattò in avanti, ma il “Non fare un altro passo” che il vampiro gli rivolse subito dopo per qualche ragione lo immobilizzò.

Si odiò in silenzio.

Come poteva proteggere entrambi se non riusciva nemmeno a far fronte a una minaccia?

-A che serve aiutarlo? Non avrai nulla in cambio. Puoi smettere di giocare a fare l’amico adesso. Io so come ti senti… uhm, Danny, giusto? So come ci si sente a vedere qualcuno fare quello che avresti dovuto fare tu. Perché dovevi esserci tu al suo posto, non è così? Il Rifiuto sei tu, in fin dei conti... – disse cantilenando e sottolineando le parole.

Si alzò quindi dalla cassa e si avvicinò, iniziando a girargli intorno.

-Ma non devi preoccuparti, possiamo rimediare! – continuò – La cicatrice sicuramente non sarà uguale, ma posso mostrarti esattamente ciò che abbiamo fatto insieme. – sussurrò.

Gun, che era appena riuscito a risollevarsi di poco, al sentire quelle parole gemette terrificato, e quello fu l’unico suono che interruppe il silenzio dei secondi che seguirono.

Din stava tentando con tutte le sue forze di pensare a un significato che non fosse quello che aveva in testa, o quantomeno di cercare un segno che lo smentisse.

-Non quel.. – osò una voce incerta dall’angolo, prima di essere interrotta di nuovo da un colpo leggermente più debole del precedente.

Ah.

Danny liberò involontariamente le ali nello stesso momento in cui si ritrovò a desiderare con tutto se stesso che Leonard prendesse il controllo e riducesse tutti a brandelli.

-Uh la la. Usciamo allo scoperto senza farci troppi problemi?

Din incoccò velocemente una freccia e la scoccò, ma la rabbia che provava era più forte della concentrazione che aveva, e la freccia andò di nuovo a vuoto contro una parete bianca.

-Taci. – ringhiò.

Era ancora abbastanza lucido da capire che continuare a scagliargli frecce contro non sarebbe servito, quindi impugnò saldamente l’arco con entrambe le mani e decise di usare le sue estremità appuntite per colpire, scattando in avanti.

Questo colse Jae leggermente di sorpresa, ma riuscì comunque a schivare in tempo, cavandosela con un taglio superficiale in volto.

Aveva già sperimentato in prima e in terza persona la ferocia delle armi degli Angeli in altri momenti, per questo si ritrovò a ringraziare mentalmente di non essere stato preso in pieno.

Nonostante lo svantaggio iniziale, riuscì a recuperare senza troppi problemi, schivando uno ad uno i colpi che gli arrivavano consecutivamente.

Indossava un’espressione rilassata e provocatoria anche in una situazione del genere, e i suoi movimenti erano così leggeri e disinvolti che sembrava fosse guidato da qualcuno che conoscesse e anticipasse le mosse di Din.

-Basta giocare adesso, ne? – disse a un certo punto con tono pacato, sbadigliando quasi annoiato.

Quindi, invece di evitare semplicemente il colpo che seguì, come aveva fatto fino a quel momento, si spostò di lato e afferrò il polso del suo avversario. La stretta fu così improvvisa e forte che Din allentò senza volere la stretta attorno all’arco, dando l’occasione perfetta al suo avversario per disarmarlo.

Nel mezzo secondo che seguì, Jae gli bloccò il braccio dietro la schiena e approfittò di una momentanea perdita d’equilibrio dell’altro per spingerlo a terra.

Din si ritrovò, senza neanche capire come, steso prono sul pavimento, con la faccia schiacciata contro le mattonelle, immobile a causa di un vampiro seduto sulla sua schiena.

Fantastico.

Cercò di divincolarsi il più possibile, almeno per togliere le sue ali giusto da sotto il naso del nemico… beh, per ovvie ragioni.

Ma si immobilizzò non appena sentì qualcosa di sottile e appuntito accarezzarlo giusto in mezzo alle scapole.

-Io ci penserei un paio di volte, Danny – disse in tono petulante, applicando più pressione con l’arma sulla pelle.

Il Rifiuto non pensò a muoversi neanche per scherzo, neanche a contrarre un solo muscolo, ma non riuscì comunque a trattenere il “figlio di puttana” che gli premeva sulle labbra già da un po’.

Jae però decise di ignorarlo, e preferì piuttosto iniziare a guardarsi intorno, cercando qualcosa che sembrò trovare non appena incrociò gli occhi di Gun.

A quel punto iniziò a ridere.

-Quella.. quell’espressione che hai adesso, Guren. Quella di terrore, di supplica, di rassegnazione. Quello è il motivo per cui non ho mai smesso di volerti ferire di nuovo.

Gun non rispose. Sentire quelle parole l’aveva disgustato e allo stesso tempo terrorizzato ancora di più, ma era troppo occupato a tenere gli occhi su Din per pensare a lui. Avrebbe voluto muoversi e intervenire, ma non sentiva più nessuna forza in sé.

-Ho sempre desiderato di venirti a riprendere per continuare a torturarti, eppure adesso... adesso riesco a ferirti attraverso un'altra persona! Non è fantastico?! È diecimila volte più divertente! – qui si intrufolò un’altra risata maniacale – Iniziamo dai preliminari anche qui?

Gun cercò di rimettersi in piedi, invano, e urlò.

Urlò perché aveva capito cosa avrebbe fatto da lì a pochi secondi, perché si rivide per un attimo in quella stessa situazione, e perché gli sembrò quasi di avvertire di nuovo su se stesso la mano tesa del vampiro che ferì l’aria e affondò nella schiena di Din.

Allo stesso tempo, urlò perché si sentì risucchiato da se stesso – o forse da qualcuno che non lo era pienamente – e nonostante cercasse di aggrapparsi con tutte le sue forze alla poca sanità che gli restava, alla fine scivolò comunque.

 

L’unica cosa che Din riuscì a fare fu boccheggiare inutilmente, nel tentativo di emettere anche un solo suono che gli confermasse di essere ancora vivo, ottenendo scarsi risultati.

Cercò di inarcare la schiena per attenuare il dolore ma servì solo a peggiorare le cose, in quanto gli sembrò che le dita del vampiro affondassero ancora di più nella sua carne.

Si ritrovò senza volere a dover controllare un improvviso conato di nausea. E non aveva neanche visto com’era messo, si era limitato a immaginarlo.

Come ci era finito in quella situazione? Come era persino possibile una situazione del genere?

Kimano gli aveva parlato un paio di volte di alcuni individui dell’altra specie chiamati i Laceratori, ma non pensava, non avrebbe mai potuto immaginare…

Emise involontariamente un suono strozzato quando iniziò ad avvertire la mano ancora completamente rigida scivolare lentamente fuori dalla sua carne, portando con sé buona parte della poca energia che Din sentiva di avere.

Jae guardò soddisfatto e sorridente l’opera sotto di lui, per poi sollevare il braccio insanguinato in modo che potesse osservarlo.

-Ahh – sospirò, scrutando e odorando la mano che aveva vicino al viso – Ringrazia di essere un Rifiuto, perché con l’odore che hai a quest’ora saresti già morto.

Din, d’altronde, non ebbe il tempo di riflettere su ciò che aveva sentito e nemmeno di guardarlo in faccia, perché appena alzò di poco la testa, il peso del vampiro scomparve dalle sue ossa.

Per un attimo pensò che, avendo portato a termine ciò che doveva fare, si fosse teletrasportato lontano da quel luogo – non sapeva neanche se fosse possibile - portando la vittoria alla sua specie.

Ma non ebbe la possibiltà di finire di formulare questo pensiero, che una serie di rantolii di oggetti che cadevano lo portò a voltarsi in quella direzione e a capire che aveva sbagliato ipotesi, o almeno non l’aveva presa completamente.

Infatti, nonostante la schiera di alleati che era stata in silenzio fino a quel momento avesse deciso, per qualche ragione, di darsela a gambe, Jae era ancora lì.

Era ancora in quella stanza, e si era appena scontrato con dei tubi di ferro appoggiati al muro, perché qualcuno aveva praticamente deciso di scagliarlo contro la parete.

E quel qualcuno era Gun.

Din in quel momento non poteva vantare la miglior lucidità o la vista più acuta, ma riuscì comunque a capire che il compagno era di nuovo nella sua altra versione, così come suggeriva l’aura scura e pesante che emanava e che lui aveva già visto altre volte.

Din era combattuto tra una parte di sé che voleva che Gun ammazzasse – o comunque ci andasse vicino – il vampiro anche da parte sua, e dall’altra che non voleva che il compagno venisse posseduto… nonostante non avesse né la forza, né gli strumenti per sedarlo, quindi non sapeva esattamente a cosa fosse utile questa sua indecisione.

Jae aprì gli occhi che aveva serrato un attimo prima dell’impatto, si rimise in piedi e con grande nonchalance e indifferenza estrasse con un colpo deciso un pezzo di ferro che gli attraversava tutta la spalla sinistra.

Schiuse poi le labbra come per dire qualcosa, sempre con il suo solito sorriso beffardo, ma non ne ebbe il tempo, perché Gun estrasse una sciabola dall’interno del mantello della divisa e gli si lanciò contro, di nuovo, affondando la lama nella ferita già provocata dal metallo.

-Beh… questo non è stato molto leale. – bisbigliò il vampiro visibilmente stupito, mentre si teneva con la mano la spalla ormai sanguinante.

Riuscì a schivare più per fortuna che per altro il colpo che seguì, sospirando di sollievo nel sentire il debole suono dell’Arma piantarsi nella parete.

L’Angelo però sembrò avere tutto perfettamente sotto controllo e non si demoralizzò per un semplice attacco mancato. La forza con cui l’aveva caricato prima era stata tale da permettere alla lama di affondare un bel po’ nel muro. Approfittò di questa circostanza come sostegno al salto che improvvisò subito dopo e che concluse con un calcio piantato giusto nel petto di Jae.

Quest’ultimo sbatté con così tanta violenza al muro dietro di lui che fu costretto ad accasciarsi a terra subito dopo, tentando di riprendere il controllo dei suoi polmoni che bruciavano come se si stessero distruggendo.

Gun era totalmente fuori di sé. Le sue insicurezze, i suoi timori, i suoi ricordi sembravano essere stati completamente rimpiazzati dal suo alter ego, che non distoglieva neanche per un secondo lo sguardo dal suo obiettivo, per massacrarlo.

Più passavano i minuti, più l’aura nera attorno a lui sembrava infittirsi, più la sagoma di due corna demoniache sul suo capo sembravano sempre meno un’allucinazione di Din. Quest'ultimo, da parte sua, iniziò a capire sul serio perché tutti avessero sempre cercato di evitare che Gun venisse posseduto. Lui stesso, in quella situazione, era sinceramente terrorizzato da ciò che stava vedendo.

Il vampiro, seduto a terra, alzò lentamente il capo e fissò gli occhi ormai neri di fronte a lui, per poi accumulare giusto la quantità strettamente necessaria di fiato per parlare.

-Ah… quindi è questo che mi tocca? Dopo essermi preso così tanta cura di te – Din avrebbe potuto giurare che, Dio mio, lo stesse facendo di proposito per istigarlo – tu come ringraziamento vai e ti fai un’altra personalità per farti possedere? Non è carino da par-

Si interruppe quando senti qualcosa di tagliente e freddo premere sul suo collo.

Lo sguardo con cui il quasi-demone lo stava guardando non ammetteva nessun’altra parola, e quella fu la prima vera volta in cui Jae fu costretto a sottomettersi a qualcuno.

Intanto la sciabola premeva sempre di più contro la sua pelle, e poteva anche iniziare a sentire chiaramente l’odore del suo stesso sangue, cosa che lo stava disgustando.

Leggermente preso dal panico, fissò il suo nemico.

Lesse nella sua espressione che non l’avrebbe ucciso. Non l’avrebbe fatto perché non gli andava, non perché provasse pietà o qualcosa del genere, e che lui invece avrebbe fatto meglio a sparire, perché aveva perso già troppo tempo con lui.

Il vampiro, ormai giustamente terrificato da ciò che non si sarebbe mai aspettato di trovare nel povero, piccolo Guren che aveva usato come passatempo, diede segno di aver capito e lentamente si scostò dall’Arma.

Non avendo molta energia da sprecare, non si alzò, ma preferì trascinarsi fuori dal campo d’attacco del ragazzo – giusto per sicurezza – e senza neanche pensarci due volte chiuse gli occhi e scomparve da quella stanza.

Il silenzio immobile che invase i sotterranei risuonò come campane di gioia nella testa di Din, che sospirò sollevato.

Era ancora disteso in posizione prona sul pavimento, e per quanto volesse alzarsi, l’abilità della Rigenerazione che aveva scoperto di avere gli impediva grandi movimenti. Kimano gli aveva infatti detto che questa abilità, per quanto suonasse insolita, era abbastanza comune e posseduta dalla maggior parte degli Angeli. Gli aveva anche consigliato di muovere i muscoli e le ossa interessati il meno possibile durante la Rigenerazione, perché i movimenti bruschi potevano rovinarlo irreversibilmente. E nel suo caso, con una ferita enorme giusto nel bel mezzo del corpo, il non muovere le zone interessate significava poter solo strisciare.

Cercò di sollevare almeno un poco la testa, e vide che il suo compagno non si era mosso nemmeno di un millimetro.

Nonostante si fosse liberato del suo opponente, sembrava incapace di gestire quell’aura demoniaca che emanava e di ritornare in sé.

-Gun..? – lo chiamò a bassa voce.

Il diretto interessato si voltò nella sua direzione.

Fu allora che Din si rese davvero conto che chiamarlo era stata la cosa più imprudente e stupida che avesse mai potuto fare.

Gli occhi neri lo squadrarono attentamente, e non sapeva se fosse per via delle ali, del sangue, o semplicemente perché posseduto, ma Gun scattò in avanti e gli piombò addosso.

Din sorrise amaramente in cuor suo.

Lui, che si era ripromesso di proteggerli?

Certo, come no.

Alla fine, non aveva fatto altro che distruggerli entrambi.

Avvertì chiaramente i denti del compagno affondare e lacerare il muscolo di un’ala, più di una volta; dovette radunare tutta la sua volontà per resistere al dolore che stava provando.

Non emise neanche un sospiro, mentre sentiva tutto il calore del suo sangue scivolare via dalla sua schiena. Vide anche alcune piume più piccole, forse le più deboli, staccarsi e fluttuare proprio davanti ai suoi occhi.

Inspirò, poi cercò di emettere la voce più salda e convinta del suo repertorio, in quella situazione, nonostante fosse costretto a fare numerose pause a causa delle continue fitte di dolore.

-Noi non esistiamo, vero Gun?

Non sapeva neanche lui cosa stesse facendo. Ammazzare il tempo? Probabile.

Eppure appena iniziò a parlare, ebbe quasi l’impressione che l’altro lo stesse ascoltando.

-Quindi la nostra vita non è legata a nessuno qui, no? Ognuno vive per sé. Allora puoi spiegarmi cosa stiamo facendo? Perché continui a vivere come se dipendessi da loro? Anche questo tuo alter ego… non ti sto incolpando, nulla di simile, solo che sembra quasi come se… appartenessi a loro, quando non è così. Non lo riesco a capire. E d’altra parte, io… io perché continuo a desiderare di poter vivere per te?

Desiderò di poter morire in quel preciso instante quando si rese conto di quanto disperato e sdolcinato fosse sembrato.

-No, nella mia testa suonava tutto molto più figo. – si affrettò ad aggiungere, ma Gun non sembrò preoccuparsi di questo.

Si alzò barcollando, estrasse velocemente i denti dalla carne e lasciò l’ala ancora parzialmente attaccata , tenendosi la testa con le mani, di nuovo, come se volesse liberarsi di un peso che lo opprimeva. Emise un urlo quasi soffocato, mentre a furia di procedere all’indietro sbatté contro la parete e si afflosciò a terra, come stremato.

Fu allora che Din ricordò ciò che gli aveva detto Jae, e una piccola speranza si riaccese in quella cupa atmosfera.

Si era quasi lamentato del fatto che fosse un Rifiuto e che quindi non avrebbe potuto sfruttare il suo sangue, facendo intendere che i vampiri evidentemente non ne ricavavano nulla di buono da quelli della sua specie.

Che fosse lo stesso anche per i demoni?

Preso da un attacco di eccitazione e di ansia per quello che stava succedendo, si appoggiò sui gomiti e accuratamente iniziò a trascinarsi verso il suo compagno. Quest’ultimo intanto sembrava essersi piuttosto calmato.

Il fumo nero che lo avvolgeva si era dissolto, portando con sé, per fortuna, la sagoma delle corna che stavano iniziando a materializzarsi tra i suoi capelli.

Era tornato alla normalità?

Aveva ancora le mani sul viso, ma ora sembrava più che le stesse tenendo apposta per coprirsi, e Danny era sicurissimo di averlo sentito singhiozzare.

-Gun…

Nessuna risposta.

-Guren. – ripeté.

-Cosa ho fatto… - la sua voce era davvero molto strana e quasi incomprensibile, dal momento che non solo aveva la testa appoggiata alle ginocchia, ma si stava anche coprendo con le mani.

-Cosa hai fatto? Hai dato una botta tremenda al muro, Guren. Un’altra così e crolla tutto il palazzo, te lo dico. – improvvisò, e gli parve che il compagno abbozzasse un sorriso, per pochissimi secondi.

-Ti ho distrutto. – disse poi – Perché sei venuto? Perché non mi hai semplicemente morire? Sarebbe stato molto meglio per tutti! Mi dispiace così tanto… ogni volta che sono nei paraggi succede qualcosa a discapito di qualcuno, io...

Din pensò che sarebbe stato meglio dire il contrario, ma non espresse questa opinione.

-Gur-

-Non chiamarmi così...

-Guren. – insistette. – Guardami.

-Non… penso di averne il coraggio.

Il ragazzo allora cercò di farsi forza sulla parte inferiore del corpo per sollevarsi un po’, riuscire ad arrivare al viso dell’altro e a togliergli le mani davanti, prendendole per i polsi.

Non stava piangendo, almeno non più, ma aveva gli occhi incredibilmente rossi e gonfi. E pieni di rimorso.

-Perché ho continuato a evitarti da quel giorno, Gun, perché? Perché non sono riuscito nemmeno a trovare una spiegazione a un semplicissimo bacio? Non era neanche qualcosa di progettato, perché ci sto riflettendo così tanto? – parlava piano per cercare di non suonare troppo emotivo e per evitare che le fitte che sentiva ogni tanto cambiassero l’intonazione della voce, allarmando colui che aveva di fronte. Non erano domande che necessitavano risposte. Soprattutto non da Gun, dal momento che non era stato capace lui stesso di trovarne alcune decenti.

L’Angelo a terra alzò leggermente il capo, fino a riuscire a guardarlo negli occhi. Non aveva capito come fossero arrivati a quel discorso quando erano partiti da una cosa completamente diversa

-E io? Perché… perché ho continuato a pensarci, continuamente? – poi inspirò profondamente, come se necessitasse più fiato e più coraggio per continuare – Perché ho sempre, sempre sperato che non fosse stato solo un incidente? Spiegami, Danny, perché non so più cosa sto facendo…

Sembrò pentirsi subito di ciò che aveva detto, per questo appoggio di nuovo la testa sulle ginocchia, sperando che il discorso s’interrompesse lì.

Non successe.

-E se tipo, mi baciassi?

Gun quasi balzò dalla sorpresa, ritrovandosi di nuovo con la schiena al muro, e arrossì.

Pensava fosse ironico, una sottospecie di sdrammatizzazione, eppure l’espressione completamente seria e pacata che si ritrovò di fronte lo costrinse a cambiare idea.

-A-Adesso? Io?

Din annuì.

-Hai ventidue anni, no? Non è che tu non abbia mai ba- si bloccò quando notò il volto dell’altro diventare, se possibile, ancora più accesso, e uno sguardo che sembrava gli stesse implorando di non andare oltre. -Ah… v-va bene..

-Non penso sia una buona idea… - mormorò infine Gun, dopo attimi interminabili di imbarazzante silenzio.

Ma in tutta risposta, il Rifiuto si sistemò lentamente sulle ginocchia, facendo attenzione a non muoversi troppo, chiuse gli occhi e restò lì ad aspettare.

Gun guardò nervosamente l’ingresso dei sotterranei.

Tutti erano fuori a combattere, era abbastanza ovvio che non si sarebbe fatto vivo nessuno. Loro erano appena scampati alla morte, Gun era stato posseduto completamente dal demone ma era sopravvissuto, Din aveva un buco nello stomaco e un’ala massacrata, eppure erano lì a pensare alla cosa più inopportuna a cui avrebbero mai potuto pensare in quel momento.

Il ragazzo fece per sporgersi in avanti, quando Din si voltò e ridacchiò, schiudendo un occhio.

-Cosa c’è?

Stava sorridendo, ma gli occhi lucidi non gliela contavano giusta.

In tutta risposta, il compagno spostò leggermente il braccio dal suo stomaco tanto quanto bastava per permettergli di vedere, attraverso la ferita ancora aperta, fibre muscolari e tessuti ossuti sovrapporsi e intrecciarsi così lentamente che gli salì quasi l’angoscia al solo immaginare quanto potesse essere agonizzante.

-Perché ridi in queste situazioni… - chiese allibito mentre distoglieva lo sguardo da quella scena, prima che venisse assalito dalla nausea.

-Non pensi che io abbia già pianto abbastanza? – chiese grattandosi la guancia come se stesse pensando.

Guren non rispose. Non disse nulla perché era troppo concentrato a pensare a come dovesse muoversi dopo.

Poggiò le mani sulle guance di Din, che, colto alla sprovvista, smise di grattarsi e restò con la mano a mezz’aria.

Si avvicinò abbastanza determinatamente, cercando di non interrompere per nessuna ragione il contatto visivo, fin quando non finirono l’uno appoggiato alla fronte dell’altro.

Il viso di Gun era la personificazione dell’imbarazzo, al cento uno percento.

-E se… prendessi tu da qui in poi? – chiese sottovoce, con una leggera nota da “giuro che questo è il massimo che posso fare”.

Din non poté evitare di scoppiare a ridere, ma scosse la testa, restando però convinto della sua richiesta.

-Ma non so come dovrei…

La mano sospesa del rossiccio si posò sul braccio dell’altro.

-Fallo e basta. – asserì alzando leggermente il capo e schiudendo le labbra, forse inconsciamente.

Gun obbedì, in un attimo, senza indugiare neanche un’altra volta.

Incontrò delle labbra fredde, eccessivamente fredde, ma dopo tutto quello che gli aveva visto subire, non se ne stupì più di tanto. Socchiuse le palpebre, cercando di restare piuttosto razionale. Gli sembrava di avere un trapano in petto, così rumoroso che non si sarebbe stupito se non fosse stato l’unico a sentirlo.

Nonostante il suo oscuro segreto dell’essere un completo inesperto nel campo fosse stato svelato, cercò comunque di seguire i movimenti di Din, per non sfigurare completamente.

Fu solo questione di secondi prima che quest’ultimo lasciasse le proprie dita scivolare nei suoi capelli e si staccasse, stringendolo a sé e accucciandosi in quella posizione.

Guren cercò di riprendere fiato prima di parlare. Cercò anche di capire perché stesse lacrimando, ma si rifiutò di includere nelle opzioni la scelta più ovvia, il fatto che in fondo anche lui fosse leggermente sentimentale in determinate situazioni, e quindi restò senza risposta.

-Ti prego… fai in modo che io possa capire se stai solo facendo il sensibile o se hai intenzione di perdere coscienza e morire così. – asserì, cercando di recuperare almeno un po’ l’immagine da duro che aveva perso, ma il fatto che iniziò poi ad accarezzargli sovrappensiero i capelli rese questa sua affermazione poco credibile.

 

_*_*_*_*_*_

 

Kimano stava finendo di controllare tutte le stanze anche su quel piano dell'edificio.

Stava cercando Din e Gun, perché aveva una comunicazione abbastanza urgente che interessava entrambi, ma non riusciva a trovarli da nessuna parte.

Sembravano scomparsi, come più o meno ogni volta che li necessitava.

Sospirò. Erano ancora così giovani in fondo, rifletté, se non erano loro a seguire l'istinto, chi avrebbe dovuto farlo?

Richiuse un'altra porta del corridoio che gli aveva mostrato di non star nascondendo nessuno.

Pensò a dove altro potesse andare a guardare, ma poi smise di concentrarsi quando aprì una porta alla sua sinistra e scorse due sagome nella penombra.

Esultò mentalmente, finalmente avrebbe potuto smettere di farsi tutte le scale del Palazzo.

Ciò che aveva davanti era la solita ambientazione che continuava a trovarsi di fronte ogni volta che necessitava anche uno solo dei due, ormai da mesi e mesi, forse anni a quella parte.

Tempismo perfetto come al solito, pensò.

La scena era composta esclusivamente da due figure attorcigliate così tanto tra loro che se una qualunque altra persona se le fosse trovate davanti, avrebbe probabilmente lanciato l’allarme ente sconosciuto nel Palazzo.

C’era Gun sdraiato a terra, supino, la maggior parte delle volte con la parte superiore della spina dorsale appoggiata a qualcosa, qualsiasi cosa che fosse rigido, come una parete, un gradino, un divano, una scrivania, dipendeva da in quale Sala decidessero di provare a nascondersi. Sopra di lui, carponi, c’era Din, sempre. Era impossibile confonderli per Kimano, dal momento che quest’ultimo era così bravo nell’autocontrollo che il novantanove percento delle volte non riusciva neanche a tenere a posto l’unica ala che gli restava.

Il Re improvvisò qualche finto colpo di tosse, e vide chiaramente che era riuscito a farli sobbalzare entrambi, anche se stavano continuando con nonchalance a fare ciò che dovevano.

-Non pensate che stia diventando un’abitudine troppo frequente? – chiese, ignorando la mano di Din che si era velocemente andata a posare sul pavimento, come se sperasse che nessuno l’avesse vista nelle posizioni indecenti in cui si trovava un attimo prima.

- Mi sono gentilmente disturbato di procurarvi qualcuno che vi aiuti a imparare le tecniche del volo con una sola ala, dovreste andare a incontrare questo tutor sul tetto del settore B del Palazzo. – continuò, ottenendo solo silenzio in risposta – Tra cinque minuti. – specificò.

Din allora si sentì come in dovere di dare almeno un segno di vita, e alzò l’indice della mano sinistra, come a dire “d’accordo, un attimo”.

Anche Guren si decise a rispondere con un dito, ma non fu proprio l’esempio migliore di risposta da dare.

Kimano, nonostante tutto, si sentì sollevato nel sapere che il messaggio era arrivato, anche se non sembravano molto interessati.

Non era il tipo che si infastidiva così velocemente, e non per così poco. Anzi, era lui il primo a essere veramente contento di che piega avesse preso la loro relazione, conoscendo la storia di entrambi, ma a volte pensava fosse giusto mostrare ancora un po’ di autorità.

-Sapete che c’è? La prossima volta volate mano nella mano e vedete se riuscite a mettere insieme un paio di ali decenti, tra tutt’e due. – disse ironico, cercando di sembrare il più severo possibile, per poi uscire dalla stanza.

Entrambi i ragazzi si immobilizzarono per un attimo e si guardarono.

-Sai una cosa?

-Non è affatto una cattiva idea.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Izumi's corner

Hiiii, Izumi here!

Allora, prima di tutto, vi prego non fatevi domande su ciò che avete appena letto hahah

Poi, se siete riusciti ad arrivare alla fine di queste 35 pagine, meritate una statua enorme nella piazza della vostra città. Ci penso io. E provvedo anche a chiamare un'ambulanza, perché leggerle tutte vi ha ucciso, lo so:')

Vorrei ringraziarvi per aver letto questa...ehm, cosa, che ho deciso di scrivere sulla base di un'idea che mi era venuta un paio di anni fa.

Principalmente per due motivi. Primo, perché una mia conoscenza voleva leggere qualcosa di mio, è questa è stata l'unica idea che mi è venuta. (I see you, aneeeeki) E secondo, perché un'altra mia conoscenza (....) prese parte ai miei scleri sia mentre scrivevo, sia dopo aver pubblicato l'idea originale, quindi penso che darle la soddisfazione di leggere una fine per quella... qualsiasi cosa fosse... sia il minimo che io possa fare hahaha

Proprio perché è fondata su qualcosa di passato, mi è venuta questa cosa di ambientarla nella mente, nella mia mente, e di fare tutte quelle cose con i settori e blablabla.

Din nella mia vecchia idea si chiamava Michael, questa sarebbe l'origine del “lo chiamavano con nomi che non riusciva a ricordare” e non avevo pensato a scrivere una storia yaoi, che sarebbe il motivo per cui Kima dice che “oppure, come me, avresti dovuto essere una donna”.

E niente, ci sono altri miliardi di riferimenti ma non interessano, quindi faccio un favore a tutti e me ne vado hahah

Mi farebbe molto piacere ricevere dei vostri pareri su questa storia, che tra l'altro è anche la prima di questo account.

Grazie ancora per aver letto! **

   
 
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale > Angeli e Demoni / Vai alla pagina dell'autore: Izumi Ishimaru