... In cui Bucky non è stato rimesso nel freezer ed è fuggito con Steve e gli altri del #TeamCap. Corta, un po' nonsense e senza pretese.


Da quando l'HYDRA non è più nella sua testa, pensare era diventato sinonimo di tornare ad appartenere di nuovo a se stesso.
La testa gli duole ancora quando cerca di sforzarsi troppo, quando è deciso a rendere orgoglioso Steve riportando a galla ricordi di tempi difficili e allo stesso tempo felici.
Tempi in cui Steve era quel piccoletto ostinato dal cuore troppo grande al quale doveva salvare la pelle almeno una volta al giorno, in cui erano due semplici ragazzi di Brooklyn.
Non un supersoldato, non una macchina assassina.

Steve bambino che cerca di non piangere mentre sua madre, una donna bionda e snella, quasi una visione, gli medica i gomiti sbucciati.

Steve e la polmonite che non gli dava tregua durante gli inverni più rigidi.

A Coney Island sul Cyclone. Steve aveva vomitato, quella volta, e lui aveva riso. Steve gli aveva tirato un pugno, ma non gli aveva fatto male... Come avrebbe potuto?

Nel buio della baita immersa fra i boschi dei monti Appalachi nella quale lui e il resto dei fuggitivi avevano trovato rifugio, Bucky cerca ancora di far luce su una vita che gli era stata strappata via con la forza.
Sente il calore del corpo di Steve premuto contro la sua schiena, le dita della sua mano intrecciate con le sue. 
Gli occhi gli bruciano forte e il cuore minaccia di scoppiargli nel petto, ma in maniera diversa rispetto a quella in cui gli scienziati dell'HYDRA cercavano di portarlo oltre i propri limiti.
In balia di quel vortice di sensazioni semisconosciute, Bucky si volta verso Steve, gli accarezza una guancia ruvida. 

Una notte di maggio. L'odore della tempera umida nel loro appartamento.
Sono nello stesso letto e le labbra di Steve si posano leggere sulle sue.