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Autore: TheHeartIsALonelyHunter    24/08/2016    2 recensioni
[Molto rumore per nulla] [BeatricexBenedick] [Possibile presenza di anacronismi]
“Siete un eretico, mio signore, e finirete bruciato sul rogo perché come un eretico vi esprimete”
Benedick le scivolò accanto, accostandosi al suo viso con un sorrisetto vagamente malizioso.
“E voi siete una strega, mia signora, e finirete bruciata sul rogo perché come una strega mi avete rubato il cuore” sussurrò sulle sue labbra, rivolgendole un sorriso più caldo e dolce di quelli precedenti.
[Terza classificata a parimerito al contest "AAA Cercasi capolavoro" indetto da La_Dama_Del_Lago e giudicato da Elettra.C sul forum di EFP]
[Sesta classificata al contest "Le storie dimenticate" indetto da Cendrillon89 sul forum EFP]
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Il capo di Beatrice ricadde pesantemente sul cuscino ricamato, accompagnato da un sospiro pesante malamente trattenuto. La determinazione di non dare al suo compagno nessuna soddisfazione era stata quercia inflessibile in partenza, s’era trasformata in flessuosa betulla sotto le abili e decise mani di Benedick e si era ora ridotta a un misero, fragile albero nano nell’ultima esalazione dell’appagante unione.
Il corpo di Benedick (il corpo di suo marito) si ridistese sulle lenzuola accanto a lei, dopo essersi ripiegato con un sospiro profondo sulle proprie ginocchia, con una mossa lenta e quasi involontariamente voluttuosa. Un gesto abitudinario, forse? si chiese la donna, scoprendo una punta di gelosia in quella considerazione priva di fondamento. La gelosia non era mai stato un sentimento a lei usuale, ma in fondo neppure il matrimonio le era sembrato, fino a quel giorno, un obbiettivo da lei raggiungibile o minimamente desiderabile.
Quelle poche ore erano state decisamente ricche di nuove esperienze.
Beatrice non l’avrebbe mai ammesso ad alta voce, né probabilmente quel pensiero sarebbe stato accettato come valido o anche semplicemente concepibile in quel recesso della sua mente che ancora stava cercando di abituarsi, faticosamente, al nuovo ruolo che le era stato da poche ore assegnato, ma Benedick era straordinariamente bello. Il viso appena sbarbato metteva in risalto i tratti forti e leggermente acerbi, in particolar modo la mascella particolarmente decisa (uno dei tanti difetti che l’aveva fatta innamorare, probabilmente) ma esaltava il colore slavato e misteriosamente profondo dei suoi occhi padovani. Il suo corpo di soldato era stranamente snello e atletico, non gravato dai muscoli oramai cadenti di Don Pedro ma neppure imponente e autoritario come quello di suo zio. Era un fisico decisamente particolare, il suo, si rese conto con un certo stupore ingenuo di scolaretta Beatrice, ammirando la curva delle spalle e della schiena scoperta con l’aria intenta di un fedele che osservi la propria reliquia: pochi muscoli marcati, pochi segni di quella vita guerrigliera tanto a lungo sospirata nella compagnia reciproca da Hero e da lei accolti con un pronto e canzonante sbuffare e un’alzata di spalle indifferente.
Per lei il guerriero era sempre stato un uomo qualunque, né più né meno di un semplice panettiere o di uno scudiero di corte, e pertanto ugualmente degno del proprio sprezzo e della propria indifferenza in quanto membro della stirpe di Adamo. Ma nella mente della cugina quella figura forte e autoritaria si ricopriva di una misticità e di un valore ineguagliabile, pari a quello attribuibile a un santo o a un vero e proprio Dio.
Curioso come proprio lei e sua cugina, divise nelle loro fantasie, si ritrovassero nella realtà unite in quel sacro nodo da un compagno guerriero e combattente.
Il viso di Benedick si distese in un sorriso appena accennato contro la stoffa del cuscino, ma non sfuggì alla sua pronta attenzione.
“È una smorfia di dolore, quella che vedo, o sei tanto stanco da non riuscire più a controllare i tuoi muscoli?” chiese con piglio serpentino, più che mai determinata ad iniziare lei la discussione. Oramai una e un’unica certezza troneggiava nella sua mente, ed era che lei e Benedick non sarebbero mai riusciti a vivere nel pizzo delicato dell’amor cortese o nella bambagia fitta dei complimenti reciproci: era molto più divertente, per Beatrice, stuzzicare suo marito con domande irriverenti e insultarlo, piuttosto che dichiarargli spassionatamente il proprio amore e gettarsi ai suoi piedi adorante. E in fondo anche Benedick pareva divertirsi immensamente in quel loro gioco di stoccate e affondi, e si difendeva benissimo dai colpi della sua lingua aguzza, per cui Beatrice non percepiva la necessità di mutare quella routine a lei tanto consona e gradita.
Il viso di Benedick si voltò solo di poco sul cuscino, scoprendo appena un angolo della bocca e uno dei suoi occhi, ancora semichiusi.
“Cos’è? Un uomo non può neppure più dirsi soddisfatto di aver compiuto un dovere divino essendosi unito a sua moglie? Non vi è piacere più grande, per me, che adempiere ai miei obblighi di buon cristiano”. L’angolo della bocca visibile si alzò impercettibilmente, e Benedick le lanciò un’occhiata scintillante e impertinente.
Beatrice alzò leggermente gli occhi al cielo, cercando di trattenere il sorriso divertito che le era salito naturalmente alla bocca.
“Signor Benedick, ho come l’impressione che voi vi fregiate del titolo di ‘cristiano’ solo quando vi è più comodo. Non è forse vero che, più e più volte prima di sposarmi, avete adempiuto a questo vostro dovere divino di marito unendovi a donne che non erano vostra moglie?”
La risposta dell’uomo non si fece tardare, accompagnata dal suo puntellarsi col gomito sul cuscino. Beatrice conosceva sin troppo bene quel gesto: stava a indicare che Benedick era pronto ad entrare nel vivo della discussione e difendere la sua posizione a spada tratta, se necessario.
“Il cristiano non è marito di nessuna donna, mia bella Beatrice, fino a che il sacro nodo non lo unisce in vincolo ad una e una sola, e dunque non vi è peccato, prima del momento fatale, nell’unirsi a qualsivoglia dama, non avendo fatto promesse ad alcuna”.
La sentenza era netta e assoluta, ma le parole erano state pronunciate in tono gaio e affatto malevolo: Benedick si stava divertendo quanto lei, ed entrambi si rendevano conto che quella loro schermaglia, una volta covo di tanto disprezzo e malignità, si faceva ora soltanto nido di sagacia e di comune piacere.
Le parole, si era resa conto Beatrice molto tempo prima, erano più appaganti di un bicchiere di vino fugacemente trafugato durante i banchetti di corte e più seducenti del virile e deciso corpo di un uomo.
Erano mute e velate, le parole, messaggere alate e bendate pronte a raggiungere ogni obbiettivo a loro prescritto a dispetto di qualsiasi differenza o diversità, erano cento e mille volte più potenti di un qualsiasi gesto, di un qualsiasi abbraccio, di un qualsiasi bacio, e rendevano tanto più nobile ed elegante l’uomo e la donna che riuscivano a maneggiarle con l’abilità con cui uno spadaccino sa tirare di scherma.
E non c’era che dire, Benedick era uno schermidore magistrale.
“Mi dite forse che il buon Dio ha promosso, nel suo Vangelo, la promiscuità e il libertinaggio prima del matrimonio?”
Benedick alzò con fare spavaldo le spalle.
“Non certo il buon Dio nel suo Vangelo, ma io”, e dicendo questo si indicò col pollice, “in persona e personalmente, mia bella Beatrice, nel mio Vangelo privato”, e con queste parole si picchiettò il medio sul capo, “giacché ogni uomo, bello o brutto, sordo o muto che sia, merita di potersi prendere qualche libertà e considerarsi, se lo ritiene necessario e giusto, e si ritiene dotato di abbastanza buon senso e razionalità, il proprio Dio, e di eleggere le proprie riflessioni e regole di vita a Vangelo inoppugnabile e infallibile”.
Beatrice scosse appena la testa con un sorriso leggero.
“Siete un eretico, mio signore, e finirete bruciato sul rogo perché come un eretico vi esprimete” commentò lei, senza tuttavia apporre malizia in quella sua condanna a morte: non era sua abitudine scandalizzarsi di fronte al libero pensiero altrui, e anzi quel rifiuto delle norme comuni in Benedick l’affascinava in una maniera tutta particolare e misteriosa. Era tanto raro trovare un uomo che pensasse con la propria testa che molto probabilmente avrebbe dovuto riconoscere al proprio marito di essere straordinario almeno in quel particolare campo.
Benedick le scivolò accanto, accostandosi al suo viso con un sorrisetto vagamente malizioso.
“E voi siete una strega, mia signora, e finirete bruciata sul rogo perché come una strega mi avete rubato il cuore” sussurrò sulle sue labbra, rivolgendole un sorriso più caldo e dolce di quelli precedenti.
Ecco, un’altra novità che Beatrice aveva sperimentato in quelle folli, ricche ore: la dolcezza che Benedick talora esprimeva nei suoi confronti, con simili affermazioni o gesti particolarmente delicati.
Sin dalla più tenera infanzia Beatrice s’era abituata a trattare da pari i membri dell’altro sesso e da loro essere ugualmente trattata, disprezzandoli silenziosamente nella sua cocciutaggine di eterna zitella e in quella idea confusa e infantile che le veniva maturando degli uomini come di essere viscidi e abietti, interessati unicamente alla donna in quanto corpo e non in quanto anima e spirito.
Già all’epoca Beatrice era tutto spirito e niente corpo, e pensare di essere lodata o disprezzata per quella parte di sé in cui non trovava nulla di pregevole né ammirevole le risultava ugualmente indifferente e al contempo impensabile.
Ora vedersi al contrario riempire di elogi e di sottili, per quanto rare, manifestazioni d’un tale affetto (e soprattutto vedere che esse provenivano proprio da Benedick) aveva un effetto estraniante, quasi destabilizzante, sulla sua persona, non abituata agli onori più di quanto una trota fosse abituata alla terraferma.
Beatrice dovette sbattere le ciglia un paio di volte prima di riuscire a ribattere, col tono più malevolo e stizzito che le riuscisse di assumere:
“Una strega, dite? Non avreste dovuto sposarmi, mio caro Benedick, se nel vostro cuore serbavate una tanto alta opinione di me e della mia natura”.
L’uomo le rivolse un altro dei suoi sorrisetti impertinenti e giocosi da scavezzacollo scapestrato. Gli erano molto più familiari, quelle espressioni, di quanto non fossero invece quelle smorfie melense e quelle parole di zucchero, e Beatrice se ne sentiva stranamente protetta e riscaldata, come un neonato all’interno della propria comoda, familiare culla.
“ ‘Serbavo’, mia signora? Io ho tuttora quest’opinione nei vostri riguardi, e niente e nessuno potrà mai estirpare da me l’idea che voi siete una strega fatta e finita, e anche una della peggior razza, per giunta”.
Beatrice aggrottò le sopracciglia, incuriosita da quell’ultima affermazione.
“E di cosa sono mai accusata, signor Benedick?” domandò con finto tono supplice, assumendo per l’occasione anche la sua espressione più derelitta e vittima.
“Come? Osate anche domandarlo? Ma d’aver messo al giogo un libero, gaio toro e di aver fatto di lui una misera attrazione da circo, naturalmente!”
Beatrice reclinò la testa all’indietro con una risata cristallina e argentina che risuonò nitidamente nel silenzio della sala da letto. Una volta il suo orgoglio le avrebbe impedito di dare a Benedick anche quell’unica soddisfazione, eppure in quel momento si sentiva ben disposta nei confronti dell’uomo che le giaceva accanto.
“Toro non lo siete mai stato, se non dopo il matrimonio, signor, e tantomeno siete mai stato gaio, o almeno così io spero, perché altrimenti quest’unione durerà molto meno di quanto io avessi immaginato” replicò la donna, accompagnando le parole ad un avvicinamento pronto e subitaneo del viso a quello dell’uomo e un veloce morso sulle labbra del suo sposo.
Benedick si ritirò appena con un “Ah!” piccato, distendendo le braccia sopra di lei.
“Avete una lingua velenosa, mia cara Madama Disdegno”, commentò lui passandosi un paio di dita sulla zona lesa. Beatrice non poté fare a meno di notare che le labbra s’erano leggermente distese in quello che doveva essere un sorriso a stento trattenuto.
“E voi una fastidiosa abitudine alla ripetizione, mio caro Messer Gradasso”, ribatté lei, parandoglisi nuovamente davanti con quella sua aria battagliera e tempestosa.
Hero aveva affermato più e più volte, con l’aria sicura e ingenuamente fiduciosa che sempre l’aveva accompagnata, che sarebbe bastato trovare un uomo a lei adatto e riuscire ad arrangiare un buon matrimonio affinché in Beatrice ogni traccia di scontrosità e di avversione nei confronti del proprio sesso o del sesso avversario, come anche quella sua “innata tendenza all’esagerazione e alla teatralità” (paroli testuali della stessa Hero), svanissero al pari della neve sotto l’azione del cocente sole.
Beatrice non avrebbe mai avuto abbastanza cuore o tanta spavalderia da infrangere le puerili illusioni della sua adorata cugina e rivelarle che, no, niente e nessuno sarebbe mai riuscito a strapparle dal viso l’impudenza e dal cuore il desiderio d’indipendenza.
Agli occhi della dolce Hero il matrimonio, tanto a lungo carezzato sogno di infante e poi più volte rimirato ninnolo d’adolescente, s’era imposto sin dalla più tenera età come obbiettivo ultimo e supremo della sua perfetta e scintillante vita, balsamo di ogni ferita e lenitivo guarente di ogni difetto e di ogni deformità. Nella sua fantasia fanciullesca pareva che, ornato di pizzi e merletti quel vincolo sacro e ricamatolo di scintillanti e preziosi diamanti, Hero lo ritenesse capace di compiere qualsiasi miracolo e di intercedere per la richiesta di qualsiasi grazia e dono.
Al contrario sua cugina non aveva mai avuto un’opinione tanto alta del matrimonio e non l’aveva tuttora, e di un’altra cosa era certa: né lei né Benedick erano pronti a rinunciare ai propri difetti in nome di un astratto sacramento.
E inoltre Beatrice non l’avrebbe mai perdonato d’aver rinunciato ai propri difetti per affetto nei suoi confronti: erano state in fondo quelle mancanze madornali e dileggianti a farle soffrire per la prima volta l’amore nei confronti di quel leggendario chiacchierone.
Benedick le rise in faccia, poggiando quindi il viso accanto al suo sul cuscino.
Beatrice sentiva le sue labbra, distese in un sorriso rilassato, e il suo ghigno furfante poggiati contro la sua guancia. Era una sensazione calda e nuova anche quella, una sensazione timidamente confortante e stranamente familiare, simile a quella che Beatrice aveva provato più volte quando, da piccola, sua madre l’aveva stretta fra le braccia dopo una caduta disastrosa e le aveva premuto le labbra contro la guancia ferita.
Era naturale, si rese conto con la classica, ingenua sorpresa che aveva accompagnato quelle ultime ore, naturale e affatto imbarazzante.
Aveva creduto spesso, immersa in quelle sue riflessioni più filosofiche che pratiche, che l’unione tra un uomo e una donna fosse un qualcosa di innaturale e fuorviante, simile all’accoppiamento di un fratello e d’una sorella o di un cavallo e una mula: vi erano molte più cose a separare d’un abisso incolmabile i loro due sessi avversi di quante ce ne fossero ad unirli attraverso un ponte. Eppure, s’era accorta con un poco di risentimento e di ostinazione cocciuta, dovuta alla confutazione decisa e decisiva di quella sua tesi tanto amata e poeticamente ornata, non v’era stato nulla di imbarazzante o di perverso in quell’interludio da lei tanto aborrito che aveva visto l’adempimento del sacramento da lei tanto aborrito.
La bocca di Benedick s’accostò al suo orecchio e, con un accento di malizia trattenuta e di dolce, seducente mellifluità, le sussurrò:
“Voi ed io siamo troppo sagaci anche per far l’amore tranquillamente”.
Beatrice trattenne a stento il sorriso che l’era nato sulle labbra.
“Vi sbagliate, caro signor Benedick…”, affermò scuotendo la testa e lasciando che i ricci castani stuzzicassero la pelle del compagno. “Voi ed io siamo troppo sagaci per poter VIVERE tranquillamente”.

Note d'autrice: Perché Benedick e Beatrice sono la VERA coppia Shakespeariana per eccellenza e si meritano tanto ammore.
E David Tennant e Catherine Tate li interpretano meravigliosamente.
Mi sono molto divertita a scrivere questa storia, so che non vale certo quanto un testo del grande Bardo ma mi sono molto impeganta per riuscire almeno un minimo a ricreare i dialoghi brillanti e ricchi tra questi due personaggi, vero cuore di quest'opera a mio avviso.
Spero l'abbiate gradita e che vi sia abbia strappato anche solo un piccolo sorriso, perché mi sono molto impegnata per rendere al meglio sia Benedick che Beatrice e la loro relazione.
Note sul testo: Vi sono vari riferimenti al testo e varie scelte colloquiali che ho fatto e che vanno decisamente spiegate.
Prima di tutto, ho deciso di mantenere i nomi in originale, piuttosto che utilizzare la versione italiana, per una questione di musicalità (non so, Hero e Benedick mi suonano semplicemente molto meglio).
Riguardo alla traduzione dei soprannomi "Lady Disdain" e "Signor Mountanto", ho deciso di utilizzare quella che è stata adottata nella traduzione della versione teatrale da me vista, ovvero quella di David Tennant e Catherine Tate. 
Beatrice si rivolge più volte a Benedick con l'appellativo di "Signor" come nell'opera originale, e alle volte gli dà del "voi" per beffeggiarlo.
Nella battuta che Beatrice rivolge a Benedick dopo che lui si lamenta di averlo reso un "toro al giogo" c'è un riferimento all'opera, in cui più volte l'uomo sposato è naturalmente associato all'uomo cornuto (per questo Beatrice dice "
Toro non lo siete mai stato, se non dopo il matrimonio"), e nella seconda parte la parola "gaio" viene associata alla parola "gay", per cui Beatrice afferma che "tantomeno siete mai stato gaio, o almeno così io spero, perché altrimenti quest’unione durerà molto meno di quanto io avessi immaginato".
Affermando che si è innamorata dei difetti di Benedetto, ho fatto riprendere a Beatrice la scena in cui lui le domanda "per quale dei suoi difetti" si sia innamorato di lui. Nella stessa scena, Beatrice gli domanda per quale dei suoi pregi egli abbia "sofferto l'amore" per lei, cosa che viene ripreso più avanti nel testo. 
Il riferimento all'unione tra uomo e donna come l'unione tra fratello e sorella è anch'essa presente nel testo, nel momento in cui Beatrice afferma che, essendo figli di Adamo, gli uomini sono tutti suoi fratelli e dunque sarebbe peccato per lei sposarsi. 
Infine, nell'ultima parte, quando Benedick afferma che sono "troppo sagaci per fare l'amore tranquillamente" ho fatto ovviamente riferimento alla scena dello spettacolo in cui lui le dice che sono appunto troppo sagaci per "amarsi pacificamente".
  
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