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Autore: Monkey_D_Alyce    25/08/2016    0 recensioni
Sherlock Holmes: consulente investigativo, sposato col lavoro, amico dell'unica (forse) persona che riuscisse a sopportarlo senza scannarlo a suon di pugni per ogni sua deduzione assolutamente precisa e... padre.
Bisogna dire, però, che quest'ultimo "fatto" non era stato programmato.
A dire il vero, lui non sapeva nemmeno di avere una figlia!
Quella ragazza gli aveva semplicemente scaricato un fagotto, avvolto da una coperta, tra le braccia e se ne era andata, dicendo solamente: "Voglio che ti assuma le tue responsabilità!".
Come se salvare le persone da assassini e ceffi della peggior specie fosse una passeggiata... anche se si stava pur sempre parlando di Sherlock Holmes.
Essere padre sarebbe stata la stessa cosa?
LA STORIA E' VISIBILE ANCHE SU WATTPAD
Genere: Commedia, Fluff, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro personaggio, John Watson, Nuovo personaggio, Sherlock Holmes, Sig.ra Hudson
Note: Missing Moments, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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La figlia di Sherlock
 

 

1. La figlia senza nome

 
 
Sembrava preannunciarsi una mattinata tranquilla al 221B: John degustava il suo tea seduto comodamente sulla sua poltrona, leggendo il quotidiano con pacata concentrazione, mentre Sherlock… Beh, Sherlock era steso a pancia in su sul divano, fissando annoiato il soffitto incolore, sbuffando sonoramente di tanto in tanto.
 
Che noia! Nemmeno un caso interessante da seguire!” pensò contrito, stringendo lievemente i pugni con fare stizzito, finché un’idea non gli balzò alla mente, facendolo sorridere mellifluo.
 
“John, mi dai la tua pistola?” chiese tranquillo, spezzando il silenzio calmo e quasi surreale che si era venuto a creare.
John interruppe la sua lettura e sollevò lo sguardo verso il suo inquilino, contraendo la mandibola, tentando di stare calmo.
“No” rispose seccamente, facendo sbuffare, per l’ennesima volta, Sherlock, infastidito.
“Mi sto annoiando!” sbottò poi, sbattendo rumorosamente i piedi sul divano.
“Suona il violino” gli propose John per nulla toccato da quel comportamento da bambino viziato, continuando a leggere come se nulla fosse.
“Non ne ho voglia. La mia mente ha bisogno di lavorare!” gli spiegò concitato, facendo sospirare il medico dalla frustrazione.
Lui voleva solamente leggere il giornale e finire il suo tea, ormai ghiacciato.
“Se la tua mente ha bisogno di lavorare, Sherlock, mi spieghi cosa faresti con la mia pistola?” gli chiese scettico, facendo indignare l’altro.
“Come sei permaloso! L’avrei solamente smontata, rimontata con una benda agli occhi e a testa in giù e poi avrei fatto qualche altro buco nel muro!” rispose acido, come se fosse la cosa più naturale del mondo, sorprendendo l’altro.
Dopo tanto tempo passato assieme, non si era ancora abituato a quell’atteggiamento sfrontato e genuino allo stesso tempo: tutte le volte era una sorpresa, scioccante o strabiliante che fosse.
“Hai un bel coraggio a darmi del permaloso” gli fece notare, chiudendo il quotidiano, per poi metterlo sul tavolino difronte a sé, arrendendosi all’idea che non sarebbe riuscito a finire di leggerlo (come quasi tutte le volte).
 
“Sherlock! John!” li chiamò trafelata Mrs. Hudson, affrettandosi a salire le scale per raggiungerli, seguita a ruota da una ragazza con in braccio un fagotto avvolto da una coperta pesante.
 
“Mi dica, Mrs. Hudson, mi ha portato un nuovo caso?” domandò speranzoso il riccioluto, mettendosi seduto sul divano.
“Sherlock, mio caro, credo che questo sarà un caso molto difficile!” gli rispose preoccupata la donna, accendendo una nuova luce di sentimenti contrastanti nel giovane, mentre John si sentì come avvolto da un velo di paura.
Quella paura leggera ma infida, che ti fa salire l’ansia e che non ti lascia respirare un solo minuto.
 
Un piagnisteo di neonato richiamò la loro attenzione, facendo appoggiare gli sguardi dei presenti sulla figura alta e longilinea che aveva fatto capolino nel salotto.
La ragazza cullò l’infante con cura, facendolo smettere quasi subito, mentre il suo sguardo passò in rassegna tutte le persone all’interno della stanza, fino ad incontrare lo sguardo deluso, scettico ed annoiato di Sherlock.
 
Che caso mai difficile può essere?!? Questa ragazza non è qui per esporci un suo problema da risolvere… sembra arrabbiata… con me, in particolar modo. Che male le avrò mai fatto, poi?” si chiese il consulente investigativo, continuando ad osservarla con particolare minuzia, in cerca d’informazioni.
 
“Ciao, Sherlock! Spero vivamente che ti ricordi della sottoscritta!” lo salutò acida, stringendo di più contro il suo petto il batuffolo che teneva tra le braccia.
Sherlock si alzò e si diresse verso la ragazza con la vestaglia che gli ricadeva in modo elegantemente scomposto sul suo corpo, coprendo, con le sue ampie maniche, le sue mani pallide e affusolate.
“A dire il vero, no. Chi sei e perché sei qui?” gli domandò a bruciapelo, facendo infuriare ancor di più la ragazza.
“Sei veramente uno stronzo, Sherlock! Ti rinfresco la memoria: notte del 16 gennaio 2013, Irish Pub. Tu eri ubriaco e…” cominciò a dire, ma il ragazzo la interruppe.
“Basta così. Ho capito chi sei: Maia Watterson. Mi dispiace deluderti, ma l’essere che porti fra le braccia non è mio. Sarò stato anche ubriaco, ma ho preso tutte le precauzioni e il profilattico non era bucato” spiegò brevemente con fare scocciato, facendo sbuffare la ragazza.
 
Era una cosa surreale per John: gli sembrava di vivere in un sogno, o meglio, in un incubo.
Com’era possibile che Sherlock si fosse ubriacato in un pub come tante altre persone? Lui non era affatto quel prototipo di persona e, tantomeno, un tipo che facesse sesso con… la prima che gli capitava.
Quella ragazza, oltretutto, non era nulla di particolare: rasentava la tipica femmina a cui tutto era dovuto, ovvero, viziata ed isterica al tempo stesso, con scarsa capacità di pensiero proprio e amante delle mode del momento.
Lo dimostravano la sua acconciatura bionda tinta, elaborata in un’intrecciatura piuttosto complessa che partiva dall’attaccatura dei capelli e i suoi abiti sportivi firmati.
Il tutto, contornato da un trucco piuttosto pesante che risaltava in maniera a dir poco esuberante i suoi occhi marroni.
Era, dunque, alquanto impossibile che Sherlock fosse andato a letto con una così: non l’avrebbe minimamente calcolata.
Ed era pure impossibile, di conseguenza, che avesse un figlio o una figlia.
 
Il biondo cercò di calmare il suo cuore martellante nel petto, autoconvincendosi che tutto quello era uno scherzo di pessimo gusto che aveva architettato qualcuno per farli spaventare.
 
“Sapevo che avresti detto queste parole, Sherlock. Non a caso ti ho portato l’esito del test di paternità e, mi spiace per te, ma questa è tua figlia” controbatté porgendo una cartelletta sottile azzurrognola al riccioluto, che lui non esitò a prendere e a leggere con fare apparentemente tranquillo, anche se dentro di lui era in corso una tempesta di emozioni, non riuscendo ad assimilare quella situazione.
John, dal canto suo, ebbe un tuffo al cuore non appena vide quel pezzo di carta traboccante d’informazioni passare dalla mano di una perfetta sconosciuta al suo amico, come una bomba ad orologeria.
Mrs. Hudson, invece, non sapeva proprio cosa fare o cosa dire, stringendosi solamente le mani al petto, dimostrando in maniera piuttosto esaustiva la sua agitazione.
 
“Perché non hai abortito, se ora la porti qui? Che cosa vuoi? Soldi?
Ti sentivi in colpa per lei e così hai pensato bene di rifilarla a me, portando con te questo pezzo di carta che potrebbe essere benissimo falso?” le chiese Sherlock regalando un’occhiata truce alla ragazza, facendola boccheggiare un poco.
“No, non voglio i tuoi soldi. Voglio solamente che ti assuma le tue responsabilità e non ho abortito perché è pur sempre una vita. Dato che ti piace tanto fare il detective a tempo perso, non sarà di certo un problema badare ad una bambina di nemmeno un anno!” sbottò passandogli di malagrazia  la neonata, allibendo il presunto padre non poco, per poi dirigersi verso l’uscita del 221B come se nulla fosse.
Come se quella bambina non fosse mai stata sua e fosse solamente un pacco da consegnare.
“Non sono un detective, ma un consulente investigativo! Ed è il mio lavoro! Perché cavolo non l’hai portata in un orfanotrofio?!?” gli urlò contro piccato, stringendo inconsapevolmente la bambina un po’troppo forte, facendola piangere.
“Perché non ce la porti tu?” si sentì chiedere in risposta, per poi uscire sbattendo la porta dell’abitazione.
 
Restarono tutti in silenzio, mentre la piccola non voleva saperne di calmarsi ma, d'altronde, Sherlock non fece neppure niente per farla smettere.
Si limitò solamente a guardarla con minuziosa attenzione, registrando nella sua mente tutti i particolari di quel visetto paffuto contratto in una smorfia di dolore: i suoi capelli, ancora corti, erano lievemente mossi e castani, mentre dalla sua boccuccia rosea uscivano urla di pianto con un tono di voce incredibilmente alto, infastidendo non poco Sherlock.
 
La bambina, sentendosi vagamente osservata, smise di piangere all’istante e aprì i suoi grandi occhi verdi come smeraldi, contornati qua e là da qualche sfumatura dorata, osservando a sua volta il riccioluto con magica intensità grazie alle lacrime versate pochi istanti prima.
Tirò su con il piccolo naso arrossato dal pianto, per poi girarsi attorno tra le braccia del ragazzo, rischiando quasi di cadere, ma poco le importava.
Osservò curiosa, prima Mrs. Hudson, che le regalò uno sguardo dolcissimo e pieno d’affetto, facendola sorridere un poco e poi John, che la guardò con occhi pieni di sorpresa e paura(?).
 
“Cosa pensi di fare, Sherlock?” gli chiese il medico con voce sommessa, non distogliendo lo sguardo dalla creatura, la quale spintonava il petto del padre per scendere, facendo versi sconnessi e concitati.
“Io non sono capace di badare ad una bambina e tantomeno di fare il padre. Non riuscirei mai a relazionarmi con lei! Pensa quando sarà una mocciosa in piena crisi ormonale e io le dovrò spiegare cos’è il ciclo!”- disse frustrato, appoggiando la bambina sul divano con fare stizzito, per poi girarsi verso gli altri due- “Non posso farlo”.
 
John s’immaginò la scena tra quei due: lei stesa sul letto a piangere e lui a cercare di spiegarle le cose da donne in modo professionale e distaccato.
Una scena esilarante e tenera al tempo stesso.
Sorrise impercettibilmente,  un po’amareggiato.
Non poteva davvero immaginare come sarebbero andate a finire le cose e, tantomeno, se si sarebbe incrinato qualcosa nel rapporto tra lui e il suo amico, potendo sprofondare in un litigio piuttosto violento.
Non sapeva come reagire o cosa pensare e, di certo, non poteva relegare alcuna colpa a quella piccola creatura di essere nata, tantomeno di essere la figlia del più grande consulente investigativo che fosse mai esistito a Londra, o in tutta l’Inghilterra, se non nel mondo intero.
 
“Mio carissimo Sherlock Holmes, non per non farmi gli affari miei, ma non puoi comportarti così! Non puoi commettere lo stesso errore che ha fatto sua madre, se così la si può chiamare! Da grande vorrà sapere chi sono i suoi veri genitori e, in ogni caso, vi verrà a cercare e fidati se ti dico che noi donne sappiamo essere veramente testarde!” lo rimproverò Mrs. Hudson, appoggiandosi le mani sui fianchi con fare imperioso, lasciando senza parole Sherlock.
“Ha ragione, Sherlock… e considera che, con ogni probabilità, lei è veramente tua figlia…” aggiunse John con tono un poco sconsolato, sconcertando del tutto il consulente investigativo.
Non aveva mai visto John comportarsi a quel modo.
“John, non è detto che lei sia veramente mia-” tentò di avvicinarsi al suo coinquilino, ma una manina ferma lo trattenne, facendolo voltare di scatto.
 
Quei due smeraldi lo fissavano in modo ingenuo e benevolo, a loro modo, quasi lo stessero supplicando di non abbandonarla.
Non un’altra volta.
Sherlock ebbe l’impressione che quel mostriciattolo col moccio al naso avesse capito l’intera situazione e il suo cuore perse un battito.
Sherlock Holmes, il consulente investigativo dal cuore di pietra, che veniva messo con le spalle al muro solamente con la forza di uno sguardo della sua figlia sconosciuta fino a quel momento e dall’animo tristo del suo compagno d’avventure.
L’indomani sarebbe nevicato.
 
“Io… Fanculo!” ruggì lui esasperato, coprendosi il viso con entrambe le mani per pochi istanti, facendo sorridere gli altri due.
 
Da quel momento in poi, ci sarebbe stata una coinquilina in più nel 221B.
Il riccioluto si abbassò al livello della bambina e la guardò con fare minaccioso, puntandole il dito indice della mano destra contro: “Vedi non frignare in continuazione, soprattutto quando sto pensando, poiché ho bisogno di assoluto silenzio. Non dovrai nemmeno respirare, se necessario. Ci siamo capiti?”.
La bambina lanciò un gridolino allegro e rise battendo le piccole manine delicate, trovando il ragazzo molto divertente.
“John”- riprese Sherlock con fare scocciato- “la bestia qui presente non ha capito che non sto scherzando!”.
“Sherlock, non è una bestia. È solo una bambina innocua… a proposito… qual è il suo nome?” chiese Watson, alzandosi dalla poltrona e avvicinandosi a quel quadretto familiare così surreale .
Chissà se il riccioluto non fosse diventato più… sensibile nei confronti delle  persone…
“Quella donna non lo ha detto” constatò Sherlock con disprezzo, rialzandosi, mentre la figlia cercava di imitarlo, anche se continuava a cadere carponi sul divano, ma non si arrese.
“Di sicuro non potete chiamarla bestia!” disse in tono perentorio Mrs. Hudson, avvicinandosi a sua volta, desiderosa di dare un contributo per dare il nome alla bambina.
“Che ne dite di Elizabeth?” chiese John, ricevendo solamente un “no” secco da parte di Sherlock.
“Abigaille?” tentò Mrs. Hudson, ma un nuovo “no” si rifece vivo nel salotto.
“Sarah?”.
“No”.
“Isotta?”.
“Se lo scordi, Mrs. Hudson! La qui presente non sarà protagonista di alcun nome presente in storie d’amore finite male! Sono irritanti e troppo complicati da ricordare”.
“Ma se non ti ricordi nemmeno il nome di Lestrade!” osservò sbigottito John, ricevendo in cambio un’occhiata eloquente che lo zittì all’istante, anche se riuscì a masticare qualche rimbrotto.
I due continuarono a formulare nomi, venendo tutti bocciati, mentre la bambina sbadigliò un poco annoiata, guardando gli altri tre in modo perplesso.
Non capiva perché parlassero così a caso e, sinceramente, non le importava un granché.
“Che ne dite di Lilith?” domandò dopo un po’Sherlock, mentre i due interruppero il loro elenco per guardarlo male.
“Scordatelo!” gli dissero  in coro i due, facendolo desistere.
 
Litigare per uno stupido nome è veramente assurdo!” pensò il riccioluto, sbuffando, guardando la bambina che quasi stava cedendo alle rassicuranti braccia di Morfeo.
Beata lei.
 
“Callie Jessica Holmes” disse infine Sherlock, ponendo fine a quello strano diverbio che si era venuto a creare, riacquistando persino l’attenzione di sua figlia.
 
“Sì, per me può andare!” esclamò John contento, carezzando dolcemente la testolina della bambina, facendola “squittire” di gioia.
“Sì, anche per me. Bravissimo, Sherlock caro!” si complimentò Mrs. Hudson, andando al piano di sotto per andare a preparare il tea, consapevole del fatto che quella casa sarebbe stato palcoscenico del lento cambiamento del carattere di Sherlock e del suo rapporto con John grazie a quella piccola creatura di nome Callie Jessica Holmes.
 






Angolo di Alyce: Buonasera, gente! ^.^
Preannuncio che questa storia tratterà momenti di vita della piccola Callie assieme a suo padre e a John.
Quindi, se leggete di una neonata che dopo due capitoli (esempio) è già una bambina di due o tre anni, non proccupatevi: non è affetta da una qualche malattia misteriosa XD
Durante l'avvenire dei fatti, si avrà un cambiamento di Sherlock: sia caratterialmente che con il rapporto tra lui e John e, di conseguenza, ho messo l'avvertenza OOC.
Spero che in questo primo capitolo sia riuscita a mantere un poco il suo comportamento distaccato, nonostante dentro di sè avesse una tempesta di emozioni (sia per la figlia che per John stesso).
Ora, la domanda è: riuscirà, Sherlock, ad essere un buon padre per la piccola? Gli toccherà veramente spiegargli le mestruazioni?.
Sì, perché... perché ho deciso così u.u
Spero che questo primo capitolo vi abbia strappato un sorriso!
Alla prossima!
Alyce :)
  
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