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Autore: pandafiore    27/08/2016    3 recensioni
{Everlark}
Peeta è nell'ospedale psichiatrico di Capitol. Riuscirà a fuggire, per tornare dalla sua Katniss?
Un altro modo in cui Peeta si ricongiunge con la Ghiandaia, quando tutto è finito.
Chissà, magari questa volta non sarà necessario sporcarsi di terra le mani e versare mille lacrime su quelle primule; chissà, forse questa volta basteranno solo pochi pennelli e qualche colore...
{Storia dedicata a Molly_weissman94}
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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OneShot
~Grigi

 






 

Storia dedicata alla mia dolce Molly_weissman94 che nella recensione della OneShot 'Portatemi da lei' ha scritto questa frase:

"e se dipingere è la sua salvezza è inevitabile che i colori siano la sua vita!"

Ebbene mia dolce Molly, ecco che io ci faccio una OneShot!
Pronta? ;)






OneShot

 

Grigi.





Le setole correvano morbide e suadenti sulla ruvida tela. Si flettevano, cariche di colore, come a voler accarezzare il dipinto, come se volessero donargli un tenero gesto d'affetto.
Lo stesso affetto che il pittore voleva donare alla donna che amava. Ma il dottore non voleva.

Il dottor Aurelius continuava a rimarcare a Peeta quanto fossero pericolosi tutti i suoi pensieri - così malsani, così folli - su quella donna.
La verità era semplicemente che i desideri del ragazzo del pane, nonostante il depistaggio, celavano un amore talmente profondo, talmente puro da spaventare.
Sì, da intimorire persino uno psicologo; il migliore del tempo, oltretutto.

Ed ecco, ancora un pizzico di bianco sotto l'ombra dell'iride d'argento, e quegli occhi meravigliosi sarebbero terminati. L'intero dipinto era finito, e l'unica cosa che Peeta voleva era mostrare il suo lavoro a Katniss. In verità, oltre a questo, desiderava ardentemente anche incastrare nuovamente il proprio sguardo con quello della ragazza, e poter così donare quella vita, quella brillantezza unica dei suoi occhi grigi, anche ai suoi dipinti; come in quella che aveva di fronte, infatti, anche in molte altre tele c'erano dipinti gli occhi di Katniss, ma erano - proprio come in quel momento - spenti, tristi... non riusciva più a sviscerare la miriade di emozioni che celavano e a buttarle sulla tela, per alleviarle i dolori. Questo molto probabilmente perché non vedeva quegli occhi da più di sei mesi.

Come tutti gli altri giorni, anche quel dì Peeta gettò senza più speranze il pennello sulla scrivania, e si buttò nel letto con le mani ancora sporche di colore.
Era strano, molto strano per lui svegliarsi al mattino e prendere consapevolezza del fatto che anche quel giorno - l'ennesimo di prigionia nel reparto psichiatrico di Capitol - non ricordasse con esattezza i meravigliosi occhi della ragazza che amava da sempre.
Grigi... e poi? Grigi e... ribelli? Sì, dannatamente ribelli. e dopo? Beh, anche... deliziosamente languidi. Lo facevano impazzire... ...o almeno credeva. Insomma, la verità era che non si ricordava minimamente la vera tonalità di quegli occhi. E per questo soffriva.
Grigi. Erano grigi, e sarebbero rimasti solo e soltanto "grigi" per sempre, a meno che... a meno che non fosse scappato.

Ci aveva provato già centinaia di volte, povero Peeta, per poter tornare dalla sua Katniss. Ma doveva riprovare, perché non poteva dipingere quegli occhi solamente grigi.
Perché se dipingere era la sua salvezza, era inevitabile che i colori fossero la sua vita.
Dunque no, quegli occhi non sarebbero più stati soltanto grigi. Erano molto di più, solo che lui non se lo ricordava. Ma voleva ricordare.
Doveva. Altrimenti era innamorato di due occhi di cui nemmeno aveva memoria.

Così quel giorno, sul far della sera, con un cielo purpureo fuori dal vetro, tentò per l'ennesima volta la fuga.
Oh, non era mica semplice come si potrebbe pensare, evadere da quel "manicomio"! Ma Peeta non era pazzo, e lui lo sapeva. O meglio, lo era stato, ma ora non avrebbe mai e poi mai fatto del male a Katniss. Nemmeno se fosse stata lei stessa a chiederglielo.

Dalla porta aveva già provato troppe volte ad uscire, ed ora c'era una guardia che era peggio d'un mastino ad attenderlo, appena avesse messo piede in corridoio. Precedentemente aveva dunque pensato di scappare dalla finestra, ma era stato impossibile, dato che non aveva maniglie, il vetro era infrangibile - quanti pugni ci aveva tirato, invano! - e per aprirla ci sarebbe voluto un oggetto acuminato, per fare leva.
Ma ogni singola cosa leggermente appuntita in quella stanza era stata rivestita di imbottitura, affinché lui non ci si ferisse volontariamente; non sarebbe stata la prima volta: Peeta, nei casi di peggiore disperazione per l'eccessiva lontananza da una vita normale, spesso si era procurato dei tagli. Voleva porre fine alla sua vita? I dottori dicevano di no, dicevano che era solo un modo per farsi notare e attirare l'attenzione o, tuttalpiù, eclissare il dolore dell'anima con un dolore fisico. I dottori dicevano... Beh, dicevano anche che la sua infatuazione lo avrebbe portato alla follia più totale, prima o poi, peccato che non capissero che sarebbe stato il manicomio a farlo impazzire davvero. Così come la distanza da Katniss, dal distretto Dodici, da Haymitch, dal pane fatto in casa... da tutte quelle piccole cose che sembrano così "normali" che ad un certo punto le diamo per scontate. Poi, quando vengono a mancare, è come perdere la terra da sotto i piedi. Terrificante.

Ma torniamo ai pensieri di Peeta...
Demoralizzato per non aver trovato qualche leva per la finestra nemmeno quella sera, al posto che andare a dormire, si mise a dipingere per cercare di donare ancora il profumato spirito di libertà a quegli occhi; ma era tutto inutile.
Aveva bisogno di vederli, quei maledetti occhi.

Gettò nuovamente i pennelli sulla scrivania, e fu il rumore sordo a contatto con l'imbottitura di cui era stato rivestito il ripiano, a far scattare in lui una lampadina.
I pennelli, cavolo, i pennelli!

Prese il più robusto, se lo rigirò tra le mani con uno sguardo così felice e ingegnoso da spaventare e, con grande furbizia, utilizzò proprio quello come leva per aprire la finestra. Il primo si spaccò, il secondo pure - era legno fragile, maledizione... -, ma poi, scartabellando qua e là, trovò un pennello con il manico di plastica. Oh, perfetto!
Con ogni sua forza, in piedi sul materasso che gli fungeva da letto, riuscì ad aprire quella dannata finestra, e subito una ventata d'aria gelida lo investì.
Guardò fuori, e vide un morente autunno, che stava lasciando spazio all'inverno; le foglie sempre più brune e secche, il vento sempre più sferzante e pungente. Presto sarebbe arrivata la neve, e lui il Natale lo voleva passare con Katniss.

Intascò il pennello, e si appese allo stipite con le mani. Un piede qui e l'altro pure, riuscì ad uscire dalla finestra, balzando fuori... e fortuna che si trovava al piano terra, altrimenti non ci avrebbe pensato su due volte prima di gettarsi di sotto, pur di arrivare nel Dodici il prima possibile.

Corse a perdifiato sino alla stazione, mantenendo il viso basso, senza farsi riconoscere troppo, e imboccò il primo treno che portava al suo distretto. A casa sua. Dalla sua Katniss.

E durante la riabilitazione, seppur non avesse mai ricordato i suoi occhi, aveva un'immagine fissa davanti, che non sapeva se fosse veritiera o solo l'ennesimo frutto della sua immaginazione: baci caldi, umidi, su una spiaggia. Dentro un'Arena. Baci carichi d'amore, baci che ti tolgono il respiro; baci corrisposti, e non solo per le telecamere.
Sentiva dentro di sé qualcosa di strano, un calore indescrivibile al centro del petto, fino alla bocca dello stomaco, e non vedeva l'ora di arrivare a casa per mutare quelle sensazioni in parole, tutte per Katniss.

E arrivò. Sudato per l'ansia, coi capelli che più che capelli sembravano un nido, con un pennello - la sua salvezza, in ogni senso a quel punto - in tasca, si presentava dalla ragazza che amava.
E tentò sì, di suonare alla porta, ma evidentemente Katniss pensava che fosse la solita Sae, o Haymitch in cerca di alcol, o chissà chi venuto per conoscere la famosa Ghiandaia Imitatrice.
Fu per questo che Peeta, anche qui, entrò dalla finestra, che però era aperta. Che strano, quello a cui piaceva dormire con la finestra aperta era lui, non Katniss. O si confondeva? No, era sicuro. Che lo stesse allora, per caso aspettando?
Incoraggiato come non mai, corse allora fino in salotto, dove una grande poltrona gli dava le spalle e osservava il camino. Peeta, non sapeva il perché, ma era certo che l'avrebbe trovata lì, con il gatto acciambellato sul grembo.

E fu un tale sollievo per lui ritrovarla, che quasi svenne.

E fu un tale spavento per lei, ritrovarselo di fronte mentre doveva essere a Capitol, che quasi le venne un infarto.

Sgranò gli occhi, allarmata, e il gatto le scivolò via dalle mani, forse prevedendo un immediato attacco isterico.
Ma non fu così.
Katniss, con gli occhi - sì, quegli occhi che il ragazzo non riusciva più a dipingere - spalancati, e il cuore che impazzava nel petto, manteneva una posizione sì irrigidita, ma perfetta. Immobile. E Peeta? Oh, Peeta si sentì uno stupido.
Ma non perché era piombato lì nel cuore della notte, entrando abusivamente dalla finestra, scappando da un manicomio grazie ad un pennello... no, no, non si sentiva "stupido" per questo.
Si sentì immensamente cretino perché aveva dimenticato quegli occhi deliziosi. Ma come cavolo aveva fatto? Non riusciva proprio a concepirlo.

-Katniss, perdonami, io...- Iniziò a balbettare, passandosi le mani tra i capelli indomiti, e camminando su e giù in cerca di parole che non salivano alla gola. E tutti quei grandi presupposti per un bel discorsone sui propri sentimenti? Morti.
Ora, c'erano solo lui, quegli occhi grigi, e il loro intreccio di sguardi. Null'altro.

-Avevo dimenticato i tuoi occhi.- Sbottò Peeta all'improvviso, accucciandosi davanti a lei, per raggiungere le stessa altezza della poltrona.
Forse era davvero pazzo, perché vide un lieve sorriso muoversi sulle candide labbra rosee della ragazza. Oh, sicuramente era pazzo. Quando mai Katniss avrebbe sorriso di fronte ad un suo gesto d'amore? Semmai sarebbe scappata nei boschi. Con Gale magari. Ma no, lei era lì e fanculo a tutti gli altri.
Loro due.
Si bastavano loro due.

-...Peeta.- Biascicò piano lei, con una voce tale che chiunque avrebbe capito che non parlava da settimane.
-Katniss... Kat, sono qui. Lasciami... Lasciami solo dipingere i tuoi occhi ed io sarò felice. Non pretendo baci, relazioni finte, abbracci, eccetera... non ci sono più telecamere, dunque tutta questa menzogna non serve...- Una nota di amarezza gli increspò la voce.
-Peeta...- Gracchiò di nuovo lei, ma la gola le bruciava troppo per riuscire a parlare e a dire dell'altro.
-Però ho bisogno di sapere una cosa.- Aggiunse lui, come se non fosse mai stato interrotto; -Katniss, io ricordo dei baci su una spiaggia... nell'Arena. Ho solo... ho solo bisogno di sapere se erano veri, da parte tua.- Katniss sussultò. Peeta la stava pungendo sul vivo.

La ragazza aprì la bocca per parlare, ma non uscì nemmeno un suono. Ma lui doveva sapere.
Così, con un gesto così coraggioso per la sua indole da sembrare pazzesco, afferrò tra le dita il bavero della sua felpa, e si portò Peeta sulle labbra con una tale irruenza da spaventare persino se stessa. Figurarsi Peeta.
-Ehi...- Tentò di mormorare lui, staccandosi appena dal suo viso con un sorriso, ma lei fu molto più svelta, e tornò a baciarlo con ancora più foga, chiudendo gli occhi. Questa volta Peeta non esitò a rispondere al bacio. Anzi.
Salì sulla poltrona con lei, ignorando Ranuncolo che miagolava perché quel tizio gli aveva fregato il posto. Oh, chi se ne importava di quel gatto in quel momento! Erano così felici che nemmeno un meteorite li avrebbe staccati l'uno dall'altra. E così Peeta ebbe la conferma che quei lontani baci, sulla spiaggia, erano veri non solo da parte sua...


Passarono i mesi, e Peeta dipinse tele su tele raffiguranti quegli occhi d'acciaio - ed ora sì che erano feroci, incandescenti, ribelli.
Loro impararono a vivere assieme, a crescere insieme, ad affrontare insieme questa nuova rinascita.
Fino a quando, una notte, Katniss non fece una domanda bizzarra.

Peeta stava respirando sul suo seno, mentre lei gli accarezzava placidamente i riccioli d'oro, meravigliosi.
-Peeta, come hai fatto a fuggire dall'ospedale psichiatrico?- Gli domandò lei, facendolo sorridere.
-Con un pennello.- Rispose lui, tranquillamente. Come fosse la cosa più normale del mondo, insomma.
-Ah.- Il cuore di Katniss mancò un battito, ma poi riprese, assieme allo sfarfallio nello stomaco. Aveva fatto testimonianza lei per Peeta, con il dottor Aurelius, dimostrando che il ragazzo non palesava più alcun gesto violento. I dottori, destabilizzati, concordarono con la Paylor di lasciarlo nel distretto Dodici, e fu così che, da quel giorno, Peeta poté dipingere quotidianamente il bruciante fuoco di quegli occhi grigi, ma non solo grigi.

-Posso chiederti un'altra cosa?- Aggiunse Katniss, sorprendendolo. Da quando parlava così tanto?
-Certo.-
-Come hai fatto a dimenticare i miei occhi?- Lei ridacchiava, per questa domanda che era più uno scherzo che altro, ma lui rispose seriamente:-Non lo so. Sono proprio un cretino.-
Alzò la testa, le baciò le labbra, le sorrise e si riaddormentò, ma non prima d'aver guardato, per ancora una volta, lo sfavillio di vita di quegli occhi meravigliosi.
Ti amo. Pensò, e, stanco, si lasciò andare alle cullanti braccia di Morfeo... e a quelle della sua Katniss.



   
 
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