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Autore: Athelye    01/09/2016    8 recensioni
Prese uno sgabello e si sedette di fronte agli altri. Chitarra in braccio, fece vibrare delle corde a caso un paio di volte per scaricare la tensione.
Sospirò una volta, due volte, infine prese un respiro, e cominciò.
"When I held you near
You were so sincere
Treat me like you did the night before.."
Chiuse gli occhi, rilassando il corpo. Ecco, gliel’aveva detto.
Genere: Malinconico, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Lennon, Paul McCartney, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prese uno sgabello e si sedette di fronte agli altri. Chitarra in braccio, fece vibrare delle corde a caso un paio di volte per scaricare la tensione.
I due che aveva di fronte lo guardavano, perplessi dal suo comportamento distaccato. Paul era arrivato in studio in silenzio, senza guardare nessuno aveva inforcato la chitarra e, senza un saluto né giri di parole, aveva comunicato loro di aver scritto una canzone, o quantomeno averla pensata.
Il loro amico non aveva mai fatto così, o comunque non di fronte a loro. Il più piccolo si girò e accanto a sé per chiedere spiegazioni, ma dove prima c’era un ragazzo dai capelli ramati, ora c’era solo l’aria.
“John?”
Lo chiamò sottovoce, girandosi per cercarlo nella stanza. Lo individuò ad armeggiare intorno a delle scartoffie su una scrivania lì vicino. Quello alzò lo sguardo in direzione della voce, rendendosi conto che George l’aveva chiamato, ma non volendo tradirsi lo riabbassò sui fogli.
Sospirò una volta, due volte, infine prese un respiro, e cominciò.
Qualche nota cominciò a uscire dallo strumento, insieme alla voce vellutata del ragazzo, eppure allo stesso tempo ruvida, come se non avesse chiuso occhio tutta la notte.
 
We said our goodbyes
Love was in your eyes
Now today I find
You have changed your mind
Treat me like you did the night before
 
I movimenti di John si fecero più goffi, anche se non stava realmente facendo niente, si intrecciava nel far finta di curiosare fra i fogli sulla superficie, scartocciandoli un po’, facendo finta di niente. Si beccò ben presto un’occhiataccia dal più grande di loro, e un paio di occhi azzurri come quelli ci puoi giurare che ti gelano sul posto, quando vogliono. Ringo era adorabilmente gentile ogni secondo di tutta una maledetta giornata, anche la più faticosa, ma in quel momento il rimprovero nel suo sguardo congelò John e lo scoraggiò dal fingersi incurante alla voce del suo migliore amico. Già, un paio di notti prima doveva essersi completamente dimenticato che era il suo migliore amico. Vuoi per l’alcool, vuoi per la trepidazione del momento, magari una buona notizia ricevuta, non avrebbe saputo spiegarlo in altro modo. O forse ne avrebbe trovati altri mille.
 
Were you telling lies?
Was I so unwise
When I held you near
You were so sincere
Treat me like you did the night before
 
Fruscii di lenzuola, dolci risolini, gemiti e sospiri. Come tutto era cominciato, quella sera, tutto era finito: con un nome sussurrato, nell’oscurità. Non l’oscurità di una strada, ma di una camera dove aleggiavano solo parole dolci e tenerezze, e per un po’ di tempo i due ragazzi si erano potuti dimenticare la loro identità, abbracciandosi solo come le ombre di due amanti, e non come le due stelle che tenevano in mano il mondo.
Nell’atmosfera, parole d’amore e ‘ti amo’ sussurrati erano rimasti sospesi fra sogno e realtà, finché un raggio di sole non aveva squarciato il telo nero della notte, entrando di prepotenza nella stanza, sgretolando la parte del sogno e lasciando solo l’amara realtà di un letto vuoto e freddo.
 
Last night is a night I will remember you by
And when I think of things we did
It makes me wanna cry
 
Una lacrima sfuggì a Paul, mentre suonava quella musica apparentemente allegra, rigandogli la guancia chiara, brillando sulla sua mandibola.
Ringo stava quasi provando la stessa tristezza dell’amico, chiedendosi chi avesse potuto sbriciolare così il cuore di quello che ormai lui riteneva come un fratello minore. Aveva visto molte ragazzine con il cuore infranto e il proprio amore spezzato dopo una notte di sesso occasionale con il bassista, convinte che le sue fossero promesse di amore eterno, e nutrivano la fievole speranza di rivederlo, prima o poi, tornare a stringerle fra le lenzuola. Si era chiesto cosa dovessero provare, e se Paul si fosse mai reso conto del dolore che procurava loro, e ora ecco che sembrava essersene finalmente accorto. Tuttavia, Ringo si era immaginato tutta un’altra scena.
Aveva immaginato di dover consolare un Paul McCartney avvolto fra le coperte della propria camera da letto, portandogli qualcosa di caldo da bere, o nel peggiore dei casi, di urlargli dall’altra parte della porta, bussando e implorandolo di aprirgli e lasciarsi aiutare in qualche modo. Magari dirgli un “te l’avevo detto” che ci sta sempre bene, con John che avrebbe cercato di tirargli su il morale prendendo in giro la ragazzina di turno, mentre George gli avrebbe proposto di mangiare qualche biscotto.
Ma la visione a cui stava assistendo, no, quella non avrebbe mai potuto immaginarla. Paul suonava la sua chitarra, fissando le corde con lo sguardo vuoto e gli occhi pieni di lacrime orgogliose che non volevano ammettere di essere lì. La sua voce era roca e graffiata, come se quelle lacrime l’avessero già corrosa non molto tempo prima.
George, dal canto suo, teneva il tempo picchiettandosi l’avambraccio con le dita, gettando occhiate dietro di sé a John, che si era fermato dal suo palesemente finto cercare qualcosa in particolare sul tavolo e ora ascoltava attento. Se si fosse fermato anche solo un secondo era certo che si sarebbe lanciato sul ragazzo e avrebbe cercato di strangolarlo, perché era sicuro che c’entrasse parecchio con l’umore sotto le scarpe di Paul. E chissenefrega se John aveva sempre avuto la meglio nelle risse, anche perché dalla faccia che aveva probabilmente si sarebbe lasciato picchiare volentieri. Ma a frenarlo era lo sguardo di Ringo, che gli lanciava occhiate ogni tanto, intuendo il suo nervosismo e facendolo stare fermo.
 
Inutile dire che nel frattempo John si stava sentendo morire. C’era qualche speranza che Paul stesse parlando a quell’opportunista della sua fidanzata sono-impegnata-da-morire, Jane Asher? No, non c’erano.
E chiamare lei opportunista era decisamente da vigliacchi.
Ma d’altronde lui cos’era, se non un dannatissimo coniglio? La mattina precedente era letteralmente scappato dalla camera del bassista, mentre quello ancora era nel mondo dei sogni, e non si era fatto vivo con lui per tutto il resto del giorno. E tu saresti il più grande fra voi due, si rimproverò. Ma c’era poco da rimproverarsi adesso, il danno ormai era bello che fatto.
Si era sentito dannatamente in colpa per quella notte, e si sentiva dannatamente in colpa adesso, guardando l’altro. Aveva distrutto la loro amicizia, e non si era neanche curato di sapere come stava l’altro, preso com’era dal tentare di dare una spiegazione a se stesso, ripetendosi che si era trattato di un errore, un fottutissimo errore dettato dall’alcool.
 
We said our goodbyes
Love was in your eyes     
 
Ma quale alcool? No, non aveva avuto la mente annebbiata neanche per un secondo, sapeva benissimo cosa stava facendo quando aveva stretto a sé il corpo dell’altro e quando si era impossessato delle sue labbra, ed era perfettamente cosciente quando erano arrivati in camera sua, lottando con i vestiti e poi con le lenzuola.
Era in pieno possesso di sé quando aveva sussurrato al minore che lo amava, gemendo sulla sua pelle, mentre lui gridava il suo nome, cercando di richiamarlo da un luogo lontano.
Non aveva una maledetta scusa valida, se non quella di essere un codardo infame che non sa far altro che scappare e nascondere la testa sotto la sabbia.
Solo che pensare di aver rovinato tutto per la follia di un momento faceva troppo male, perché Paul invece doveva aver bevuto parecchio quella sera.
 
Now today I find
You have changed your mind

Treat me like you did the night before 
 
Paul era riuscito a trovare la forza di alzare gli occhi dalla chitarra solo per l’ultima strofa, e aveva comunque impiegato uno sforzo notevole. Un dolore tremendo lo trafisse al petto, quando incrociò lo sguardo del suo migliore amico, ma riuscì comunque a farsi forza e continuare a cantare. Nella stanza ci sarebbero potute essere mille persone come una sola, che lui non se ne sarebbe neanche accorto. Stava cantando per una persona sola, quella proprio in fondo alla stanza, quasi volesse fuggire.
E da chi poi? Lui aveva a malapena avuto l’energia di alzarsi per andare lì, dopo aver pianto per quasi tutto il giorno prima, dopo aver saputo da George che John non si sarebbe presentato in studio “per stare con la sua adorata Cynthia”. Già, quel bastardo. Quel maledetto bastardo per cui aveva sprecato tutte le sue lacrime, per anni, e per cui stava cantando proprio in quell’istante.
Pur pensando di odiarlo, pur pensando che fosse un codardo, non riusciva a guardarlo e trasmettergli qualcosa che non fosse amore.
 
Like the night before..
 
Chiuse gli occhi, rilassando il corpo. Ecco, gliel’aveva detto, ora poteva anche andarsene. Si alzò, senza dire una parola, come era entrato, uscì in silenzio, ignorando i tentativi di George di fargli i complimenti per l’idea, per il testo, per la melodia. In fondo, gli dispiacque per l’amico, non ce l’aveva con lui, ma non voleva vedere o sentire nessuno, né in quel momento né dopo.
Appena Paul fu uscito dalla stanza seguito da George, Ringo si avventò su John, facendolo indietreggiare parecchio senza neanche sfiorarlo.
“Ora, se non sei l’idiota che ti ostini a voler sembrare, farai di tutto per farlo tornare com’era prima. Perché so che è colpa tua, se ne sono accorti anche i fogli con cui ti divertivi prima. Non so che diavolo tu abbia combinato stavolta, ma se non rimedi in qualche modo, John, ti giuro che ti farò molto più male io di tutte le zuffe in cui ti sei buttato messe insieme.” Minacciò, con un tono freddo e calmo che fece correre dei brividi lungo la schiena dell’altro.
John annuì, sostenendo lo sguardo gelido dell’altro. Cristo se l’avevano colpito quelle parole, molto più di quanto non avrebbe fatto un pugno.
Quando il più piccolo dei quattro rientrò e trovò Ringo a un soffio dal darle sul serio a John, pensò per un attimo di avere le allucinazioni, ma pensò anche che nel peggiore dei casi avrebbe solo ritardato a intervenire, lasciando che quest’ultimo si prendesse un paio di ganci ben assestati.
Tuttavia, quando John si defilò, sgusciando rapidamente via dal batterista e lanciandosi verso le scale, guardò il più grande con uno sguardo sconcertato.
“E lo lasci andare via così?!” Chiese sbalordito, indicando la porta da cui l’altro era appena uscito.
“Ho fiducia in lui.” Si limitò a rispondere l’altro sospirando, andando a rimettere a posto la scrivania con cui John aveva cercato di distrarsi poco prima, scuotendo la testa.
 
John andò spedito verso il tetto, sapeva che Paul a questo punto non sarebbe tornato a casa, o perlomeno ci sperava. Infatti lo trovò seduto su una specie di cassone in lamiera completamente arrugginito, a guardare lontano senza vedere realmente niente.
Il maggiore poté tirare un sospiro di sollievo. Si avvicinò quasi affiancando il ragazzo, ma fu bloccato dalla sua voce.
“Che cazzo credi di fare?” Chiese, non staccando gli occhi dall’orizzonte che stava fissando.
John rimase interdetto, limitandosi al silenzio. Paul scosse la testa, con un sorriso amaro sulle labbra.
“Non ci provare, se sei qui per scusarti, non farlo. Preferisco che tu giri i tacchi e te ne vada.” Mormorò, quasi più a se stesso che non all’altro.
“Paul..”
“Non hai neanche chiamato. Neanche una sola, dannatissima telefonata. Non credo che una cornetta pesi così tanto, sai?”
John stette in silenzio, osservando il profilo dell’altro. Abbassò lo sguardo, serrando le labbra. Perché avere paura era da vili? Non era forse umano? Si fece queste domande, ma poi si rispose che fosse più che giusto avere paura, ma era stato il suo scappare da ciò che temeva a renderlo vile.
“Io.. Mi dispiace, ok? Non.. Io non volevo andarmene così, ma..”
“Ma cosa, John? Dovevi tornare da Cynthia e da tuo figlio? Dov’erano loro quando mi hai baciato in strada, eh? E quando mi hai preso fra le coperte?” Paul scattò in piedi, girandosi a fissare l’altro, che chiuse la bocca, ancora schiusa per la frase interrotta. “Già, immaginavo..”
“Ascolta, non so perché ho fatto quelle cose. Non volevo. Non volevo rovinare l’amicizia con te, lo giuro Paul, mi possa prendere un fulmine adesso!” Esclamò, con una nota esasperata nella voce. “Sono scappato, sì, hai ragione. Hai tutte le ragioni del mondo per avercela con me, per volermi buttare da questo dannato palazzo perché sono un maledetto codardo!”
Paul lo osservò, mentre il vento freddo di febbraio lo faceva rabbrividire sotto il cappotto.
“E quando hai detto che mi ami? Non volevi fare neanche quello?” Quasi bisbigliò, usando solo un filo di voce. L’aveva stancato avere anche solo lo scatto d’ira di poco prima, ma fare quella domanda temendone la risposta, era ciò che l’aveva sfibrato di più.
 
John lo guardò, mentire era inutile, ormai si era giocato tutto e lo sapeva. Almeno avrebbe detto addio all’amicizia più importante della sua vita coni dignità, più o meno. Sospirò, cercando di recuperare più aria possibile.
“Se volevo farlo? Sì, da almeno un anno. Non volevo farlo così, come tutto quello che ho fatto l’altra sera. Non volevo scappare, ma è l’unica cosa che continua a riuscirmi davvero bene da quando avevo undici anni, quando la situazione si fa complicata.” Fece una pausa, prendendo fiato. “E data la mia abilità nel distruggere tutto ciò che tocco, beh, ora posso dire addio alla cosa più bella che mi sia capitata in vita mia. Tu. Quindi se volevi chiedermi se ti amo, allora sì. Io ti amo.”
Paul rimase a fissarlo in silenzio, con gli occhi spalancati, senza parole. John si stufò presto di quel contatto visivo, e agitò le mani in aria.
“Beh, ho finito, ora puoi mandarmi tranquillamente a fanculo e tagliarmi via dalla tua vita. Ma ti prego, di’ qualcosa!” Concluse, guardando altrove, facendo per voltarsi ma ancora una volta la voce dell’altro lo fermò.
“Ma sei cretino?”
La domanda gli era uscita con un tono dannatamente spontaneo, il maggiore quasi si offese per questo. Diamine, si era appena dichiarato e l’altro gli dava anche del cretino?
“Prego?” Chiese, girandosi verso il minore.
“Ti ho chiesto che cazzo hai nella testa.”
John allargò gli occhi, e per una volta ringraziò il vetro degli occhiali che gli faceva da schermo contro il vento gelido, altrimenti si sarebbe preso di certo una congiuntivite.
“Cristo John, sei solo miope, mica cieco!” Esclamò Paul, incredulo.
Il maggiore si ritrovò davvero stordito a questo punto, non capendo minimamente a cosa diavolo si riferisse l’altro.
“Ma che..” Lo squadrò un po’. “Macca, che minchia stai dicendo?”
Paul gli rimandò uno sguardo diffidente, corrugando le sopracciglia.
“Tu.. Non te ne sei mai accorto?” Domandò, scrutando le sue reazioni.
“Accorto di che?!” Replicò sconcertato.
“Sono sette fottutissimi anni che provo qualcosa per te, e tu te ne esci così?!” Esclamò, spalancando gli occhi.
John pensò che stesse scherzando, che lo stesse solo prendendo per il culo per la sua dichiarazione. Ma dovette ricredersi, perché lo sguardo dell’altro era davvero stupefatto, probabilmente il riflesso del suo.
“Tu..?”
“Se ne sono accorti Geo, Ringo, anche Martin mi ha fatto qualche domanda a riguardo! Tu davvero non l’avevi capito?!”
Il maggiore deglutì. Sì, ok, c’erano stati dei momenti, magari durante un concerto o le prove, in cui Paul non faceva altro che fissarlo con quel sorriso un po' perso, ma non ci aveva mai prestato troppa attenzione. Ma insomma, loro erano fatti così, no? Sempre a guardarsi negli occhi, a un microfono di distanza, toccandosi, mantenendo il contatto. Era un po’ come se prendessero energia dall’altro. Ok, forse non tutti i migliori amici fanno così, però..
Però ogni volta che a Liverpool si erano ritrovati da soli, ogni volta che John aveva un problema e crollava, c’era sempre Paul al suo fianco, anche quando sfasciava qualsiasi cosa gli capitasse sottomano. Paul era sempre lì, non gli importava di prendersi un pugno, di tutte le cattiverie che John gli rovesciava addosso in quei momenti, lui stava lì per lui. Anche ad Amburgo, con tutte le sfuriate di Paul sul fatto che Stuart non sapesse suonare e John non dicesse niente, perché era un suo caro amico. Partì proprio da Amburgo, e dalle scenate da primadonna del minore, e cominciò finalmente a collegare tutti i punti di quell’immagine, fino a due sere prima.
Non ci aveva pensato, non ci aveva pensato affatto, ma Paul non aveva bevuto un solo goccio di birra, né alcun drink. E quando John l’aveva baciato lui non si era tirato indietro, non gli aveva urlato contro chissà quali insulti, anzi. Si era aggrappato alla sua giacca, e lui aveva proposto di andare in un luogo più appartato. Come aveva fatto a non accorgersene?
“Da tutto questo tempo?” Gli mancò la voce mentre lo chiedeva.
Lui aveva cominciato a sospettare di se stesso da poco, da certe reazioni della sua mente e del suo corpo, mentre Paul c’era dentro da.. Quanto aveva detto? Sette anni? E lui non se n’era mai accorto.
L’altro annuì.
“E perché non me lo hai mai detto?” Chiese il maggiore, ritrovando un po’ di calma.
Paul fece spallucce, mettendosi le mani in tasca, poi ci pensò su mentre disegnava dei cerchi per terra con il piede.
“Probabilmente perché pensavo, come te, che mi avresti tagliato fuori dalla tua vita. Sai, tu eri quello ribelle, quello figo, chi te l’avrebbe fatto fare di tenere uno come me, che aveva ancora la faccia da bambino?”
John sorrise. Era stato lui a dirglielo, e l’aveva sempre un po’ preso in giro per quello, per la sua faccetta paffuta e tenera. Non sarebbe risultato minaccioso neanche con tanta forza di volontà.
“E si può sapere che diavolo ci hai visto in me, sette anni fa?” Domandò, quasi ridendo al ricordo.
Paul sorrise, mordendosi il labbro per contenere l’enorme sorriso che si stava dipingendo sulle sue labbra.
“Un ragazzo che inventava le parole su un palco.”
Il maggiore inarcò le sopracciglia, piacevolmente sorpreso. “Davvero?”
“Mi stupì anche il tuo pesantissimo alito di birra. Pensavo mi avresti ucciso.” Aggiunse ridendo.
John rise forte alle sue parole, annuendo, ricordando perfettamente quel giorno. “E tu non sei curioso di sapere di me?”
L’altro scrollò le spalle, scuotendo la testa con convinzione.
“So già di essere bellissimo e avere degli occhi meravigliosi, Lennon.” Commentò, facendo schioccare la lingua.
“Sai anche di essere un maledetto rompiscatole, McCartney?”
Quello gli fece la linguaccia, strizzandogli l’occhio.
“Non era per quello, comunque.”
“Sentiamo, per cosa?” Chiese, avvicinandosi.
“Perché c’eri. Ci sei sempre stato per me, mi hai fatto da ancora per tutto il tempo. Chissà dove sarei senza questo piccolo bassista sfrontato.” Fece un passo nella sua direzione.
“Anche se di poco, sono comunque più alto di te.” Replicò lui.
“Non se siamo in orizzontale.”
Paul inarcò le sopracciglia, spostando rapidamente lo sguardo altrove, mordendosi la guancia per bloccare il sorriso, con scarsi risultati. Diamine, un po’ di dignità! Scosse lievemente la testa e poi tornò a guardarlo.
“Beh.. Ma se tu mi ami, e io ti amo..” Si morse il labbro, un po’ incerto. “Adesso che succede?”
John non rispose. Non perché non volesse o che, ma il fatto che l’altro ricambiasse non l’aveva minimamente sfiorato, quindi semplicemente non aveva una risposta per quella domanda.
“Direi di comportarci normalmente, intanto. Poi si vedrà.”
Non appena ebbe finito la frase, afferrò l’altro per incontrare le sue labbra. Quando si separarono, Paul, con gli occhi ancora chiusi, scosse la testa come per riaversi, poi li aprì sorridente.
“Beh, questo è un inizio. Ma promettimi una cosa.” Disse, mentre lisciava la giacca dell’altro.
“Certo, dimmi.”
“Promettimi che mi bacerai ogni volta che berrai una birra.”







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Angolo Autrice
Saaalve a tutti, e buon settembre! :D
Era un pezzo che non pubblicavo (dopo vi spiego perché), e sì, scommetto che non sono mancata a nessuno, ma avevo voglia di pubblicare qualcosa per l'inizio di questo mese, che per me divnterà un delirio, già lo so. Maledetta maturità.
Dunque, a proposito di sta schifezza che ho pubblicato: chiaramente è ispirata alla canzone (che per un pelo resta sotto al terzo di testo, phew). Ok, diciamo che avevo provato a buttar giù qualcosa meeeesi fa, però poi ho chiuso word e l'ho lasciata lì. Due giorni fa mi sono detta "Ok, riproviamoci." E here we are, questo è il risultato.
Avevo pensato di farla totalmente angst, ma ho un difetto di fabbrica per cui non riesco a far litigare questi due per più di due righe, come avrete notato dal testo davvero patetico in alcuni punti. Patetico perché più lorileggo e meno mi piace >.<
Volevo ringraziare la mia beta di fiducia, che me l'ha corretta alle undici e mezza stanotte (ti adoro, stop.), e mandare un gigantesco ringraziamento a Anya, a cui rompo le scatole ogni tre per due. Ringrazio anche tutti quelli che leggono, aggiungono e recensiscono le mie storie, ovviamente, perché senza di voi credo non avrei continuato a pubblicare.

Ed eccovi comunque la spiegazione del perché non ci si legge da una vita: sto lavorando a una long. Ebbene sì, dopo quasi nove mesi, mia figlia è quasi pronta a vedere la luce, più precisamente il 9 settembre pubblicherò il primo capitolo.
Detto questo, vi prego, fatemi sapere che ne pensate della storia qui sopra, e se vi andrebbe appunto di leggere una mia eventuale storia, diciamo un po' più completa, anche per messaggio privato.
Grazie ancora a tutti, lettori silenziosi e recensori.

Athelyè ~
   
 
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