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Autore: Shu    30/04/2009    6 recensioni
Il sole, lo sfarzo, la folla, e una musica tutta uguale. Un piccolo camino de Santiago, per arrivare nel luogo dove la terra finisce...
[Caterina Sforza]
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Alessandro XVIII, Antonio Borgia, Caterina Sforza, Tres Iqus
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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[Che i lettori di TB mi perdonino questa introduzione… Ma mandando per un contest una fic su un fandom non tra i più conosciuti, mi sento in dovere di precisare che la storia è ambientata nel 3061 (LOL! Per i conoscitori preciso invece che siamo un anno prima dell’inizio del manga, all’altezza di RAM II-“Silent Noise”), e che la mia protagonista, Caterina Sforza, è uno dei massimi esponenti di un Vaticano ormai più compagine politica che non istituzione religiosa: perciò in quest’epoca questa donna può essere cardinale, ebbene sì, e avere un giovanissimo fratello che riveste addirittura il ruolo di Papa. Insomma, non si intende ovviamente offendere nessuna concezione religiosa –altrimenti poi mi auto-offenderei pure, devo dire!
La storia è stata scritta per partecipare alla V Disfida di Criticoni: una sfida a squadre, in cui i componenti dei due team si fronteggiano a coppie su un bando sorteggiato: il mio era “Ascoltato”, e ho scelto, tra i brani classici a cui la storia doveva ispirarsi, il “Boléro” di M. Ravel.  Trinity Blood è un fandom estremamente complesso per quanto riguarda trama e personaggi, e mi auguro di non aver commesso errori madornali. Mi auguro anche che possano funzionare i modi con cui ho cercato di costruire la storia sul tema.
Un grazie di proporzioni incalcolabili va alla beta-reader d’eccezione che ho avuto, Sundy, che ha risposto come solo lei poteva, e con immensa pazienza, a tutte le mie domande sul canon di TB, e senza la quale questo scritto non avrebbe avuto nemmeno un briciolo di senso. A lei, onore al merito per quello di buono che può esserci qui dentro, e un grazie senza fine; per tutte le imprecisioni che possono essere rimaste, invece, mea culpa. ^^’
Il titolo viene da un brano molto suggestivo dell’ultimo album degli Enigma.
Grazie a Criticoni per la Disfida, un inchino alla mia contendente^^, e pompon agitati all’indirizzo della mia squadra!!]

 

 

 

 

 

 

La puerta del cielo

  

 

Riflessi di sole che abbacinavano lo sguardo sull’oro degli ornamenti suoi e del resto della processione, cielo di un azzurro perfetto e spietato, e soprattutto il caldo. Troppo caldo.

Sentiva il sudore scivolarle da sotto i boccoli giù nel colletto, ed era un fastidio enorme. Pareva come se il sole appesantisse di chili e chili il mantello, il galero, gli stivali, e sì che quella che aveva addosso era la sua tenuta estiva –per quanto poteva esserci di estivo in una cappa istoriata d’oro e nei metri e metri di tulle e trine delle sottogonne. Non riusciva a pensare ad altro che al caldo. E a camminare, ovviamente. Nemmeno mezz’ora era passata da quando erano scesi dall’aeronave e si erano messi in marcia alla volta della Cattedrale, e lei già non ne poteva più. E pensare che una volta, un numero incalcolabile di persone a Santiago de Compostela ci arrivava dopo centinaia di chilometri a piedi… stentava quasi a crederci.

Tenere il passo lento del corteo era una tortura. Fra l’altro erano accompagnati dalla musica monotona di una banda locale di fiati e percussioni, che ripeteva continuamente un motivo presto perso nella confusione di quella folla immensa. Ai loro lati scorrevano solo gente che gridava e faceva festa, e i tamburi. Non far notare il mal di testa feroce che le era venuto sarebbe stata un’impresa non da poco.   

I colori della processione, poi, sembravano amplificare ulteriormente la vampa di un venticinque di luglio a Santiago: il nero dei preti, gli arabeschi d’oro che fiammeggiavano sul rosso delle cappe cardinalizie, e perfino la piccola figura di Alessandro di fronte a lei sotto il sole non era che uno sfolgorio accecante di bianco.

Oh, Alessandro. Non era vero, no, che non aveva in mente altro che il caldo e l’andatura da tenere. Pensava a lui, senza distogliere mai gli occhi dalla sua schiena. L’aveva vestito più leggero che aveva potuto, ma non c’era molto da fare: lo vedeva vacillare di continuo sotto la mitria e il pastorale tempestato di gemme. Era solo un ragazzino, maledizione, e con quella salute così instabile… Cominciava davvero a pentirsi di aver acconsentito a venire a quella cerimonia.

Ma ormai erano lì, e l’unica cosa da fare era continuare a camminare. Voltarsi a destra e a sinistra verso la gente, concedere qualche gesto di benedizione, e soprattutto tenere il passo. Ma si rese conto con nervosismo che non le stava riuscendo affatto bene, continuava a rallentare o a stringere troppo la marcia, a impigliarsi tra le gonne –nonostante fosse abituata a farlo da sempre, naturalmente, la schiena ben dritta e l’andatura impeccabile tra le ali di folla e i colonnati di San Pietro. Certo, sotto il sole è un’altra storia, ma non era solo per quello che ora le riusciva così difficile. E’ che sui gregoriani, sulla metrica del latino è più facile camminare a ritmo… De parentis protoplastis fraude factor condolens… e il passo indugia sugli accenti, si allunga per includere le enclitiche, una strusciata di tacco sulla sillaba breve e poi via, tutto daccapo. Cadenzato, solenne e melodioso al tempo stesso. Qui invece la musica non aveva parole, solo squilli di trombe e clarinetti e chiarine, tamburi da banda e la confusione della ressa. Non riusciva nemmeno ad ascoltarla. E il mal di testa saliva d’intensità e di tono assieme al ritornello.

Era stata una follia venire lì, più che ci rifletteva più che il pensiero le martellava nella mente. Una stupidaggine, un’assoluta stupidaggine. Quanto ancora avrebbe retto Alessandro? Con quel caldo assurdo, con tutta quella gente? E soprattutto… Soprattutto…

Ogni passo era guardarsi intorno, fingere di salutare i fedeli ma intanto frugare i volti, controllare il cielo, a cercare lei stessa non sapeva cosa, un segno, un segno qualsiasi –il taglio obliquo di un occhio nerissimo, la perfezione dei tratti di un demone ragazzo. Qualsiasi traccia dell’Ordine.

Era stato un vero azzardo. Guardando giù dalla Iron Maiden aveva visto il cielo di Barcellona ancora velato di polvere sopra la desolazione delle rovine, e Roma stessa era salva per un soffio… e loro erano lì, a una manciata di chilometri dal disastro, ad una stupida cerimonia a cui, in fondo, non erano affatto tenuti a presenziare. Una follia, ecco cos’era. L’Ordine poteva essere dappertutto. Rassicurare la popolazione, farsi vedere presenti, riaffermare il prestigio del Vaticano in Spagna dopo l’attacco, non perdere un alleato storico e così importante… Si era fatta convincere dai discorsi del cardinale Borgia, c’era poco da dire. Faceva bene il suo mestiere di prefetto della Propaganda Fide, lui… ma lei non poteva sopportare l’idea di essersi lasciata trascinare dalle chiacchiere di quel bellimbusto. Come era potuto succedere…

Guardò verso di lui, rabbiosa. Antonio era stato insopportabile come al solito fin da quando avevano messo piede a Santiago, con tutte le sue battute e moine.  E anche adesso… oh, era una vergogna. Intanto, come si permetteva di camminare appena dietro ad Alessandro? Solo perché era praticamente più famoso di loro, lì, il bel principe di Spagna, cardinale a poco più di vent’anni, e… ed era davvero vergognoso. Salutare a quel modo la gente, stringere mani, sempre con quel sorrisino in faccia… mentre ognuno di loro stava facendo tutta quella fatica per mantenere il contegno, il portamento, pur con quell’afa, lui era l’unico a sfilare disinvolto come fosse su una passerella.

Così disinvolto che… dovette rallentare per non finirgli troppo vicino. Costretta dietro di lui, non le restò che cercare di regolare il passo sul suo. Maledizione… ma in che modo camminava? Era un passo… strano. Elastico. Però preciso. Uno, due, tre, quattro. Come se seguisse… una traccia, qualcosa… E allora si accorse di una cosa.

Che la musica della banda aveva un ritmo. O meglio, ovviamente questo lo sapeva sin dall’inizio, impossibile non notarlo, con l’onnipresente rullare di quei tamburi. Ma ecco… era un rullare… ordinato. Marziale. Identico, ora che riusciva ad isolarlo dal chiasso, a quello delle parate dei Carabinieri di Roma o della Santa Inquisizione, che aveva seguito con lo sguardo o con il passo così tante volte. Odiandole. Eppure qui il motivo dei fiati che si levava sopra l’impalcatura delle percussioni era tutt’altra cosa. Gli squilli di tromba, la cupa voce dei corni qui disegnavano un’aria che, ora che la sentiva davvero, somigliava in qualche modo ad un sorriso, ad uno sguardo scanzonato e un po’ beffardo che occhieggiasse a ogni giravolta del ritornello che si ripeteva sempre uguale. Suonava come un passo di danza, quasi, una di quelle danze languide e appassionate di quel paese, con ballerine dalle gambe lunghissime tra strascichi pieni di balze e di fiori.

Ed era quello, il passo che teneva Antonio, col suo fare rilassato, il balenare del sorriso e i suoi gesti alla folla. Era la musica sua e della sua gente, quella gente che –adesso lo vedeva- non era altro che occhi ardenti, neri però non taglienti e vuoti come lo sguardo del Mago, donne che ridevano e uomini affascinanti, sì, ma tutti caldi di sole, del pallore e della malizia del demonio non vi era ombra.

E lei, pur tutta ammantata di rossi e di ori, nella cascata bionda dei capelli, si sentì completamente fuori posto. Lei era il cielo nebbioso di Milano e il suo Duomo grigio, il freddo dei marmi e degli ori di Roma. Ma la luce faceva ribollire il metallo del pastorale che stringeva, trasformava in fiamma tutti i suoi gioielli; e la gente la guardava ammirata, e tutti applaudivano, e la musica suonava ancora un tono più su, e Antonio aveva strizzato l’occhio ad Alessandro e lo aveva preso per mano. E anche se quello sfrontato non si sarebbe mai dovuto permettere, anche se faceva tutto quel caldo, e c’era troppa calca, ed era stata una follia venire lì… lei vide un guizzo di sorriso accendersi nello sguardo del ragazzino, e capì che andava tutto bene.

E mentre il ritmo dei tamburi s’infittiva e le trombe squillavano più forte, ancora più alte, lei sollevò lo sguardo finalmente sulla Cattedrale, finalmente vicina, le guglie e le trine di pietra in chiaroscuro contro l’azzurro, raccolse le gonne, e a tempo con quella musica di festa, un gradino ad ogni battito, salì la scalinata.

Arrivati ormai in vista della fachada, del Portico della Gloria, nell’aria tutta luce, riuscì infine ad affiancarsi ad Alessandro e a regalargli il primo sorriso della giornata. Anche loro, in fondo, il loro piccolo camino de Santiago lo avevano fatto.

“Caterina…” lo sentì sussurrare, mentre la processione sfilava di fronte alla Colonna del portico, e quasi toccava a loro. “Ma qui… è successo qualche miracolo, in questo posto?”

Per un istante si bloccò interdetta dalla domanda, cercando di districarsi tra storie antiche –no, quella doveva essere Fatima…- e le leggende dei Santi dopo l’Armageddon. Ma Antonio le passò davanti, e si piegò verso Alessandro: “I miracoli possono accadere in ogni luogo, Santità!” E con l’ennesima strizzata d’occhio aveva sfiorato la colonna e in un attimo era sparito dentro la chiesa.

Prima che lei potesse ribattere qualsiasi cosa, il ragazzino aveva già premuto la mano sul marmo, ad occhi chiusi, più concentrato che poteva. “Allora,” mormorò “allora prego che venga la pace.”

Un miracolo, già.

Ma anche lei abbassò lo sguardo, posò il palmo nel punto appena lasciato vuoto da quello del fratello, e per la prima volta in vita sua, chiese anche lei un miracolo. Lo stesso.

 

 

 

“Venite! Venite, Santità! Guardate!”

Cominciava davvero ad averne abbastanza di Borgia. Le toccò correre, seguita da Tres, dietro al cardinale che stava trascinando Alessandro decisamente troppo lontano dalla cattedrale, fin sul promontorio. Dove accidenti voleva…

Quando lei e Tres li raggiunsero, i due erano già quasi vicino alla scogliera. Quell’uomo era un pazzo… “Volete spiegarmi cosa state facendo, cardinale? Allontanate immediatamente Sua Santità di lì… Alex, è pericoloso!”

Antonio sbuffò con il suo solito fare drammatico. “Non c’è niente di pericoloso, anzi, è tradizione! Santiago non è sempre stata a ridosso del mare, sapete… ma anticamente era d’uso che, una volta arrivato qui, il pellegrino si spingesse fino alla costa a guardare l’oceano… e guardate anche voi, Santità! Questo era considerato il finis terrae… il confine della terra! Perché oltre, è il vuoto… non c’è più niente. ”

“Negativo.” s’intromise la voce monocorde di Tres. “La penisola iberica è separata dal continente americano approssimativamente, in questo punto, da seimilanovecento chilometri di Oceano Atlantico, e dall’Asia orientale da…”

Caterina allontanò il fratello dalla scogliera, e si sporse appena a guardare il mare, sfolgorante sotto il sole, la schiuma che s’infrangeva sulle rocce. E l’orizzonte. “No, Tres. Questo è davvero il finis terrae… oltre questo luogo, non c’è niente.”

Perché sapeva che, oltre la distesa sconfinata dell’oceano, oltre quell’orizzonte, dovunque avesse potuto guardare, non ci sarebbe stato più niente. Solo deserto, il silenzio radioattivo di una terra malata e distrutta per sempre.

E pensò al paradosso che era come essere tornati indietro di millenni, a quei pellegrini di un tempo di cui non sapevano quasi più nulla, ma che erano arrivati anche loro in questo stesso luogo, a recitare le stesse giaculatorie in latino e a guardare il mare, sapendo che oltre non si poteva andare. Che non c’era più niente.

Anche gli occhi grigi di Alessandro erano rivolti lontano. “Sorella… ma perché il Signore ha distrutto tutto, in quelle terre… ma invece, qui, ci ha lasciati in piedi?” Il ragazzino arrossì, perse un po’ il filo, forse per la paura di aver fatto una domanda sciocca. “Cioè… lo so che dobbiamo essere grati al Signore, e lo so che…”

Lei si strinse nel mantello, distogliendo lo sguardo. No, non era stato il Signore, a compiere tutto quello, ma una risposta la si trovava facilmente. “Perché il Padre nostro non voleva abbattere la Città Santa, e quello che le stava intorno. Ha salvato l’Europa perché c’era Roma, la città celeste, la sede della Sua gloria, la casa nostra e Sua.”

Ma improvvisamente si trovò gli occhi del ragazzino fissi nei suoi. “Però… però Gesù non aveva detto che in ogni posto dove la gente si riunisce nel suo nome, lui ci sarebbe sempre stato? In quelle terre laggiù, dopo il mare, non c’era nessuno che lo pregava? Le loro città non potevano essere salvate?”

Alzò di scatto lo sguardo, per trovare lo stesso sconcerto del suo in quello degli altri due uomini –sì, anche negli occhi di Tres. Lasciò Antonio ad imbarcarsi in una complicata rassegna e spiegazione di episodi dell’ira divina, con l’androide che gli correggeva le citazioni dalla Bibbia, e si allontanò di qualche passo.

Il sole era allo zenith. Guardò lo splendore del mare battuto dalla luce, s’immaginò il vento che trascinava la polvere in mezzo a quelle rovine, laggiù, che passava nel silenzio delle strade vuote da secoli. E pensò che lo spirito di Dio, se davvero esisteva, forse non avrebbe mai soffiato tra gli intrighi e lo sfarzo di Roma. Poteva solo abitare questo splendore, e quel silenzio senza fine.

Vissuta tutta la vita nella Città Eterna, la porta del Paradiso, qui, davanti al nulla, lei non si era mai sentita così vicina al cielo.

 

 

   
 
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