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Autore: _Sherazade_    02/09/2016    2 recensioni
Melania è una ragazza di trent'anni che vive praticamente solo di lavoro, non ha una storia da parecchio tempo e non è troppo interessata alla vita sociale. La famiglia cerca, inutilmente, di spingerla a crearsi una famiglia, ma questo non fa altro che far chiudere la ragazza ancora di più in se stessa. Un giorno però accade qualcosa, di notte il telefono comincia a squillare, innescando così tutta una serie di eventi che cambieranno per sempre la vita della giovane.
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Storia partecipante a "The Seasons Challenge" indetta da Jadis_ sul forum di Efp.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Storia partecipante a "The Seasons Challenge" indetta da Jadis_ sul forum di Efp.
Stagione: Estate
Prompt: Notte

 


Echoes – Sussurri nella notte




Il mio incubo cominciò una fredda notte d'inverno.
Era già passato Natale, gli uffici erano stati chiusi per una decina di giorni, e io avrei passato le mie ferie tappata in casa. Da sola, come sempre.
La mia ultima relazione risaliva a cinque anni prima, e i miei parenti non facevano altro che chiedermi “Allora Melania, te lo sei trovata un fidanzato?”
A volte avrei tanto voluto mandare a quel paese le zie impiccione che non avevano niente di meglio da fare se non chiedermi se ero pronta per accasarmi.
“Il tuo ufficio pullula di uomini interessanti... possibile che non riesci a fartene andare bene uno?” uscire con gente dell'ufficio? Mai! Sarei rimasta zitella fino alla fine dei miei giorni piuttosto.
“Il tempo passa in fretta una volta passati i venticinque.” mi ricordava mia madre.
Non l'avrei mai ammesso a voce alta, ma su quello aveva ragione: mi ero accorta dell'inesorabile velocità con cui il tempo aveva cominciato a trascorrere.
Avevo trent'anni, vivevo da sola nel mio bilocale, avevo un buon lavoro che mi permetteva di pagare tutte le utenze e di potermi concedere qualche lusso.
Ma, come i miei adorati familiari non perdevano modo di ricordarmi a ogni riunione di famiglia, io ero sola, e non sarei stata giovane in eterno.
“Se vuoi accalappiare un uomo, devi farlo adesso, o ti ritroverai ad andare in giro con dei ragazzini come fanno molte donne oggi.” mi diceva sconsolata mia nonna. “Non vorrai fare quella brutta fine anche tu?” l'espressione di orrore che le si era dipinta sul volto mi strappò un sorriso.
“No, nonna. Ti prometto che non mi ridurrò così!” cercai di rassicurarla.
Non vedevo nulla di male in donne mature che sceglievano di stare con uomini più giovani, l'amore non conosce età, o così dicono.
Si era già fatta mezzanotte, sbadigliai e mi preparai per andare a letto quando il telefono cominciò a squillare.
Chi mai poteva chiamarmi nel cuore della notte?
Il cuore mi balzò in gola, pensai subito che si potesse trattare di mio padre o di mia madre.
Afferrai la cornetta tremante: «Pronto?» risposi io, «Chi è?»
Ma dall'altro capo della cornetta non ci fu alcuna risposta.
«Pronto, chi è?» e allora sentii un uomo ansimare. Mi ci volle qualche secondo per capire, lo mandai elegantemente a farsi benedire e riagganciai la cornetta.
Non pensavo che circolassero ancora elementi del genere.
Presi un sorso d'acqua e mi buttai giù a dormire, dimenticandomi dell'accaduto.
Ma lui non si era affatto dimenticato di me.


Passò un mese, e si ripeté la stessa situazione.
Sentivo quell'uomo ansimare, e il suono distante della melodia di un carillon.
Non volevo darci peso, volevo ignorare quanto stava accadendo, ma come potevo farlo se la cosa, da sporadica, divenne una costante?
Quell'uomo disgustoso cominciò a chiamarmi tutte le sere, costringendomi a staccare la linea durante le ore notturne.
La paura e la paranoia ebbero la meglio su di me, e andai alla vicina stazione di polizia a denunciare il fatto. L'agente, un uomo sulla quarantina, molto gentilmente mi spiegò che loro non potevano ancora fare nulla, mi consigliò però di continuare a tenere staccato il telefono per qualche mese, solo di notte, e di vedere come si sarebbe evoluta la cosa. Secondo lui, il mio stalker, si sarebbe stancato di chiamare a vuoto e mi avrebbe lasciata stare. Mi rassicurò anche dicendomi che, di solito, quelle persone erano innocue, chiamavano a caso e poi sparivano. Non erano aggressivi e raramente si facevano vedere, o cercavano di entrare in contatto diretto.
Non ero del tutto soddisfatta, ma le parole dell'agente mi sollevarono dal grave peso che cominciava ad opprimermi.
Seguii i suoi consigli, arrivò Giugno, con le sue belle giornate calde, e io riattaccai il telefono.
Le prime notti le passai quasi in bianco, temendo di sentire il trillo del telefono, ma non accadde nulla. Dopo una settimana, tirai un sospiro di sollievo e pensavo che quello era solo un evento passeggero che mi sarei presto dimenticata.


Quel giorno tirai fuori dall'armadio il mio vestito preferito, era il classico vestito da cocktail, lungo al ginocchio, sbracciato, con dei meravigliosi fiori dalle tonalità calde.
Mi guardai allo specchio e uscii di casa raggiante.
Passai la giornata a chiacchierare con le colleghe, e sulla strada del ritorno, mi fermai per prendere del sushi take away. Non lo facevo spesso, in genere lo mangiavo solo in compagnia, ma quel giorno ero felice e volevo festeggiare.
Arrivando a casa notai subito che la cassetta della posta era piena; frugai nella borsa in cerca delle chiavi, facendo attenzione a non far cadere il sacchetto con dentro la mia cena.
Aprii la cassettina e ne tolsi il contenuto.
Erano soprattutto annunci pubblicitari, i bigliettini delle immobiliari e qualche volantino dei supermercati... poi però mi passò fra le mani una lettera.
Non era stato riportato il mio indirizzo, era riportato solo il mio nome. La aprii, e dallo stupore mi cadde la borsa e la borsetta.



 

Ciao Melania,
Il vestito a fiori che hai indossato oggi era davvero delizioso, un taglio del genere riesce a donare alla tua figura ancora più grazia. Vederti uscire di casa così contenta ha rallegrato anche la mia giornata, era da tempo che non ti vedevo sorridere così, mi chiedo cosa ti sia capitato di bello per donarti tanta felicità.
Mi spiace che le mie telefonate ti abbiano infastidita al punto da dover staccare la linea. Mi spiace averti spaventata, sono un uomo molto timido e, non appena ho sentito la tua voce, la mia lingua si è bloccata e non sono più riuscito a parlare.
Spero tu possa perdonarmi e che un giorno tu possa accettare di incontrarmi


Il tuo sincero ammiratore





Dire che ero terrorizzata era poco. Non credevo a nessuna delle sue parole, quello non era un uomo timido, quello era un uomo malato che aveva addirittura cominciato a pedinarmi.
Sapeva dove abitavo, probabilmente sapeva anche dove lavoravo e quali erano le mie abitudini.
Mi si erano drizzati i capelli quando realizzai che lui si era appostato sotto casa mia prima che io mi recassi al lavoro.
Mi chiesi se quell'uomo non si sarebbe spinto oltre, e con un groppo alla gola, buttai il delizioso cibo che avevo comprato e mi buttai sul letto, non prima però di aver chiuso la porta a doppia mandata e serrato ogni singola finestra.
Avevo paura, come mai l'avevo provata prima.
Neanche il temutissimo uomo nero della mia infanzia mi aveva atterrita a tal punto.
Quando mi rialzai avevo la faccia a pezzi, gli occhi rossi e i capelli scombinati.
Avevo passato una notte infernale, e il mio aspetto non lasciava dubbi a riguardo.
Mi vestii con abiti più castigati e professionali rispetto al giorno precedente, implorando qualsivoglia divinità in ascolto affinché mi risparmiasse dal ricevere altre missive dal mio misterioso “ammiratore”.
Ma le divinità hanno un senso dell'umorismo tutto loro.



 

Mia adorata Melania,
cosa ti è capitato?
Puoi coprirti il viso con tutto il fondotinta che vuoi, ma non puoi nascondermi le tue preoccupazioni.
È forse colpa mia? Ti prego, non dirmi che la causa di tanto malessere son proprio io.
Mia amata, da tempo ti ammiro, da tempo ti osservo e non posso far a meno di desiderare di condividere la mia esistenza con te.
So che è presto, tu non mi conosci nemmeno, ma io sono una brava persona, te lo posso assicurare. Ho un buon lavoro e sono molto rispettato.
Non sei pronta, lo capisco, ma un giorno lo sarai e allora vedrai come ti renderò felice.
Lasciati alle spalle le paure, fatti un buon sonno e domani torna a sorridere.
Fallo per te stessa, fallo per la tua famiglia, e se puoi, fallo anche per me.


Il tuo preoccupatissimo ammiratore.




Passarono così quasi quindici giorni. Ogni sera, quando rientravo dal lavoro, trovavo una sua lettera nella cassetta della posta. La domenica, invece di godermi la giornata di riposo, la passai a guardare dalla finestra chi entrava e chi usciva dal palazzo.
Mi allontanai solo per andare in bagno o per prendermi qualcosa da mangiare, e probabilmente fu in uno di quei momenti che quell'uomo entrò nella palazzina e, di tutta fretta, se ne andò.
Ero certa che era avvenuto durante uno dei rari momenti in cui non ero affacciata sul balcone, perché tutte le persone che avevo visto, erano i miei vicini, e su di loro non avevo dubbi: era di certo qualcuno che veniva da fuori.
Ogni giorno mi scriveva di come mi avesse trovato tesa, contenta o rilassata, dei miei vestiti, o dei suoi sentimenti per me.
Non ne potevo più! Ero spaventata e non potevo ignorare ciò che stava accadendo.
Tornai al commissariato e portai loro le lettere, ma l'uomo che mi accolse non fu premuroso come il suo collega. Mi disse che per delle lettere d'amore, loro non potevano di certo prendere un uomo e incarcerarlo.
«Ma quest'uomo mi sta rendendo la vita impossibile! Chi mi dice che un giorno non gli salti il grillo di buttare giù la porta di casa mia e di farmi del male?» ogni giorno si leggevano notizie di crimini fatti da persone rifiutate o con problemi di testa. Quell'uomo, era evidente, non aveva tutte le rotelle al posto giusto, e io non volevo permettergli di superare ulteriormente quel limite invisibile che ancora lo teneva lontano, almeno fisicamente, da me.
«Ripassi quando riceverà delle minacce.» mi rispose lui, lasciandomi con la bocca spalancata dallo stupore. «Noi per ora siamo impotenti.» Io ero allibita, stupita e anche infuriata. Non potevo credere che degli uomini di legge potessero dirmi una cosa del genere.
Un uomo mi stava dando il tormento, e io non potevo fare nulla per difendermi.
Cercai di passare la giornata senza pensare all'accaduto, ma non fu facile.
«Lo sai che sei strana ultimamente?» mi disse Luciana, una delle segretarie. Era una donna sui quaranta molto gentile e a modo. «Va tutto bene a casa?» mi chiese lei preoccupata. Ero indecisa se parlargliene o meno, ma non volevo che la cosa trapelasse in ufficio, così le dissi una mezza verità. Da qualche mese una delle mie prozie era ricoverata in ospedale, eravamo tutti preoccupati, e anche io, ma non tanto da non dormirci la notte. Ingigantii un pochino la cosa, quel tanto per giustificare le mie preoccupazioni.
«Capisco, beh, vedrai che presto si aggiusterà tutto.» mi disse lei sorridendo.
Lo speravo, ma non ci credevo più. Speravo che mia zia migliorasse, ma temevo che quell'uomo non avrebbe più smesso di darmi il tormento.


Ma mi sbagliavo.
Quella sera, quando aprii tremante la cassettina della posta, non trovai nessuna lettera.
Ero incredula, felice, e sollevata.
Per due settimane avevo sempre trovato la sua lettera nella posta, ma quel giorno lui non si era fatto vivo. Non ne conoscevo le ragioni, ma qualunque cosa l'avesse fatto smettere, aveva la mia eterna gratitudine. Forse, però, non avrei dovuto cantare vittoria così in fretta.
La mattina seguente trovai la sua lettera sullo zerbino.
Tremavo mentre gli occhi mi si riempivano di lacrime.
Cosa dovevo fare per liberarmi di lui?
Arrivai al lavoro, bianca come un cadavere e tremante come una foglia.
Provai a resistere, ma al minimo rumore scattavo terrorizzata e alla fine scoppiai in lacrime, chiudendomi in bagno.
«Melania, Melania che succede?» mi chiamarono le mie colleghe spaventate. Non mi avevano mai vista così, e vedermi in quello stato aveva fatto preoccupare un po' tutti nell'ufficio.
«Andatevene, lasciatemi sola, vi prego!» implorai io fra i singhiozzi. In quel momento arrivò Luciana, che mi costrinse, con dolcezza, ad uscire offrendomi una tazza di camomilla.
Io non riuscivo a parlare, ero spaventata e disorientata. Quella lettera aveva sortito l'effetto voluto, quell'uomo, se avesse potuto vedermi, avrebbe goduto nel vedermi così spaventata.
Ero seduta alla scrivania di Luciana, quando uno dei responsabili dei piani alti arrivò, chiedendo cosa stesse accadendo.
Guglielmo Del Monte era un uomo di trentacinque anni, piuttosto attraente che tuttavia era ancora scapolo. Si diceva che per lui il lavoro fosse sacro e che non volesse alcun impegno di sorta; non lo si era mai visto in giro con una qualsivoglia compagnia, se non i soliti amici per la classica uscita del weekend. Nonostante tutto, però, sembrava essere piuttosto alla mano, si rivolgeva sempre con familiarità con tutti i suoi colleghi, anche con quelli con cui non lavorava a stretto contatto.
«Prego, venga con me nel mio ufficio.» mi invitò lui. Scambiai uno sguardo con Luciana che annuì.
L'uomo mi accompagnò all'ascensore, e dopo pochi istanti giungemmo al decimo piano. Non ero mai salita fino a quel livello: gli uffici erano spaziosi e l'ampia vetrata offriva una vista davvero splendida.
Entrati nel suo ufficio mi fece accomodare nella comoda poltrona di pelle e prese posto nella sua gemella di fronte alla mia.
«Luciana e i tuoi colleghi sono molto preoccupati per te... puoi dirmi cosa ti è successo?» la sua voce era dolce come il miele e il suo sguardo gentile fu uno sprono per me per raccontare cosa mi era capitato. Volevo dirglielo, ma non riuscivo a parlare.
«Deve essere qualcosa di molto grave se non riesci nemmeno a dire una parola.» commentò lui. Io ero ancora preoccupata, ma ero ancora più terrorizzata dall'idea di tornare a casa quella sera, così gli mostrai la lettera.



 

Mia cara Melania,
questa da te non me l'aspettavo proprio.
Io, superando la mia timidezza, ti ho aperto il mio cuore, e tu l'hai gettato via come se nulla fosse.
Tu non sei degna di me, e per questo dovrai soffrire.
Guardati le spalle, perché questo è il tuo ultimo giorno.




L'inchiostro che l'uomo aveva usato era rossa come il sangue.
Quello non era uno stupido scherzo, ma una vera minaccia.
Scoppiai di nuovo a piangere mentre Guglielmo strinse tremante quella lettera.
«Non c'è da stupirsi se eri tanto spaventata.» si accovacciò di fronte a me, prendendomi le mani e fissandomi con attenzione. «Hai già fatto la denuncia?» A quella domanda fu per me inevitabile raccontargli di quanto mi era accaduto in precedenza.
«Sono degli incompetenti!» disse lui con rabbia. «Stavolta andrò io, e voglio vedere se risponderanno ancora picche. Di sicuro non puoi tornare nel tuo appartamento stanotte.»
«Ma dove posso andare?» chiesi io spiazzata. «Non voglio andare dai miei genitori e rischiare di metterli in pericolo.» sapevo anche io che restare a casa sarebbe stato pericoloso, ma non potevo nemmeno mettere a rischio la mia famiglia.
«La mia villa è grande, c'è un ottimo sistema di sicurezza e ho dei cani addestrati ad attaccare chiunque si intrufoli nella mia proprietà.» disse lui sorridendo.
«È gentile da parte sua, ma non posso accettare.» risposi imbarazzata «Sarebbe molto sconveniente.»
«Sciocchezze! La vita di una persona è più importante di qualche pettegolezzo, non ti pare?» mi rispose lui convinto.
Per qualche ragione che ancora non riuscivo a spiegarmi, sorrisi grata per la sua dolcezza.


Quella sera stessa mi portò con sé a casa sua.
La bella villa in cui viveva era la casa dei miei sogni: travi a vista, un'ampia cucina con passavivande, camere e doppi bagni, molto spaziosi e un salotto con caminetto.
Nel bel giardino c'era anche una piccola serra... sembrava proprio che quella casa fosse stata rubata dai miei sogni e trasformata in realtà.
«Hai una casa magnifica.»
«Grazie, me lo dicono in molti.» disse lui, mentre i grossi cani ci vennero incontro.
Eko e Thunder, due bellissimi mastini dagli occhi color della nebbia e dal manto scuro. Nonostante fossi un'estranea per loro, i due grossi cani mi accolsero facendomi le feste.
«Pensavo che fossero ostili con gli estranei.»
«Solo se giunti senza invito.» mi rispose lui accarezzando prima l'uno e poi l'altro.
Scoprii quella sera che Guglielmo era un cuoco provetto, che aveva il pollice verde e che aveva una vera passione per i polizieschi. Se non avessi mai ricevuto quella lettera, non avrei mai scoperto una persona così piacevole. Ero felice, nonostante la situazione in cui mi ero trovata.
Quella notte dormii serenamente, non ci furono tentativi di effrazione, ma Guglielmo non era ancora sicuro di volermi lasciar tornare a casa, e mi convinse a fermarmi da lui per qualche altro giorno. Non volevo approfittare ancora della sua gentilezza, ma fu così insistente che accettai.
Passarono dieci giorni, e mi decisi che era giunto il momento per me di tornare a casa, anche se ero riluttante all'idea di abbandonare lui e i suoi adorabili cani. Durante la mia permanenza alla villa, avevo stretto un legame con quelle adorabili bestiole. Ogni volta che tornavamo a casa dal lavoro, invece che accogliere prima il loro padrone, Eko e Thunder si buttavano fra le mie braccia.
Tornare alla mia solita vita mi sembrava strano, così triste e desolante.


Dopo la giornata passata in ufficio, incontrai Guglielmo che usciva dall'ascensore. Non riusciva nemmeno a guardarmi: aveva provato più volte a dissuadermi dal tornare a casa, ma io sapevo che non potevo restare da lui per sempre, soprattutto perché in quei pochi giorni ci eravamo avvicinati moltissimo. Non lo vedevo più solo come uno dei miei superiori, e la cosa cominciava a diventare troppo grande per me, non potevo innamorarmi del mio capo!
Quando entrai in casa, dopo tutti quei giorni di assenza, mi sentii più sola che mai. Non avevo mai provato un tale senso di inquietudine e di solitudine; stavo per piangere quando sentii suonare il campanello. Cercai di riprendermi e aprii la porta, scoprendo che c'era Guglielmo, affannato e sudato per la corsa che aveva fatto lungo le scale.
«Io non posso stare senza di te.» disse entrando in casa, abbracciandomi stretta a sé. «Non lasciarmi solo, non puoi.» la sua voce colma di emozione mi colpì al cuore. Lo strinsi a mia volta, e gli rivelai che anche io non potevo stare senza di lui.
In quel momento, in quella fresca sera di fine estate, ci scambiammo il nostro primo bacio.
Fu una vera sorpresa per la mia famiglia quando, a distanza di ben due mesi, scoprirono per caso che mi ero trasferita, ma, soprattutto, che mi ero fidanzata.
Guglielmo venne accolto un po' troppo calorosamente, come se fosse stato un salvatore, ma lui non ci prestò molta attenzione, era solo felice di poter stare con me.
Il ricordo dell'uomo che mi aveva terrorizzata sembrava destinato a svanire... ma la sua ombra era ancora presente, e mi osservava, nascosto molto più vicino di quanto non immaginassi.


Stavo sistemando il salotto - Guglielmo era dovuto rimanere in ufficio - quando sentii un gran frastuono provenire dallo studio. Quando lui non c'era non ci entravo mai, lui era molto geloso di quella stanza; così tanto geloso da proibirmi di farvi anche le pulizie.
“Le mie cose sono messe in un certo ordine, non vorrei che, anche con tutte le buone intenzioni, tu me le scombinassi.” comprendendo il suo punto di vista, non mi ero mai posta il problema di toccargliele.
Arrivai nello studio. Thunder era seduto per terra, mentre Eko stava gironzolando per la stanza.
«Dai, usciamo prima che torni a casa Guglielmo. Lo sapete che non ama intrusi qua dentro» intimai ai due mastini di uscire, ed Eko ficcò il muso dove non doveva, facendo cadere un carillon da uno scaffale.
«Eko!» dissi avvicinandomi a lui e al carillon. «Per fortuna non si è rotto.» lo raccolsi, mentre la dolce musichetta riempì la stanza. Aveva un che di familiare...
Thunder puntò il muso contro uno dei cassetti, graffiandolo con la zampa, guardandomi e abbaiando.
“Non dovrei farlo...” pensai, mentre le mie mani stavano già aprendo il cassetto. Trovai solo delle semplici buste e una carta da lettere. Una carta da lettere particolare e, al tempo stesso molto familiare.
La carta da lettere... il carillon...
Non poteva essere.
«Melania... cosa ci fai nel mio studio?» chiese lui con voce tremula. Non sembrava troppo arrabbiato.
«Io... scusami, ho sentito un rumore. Eko e Thunder erano entrati, è caduto il carillon e...»
«Va bene, capisco...» Guglielmo guardò le carte che tenevo in mano. «Puoi lasciarle giù adesso. Sono delle normali carte da lettera. Non penserai che io abbia un'amante?»
«No, certo che no.» sorrisi imbarazzata. Ciò che pensavo era di gran lunga peggiore.
«È molto antico quel carillon?»
«Sì, è un ricordo di famiglia. È unico nel suo genere, così come la sua melodia.» lo sguardo che mi lanciò era strano, sembrava quasi di sfida.
«Guglielmo... tu mi ami?»
«Più della mia stessa vita.» mi rispose, ma qualcosa in me mi diceva che non dovevo fidarmi.
«Quando l'hai capito?»
«Da quando ti ho vista la prima volta, sette anni fa.» mi rivelò lui. Io lo guardai sbigottita. «All'epoca stavi con quello sfigato, con Maurizio, e io non potevo di certo venire da te e obbligarti a lasciarlo. Sapevo che presto la vostra storia sarebbe giunta alla fine, e così mi dissi che dovevo essere paziente e attendere.» fu strano ricevere quella confessione dopo aver passato tanto tempo insieme, perché non dirmelo prima? «Tu eri così addolorata quando vi siete lasciati che decisi di aspettare che tu stessi meglio, ma l'attesa è stata davvero molto lunga. Quando pensai di farmi avanti scoprii che un altro l'aveva fatto, e che tu l'avevi rifiutato non perché era troppo presto, non perché non ti piaceva, ma perché era un tuo collega. E allora fui preso dallo sconforto, capendo che il mio momento non sarebbe mai arrivato.»
«Avresti potuto provarci lo stesso.»
«Tu non me lo avresti permesso.» era vero, ma lui aveva agito in maniera orribile. «Era passato tanto tempo, e io ancora ti volevo, così ho escogitato un modo per avvicinarti.»
«Farmi vivere nel terrore? Era questo che volevi? Spacciarti per l'eroe dall'armatura splendente e discendere dal cielo come una visione celestiale, come il mio salvatore, inducendomi ad amarti?»
«Tu mi appartieni, noi ci apparteniamo, Melania. Solo che ancora non lo sapevi.» fece qualche passo in avanti per raggiungermi, per toccarmi, ma io mi ritirai.
«Tu non avevi il diritto di comportarti così. Sei stato crudele e meschino! Hai idea di quante notti in bianco io abbia passato?»
«Lo so, e ti chiedo scusa, ma il fine giustifica i mezzi.» rispose lui con convinzione.
«Tu hai dei problemi, Guglielmo. Devi farti curare.» ma lui cominciò a scuotere la testa. Gli dissi che lo avrei aiutato, che doveva parlare con uno specialista; gli sarei stata accanto, ma solo come amica. Quello che aveva fatto era per me inaccettabile, mi aveva tenuta in pugno per mesi, mi aveva terrorizzata e portata a casa sua con l'inganno. L'uomo che avevo creduto di amare era solo una flebile illusione, creata da un uomo che viveva in una realtà tutta sua.
Realizzando che io lo stavo lasciando, Guglielmo prese un vaso e lo scaraventò contro il muro.
«Tu non puoi lasciarmi!» i cani cominciarono a ringhiare.
«Guglielmo, stai calmo. Io non posso stare con una persona instabile, con una persona che ha tradito la mia fiducia; però voglio aiutarti.» dissi con voce flebile. «Adesso calmati e torniamo in salotto, mangiamo e poi io me ne vado.» ma Guglielmo non era del mio stesso avviso.
Il suo volto era distorto, l'uomo che avevo di fronte era instabile, e stava per perdere quel po' di controllo che ancora aveva.
Non potevo più restare lì! Me lo sentivo, non ero al sicuro; feci scattare la porta finestra e uscii correndo, sperando di raggiungere il cancello prima che lui raggiungesse me.
Corsi più veloce che potevo, ma lui era più veloce di me, e mi bloccò, facendomi cadere a terra e sovrastandomi col suo corpo.
Gridai, gridai aiuto, sperando che qualcuno mi potesse sentire, ma temevo che nessuno avrebbe udito la mia voce.
La bella villa di Guglielmo si trovava in periferia, e la strada che portava alla sua bella abitazione isolata, era privata. Chi mai avrebbe potuto avventurarsi in quella zona poco trafficata?
Capii di essere perduta.
Guglielmo cercò di tapparmi la bocca, mentre mi teneva a terra schiacciandomi col suo peso. Piangevo, perché sapevo che sarei morta, o che, nella peggiore delle ipotesi, lui non mi avrebbe più fatto vedere la luce.
Ma Eko e Thunder ulularono e si avventarono poi contro di lui.
«Stupide bestie! Che state facendo? Io sono il vostro padrone!» gridò lui, cercando di liberarsi dai cani. I due mastini lo avevano morso, e lui si era alzato, cercando di sferrare calci e pugni a quegli stessi cani che lui aveva fatto addestrare per proteggerlo. Gli animali, però, sono molto intelligenti, e avevano capito che quello non era più il loro padrone, riconoscevano solo me.
Grazie all'aiuto dei due, io potei rialzarmi, e cercai di raggiungere il cancello, sperando di riuscire a salvarmi, ma quando sentii Eko guaire, mi bloccai, voltandomi immediatamente e portandomi le mani alla bocca.
Guglielmo aveva con sé un coltello, e aveva reciso il collo del povero mastino. Thunder mugolava accanto al corpo esanime del compagno.
«Che hai fatto?» gridai disperata, mentre quell'uomo mi guardava con quei piccoli occhi cattivi.
«Se non vuoi restare qui con me, allora non potrai stare da nessun'altra parte.» mi si scagliò contro, ma Thunder lo aggredì, salvandomi la vita. Il possente mastino lo fece cadere a terra, gli morse la giugulare e l'uomo morì dissanguato in pochi minuti.
Thunder mi venne incontro, con le orecchie abbassate, mugolando per ciò che era successo. Eravamo entrambi scossi.
In quel momento fummo sorpresi dal suono della volante dei carabinieri. Gli andammo incontro e gli spiegai, seppur ancora sconvolta, cosa fosse accaduto. Thunder abbaiò, indicandomi col muso le telecamere: sarebbero tornate molto utili.
«Ma, ditemi, come avete fatto a sapere che avevamo bisogno di voi? Io non sono riuscita a chiamarvi e questa è una zona isolata.» l'agente mi guardò, e guardò anche Thunder, che aveva sempre gironzolato attorno a me, o al compagno deceduto.
«Uno dei vostri vicini ha sentito le vostre grida.»
«Ma la prima casa è molto distante da noi.»
«Lui ha detto che ha sentito, come un'eco, le grida di una donna e l'abbaiare di un cane.» mi disse lui. «Magari è stato il vento, succede molto spesso.»
Io e Thunder guardammo la salma di Eko che veniva portata via. Sembrava incredibile, ma forse il nostro amico, prima di sparire dal mondo, aveva deciso di salvarci, portando le nostre voci lontano, in modo che altri potessero aiutarci.
Quella notte fu per me lunghissima, ma quando andai a dormire, capii che era veramente tutto finito.


Spiegare alla mia famiglia ciò che mi era successo non fu facile. Mi aspettavo incredulità, stupore, anche che mi dicessero che avevo frainteso le sue ragioni... invece la mia famiglia mi stupì.
Vidi mia madre sbiancare e mio padre sedersi accanto a me, chiedendomi, con una paura negli che mai gli avevo visto, come mi sentissi, se stavo bene e se avevo bisogno di trasferirmi da loro per un po' di tempo.
Pensavo che le mie di rivelazioni li avrebbero fatti stupire, ma l'unica persona davvero sorpresa ero proprio io. In passato non mi erano mai stati così vicini, ma di fronte a un'esperienza così dura, la mia famiglia si era dimostrata davvero unita e presente per me.
Accettai il loro invito, e per qualche mese ritornai ad occupare la mia vecchia stanza, assieme al fedele Thunder che conquistò subito la mia famiglia.
Al lavoro furono tutti molto comprensivi e, quando tornai al lavoro, dopo qualche settimana di pausa, ricevetti un bellissimo mazzo di fiori e un biglietto firmato da tutti i miei colleghi.
Ero addirittura commossa per tanta attenzione.
La mia famiglia non cercò più di premere affinché mi trovassi un compagno, anche se sapevo che speravano che nella mia vita entrasse qualcuno che mi facesse dimenticare Guglielmo. Non ero ancora pronta, loro lo avevano capito e per questo decisero di rispettare la mia scelta. Sapevo che un giorno sarei stata in grado di voltare pagina, dovevo solo aspettare ancora un po'.
Se da un lato non ero pronta a ripartire alla ricerca di un nuovo amore, ero invece pronta a tornare a vivere per conto mio. Non potevo restare in eterno a casa della mia famiglia, per questo ricercai un nuovo appartamento, un trilocale sempre in affitto, che a Thunder piacque a tal punto che mi decisi a prenderlo. Ci trasferimmo durante la bella stagione, e fu per me inevitabile ripensare ai tristi eventi dell'anno precedente, ma volevo voltare pagina. Dovevo farlo, o non sarei più stata in grado di vivere. Dovevo farlo per me stessa, per la mia famiglia, per Thunder e anche per il povero Eko che, sacrificandosi, ci aveva salvati.
A volte, nel cuore della notte, il vento che entrava dalla finestra mi risvegliava, riportandomi alla mente le tristi note del carillon di Guglielmo. Rabbrividivo, e mi alzavo nel letto, accendendo la luce e guardando in ogni angolo della stanza. Thunder sapeva cosa mi passava per la testa e allora entrava nel mio letto facendomi capire che non c'era nulla da temere, che con lui ero al sicuro. Con loro ero al sicuro, perché non appena mi sdraiavo, sentivo l'eco dell'inconfondibile voce del povero Eko. Il legame che avevo stretto con i due cani era indissolubile, così tanto che aveva superato perfino la morte.
Eko era sempre con noi, avrebbe sempre vegliato sulle nostre vite, e la cosa migliore che potevo fare per rendergli onore, era quella di ricominciare da capo e guardare al nostro futuro. Mio e di Thunder.





 
 
L'angolo di Shera♥

E se gli dei vogliono, anche questa è fatta!
Ciao a tutti, come accennavo ieri sulla pagina facebook, questa nuova storia si discosta un po' dai miei soliti racconti.
È stato un esperimento interessante, non appena ho letto di questo contest, ho capito subito che vi dovevo partecipare.
Non ho voluto parlare della solita storia d'amore, né ho voluto regalare alla protagonista un vero lieto fine, ma le ho voluto lasciare la porta aperta, perché la vita è agrodolce, e non sempre le cose vanno come vorremmo, ma c'è sempre la speranza che le cose possano migliorare.

Spero che la storia vi sia piaciuta, adesso io devo solo decidermi se dedicarmi a una delle tante storie che dovrei scrivere per i contest, o se scrivere almeno il terzo capitolo di Fragilitas Asphodelii...
Appena farò pace col cervello mi metterò al lavoro XD

Grazie per aver letto la storia, ci sentiamo presto ^^

Shera♥
  
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