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Autore: mairileni    05/09/2016    7 recensioni
«Siediti.»
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Frank Iero, Gerard Way | Coppie: Frank/Gerard
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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AHAHAHAHAHAHA CHI NON MUORE SI RIVEDE, EH? EH??? Ok no.

Oh, povera me. O povere voi, a seconda dei punti di vista. Ho aggiornato questa storia per l'ultima volta un anno fa, U N  A N N O  F A. Non credo nemmeno che ci sia ancora qualcuno interessato a leggerla. God, probabilmente questa storia finirà nell'oblio delle pagine a due cifre di questa sezione (!!!), ma cosa posso dirvi. Ci riprovo? Ci riprovo. L'amore ce l'ho messo, spero si veda.
E fatto sta che, beh, niente. Potrei raccontarvi che l'anno che è passato è stato un brutto anno—il più brutto, a dire il vero—che la maturità non mi ha fatta respirare e che con l'inizio dell'università—ammesso che passi, chiaro—aggiornerò più regolarmente, ma sappiamo tutti che sono parole all'aria e che ciò che conta è che in qualche modo con stasera (stanotte) mi sono rimessa in carreggiata. 
La verità è che ormai mi sento troppo vecchia per scrivere fanfiction [guarda fuori dalla finestra con aria nostalgica], però nulla, alla fin fine presto o tardi ritorno sempre qui. È che mi piace scrivere. Che cosa ci posso fare. Che dire. Ci riprovo? Ci riprovo.
Grazie a chiunque passerà a leggere, a chiunque troverà il tempo di recensire e a chiunque non abbia dimenticato questa storia che è stata a nanna fin troppo a lungo. Con la speranza di ricordarmi qualcosa di come funziona l'html,

EDIT DI DUE ORE E MEZZA DOPO SONO LE QUATTRO CHE COSA STO FACENDO CON LA MIA VITA ad ogni modo: ho avuto molti problemi a pubblicare il capitolo. Il sito continua a cancellarlo e a modificarlo e fa lo stesso con le recensioni. Se aveste problemi nel leggere correttamente il testo del capitolo, vi prego di segnalarmi il problema via messaggio IO. STO. IMPAZZENDO DEVO DORMIRE HO UN TEST DI INGRESSO DOPODOMANI YAAAA! Grazie della collaborazione e tanti bacini.

Enjoy,

Lula xoxo










Con Moto





    «Mi fanno male le gambe. Tanto per cominciare. Tanto per cominciare mi fanno male le gambe.»
    Infermiera Mora mi guarda con tanto d'occhi come se le avessi detto che è stronza. Che poi è pure stronza, ma io questo non glielo dico.
    «E...?», incalza.
    «Poi ho mal di testa. Sono arrabbiato. Ho la nausea e ho sonno.»
    Lei annuisce quattro volte. Anche lei dev'essere una di quelle a cui piace strafare perché bastava che annuisse una volta sola, ma non le dico nemmeno questo. Spero che non gliene freghi niente di avere la faccia appesa al tabellone dell'impiegato del mese e che mi lasci qui a riposare in pace anche se non sono un malato grave.
    «Senta, posso stare qui e basta? Non mi va di stare in classe.»
    Mi sa che a Infermiera Mora è scattato qualcosa da qualche parte del cervello perché adesso sembra improvvisamente preoccupata e si siede sul lettino accanto a me facendo scricchiolare la carta sopra al materasso. Mi guarda come se fossi suo figlio e se volete proprio saperlo io non sono affatto suo figlio, non so nemmeno come si chiama.
    «Frank», ah, lei sa come mi chiamo io però, «Frank», dice, «sei in qualche modo vittima di bullismo?»
    È serissima. È così seria che forse le rido in faccia ma invece no, resto serissimo anch'io perché voglio lasciarla sulle spine, tanto per far qualcosa.
    «... No», rispondo titubante. Non sono titubante per davvero, è solo così per fare qualcosa.
    «Sei sicuro, Frank? Se ti sta accadendo qualcosa non devi aver paura di parlarne. Io e il resto del personale scolastico siamo qui apposta.»
    In realtà non credo di poter dire che sono vittima di bullismo se l'unica cosa che succede è che Gerard ha cominciato a seguirmi dal nulla e adesso non posso più vivere perché lui si imbuca alle mie lezioni e mi guarda da lontano e cerca di fermarmi nei corridoi e io non ce la faccio più al punto che pur di non doverci parlare mi infilo in infermeria sperando che a lei non gliene freghi niente di avere la faccia appesa al tabellone dell'impiegato del mese e che mi lasci qui a riposare in pace. Mi chiedo quali parti di questo infinito discorso possa realmente dirle in faccia, mi rispondo nessuna e allora butto lì una frase sincera.
    «Non sono vittima di bullismo.»
Silenzio.
    «Molto bene», conclude lei. «Spero che sia così. In ogni caso, per qualsiasi cosa, sai dove trovarmi.» Mette su un'espressione dolce dolce come se fosse mia madre e mi viene il dubbio che questa pensi davvero di essere mia madre. «D'accordo?», chiede.
    «D'accordo.»
    Infermiera Mora borbotta qualcosa sul fatto che ora è meglio che vada perché deve proprio fare una cosa urgente e mi dice che se voglio posso restare qui sul lettino a non fare un cazzo—“a non fare un cazzo” è mio, lei non l'ha detto—e io le dico grazie tante e penso che forse alla fine non è così stronza. L'infermeria sa di roba sterilizzata e pomata cicatrizzante. 
    Fuori piove.










    Sono giorni che scappo da Gerard e non so neanche perché, ma forse è perché lui sul serio mi insegue e non so voi ma io se uno mi insegue scappo e meno male che c'è Stevie, che detto così sembra che io sia ubriaco o cose simili e che non sappia mettere insieme due frasi logicamente correlate, ma giuro, giuro su Dio, meno male che c'è Stevie. Perché Stevie non capisce mai la situazione generale ma capisce sempre il concetto di fondo. Il concetto di fondo è che se Stevie è con me Gerard non si avvicina. Stevie ha capito questo e ha capito che al momento sono in fuga da Gerard e quindi fatto sta che sono giorni che Stevie non mi molla un attimo. Io adoro questo ragazzo, non so se rendo l'idea.
    Intravedo la sua testa bionda piegata sul cellulare, mi aspetta all'entrata della mensa come ha fatto ogni giorno da cinque giorni a questa parte. 
    «Ehi», gli faccio.
    «Ehi», mi fa. «Se non sbaglio ci sono dei posti liberi nel tavolo degli sfigati degli scacchi, possiamo mangiare lì. Di solito è pieno ma mi sa che l'influenza ne ha falciati almeno due.»
    Ci facciamo strada tra la gente già seduta e da lontano vedo Gerard che è in fila per le verdure con la faccia soprappensiero e la schiena dritta, ma tanto io sto con Stevie e se c'è Stevie Gerard non si avvicina.
    «Grazie, Stevie.»
    «Di cosa, Frank?»
    «Che mi stai attaccato al culo perché così Gerard non si avvicina.»
Stevie chiede a uno degli sfigati degli scacchi se possiamo sederci e si siede senza aspettare la risposta. «Capirai quanto mi costa», risponde. «Che poi dove cazzo sei stato per tutta la mattina?»
    «In infermeria.»
    «Ah.»
    «Sì, grazie, sto bene, non preoccuparti per me!»
    «Lo vedo che stai bene, sfigato. Stai meglio di me.»
    Mi metto a ridere come un cretino e penso che un giorno mi farò insegnare da Stevie l'arte di avere sempre la risposta pronta.
    Quando la campanella suona Stevie si alza lentamente e dice che adesso deve andare perché ha scienze e lui odia scienze ed effettivamente la odio anch'io ma darei qualsiasi cosa per potermi imbucare a lezione con lui. Perché c'è Gerard che è seduto al tavolo accanto alla porta, e so che aspetta solo che Stevie vada via. Ci scambiamo uno sguardo da lontano, Stevie lo intercetta mentre solleva la sedia per sistemarla sul tavolo come da regolamento. Mi alzo anch'io, sistemo le mie cose.
    «Frank?» È Stevie.
    «Sì?»
    «Hai lezione adesso?»
    Ha le mani a mezz'aria, sta ancora tenendo la sedia ma si è bloccato lì, non la mette giù sul tavolo e per un attimo penso che se qualcuno mi chiedesse di immaginarmi Stevie mentre fa qualcosa io me lo immaginerei mentre sistema le sedie sul tavolo perché tra bar e scuola questa è la cosa che gli vedo fare più spesso oltre che prendere A+ in qualsiasi test.
    «No, non ho lezione.»
    «Perché mi sa che neanche lui abbia lezione.»
Non fa nessun cenno con la testa ma sappiamo entrambi di chi sta parlando.
    «E quindi?»
    «E quindi siamo a novembre e secondo me entro la fine dell'anno scolastico dovrai affrontarlo. Forse è meglio togliersi subito il pensiero. Just sayin', ya kno'.»
    Stevie che ha A+ in inglese anche se fuori dalla classe usa più slang che parole vere appoggia finalmente la sedia sul tavolo e si sistema gli occhiali che gli stavano scivolando giù per il naso. 
    Prima che possa dire qualcosa di sensato lui è già scomparso oltre la porta della mensa e Gerard aspetta solo pochi secondi prima di alzarsi con il vassoio in mano per muoversi nella mia direzione.
    C'è Gerard che non guarda me ma guarda il piatto. È impassibile ma sta cercando qualcosa da dire e io mi chiedo che cosa possa volermi dire di più dopo l'ultima volta che ci siamo visti. Vorrei dirgli che forse mi ha già detto abbastanza, ma lui lo dice prima di me.
    «Penserai che ti ho già detto abbastanza.»
    Sta ancora guardando giù e non mi guarda, guarda il piatto. Lo ha detto al piatto, non a me. Parla col piatto. Gerard non parla più e a me va bene così perché in questo modo ho il tempo di stamparmi nello stomaco l'odio che provo verso di lui. Questo odio devo ricordarmelo perché è l'unica arma che ho, devo studiarlo, farlo mio, archiviarlo per utilizzarlo più tardi. Mi ripeto tutti i motivi per cui lo odio, uno per uno. Sono più di quanto mi aspettassi e mi vengono in mente uno dietro l'altro. Ti odio perché non mi dici mai niente. Ti odio perché vai con chiunque ti paghi.
    «Le cose che ti ho detto», comincia. Lo sento appena.
    Ti odio perché ti droghi.
    «Le cose che ti ho detto sono vere solo a metà.»
    Ti odio perché non sei mai chiaro.
    «Non...»
    Ti odio perché non sai dire “grazie”.
    «Non vorrei...»
    Ti odio perché sei fedele a un altro.
    «Non vorrei...»
    Ti odio perché non riesco ad arrabbiarmi con te.
    «Frank, io...»
    Ti odio perché non mi dai mai spiegazioni.
    «...»
    «Tu cosa?», incalzo. «Tu cosa, Gerard?»
    Il tono è cattivo, ma la mia voce resta calma. Sento le parole che mi vibrano in gola e poi accade tutto in un secondo perché Gerard abbassa ancora di più la testa sul suo stradannatissimo piatto, la inclina leggermente e sul viso ha ancora il segno del taglio che gli ho procurato io stesso mentre gli paravo il culo. Un attimo. Tutti i muscoli del mio corpo si rilassano. Mi scordo tutti i motivi per cui lo odio con la stessa velocità con cui mi sono venuti in mente e Cristo, davanti a me c'è Gerard che sa di pesche e ha la pelle così bianca che sembra finta e io non ho aspettato altro per quattro settimane. Quattro. Cazzo. Di settimane. Lo guardo così com'è, con la pelle bianca e le ciglia lunghe che sono una virgola sdraiata, la giacca nera, le mani ai lati del vassoio come se non ci fosse il tavolo sotto. Mi viene da vomitare e da ridere insieme. E poi mi chiedo se si soffra di più a rinunciare o a farlo e basta. Mi rispondo che si soffre uguale. Io soffro uguale.
    Gerard si alza, borbotta qualcosa che sembra una scusa, non garantisco, annuisce velocemente come se stesse pensando a tante cose insieme, come se avesse tutto sotto controllo. Fa dietrofront, fa un passo avanti.
    «Gerard.»
    È la mia voce. Sono abbastanza sicuro che sia la mia voce. Lui si ferma ed espira, lo so perché per poco non si contorce su se stesso. 
    «Sì?» Lo ha detto al piatto.
    «Siediti.»
    Non so da dove arrivi tutta questa autorevolezza ma fatto sta che poco importa da dove arriva quando la destinazione è la mia voce. Gerard si gira piano con gli occhi vuoti e la bocca leggermente aperta, la lingua che preme da qualche parte su un dente dell'arcata superiore. Rimorso? Cos'è, Gerard. A cosa pensi. Si siede piano come per non far rumore e adesso mi guarda con due occhi che vogliono che dica vattene. A cosa pensi, Gerard.
    «Stai commettendo un errore, Iero.»
    «Non mi interessa.»
    Scuote forte la testa, abbassa la voce e adesso il suo tono è basso, ansioso, pieno di urgenza.
    «No, ascoltami, ti prego. Io...»
    «È libera questa?»
    C'è Gerard e ci sono io, e Gerard è chinato in avanti come se fosse l'unico modo per calcare ciò che sta per dirmi. C'è Gerard e ci sono io e c'è anche una ragazza bionda che vedo solo di striscio perché col cazzo che stacco gli occhi da Gerard. Registro Britney Hall. Registro che ci prova con me. Registro che me l'ha detto Stevie. Passo in rassegna le informazioni. Niente di rilevante.
    «Sì, è libera. Vattene.»
    Registro che sgrana gli occhi perché evidentemente pensava di usarla per sedersi accanto a me. Registro i suoi passi che fanno toc toc perché indossa i tacchi. Passo in rassegna le informazioni. Niente di rilevante. Verso Gerard: «Dicevi.»
    Lui ha seguito tutta la scena facendo rimbalzare lo sguardo tra me e Britney, sta ancora guardando lei mentre se ne va. Poi guarda di nuovo me, ma so già che ormai il momento è rovinato, che qualunque cosa volesse dirmi ora non me la dirà più.
    «Non ha preso la sedia.»
    Infatti.
    Non rispondo.
    «È venuta qui per la sedia e non l'ha nemmeno presa», ripete Gerard anche se era già stato chiaro la prima volta.
    «Non mi interessa. Dicevi.»
    Gerard è impassibile e ha gli occhi pieni di cose. 
    «Niente», risponde.
    Ovviamente. La mensa continua a svuotarsi della gente che alla prossima ora ha lezione.
    «Gerard, sono stanco, sai.» Glielo dico in tutta sincerità. «Non capisco a che gioco tu stia giocando e non capisco che cosa tu voglia da me. Eppure quello che voglio io mi sembra fin troppo chiaro.»
    «È chiaro», risponde piano.
    «E allora mi dici che cosa vuoi tu? Per favore? Devo scoprirlo io? Cosa devo fare? Dimmelo e basta.»
    Gerard resta in silenzio per un po' ma io ormai mi sono abituato a lui che non risponde alle cose se prima non ha pensato bene a come rispondere. Picchietta il muffin sul suo vassoio con il cucchiaio e noto distrattamente che sta cercando di disegnarci sopra qualcosa, se non sbaglio una spirale.
    «Vorrei passare del tempo con te», sfiata.
    «Vorresti passare del tempo con me?»
    «Sì. A prescindere.»
    «A prescindere da cosa?»
    «A prescindere da...»
    «Da...?»
    «Da tutto», conclude faticosamente.
    Mi chiedo che cosa significhi questo “a prescindere da tutto” perché se c'è una cosa che so per certo è che Gerard non sceglie mai le parole a caso, ma non so rispondermi.
    «Da tutto cosa?», ritento.
    Gerard scuote la testa e io noto solo ora che il nostro tavolo è vuoto e che lo sono anche tutti quelli nelle immediate vicinanze, sento Britney che da qualche parte dietro di me si lamenta con le amiche di qualcuno che probabilmente sono io. 
    «Vuoi fare con me il progetto di matematica?»
    Dal nulla. Me ne sono uscito così, dal nulla, non lo so, a volte lo faccio. Forse a volte faccio anche bene, però non sempre. Non so se adesso ho fatto bene. Gerard mi guarda ancora negli occhi e se ho capito anche solo tanto così di come funzionano i suoi occhi ora sono abbastanza sicuro che stia pensando a tantissime cose insieme, come se dalla sua risposta a questa domanda inutile dipendesse il destino degli Stati Uniti. È solo un momento di confusione che dura pochi secondi, perché poi i suoi occhi tornano e immobili e lui dice okay. Mi tolgo un ultimo dubbio.
    «Lo sai che fare con me un progetto di matematica significa non fare nessun progetto e prendere F, vero?»
    Lui dice sì e poi dice che gli va bene lo stesso.









    «Scusa per il casino.» 
    Gerard alza le spalle e occhieggia la montagna di vestiti sulla seggiola che ha conosciuto per la prima volta mentre era in trip da ketamina. Tiene la borsa a mezz'aria, il braccio piegato come se fosse in dubbio se lasciarla cadere a terra e basta oppure trovarle un posto più adeguato.
    «Mettila dove vuoi.»
    Gerard la lascia cadere e basta. Tonk. È solo quando ho finito di sistemare la scrivania per fare spazio ai libri di matematica che tanto non useremo mai che mi accorgo che Gerard ha ignorato bellamente il mio invito a usare la sedia e si è seduto in terra con le gambe incrociate come quando l'ho trovato davanti a casa mia perché doveva ridarmi i miei soldi. Oscilla un po' con la testa e mi chiedo se si sia fatto altre volte come se la risposta non fosse già ovvia.
    «Puoi metterti qui, Gerard», ribadisco.
    «Sto comodo per terra.»
    Bene così. Lo raggiungo sul pavimento e nel frattempo lui apre la tracolla e tira fuori il libro di testo di matematica che riconosco solo perché sopra c'è scritto che è il testo di matematica.
    «Cosa dovremmo fare?», chiede.
    «Mostrare la bellezza della matematica.»
    «Eh?»
    «Mostrare la bellezza della matematica. Dobbiamo preparare un progetto che mostri la bellezza della matematica.»
    «Ma fa schifo.»
    «A me, lo dici?» 
Cinque minuti dopo il libro di matematica è ancora per terra e fa da ripiano per le tazze di cioccolata che ci ho messo io sopra. Una per me e una per Gerard.
    «Ho trovato un lavoro al supermercato», annuncia lui, monocorde.
    «Al supermercato?»
    «Aha. Fa sempre schifo ma fa meno schifo di quello dell'albergo di Mr. Humphrey.»
    «È pur sempre un progresso», considero.
    «Suppongo di sì.»
Gerard prende un altro sorso di cioccolata e si lecca le labbra prima di rimetterla giù.
    «Sai...», comincia, ma non solleva gli occhi neanche di tanto così.
    Non so perché abbia questa mania di parlare alle stoviglie, quando deve dire qualcosa di importante. Perché è qualcosa di importante, lo capisco dal tono e dal fatto che non sa nemmeno come proseguire la frase.
    «Sai... quella sera che sono stato qui, che sono rimasto a dormire qui?»
    Faccio sì con la testa e sopprimo la mia voglia di prendergli le spalle e urlargli in faccia che non mi scordo facilmente una notte in cui ho rischiato vent'anni di prigione.
    «Io... volevo dirti che è stata la prima volta che ho pensato seriamente di smetterla, con questa roba.»
    «Con la ketamina?»
    «Con tutto. Non avevo mai visto le cose da un'altra prospettiva. Quella è stata la prima volta e sì, ci ho pensato sul serio.»
    La cioccolata che mi stavo portando alle labbra si ferma dov'è e io penso che effettivamente per smettere basta smettere, e lo dico anche.
    «Effettivamente per smettere basta smettere.»
    «Più o meno sì», concorda lui.
    «Tu lo ami, vero?»
    Me ne esco così, dal nulla. L'ho già detto che a volte io me ne esco così dal nulla e che a volte faccio anche male come adesso che vorrei spaccarmi la tazza in faccia e ustionarmi con la cioccolata perché gira che ti gira le domande che faccio a Gerard sono sempre le domande che so di non potergli fare. Però tanto vale. Gerard mi guarda con gli stessi occhi con cui mi ha già guardato Infermiera Mora meno di dodici ore fa e non risponde, però almeno mi guarda. È solo dopo qualche secondo che riesce a riprendere il controllo del suo corpo e comincia a scuotere piano la testa come fanno le persone che non possono credere a ciò che sta accadendo.
    «N-non c'entra niente con il progetto di matematica», azzarda.
    «Neanche la ketamina c'entra niente con il progetto di matematica», ritorco io subito. Stevie sarebbe fiero di me, se mi vedesse rispondere così in fretta.
    «Ma...»
    «Neanche il fatto che adesso lavori al supermercato c'entra niente con il progetto di matematica.» 
    Mi prendo il tempo che mi serve per bere un altro sorso di cioccolata perché tanto io non mi muovo di qui e nemmeno Gerard si muoverà di qui. Ma lui non può rispondere a questa domanda, perché la risposta non la conosce nemmeno lui. Accantono a malincuore il mio progetto di indagine sulla sua vita sentimentale, ma le mie domande non sono finite neanche per il cazzo e oh, se mi risponderà.
    «Perché sei sempre gelido con tutti?»
    La risposta alla prima domanda mi interessava di più ma anche questa mi va bene perché giuro su Dio che io non ci dormo la notte all'idea che uno come Gerard non abbia nemmeno uno straccio di amico che gli tenga aperta la porta dell'armadietto quando sistema i libri.
    «Perché non mi interessano i problemi degli altri. E non mi piace che gli altri ficchino il naso nei miei.»
    «Magari gli altri si preoccupano e basta.»
    Sbuffa una risata dal naso ma non mi sembra che si stia divertendo particolarmente e io ne approfitto per continuare a difendere la mia tesi perché secondo me ne vale la pena.
    «Gli altri hanno bisogno di sapere in che cazzi sei prima di poterti dare una mano. La maggior parte delle volte l'obiettivo è solo darti una mano. Io stesso lo farei, se solo sapessi qualcosa di te.»
    Gerard ha quasi finito la sua cioccolata. Dice che non è questo il punto e io gli chiedo quale sia il punto. 
    «Il punto... il punto è che a volte ci sono delle situazioni da cui ci si deve tirare fuori da soli.»
    «Un problema di droga non è un problema da cui ci si debba tirare fuori da so-»
    «Non parlo di quello.»
    Ora Gerard non parla più alle stoviglie o al pavimento, ora parla a me e ha inchiodato gli occhi ai miei come ha fatto pochissime altre volte da quando ci conosciamo, forse mai. Mai così forte. Sento che in qualche modo tutte le cose che deve dirmi sono lì, e che lui vuole dirmele, una dietro l'altra, ma c'è qualcosa che lo blocca e io giuro su Dio che non so che cos'è e che morirò cercandola. A volte bisogna trovare le crepe, partire da quelle e poi rompere il resto, ma io le crepe non le trovo e non so più su che piano cercare di leggere Gerard per trovarle.
    «E allora di che cosa parli, Gerard?»
    Lo guardo con gli stessi occhi con cui lui guarda me, ma io non vedo niente. Gli parlo piano come se dovessi spiegargli le cose con calma, come se fosse la mia ultima possibilità di farlo, e credo che lui mi stia ascoltando più di quanto non abbia mai fatto.
    «Gerard, io lo so che stai cercando di dirmi qualcosa che per qualche motivo che Dio solo sa qual è non puoi dirmi a parole. Lo so. Lo so, cazzo. Lo so. Ma io non riesco a capire che cosa stai cercando di dirmi. Ci provo, te lo giuro. Sono mesi che ci provo, ma non capisco, ok? Non...» Scuoto la testa, provo a pensare ancora, non mi viene in mente niente. «Non capisco», concludo.
    Gerard si incupisce, rilassa tutti i muscoli del viso insieme, mi sembra di poter vedere l'espressione del suo viso che mi si scioglie davanti come cera e adesso i suoi occhi mi dicono che anche lui ci prova, sono mesi che ci prova, ma non riesce a farmi capire quello che dovrei capire. Poi passa tutto, ancora, il suo viso riprende colore. Annuisce, come a dire ho capito. Annuisco anch'io, anch'io ho capito. 
    E parte un motivetto. È un motivetto irritante, di quelli che ti entrano in testa già dopo la prima volta che li hai sentiti, un motivetto da telefono dei primi 2000. Gerard mi guarda ancora un po' prima di tirare fuori il cellulare dalla tasca per fissarlo finché non smette di suonare. Quando smette Gerard mi guarda di nuovo, e forse, forse ora capisco qualcosa. Capisco qualcosa di quello che sta cercando di dirmi, ma è solo un flash, un nulla che in confronto a tutto quello che non so quasi non si vede. Gerard fa per rimettersi il telefono in tasca, ma il telefono fa tin. Un messaggio per te, Gerard. 
    Risponde brevemente, riporta il cellulare nella tasca della giacca, mi guarda ancora con i suoi occhi che forse un giorno capirò di che colore sono, sempre che sia un colore di quelli che hanno un nome. È serissimo. È tanto serio e sceglie le parole con attenzione, le sbottona piano piano per farmi capire, oggi siamo uguali e forse abbiamo finalmente capito qual è l'unica frequenza su cui possiamo comunicare.
    «D'accordo», sfiata. Parla a bassa voce, lo sento appena. «Quello che posso dirti, giusto?»
    «Quello che puoi dirmi», ripeto.
    Annuisce, pianissimo, si morde le labbra mentre pesa le parole. 
    «Hai delle opzioni.» Pausa. «Opzione numero uno, puoi smettere di cercare risposte. Se scegli questa opzione, devi lasciarmi fare e io continuerò per la mia strada e tu per la tua; se tutto va bene nel giro di un paio di mesi non sentirai più parlare di me. Opzione numero due, puoi cercare di aiutarmi. Se scegli questa opzione dovrai fare tutto da solo. Se io ti aiuto, siamo nella merda. Se tu ti muovi male, siamo nella merda. Ed è bene che tu sappia che hai poche probabilità di riuscire a muoverti bene. Quasi nessuna.» Poi mi guarda forte, come ha fatto prima, gli occhi che mi urlano troppe cose perché io riesca a capirle tutte o anche solo una. «Adesso io andrò in bagno, e tu dovrai scegliere che cosa fare. In fretta.»
    Aggrotto le sopracciglia come per chiedere ulteriori spiegazioni o anche solo più tempo ma lui si è già alzato e ha una mano appoggiata sopra la tasca, in modo così innaturale che quasi sembra che non abbia mai imparato come alzarsi da terra. Preme ancora sulla tasca e io sto per dire qualcosa ma poi il suo telefono esce dalla tasca, cade a terra, e io lo guardo rimbalzare per un paio di volte prima di sollevare nuovamente lo sguardo su di lui. E lui guarda me, non ha mai staccato gli occhi da me. 
    «Ora andrò in bagno», ripete lentamente, e finalmente esce dalla stanza lasciandomi seduto per terra a fissare quel telefono che ha fatto cadere apposta proprio lì, davanti a me, a portata di mano perché io potessi prenderlo e farne ciò che voglio. E io tanto per cominciare lo prendo in mano sperando che anche se adesso ho preso questo dannato telefono, anche se ho già scelto la seconda opzione prima ancora che Gerard me la presentasse, avrò il tempo di cambiare idea in un secondo momento. Mi dico che è assurdo pensare che un semplice telefono possa cambiarmi la vita e penso velocemente a che cosa fare mentre fisso lo sfondo paesaggistico di questo schifo di cellulare, e nel frattempo penso anche che se questo è il suo sfondo Gerard non ha nemmeno una foto sul telefono. Gerard che è andato in bagno. Gerard che adesso non c'è. E realizzo tutto all'improvviso, una cosa dietro l'altra, a raffica come i proiettili delle mitragliatrici e il brainstorming. Ho in mano il telefono di Gerard, Gerard non c'è, Gerard non può vedermi, potrei farmi gli affari suoi, Gerard non può vedermi, Gerard non c'è, ho il suo cellulare, Gerard non può vedermi. Sposto la casellina luminosa sull'icona dei messaggi, una bustina gialla sopra alla scritta “SMS”, in maiuscolo come se gridasse. Spingo “ok”. 
    Due messaggi. Uno nella cartella dei messaggi ricevuti e uno nella cartella dei messaggi inviati. Gerard ha cancellato tutti gli altri e poi ha svuotato il cestino, leggo ciò che resta.



[14/11/13, 5.43 PM]
From: Will
Done?

[14/11/13, 5.44 PM]
To: Will
Done.



    Rileggo entrambi i messaggi almeno quattro volte e poi metto giù il telefono come se scottasse. Lo rimetto esattamente dov'era prima, come se Gerard non l'avesse lasciato cadere lì apposta. Poi lui torna, mi guarda attentamente mentre raccoglie il telefono da terra e se lo rimette in tasca, le gambe di nuovo incrociate e una domanda sulle labbra. 
    «Done
    «Done.»


 

 

   
 
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