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Autore: pandafiore    07/09/2016    3 recensioni
{OneShot}
Dedicata a tutti quelli che - purtroppo - dalla prossima settimana iniziano la scuola (se non prima! D:)
Godetevi questa ff, che spero vi tiri un po' su di morale, perché anche la piccola Mellark andrà a scuola, e succederà qualcosa di... particolare.
Buona scuola, ragazzi, e possa la fortuna essere sempre a vostro favore.
Ultimo consiglio? Restate vivi.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Bimba Mellark, Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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OneShot

 

The first day of school





Daisy Mellark - il cappottino scozzese, lo zainetto di vernice rossa, le scarpette in tinta e due treccine nere sulle spalle - si avviava verso quello che, ai suoi teneri occhi, era un edificio enorme quanto curioso: la scuola.
A soli sei anni, la piccola figlia del panettiere del Dodici e della ragazza di fuoco doveva fare i conti con libri che pesano e maestre schizzate, pronte in ogni momento a sgridarla con sguardo perfido e malevolo. O almeno, così la vedeva lei.

La scuola... quanto avrebbe imparato in quell'anno scolastico! Come si scriveva, come si contava? Oh, presto non sarebbe più stata presa in giro dai bimbi più grandi, giù al Prato! No, presto sarebbe stata in grado di metterli tutti in riga, con una semplice frase ben messa, o una parola al posto giusto nel momento giusto.
Nonostante i timori, Daisy Mellark non vedeva letteralmente l'ora di iniziare la prima lezione.

Ed ecco che entrava, povera piccola, con un papà troppo premuroso alle spalle, trattenuto dall'entrare nell'edificio dalla mamma, treccia nera e occhi grigi che, seppur commossi quanto il panettiere, non lo avrebbero mai dato a vedere, e avrebbero fatto di tutto affinché il loro piccolo fiore affrontasse da solo il primo giorno di scuola.

La bimba si guardò attorno, spaesata; una miriade di bambini la attorniavano, ma nessuno che le desse una mano, che le dicesse dove andare. Così, piccola ma non fessa, si fece avanti con una donna altissima, dalla pelle scura quanto gli occhi. -Mi scusi,- le disse -mi potrebbe indicare dove posso trovare la classe 1^A?-
-Ma certo, piccola.- Rispose quella con un sorriso dolce, prendendole la manina e conducendola verso il corridoio al secondo piano, a destra.
-Eccoci qui, gran parte dei tuoi compagni sono già arrivati, e la maestra ti attende dentro. Ora vai, o farai tardi!- Le accarezzò la testa e le spinse delicatamente la schiena con una mano, mandandola dentro un'aula non troppo affollata.

Circa una ventina di bambini tutti impettiti sedevano sui piccoli banchi, e stavano muti come pesci, mentre la maestra dava un'occhiata al registro.
-Bene, bene, bene...- Disse quella, con un aspetto da schizzata che già intimoriva Daisy. Erano soprattutto gli spessi occhiali rossi, da miope molto probabilmente, posati sul naso adunco, ad incupirla; come se non fosse bastato il bizzarro vestito a pois viola e giallo. Molto probabilmente è una capitolina..., pensò Daisy, rannuvolandosi appena. Non sapeva niente del sistema di Panem, ma sapeva bene che a Capitol City - la capitale, appunto - mantenevano mode sgargianti, in alcuni quartieri.
Tentò di non pensarci su molto... in fondo, poteva lo stesso essere una donna simpatica, no? No.
No, era la pazzia fatta persona.
Parlava con voce altalenante, puntandosi ogni tot gli occhiali che, con fare minaccioso, continuavano a scivolarle fin sulla punta del naso; se li risistemava con un colpo del dito indice, in modo inquietante e nevrotico.
-Allora, facciamo l'appello!- Strillò all'improvviso, spezzando le nuvolette di pensieri dei bimbi. Un silenzio ancor più assordante cadde nella stanza. -Austric Madison!-
-Presente!- Rispose una vocina femminile dal fondo della stanza.
-Bedamol Jennifer!-
-Presente!- Un'altra vocina.
-Bislack Tony!-
-Presente!- Ora una voce da pacioccone foderò le orecchie di Daisy, che si voltò appena da notare le grandi guance rosse del bambino che, a quanto pare, si chiamava Tony. Era almeno il doppio di lei. Ma Daisy non era intimidita affatto, quel ragazzo sembrava così buono... gli sorrise amabilmente, perdonando subito il suo imbarazzo.
E l'appello proseguì così, con queste voci più o meno bianche che rispondevano -Presente!- una per una, intimoriti da quella donna.
Poi, la voce della maestra si incrinò improvvisamente sul cognome più atteso, più sorprendente, più stuzzicante. -Me... Mellark Daisy?-
E, come uno scatto, tutti - ma proprio tutti - si voltarono verso quella bambina minuta che, rossa in viso, sedeva all'ultima fila.

Nel vedersi tutti quegli improvvisi occhi addosso, la bambina provò un imbarazzo tale da doversi coprire le guance con le manine.
-Bambini, non fissatela così!- Strillò la maestra, tirandosi in piedi.
-Ma sei davvero, davvero tu?- Le chiese sottovoce un ragazzetto bruno dagli occhi verdi, scrutandola come se avesse davanti agli occhi un diamante.
-Io? Io chi?- Rispose lei, sempre più confusa. Intanto, la pazza maestra sempre più si avvicinava al suo banchetto.
-Daisy Mellark!- Gracchiò quella donna. -Ma ti pare il modo di attirare così l'attenzione?!-
-Ma... ma io...- Borbottò la bambina, che non aveva fatto assolutamente niente di niente.
-Niente ma! E ora dimmi, piccoletta, sei la figlia di quel Mellark? Peeta Mellark?-
Peeta Mellark? Era il suo papà, sì... ma che cosa voleva quella donna? Cosa voleva da lei?
-Sì. Peeta Mellark.- Rispose Daisy, flebile e docile, timida e stranita.
-Oh cielo...- A questa notizia, la maestra - quasi... schifata? Beh, certo, era una capitolina... - ebbe un fremito ad una narice, e gli occhiali le scesero sulla punta del naso, innervosendola.
-Bambini, state zitti! Basta, basta!- Strillò a tutti i ragazzini che, eccitati, continuavano a chiedere a Daisy di Katniss - la sua mamma, la "ragazza di fuoco" - di Peeta, il suo papà. Ma cosa volevano? Perché cavolo conoscevano tutti i suoi genitori e lei non conosceva quelli degli altri? Ma perché continuavano a bisbigliarle domande su domande, fiondandosi tutti sul suo banco? Che confusione!
Ma certo, avesse saputo cosa rispondere, Daisy, avrebbe detto tutto ai suoi compagni..! Ma che diamine erano questi Hunger Games?

Daisy scoppiò in lacrime per tutta quell'eccessiva pressione, e la maestra la fece accomodare fuori perché era un'enorme "distrazione per la classe", a suo dire. Continuò a frignare lei, povera piccola, fino al suono dell'ultima campanella, quando tutti i bambini abbandonarono la scuola; lei, rifugiata in un angolo nascosta ai curiosi occhi di tutti, ancora impegnata ad asciugare le ultime lacrime che le avevano percorso le guance.
-Ei, che ci fai qui?- Era il bidello, vecchio e barbuto, che se la montava sulla schiena senza che la bambina opponesse resistenza. E così la portava fuori dalla scuola, dove ancora due genitori attendevano ansiosi la propria piccola, che non usciva più. Che le fosse piaciuta così tanto la scuola, da non volerla abbandonare? Si domandò Katniss, ma le parve quasi impossibile.
Quando Peeta vide quelle treccine nere sedute sulle spalle del bidello dal camice blu, asciugarsi le ultime lacrimucce, corse loro incontro, capendo immediatamente che qualcosa non andava. Cosa era successo, alla sua bambina? Oh, avrebbe dato senza esitazioni la vita, affinché non soffrisse.

Nel frattempo, Daisy aveva chiesto al signore:-Tu sai chi è Peeta Mellark?-
E quello aveva risposto:-Certo, tesoro. Chi non lo sa? Nessuno di noi sarebbe qui, se quell'uomo e sua moglie non avessero fatto ciò che hanno fatto.- Daisy ebbe un colpo al cuore. Ma cosa avevano fatto? Perché tutti lo sapevano tranne lei, che ne era la figlia?

Daisy non parlò con i propri genitori fino a casa, dove, seduta a tavola, sua madre la incoraggiò a spiegare cosa le fosse successo, perché tenesse loro il muso. Katniss già temeva che avesse scoperto le cose peggiori.
-Chi siete voi?- Domando di botto la bambina, spiazzandoli.
-Come chi siamo noi?- Rispose Peeta con dolcezza, dopo qualche istante di esitazione; -Siamo la tua mamma e il tuo papà!-
-No. Cioè, sì... ma no.- Daisy buttò la forchetta sul piatto, confusa come non mai. -Siete mamma e papà, ma siete molto altro. A scuola, mi hanno chiesto tutti di voi, che cosa dovevo dire? Chi siete, se non un panettiere ed una cacciatrice? Non... non sapevo cosa rispondere.- Povera piccina, povera dolce Daisy, che tentava di non affogare in una sabbia mobile più grande di sé, che la tirava giù mani e piedi, mentre lei annaspava, esasperata.
-Amore...- Disse Peeta alla figlia, lanciando un'occhiata alla moglie. Questa annuì lievemente; era un tacito assenso alle parole che l'uomo avrebbe fatto seguitare:-È arrivato il momento, Daisy, di spiegarti un pochino come erano le cose quando noi avevamo la tua età, o poco più. Sei pronta, ad una nuova storia?- Le propose, quasi le stesse per raccontare una nuova favola della buonanotte, e non di giochi sadici che mandavano alla morte ragazzini; e non di sangue, del quale si saziavano immensamente i capitolini... il loro stesso sangue.
Quella non sarebbe stata una storia di Tributi ammazzati, non per il momento. Quella sarebbe stata la verità di eroi, di persone leggendarie, che hanno fatto la storia di Panem: Finnick Odair, Johanna Mason, Boggs, le gemelle Leeg, Gale Hawthorne, Primrose Everdeen, la piccola Rue e la sua famiglia, la presidente Paylor, Cressidra e il suo staff, lo stilista Cinna, Haymitch Abernathy, e molti, molti altri ancora.
E, perché no, anche loro: Katniss Everdeen e Peeta Mellark. I volti della rivoluzione. Coloro che la hanno guidata e sostenuta, sempre in prima linea. Coloro che non si sono tirati indietro nemmeno di fronte al depistaggio, alla morte, al dolore, alle sofferenze più svariate. Una storia d'amore? Forse. Ma, più che altro, una storia di coraggio. Una storia di lealtà. Di alleanza, di verità, di insana voglia di vivere in un mondo migliore, in un sistema giusto, senza quella dannata oppressione.

E mentre uno narrava, l'altra piangeva, Ghiandaia Imitatrice spezzata, dal canto incrinato e gracchiante, senza più la voce per fiatare, senza la minima forza per smettere di lacrimare davanti a sua figlia. I ricordi, le perdite, le mani di Peeta attorno al suo collo, l'esplosione di Prim, tutto tornava alla sua mente in una dolora cascata di pensieri, troppo ingiusti per essere rivissuti.

La bambina ascoltava, avida di informazioni quanto ingenua, e capiva tutto. Capiva più di quanto gli altri bambini potessero capire. Perché i suoi genitori potevano trasmetterle una tale emozione che le entrava dentro l'anima, che era tipica di chi aveva vissuto davvero le cose. Gli Hunger Games, innanzitutto.

Ed era incredibilmente bizzarro come gli altri genitori avessero già parlato degli Hunger Games a dei bambini di soli 6 anni, pensò Peeta... Mentre loro, che li avevano vissuti per ben due volte, e che erano stati i volti della ribellione ed avevano vissuto la guerra guardandola negli occhi, non ne avessero ancora discusso.
Evidentemente, la gente non poteva davvero capire l'orrore dei Giochi, finché non li avesse provati - brucianti, ustionanti - sulla propria pelle. Vedevano Daisy semplicemente come la figlia di due celebrità, ma le nuove generazioni non capiscono fino in fondo, perché i genitori gli hanno raccontato tutto troppo presto.
E questo, fa pensare.
Perché se non capiscono cosa sono realmente, i Giochi potrebbero tornare. Domani, come fra mille anni. Ma potrebbero tornare.
Sempre.

   
 
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