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Autore: Terre_del_Nord    03/05/2009    20 recensioni
Sirius Black e la sua Nobile Casata; gli Sherton e la Confraternita del Nord; l’Ascesa di Lord Voldemort e dei suoi Mangiamorte; gli Intrighi di Lestrange e Malfoy; le leggende di Potere e Sangue risalenti a Salazar Slytherin. E Hogwarts, i primi passi dei Malandrini e di chi, Amico o Nemico, condivise la loro Storia. UNA STORIA DI AMORE E DI GUERRA.
Anni 70. Il Mondo Magico, alle prese con Lord Voldemort, sempre più potente e feroce, farà da sfondo dark a storie d'amicizia per la vita, a un complicato rapporto tra un padre e i suoi figli, a vicende di fratelli divisi dalle scelte e dal sangue, a storie d'amore romantiche e avventurose. Gli eventi sono narrati in 1° persona da vari personaggi, canon e originali. "Nuovo Personaggio" indica la famiglia Sherton e altri OC.
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HABARCAT (Chap. 1/20) *** ORION (Chap. 21/24) *** HOGWARTS (Chap. 25/39) *** MIRZAM (Chap. 40/52) *** STORM IN HEAVEN (Chap. 53/62) *** CHAINS (Chap. 63/X) *** FEAR (Chap.97/) ***
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VINCITRICE 1° TURNO "Harry Potter Final Contest"
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Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, Mangiamorte, Nuovo personaggio, Regulus Black, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'That Love is All There is' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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That Love is All There is

Terre_del_Nord

Slytherin's Blood

Hogwarts - II.012 -  Slytherins vs Gryffindors (2)

II.012


Rigel Sherton
Castello di Hogwarts, Highlands - sab. 30 ottobre 1971

    “Bastardo!”
    “Ma cos…”
 
Non riuscii nemmeno a finire la frase. Non riuscii nemmeno a capire. Mi ritrovai tirato fuori a forza dalla doccia, i piedi non fecero presa sul pavimento, persi l’equilibrio e rovinai, nudo e bagnato, a terra. Un secondo dopo Jeremy Wood mi era sopra e mi picchiava senza pietà. Cercai di difendermi, di nascondere la faccia tra le braccia, ma lo schiocco secco dell’osso che si rompeva, il dolore pulsante che mi devastava la faccia e un orrendo sapore di sangue in gola, mi fecero capire che non avevo ancora imparato abbastanza bene a coprirmi. Sconvolto dal dolore, mi sentivo inerme come da bambino, quando Mirzam mi faceva scherzi stupidi e pesanti se non c’erano i nostri genitori in giro, mollandomi sonore sberle senza motivo, certo di restare impunito. Mio fratello, mio malgrado, mi aveva insegnato rapidamente cosa significasse essere uno Sherton fuori dal nido sicuro di Herrengton, dovevo essere pronto in qualsiasi momento: l’avevo odiato per anni, ma da quando ero in quella scuola, lo ammettevo almeno con me stesso, lo ringraziavo mentalmente per avermi insegnato tutto. Ora mi avrebbe deriso dandomi dell’incapace. E questo mi faceva più male di quell’energumeno che incombeva sul mio corpo. Forse, però, nemmeno lui si sarebbe mai immaginato di essere prelevato a forza da una doccia degli spogliatoi di Hogwarts ed essere pestato così a tradimento.
 
    “Ma porc…”
 
Strinsi i denti, cercai di resistere al dolore, assestai una ginocchiata dove sapevo avrei fatto male e mi sottrassi alla presa, volevo riparare il prima possibile, lontano da lì, ma alzandomi sentii chiaramente la fitta tipica di una costola incrinata.
 
    Perfetto…
 
Eppure dovevo farcela, dovevo fare in fretta, evitare che qualcuno si accorgesse delle mie reali condizioni. Dovevo assolutamente riprendere il controllo della situazione, mettermi al sicuro.
 
    “La prima regola è sopravvivere, la seconda è vendicarsi”.
   
Quante sberle mi aveva dato Mirzam, prima che imparassi? Quando provai a trascinarmi verso le mie cose, per prendere la bacchetta e riequilibrare la situazione, mi sentii afferrare per una gamba e tirare di nuovo indietro. Mi voltai, stavolta era McLaggen: per quanto fossi grande e grosso, capii subito che da solo in quelle condizioni non ce l’avrei mai fatta. Quasi mi avesse letto nel pensiero, Rabastan gli saltò addosso e riuscii a sfuggire, mi nascosi, dovevo assolutamente prendere la mia bacchetta. Per fortuna da due anni mio padre mi faceva esercitare. Iniziai a recitare, come un mantra, gli incanti che permettevano di tollerare il dolore, quelli che acceleravano la ripresa da ferite e fratture. Dovevo calmare il dolore, o non sarei mai stato capace di reagire. Dovevo evitare di finire in infermeria, a qualunque costo. Dovevo smettere di avere paura.
Gli incantesimi mi riuscirono, lentamente; mentre riprendevo fiato, osservai la scena assurda che si stava consumando attorno a me: non potevo credere a quello che vedevo, Cox si stava picchiando con uno dei Prewett, Lucius con  l’altro. Basty e Beckett se le davano con McLaggen e Wood, al quale evidentemente non avevo poi fatto troppo male. Scorsi in giro con gli occhi, fino a trovare Mills: era ferito e abbandonato dentro una delle docce, forse aveva battuto la testa, dovevo raggiungerlo e curarlo, anche perché sarebbe stato la rovina di tutti noi se qualcuno dei professori si fosse accorto di quello che stava accadendo. Noi Serpi eravamo in vantaggio numerico negli spogliatoi dei maschi, loro avevano due ragazze, noi solo una, quindi avevamo un elemento in più, io. Loro però erano senza dubbio più assatanati, non li avevo mai visti così, non capivo. Erano tutti impazziti. Dovevo fare qualcosa, ma le gambe non reggevano il mio peso e la prima regola, per me, in quel momento, valeva più della fedeltà ai miei amici e alla mia Casa. Rabastan si ergeva su McLaggen trionfante, lo sguardo allucinato, un occhio nero e un rivolo di sangue alla bocca. Tremai, perché non ero poi tanto convinto che quel sangue fosse il suo. Era il mio migliore amico, ma a volte mi metteva lo stesso i brividi addosso. Si era liberato di McLaggen con una gomitata sullo zigomo, avevo sentito il rumore dell’osso che si rompeva, si voltò verso di me, si avvicinò, non mi disse nulla, nemmeno rise della mia codardia, cercò tra le sue cose e ritornò nella mischia, bacchetta sfoderata, colpii Wood con un leggero Schiantesimo alle spalle, così da liberare Beckett. Solo Lucius e Cox continuavano a duellare con le bacchette contro i Prewett: non avevo mai visto Malfoy così, scarmigliato e feroce, non lui che anche quando cercava di farti davvero male manteneva sempre un’aura di diafana eleganza…
Basty colpì Gideon Prewett, con notevole soddisfazione, alle gambe, liberando Cox dal suo Petrificus e ponendo suo fratello Fabian da solo contro tutti noi. Lucius rimase con la bacchetta puntata al suo collo, uno sguardo assassino sulla faccia. Chiusi gli occhi, per fortuna era finita. Finalmente. I Grifoni arretrarono doloranti e sconfitti, Lucius riusciva a mantenere calmi le Serpi a stento.
 
    “Tornate nella nostra metà e restateci… Se si accorgono di qualcosa, ci ritroviamo tutti con 300 punti in meno!”
    “E “chissenefrega” delle punizioni, Malfoy, chi ce la dà più un’occasione come questa? Ho proprio voglia di spaccare qualche altro naso.”
 
Guardai Lucius, orripilato, stava ghignando d’approvazione, poi Rabastan: sembravano entrambi drogati di sangue, trattenni il disgusto. Mio padre, in fondo, aveva  ragione, noi Sherton  non eravamo uguali agli altri. A me interessava solo il Quidditch… Mi chiedevo che cosa ci stessi facendo in mezzo a quella manica di pazzi. Lestrange mi riversò addosso una risata da far rizzare i peli sulla schiena, mi guardò come se fosse riuscito a leggermi di nuovo nel pensiero, io gli rivolsi un sorriso sghembo, era meglio fingere che la pensassi come lui. Mi rimisi in piedi, uscendo dal mio momentaneo rifugio, mentre evidentemente Lucius era riuscito a far tornare alla ragione quasi tutti… Ciascuno di noi andava in giro a raccattare le proprie cose, quelli meno malconci iniziarono a riportare ordine nell’ambiente, i feriti erano impegnati a curarsi e nascondersi le ferite, io mi chinai su Mills, cerando di fargli sparire quel brutto bernoccolo che si stava ingrossando sulla fronte. Mi resi conto che le mie mani tremavano.
Era da un anno che giocavo seriamente a Quidditch, quella era la mia quarta partita, la seconda contro i Grifoni. Loro non mi piacevano, non possono piacerti troppo i Grifoni se sei una Serpe, ma mio padre mi aveva insegnato a portare rispetto per l’avversario. Sempre. E i Grifoni, i Tassi e i Corvi, mi avevano sempre rispettato per questo, fino a quel momento. Sempre. Non capivo. In tre anni avevo visto altre partite chiudersi con un cercatore vittorioso mentre l’altro era a terra, ma non era ma accaduto niente del genere. Non capivo davvero. O forse semplicemente non volevo capire, non era la prima volta.
 
*

inizio flashback
Herrengton Hill, Highlands - estate 1971
    “Che cosa stai leggendo Mir?”
Mi sedetti con fare fintamente disinteressato, Mirzam si affrettò a chiudere scocciato il giornale, appena fui a portata di sguardo.
    “Nulla che debba riguardare pivelli come te…”
    “Certo che sei proprio uno stronzo…. Un fottuto bastardo, un falso, come Giuda…”
    “Falso come Giuda? Ora parli come i babbani?”
Mirzam mi fulminò con occhi di luna, forse lo odiavo pure per quello, perché guardarlo, significava avere davanti agli che eravamo in parte dei Malfoy anche noi… o forse odiavo Lucius, perché era dannatamente simile a mio fratello.
    “Con questi discorsi sui babbani sei diventato monotono, Mirzam… dico davvero… sei a tanto così dall’entrare nel Puddlemere, il sogno di tutta la tua vita, e invece ormai sembra che per te sia importante solo la politica!”
Lo distrassi con la storia  del Quidditch e con rapidità gli sottrassi il giornale, avevo capito da subito che non era la “Gazzetta del Profeta”; lui cercò di prendermi, ma ormai lo conoscevo abbastanza, e sapevo come fare per giocarlo. Aprii il giornale e non riuscii a nascondere lo sgomento che mi prese quando misi a fuoco l’immagine dell’uomo in prima pagina e le scritte a caratteri cubitali che stavano sotto e sopra la sua figura. Guardai mio fratello con sguardo interrogativo… la sua faccia non mi piacque per niente: c’era sfida, nei suoi occhi, c’era un insano compiacimento… No, non era mio fratello quello in piedi davanti a me.
    “Se lo sapesse papà... ”
Gli tirai addosso il giornale, infuriato e deluso.
    “Se lo sapesse papà… Che  cosa dovrebbe  fare secondo te? Sentiamo! Non credi che dovrebbe sostenermi nelle mie scelte, che tutti voi dovreste sostenermi, visto che sono le uniche adatte a quelli come noi? Secondo me nostro padre dovrebbe seguirti di più, Rigel, perché tu stai crescendo anche più strano di quanto siamo già noi tutti… A volte… A volte mi preoccupi davvero, io spero che sia solo perché in fondo sei solo un ragazzino, ma se continui a far di testa tua…”
    “Se continuo a far di testa mia, cosa? Che cosa avrei fatto di tanto vergognoso? Sentiamo? Aver protetto il nostro nome e nostra sorella?  O non aver baciato le chiappe a Malfoy?”
    “Non è certo per nostra sorella che ti sei battuto con Malfoy… E poi questi son discorsi privi di valore, discorsi da ragazzini! E’ questo il nostro futuro… Quand’è che lo capirai?”
Mi piazzò il giornale con forza sul petto, io mi scansai schifato e lo guardai con odio.
    “Futuro, Mirzam? Se il nostro futuro è chinarci a questa gente... Beh… Allora forse è meglio non averlo affatto, un futuro…”
Fine flashback

*
 
    “Tutto bene?”
    “Sì, perché?”
 
Lestrange allungò una mano verso la mia faccia, io mi ritrassi, lui rise. Lucius si mise in mezzo senza tanti complimenti, come suo solito.
 
    “Non sei ancora molto bravo a curarti, Sherton, è meglio se lasci fare a uno di noi o quel naso non ti tornerà mai normale…”
 
Rimasi fermo, lasciando che Malfoy armeggiasse: sapevo che suo padre aveva fatto mille volta la stessa cosa col mio, e sapevo bene, dallo sguardo che mi stava lanciando, che stavamo pensando entrambi alla stessa cosa.
 
    “Passata la paura, Sherton?”
    “Io non ho paura!”
 
Risero tutti, io mi conficcai le unghie nella carne, nervoso e ostile. Mi ero comportato proprio da vigliacco.
 
    “Non sei un granché nemmeno come bugiardo!”
    “Vai al diavolo, Malfoy!”
 
Lucius si alzò, evidentemente non era propenso a infierire, mi porse uno specchio, non si vedeva più nulla, sembrava che non fosse accaduto nulla… Mi guardai attorno, nemmeno gli altri avevano più l’aspetto pesto di pochi minuti prima. In momenti come quello si capiva perché il borioso Malfoy fosse prefetto e Capitano: aveva una capacità di infiammare o di tranquillizzare gli animi, che nessun altro aveva, aveva la capacità di ordire un piano, stilare una strategia, di guidare. Aveva la politica nel sangue, c’era poco da fare, solo un idiota poteva fingere che non avesse quelle qualità. Fuori Hogwarts avrebbe sicuramente fatto strada.
 
    “Quello che è successo qua dentro non deve uscire da qui siamo intesi? Nessuna reazione… nessuna, capito Lestrange? Nessuna… almeno finché non si saranno calmate le acque e… mi raccomando… non organizzate niente di troppo plateale…”
 
Lestrange e Mills ghignarono, io sentii lo stomaco contorcersi per il disagio… Di sicuro entro la serata avrebbero raccontato tutto a McNair, a Rosier e a Goyle, e nel giro di pochi giorni sarebbe successo qualcosa a qualche matricola o qualche altro Grifone che non c’entrava niente. Di sicuro entro due giorni Lestrange mi avrebbe spiegato il suo piano e stavolta non si sarebbe trattato solo di lanciare una “Orticaria Gnaulante” contro due ragazzini di Tassorosso. Avevo solo voglia di vomitare. Uscimmo, circa dieci minuti dopo i Grifoni, di certo non avremmo corso il rischio di un altro agguato sul sentiero che si snodava nel bosco, visto che erano messi anche peggio di noi… Lungo il percorso mi accodai taciturno a Lestrange, perso nei miei pensieri, sotto una pioggia battente che sembrava non volerci dare tregua.
 
    “Ora hai ancora i tuoi nobili dubbi, Sherton?”
    “Lasciami in pace, Lestrange…”
    “Dovevi vederti… andare lì, con la mano tesa, a far la pace con il vice di Brent, chiedere a Prewett come stava…. Anch’io ti avrei sputato sulla mano tesa, fossi stato al posto di Wood….”
 
Mi fermai, pronto a fare a pugni con lui, avevo ancora negli occhi la scena, appena rientrati negli spogliatoi, sotto lo sguardo sorpreso di tutti, mi ero avvicinato ai Grifoni, con la mano tesa in gesto di pace, e avevo rimediato solo sputi e insulti. Anche da Gideon: con lui, in quei tre anni, non eravamo mai stati nemici, forti dei legami di sangue che ancora univano alla lontana le nostre famiglie. Una smorfia e un brivido mi percorsero. Ero confuso. Lucius si era fermato e rapido era scivolato tra le retrovie, ora ero stretto tra i due: di solito la presenza di Rabastan mi rincuorava e Malfoy mi dava sui nervi, in quel momento li osservavo come se fossero entrambi a me alieni.
 
    “Che cazzo ti è passato per la testa, Sherton?”
    “Vai al…”
 
Non finii la frase, Rabastan mi piantò una mano aperta e forte sul petto, bloccandomi, per una volta le alleanze si erano ribaltate. Li fissai entrambi, risoluto. Quanto aveva ragione mio padre! Ed io che spesso non gli avevo voluto credere.
 
    “Mio padre mi ha insegnato a uscire così da una partita di Quidditch… Chiunque sia l’avversario, sempre e comunque, con una stretta di mano…”
 
Risero, Rabastan mi circondò le spalle con il suo braccio, come se avessi detto una cosa particolarmente divertente, Lucius si mise dall’altra parte, una leggera aria divertita sul viso, i capelli incollati, come tutti, noi sulla faccia.
 
    “Sei ancora troppo piccolo per capire, Sherton, ma giornate come queste servono anche a questo. Noi qui oggi non ci siamo battuti solo per una stupida partita di Quidditch, ma per il nostro futuro glorioso… Imparalo alla svelta… perché tutti gli altri giocano con regole che sono diverse da quelle di tuo padre… Prega che anche lui se ne renda conto in fretta.”
 
Volevo rispondere a tono a Lucius Malfoy, ma lo sguardo allucinato di Lestrange si sommava al suo, risoluto. Sentii nella testa le raccomandazioni di mia madre, la sera prima della partenza, che mi pregava di tenere d’occhio Meissa e stare entrambi lontano dai guai, non criticare mai certi discorsi da Serpeverde, anche se diversi dalle posizioni tenute in Casa da nostro padre. Anzi. Dovevamo fingere che quelle stranezze non esistessero, che fossero solo leggende messe in giro da chi ci era nemico. Mi chiesi fino a dove ci avrebbe portato quella recita. Non mi sentii mai così solo a Hogwarts come in quel momento. Prima o poi avrebbero imposto anche a me di scegliere, forse quel giorno i Grifoni avevano addirittura accelerato gli eventi. Continuai a camminare in silenzio, sperando di allontare i dubbi per qualche ora, quella sera, almeno durante la festa. Sì, Mirzam mi aveva detto tutto quello che serviva sapere per vivere in quel dannato castello. Ma non volevo accettare che quello fosse l’unico modo possibile. Ed io che m’illudevo che salendo su una scopa, avrei semplicemente giocato una partita di Quidditch…
 
    “Ci sono poche regole importanti a Hogwarts… la prima tra tutte, è che devi sopravvivere, perché il nostro sangue ha più valore di qualsiasi altra cosa…. La seconda è la vendetta, perché uno Sherton senza onore, non è uno Sherton.”
    “Tu sei uno sciocco, Mir… Hogwarts è una scuola, non un campo di battaglia, non ci sono nemici…”
    “I Grifondoro sono i nostri nemici, Rigel, nemici da combattere fino alla morte…”
    “E se uno di noi finisse a Grifondoro, allora?”
    “Se accadesse sarebbe un nemico, non più un fratello…”
 
***

    “Sei sicuro che abbiamo tutto?”
 
Rosier, ai miei piedi, faceva l’inventario per la serata che sarebbe iniziata tra meno di un’ora, continuamente importunato da Rabastan.
 
    “Se hai preparato quella dannata pozione come Merlino comanda… sì… ma visto che non sei molto affidabile, per sicurezza ho chiesto anche ad Alecto di prepararcene un po’…”
 
Rabastan ghignò, se in mezzo c’era Alecto Carrow, settimo anno, il successo era assicurato, e di conseguenza anche la riuscita della festa.
 
    “E da Abe hai ottenuto quel vino… spero…”
 
Evan sbuffò, e sollevò sulla sua testa una pregiatissima bottiglia di un bel rosso rubino, le scritte sull’etichetta parlavano delle calde terre italiche. Ecco: fuggire lì, in quel momento, sarebbe stato l’ideale. Rabastan cercò di prenderla ma Evan la tenne stretta, non fidandosi del nostro losco compagno di Casa.
 
    “Fermo lì, Lestrange: annata ottima, Slughorn non dirà di no… e, per la cronaca, sono riuscito a invitare persino Pascal… ci sarà da divertirsi!”
 
A quella notizia non ne potei più… tutto ma non Pascal… non l’orrido vegliardo, nuovo professore di Difesa contro le Arti Oscure.
 
    “Salazar! Perché lasciare qualcuna di quelle vecchie cariatidi lontano di qui?… e pensare che doveva essere una bellissima festa!”
 
Ero preso dallo sconforto più nero. Rabastan ghignò e mi abbracciò.
 
    “Uomo di poca fede, vedrai se non sono un genio!”
    “Del Male…. senza dubbio… un Genio del Male, Lestrange!”
 
Evan scoppiò a ridere, mentre Rabastan sembrava gli avessi fatto il più bel complimento della sua vita.
 
    “Mi sa che i Grifoni ti hanno attaccato qualcosa di pernicioso, sei così acido e ostile, Sherton…"
    “Fottiti, Lestrange…”
 
Ghignò, ammiccando a tre biondine del quarto anno che lo guardavano sorridenti.
 
    “Beh, penso proprio che stasera avrò di meglio da fare… se vuoi, puoi unirti a noi, c’è posto anche per te….”
 
Sapevo bene che non stava scherzando, non avrei più scordato la mia “prima volta”, durante la festa per la vittoria sui Corvonero, tutta opera sua. Era uno degli aspetti basilari della mia amicizia con Basty, insieme agli scherzi idioti, inutile negarlo, anche se a volte me ne vergognavo, ma in quel momento sembrava che non m’importasse nemmeno di quello, eppure era l’unico modo per scrollarmi di dosso i pensieri oscuri che mi pressavano dalla partita. Rosier e Lestrange, finito di sistemare gli incantesimi che ponevano al sicuro le casse di beveraggi, sostanze non propriamente legali, cibi che non potevamo richiedere agli elfi cucinieri e i fuochi “sprizzallegri”, si allontanarono sghignazzanti; Paulette Thomas, del quinto, si avvicinò sinuosa, avevo fatto il diavolo a quattro per invitarla quella sera, me l’avevano descritta come una ragazza molto disponibile… ma non mi andava nemmeno di guardarla… Ero dolorante e scocciato, avrei rotto volentieri la testa a qualcuno, altro che pensare a una serata galante. Si sedette sulle mie ginocchia e iniziò a baciarmi, la fulminai con lo sguardo e con modi decisamente grossolani le bloccai le mani e me la staccai da dosso.
 
    “Non ora... ho da fare…”
 
Avrebbe mandato al diavolo chiunque, ma non me. Mi scoccò uno sguardo carico di promesse, ma al momento non m’interessava. Corsi da Rabastan deciso a partecipare alla prima fase del piano. Avevo bisogno di un’esperienza pericolosa ed esaltante.
 
***
 
    “Sei stato geniale, ragazzo, voglio dire… certe cose non si fanno, no, certo che no, dico bene Jeremiah?”
 
Impegnato nell’esaltare le prodezze truffaldine di Lestrange, Slughorn si piegò tutto addosso al suo degno compare, Jeremiah Albertus Pascal, anziano professore di Difesa contro le Arti Oscure, convocato a inizio anno da Slughorn stesso a causa del nostro persistente problema didattico: in quella materia, nessun insegnante durava più di un anno scolastico. Chiamato in causa, Pascal squittì grondando approvazione, i già piccoli occhietti porcini resi due fessure dalle abbondanti libagioni di quel dolce nettare opportunamente corretto dalla mano sapiente di Alecto Carrow… Rosier mi guardò trionfante, probabilmente mancavano pochi minuti e finalmente i due vecchi babbioni avrebbero ceduto. Tornai a guardare i nostri ospiti, quando Pascal si produsse in un suono davvero strano: che cos’altro poteva fare un roditore come lui, d’altra parte?
Ex-Serpeverde, anche se non avevo ancora capito in virtù di quale caratteristica, Pascal era un mago minuto, il viso nascosto dietro un paio di occhiali molto più grandi della sua faccia, esageratamente “peloso”, al punto che aveva una strana peluria perfino sui palmi delle mani e una copiosa pelliccetta usciva non solo dal colletto della camicia inamidata, ma persino in abbondanti ciuffi candidi e lanosi dalle orecchie. Dall’inizio dell’anno, ci chiedevamo se per caso quello non fosse il risultato fallimentare di un esperimento per diventare Animagus. Non era facile mantenere il sangue freddo e non scoppiare a ridere in sua presenza. Il capo, per esempio, al contrario del resto del corpo, era completamente calvo, sembrava una liscia pietra veggente di mio nonno, eccetto un unico, lunghissimo capello opportunamente acconciato affinché avvolgesse mezza testa: alcuni dicevano di averlo sentito rivolgersi al capello come fosse un figlio, per me, anche se non l’avesse davvero fatto, c’erano comunque tutti gli elementi necessari e sufficienti per considerarlo un pazzo .
 
    “Hai ragione Horace… in fondo… nulla impediva a Brent di mollare la caccia, no? Non era mica obbligatorio permanere in quella posizione…”
 
Rise, viscido. Metà delle parole che uscivano da quel soggetto erano incomprensibili: come se non fosse già abbastanza derelitto, quell’uomo si produceva in tutta una serie di difetti di pronuncia e strani tic. Non riusciva a dire “insomma” senza creare uno strano risucchio che ci faceva ridere per mezza lezione, e visto che intercalava tutto il discorso sempre con quell’espressione, non riuscivamo mai a restare seri. Inoltre stranamente ingobbito solo sul lato sinistro, si muoveva per la stanza con fare teatrale, fermandosi poi all’improvviso come se fosse stato colto da un “petrificus totalus”: la prima volta pensai che qualcuno l’avesse davvero centrato con un qualche incantesimo ben fatto. Invece era proprio il suo modo di descriverci le strane avventure di cui sosteneva di essere il protagonista, anche se nessuno di noi ci credeva, visto che si lasciava spesso spaventare persino dalla sua stessa ombra.
 
    “Professore, lasciamo perdere Brent… che cosa dice, abbiamo fatto un buon acquisto da Abe, prendendo questo vino? Noi purtroppo siamo ancora minorenni, non possiamo assaggiarlo.”
 
Come se il vecchio tricheco non fosse felice di non dover dividere quella prelibatezza con noi. Slughorn si appropriò avido anche della terza bottiglia che gli porsi con fare cerimonioso, riannusò il dolce effluvio che usciva dal contenitore appena stappato e andò a versarsi un altro abbondante bicchiere, per sé e per il suo compare.
 
    “Oh sì, ragazzi miei, sono veramente lieto di scoprire che, oltre alla superiore conoscenza delle arti pozionistiche, sto facendo di voi anche dei maghi di gran... claa…”

Il tricheco si afflosciò a bocca aperta sulla sua poltrona imbottita e ricolma di morbidi e stucchevoli cuscini fiorati e vaporosi, notai scomporsi anche i piedi porcini sul predellino posto a dar sollievo a quelle sue gambette corte e carnose. Dall’alta parte, col capello scomposto sul tavolo, abbandonata a fianco del vassoio di pasticcini ormai completamente ripulito persino delle briciole, la liscia testa di Pascal annunciava la resa anche del secondo rompiballe.
 
    “Datti da fare Rosier, così poi li sistemiamo di la!”
 
Evan estrasse la bacchetta, si produsse in un arzigogolo per aria che culminò in una leggera luce violetta che avvolse la testa dei due professori: era l’”oblivion selettivo”, di cui era diventato un esperto molto apprezzato nella Casa di Serpeverde.
 
    “E ora dai, che la festa ci aspetta!”
 
Io mi occupai di Pascal, più piccolo e leggero, Evan e Rabastan presero con una notevole difficoltà il professor Slughorn, sostenendolo con la forza delle loro bacchette e facendolo levitare fino a pesante armadio rinforzato che campeggiava nella sua stanza personale, come avevamo scoperto entrando l’anno prima nei suoi appartamenti per rubacchiare qualche sostanza utile in pozioni non proprio legali. Li accomodammo uno in braccio all’altro, lasciandoli che ronfavano sonoramente: dovevano svegliarsi senza ricordare nulla non prima delle 9.30 del mattino seguente, ma notai che, benché le pesanti ante fossero chiuse con i migliori incanti di chiusura a tempo, sembrava che una mandria di bufali inferociti stesse premendo dall’interno per riversarsi nella stanza.
 
    “Sei sicuro che possiamo star tranquilli? Quelle ante non mi pare che reggano a sufficienza!”
    “Non temere, Rigel, Alecto non perdona, e il mio Oblivion non fallisce mai!”
    “Ma… ma non credi che domattina, al risveglio, non troveranno un po’ strano la loro situazione?”
 
Rabastan rise fino a farsi venire le lacrime agli occhi.
 
    “Non ti preoccupare, a qualcosa dovevo servire anch’io, non credi? Abbiamo pensato anche a quello…”

Li vidi sogghignare, io non capivo... poi di colpo…
   
    Salazar!
 
    “NON VORRAI DIRMI CHE TU…”
    “Shhhhhh… fai silenzio… Sherton! si può sapere che cos’hai oggi? Lo sai bene non è la prima volta che l’ho fatto, mi sono esercitato molto con quelle ragazze che altrimenti mi farebbero perdere tempo… puoi star tranquillo che non ho sbagliato nemmeno stavolta!”
 
Lo guardai allucinato, non poteva essere vero.
 
    “Salazar, e ne sei pure fiero! Ma ti rendi conto che è una Maledizione senza Perdono?”
    “Santo Boccino! Ma sei Rigel Sherton o una verginella di Tassorosso? Basta! Che c’è di sbagliato? In fondo vogliamo solo divertirci... Non si farà male nessuno!”
    “Voi siete una manica di pazzi... Se vi scoprono...”
 
Evan intervenne con un rapido tossicchiare stizzito, che pose fine alla nostra scaramuccia. E mi gettò nella disperazione più nera.
 
    “Se CI scoprono, Sherton, ricordatelo… Se CI scoprono, questa è la via diretta per farci sbattere fuori di qui, destinazione Azkaban, quindi acqua in bocca e pensa a divertirti, ti ho visto prima con la Thomas… Non pensare a niente, va da lei, ti assicuro che ne vale la pena…”
 
Sospirai, di fronte al ghigno lascivo che si scambiarono: forse mio padre non aveva poi tutti i torti sui Lestrange. Ma visto che ormai ero in mezzo, tanto valeva cogliere anche i frutti di tanto rischioso lavoro. Rientrai nella sala comune delle Serpi insieme ai miei compagni, gli addetti ai festeggiamenti si erano dati davvero da fare!
 
***

Sirius Black
Castello di Hogwarts, Highlands - sab. 30 ottobre 1971
 
    “Infami! E ladri! Non è giusto!”
    “Smettila Potter… E’ solo una partita…”
    “Solo una partita? Solo una partita? Ma l’hai visto?”
    “Sì che ho visto, James… te lo ripeto da questa mattina! E conoscendolo, so che Rigel sarebbe arrivato al boccino anche con Brent tutto intero…”
    “Balle! Doveva fermarsi, doveva…”
    “Ma lui è un cercatore, no? Quindi doveva prendere il boccino, punto. E quella ha fatto…”
    “Parli così perché…”

James si fermò in tempo, ma lo sguardo diceva più di mille parole… gli ghignai contro…

    “Perché sono un bastardo Serpeverde anche io?”

Mi guardò ancora, deglutì e rimase in silenzio davanti al ritratto della Signora Grassa, poi si decise, umettandosi appena le labbra.

    “Hanno rubato la partita. E questo è quanto.”

Entrammo nella Sala Comune di Grifondoro, di ritorno dalla cena in Sala Grande, notai subito che la tristezza e il nervosismo non erano caratteristici solo del nostro gruppo di amici, tutta la Casa non aveva preso bene quel brusco risveglio. Dovevo ammetterlo, anche se mi ero emozionato a vedere Rigel giocare seriamente a Quidditch, forse iniziavo a considerami sul serio un Grifone anch’io, perché ero uscito deluso dalla partita, sebbene non mi sentissi di parlare in termini altrettanto offensivi delle Serpi, escluso Lestrange. Era lui il baro sleale, che c’entrava Sherton? Secondo me, preso dalla febbre del boccino, nemmeno si era accorto di Brent a terra. Il mio umore era ancora peggiorato quando la squadra era rientrata, dopo la partita, e fu chiaro a tutti che negli spogliatoi era successo il finimondo: McLaggen e Wood avrebbero avuto bisogno di cure mediche, ma il pericolo della punizione di Dumbledore aveva fatto optare per cure fai-da-te nei dormitori. Stando ai racconti dei Prewett, le Serpi non erano messe meglio, Wood si gloriava di aver spaccato il naso a Rigel: quando sentii quelle parole il mio giusto dispiacere per la sconfitta della mia Casa lasciò posto a un sentimento diverso, il sangue mi andò alla testa e se non fossi stato solo un ragazzino di undici anni avrei cercato di vendicare il mio amico. Rimasi scontroso e avvelenato per tutto il resto della giornata, quindi le battute di Potter mi trovavano particolarmente mal disposto.
James non capiva: lui parlava in termini di ideali e di squadra, per me invece si trattava di persone. A me non importava che Rigel fosse una Serpe ed io un Grifone, per me era un amico, e sapevo di esserlo anch’io per lui. E al contrario di quanto pensasse James, quest’amicizia non mi rendeva meno Grifondoro di Potter. A volte ragionava come un bambino. Era così chiuso nelle sue idee… cambiava solo il colore del cravattino, ma era fissato come la mia famiglia.

    “Dobbiamo fargliela pagare… E so anche come…”

Gideon Prewett, davanti al fuoco, poco lontano da noi, stava confabulando con suo fratello e altri ragazzi del sesto e del settimo, l’umore di tutti loro era a dir poco funereo: quando scoprii le loro intenzioni, le cose cambiarono drasticamente, quello che volevano fare avrebbe messo in pericolo Rigel e forse persino Meissa. Presi all’istante la mia decisione: non potevo permettere che succedesse qualcosa agli Sherton. Dovevo agire subito. Saltai in piedi e mi avviai alla porta, James capì subito e mi fu alle costole.

    “Che intenzioni avresti, Sirius?”
    “Secondo te?”
    “Non ci pensare nemmeno, o stavolta davvero ti appenderanno per i pollici fuori della torre. Come si fa con le spie.”
    “Vai al diavolo Potter… “
    “Vuoi che ti considerino una spia? È questo che vuoi? E per cosa? Per chi?”

Mi voltai, fulminandolo con odio.

    “Per i miei amici, Potter, perché ci sono amici, amici veri, anche fuori da qua dentro… se davvero fossi mio amico, lo capiresti…”

Corsi fuori della Sala, contravvenendo al coprifuoco e a ogni forma di buon senso, complice la confusione che regnava tra i Grifoni, presi tra delusione e pensieri di rivalsa. Dovevo raggiungere i sotterranei e Rigel prima che fosse troppo tardi. Non sapevo quando avrebbero agito. Potter stavolta era intenzionato a non lasciar correre, mi raggiunse sul pianerottolo, mi prese per la collottola e mi riportò dentro, senza tante cerimonie. Mi voltai disperato ed esasperato, di fronte a tutti, cercai di divincolarmi e picchiarlo, Remus si rese conto che stavamo attirando troppo l’attenzione, cercò di riportarci alla ragione e ci convinse a salire in camera per parlare e trovare una soluzione, anche lui sembrava dubitare che fossi nel torto. Una volta lì, però, feci capire di non aver tempo per parlare e trattare, non mi trattenni più, con Potter ci azzuffammo davanti ai nostri amici, come mai era avvenuto tra noi fino a quel momento: le presi, le ridiedi ma, a quanto pareva, anche James era ben motivato e stavolta picchiò più forte di me. Remus e Peter si diedero da fare per togliermelo di dosso, io, malconcio e ferito nell’orgoglio, mi chiusi in bagno, acceso d’odio e frustrato. Quando alla fine mi calmai, sapevo che non c’era più nulla da fare, i Grifoni avevano già messo in moto la loro vendetta.
Restai sulla porta, socchiusa, sentivo Remus sibilare minaccioso contro James, la sua cieca ostinazione mi faceva anche più male dei pugni che mi aveva dato. Secondo Remus l’unica cosa da fare era andare dalla Mc Gonagall e raccontare come stavano le cose, non si poteva permettere che per colpa di una stupida partita di Quidditch, scoppiasse una guerra dentro la scuola. James sosteneva che stesse esagerando, che quelle situazioni c’erano da quando Hogwarts era stata fondata, e che nessuno correva dei veri rischi, nessuno era mai morto per una stupida rissa. Che non sarebbe passato per spia per salvare le chiappe alle Serpi. E che non potevamo perdere anche 300 punti per impedire che le Serpi ricevessero la lezione che meritavano.

    “E Godric solo sa se se le meritano, fottuti bastardi…”
    “Sai James… il Quidditch e la Casa a volte non sono tutto… e non è detto che i Grifoni siano sempre nel giusto. Questa volta non siamo nel giusto, James… l’amicizia, di qualunque colore sia, è molto più importante di una stupida partita… pensaci…”
    “Amicizia? Io non avrò mai amici tra le Serpi e vuoi sapere perché? Perché l’amicizia per loro non sarà mai sacra come lo è per noi…”

Rivolse gli occhi verso la porta dietro la quale mi nascondevo, uscii in quel momento, con la mia presenza avrebbero finito di parlare. Muto, scorsi gli occhi preoccupati di Remus e Peter su di me.  E l’ostilità in quelli di James. Sentii un brivido di freddo, avevo deciso. La mente persa in pensieri spaventosi su quello che poteva accadere nei sotterranei se non avessi agito.

    “Prega che non succeda nulla a Rigel o Meissa, Potter, o ti giuro che te la farò pagare!”

In silenzio uscii… Remus mi aveva dato l’idea giusta. In fondo, si sapeva, i Serpeverde facevano sempre la spia.

***

Rigel Sherton
Castello di Hogwarts, Highlands - sab. 30 ottobre 1971

La musica era sparata a tutto volume, mi guardai attorno, la stanza aveva perso completamene l’aspetto austero e nobile della Sala Comune di Serpeverde. Avevo caldo, pur essendo rimasto già da un pezzo solo in maniche di camicia.

    “Ma non avete paura di Slughorn?”

Sorrisi a quel ragazzino strano, che stava sempre due passi dietro a mia sorella, il figlio mezzosangue di Eileen Prince.

    “Non ti preoccupare, è tutto a posto, pensa a divertirti… Severus, dico bene?”

Annuì, il classico pallore appena rosato da un moto d’imbarazzo. Gli circondai le spalle con un braccio e me lo portai dietro, mentre cercavo di raggiungere il tavolo delle bevande lo sentivo rigido e a disagio sotto il mio tocco, non doveva essere facile per uno come lui stare lì dentro, a volte non mi ci sentivo bene nemmeno io. Mi guardai attorno, intravidi mia sorella che chiacchierava con un paio di sue compagne di corso e mi rasserenai, almeno da quel fronte non c’era nulla di cui preoccuparsi, anche grazie ai vari incantesimi che avevano preparato i prefetti per quella sera a difesa dei ragazzini più piccoli, non avevo il pensiero di doverla controllare. Certo questo significava che anche per me le possibilità d’infrattarmi erano ridotte a zero a causa degli stramaledetti incantesimi di Lucius Malfoy.

    “Bastardo! Sono il protagonista della festa e per colpa tua non posso nemmeno divertirmi!”
    “Ti divertirai l’anno prossimo, quando io non ci sarò più… Non voglio che tuo padre venga a reclamare a casa mia perché la tua idea di divertimento è mettere nei guai qualche ragazzina, mezzosangue magari, insieme quell’altro imbecille di Lestrange!”
    “Spero che tu…”
    “Shhhh…. Ora non ho tempo per i mocciosi!”

Avevo cercato di affatturarlo, ma Lestrange mi aveva bloccato in tempo, o sarebbe stata l’ennesima rissa di quella lunga giornata. Feci no con la testa, mentre passavo a uno Snape vagamente trasognato una burrobirra. Dall’inizio della festa, era passata più di un’ora ormai, ero stato innalzato agli onori da tutta la mia Casa, perché avevo contribuito alla mia maniera a fargliela vedere ai cari Grifoni, ma con tutto quello che era accaduto, non mi sentivo felice e appagato come sempre, e ben presto mi ero staccato dalla folla urlante, ritornando un po’ tra le retrovie. I miei compagni di avventure erano tutti piacevolmente impegnati e Paulette mi aveva lasciato perdere, quando si era resa conto, grazie al bello scherzetto di Lucius, che, infondo il cercatore di Serpeverde, anche se grande e grosso, era solo un bambino. Tanto meglio… Quella era la sera adatta a sbronzarmi fino a scordarmi persino il mio nome.

    Che giornata di mer…

    “Tu guarda quel gran bastardo! Devo uscire, ti va di venire con me a controllare il “servizio d’ordine”?”

Snape mi guardò stranito, dovevo parlare runico, ai suoi occhi.

    “Rosier doveva assicurarsi che i due mocciosi alla porta fossero sempre svegli e presenti, caso mai qualche professore si avvicini alla Sala, ma mi pare di averlo visto infrattarsi con una del sesto, quindi è meglio se vado a controllare io.”

Snape si guardò attorno, probabilmente solo in quel momento si stava rendendo conto che non c’era più traccia da un pezzo né dei prefetti né del caposcuola: ebbene sì, tutti i “grandi” erano pateticamente presi in attività che non c’entravano molto con l’idea che doveva essersi fatto di Serpeverde. Ci tenemmo ai margini di quella bolgia sulfurea, di cui evidentemente il famigerato responsabile, oltre a me, era il solito: Rabastan stava ancora in piedi sul tavolo, incitando la folla a ballare e fare casino, tempo un’altra mezzora e sarebbe sparito anche lui. Primo perché lo conoscevo tanto bene da sapere che era già di là della soglia del non ritorno, secondo perché già ora aveva chiare difficoltà a tenere a bada un paio di ragazze che se lo stavano letteralmente divorando sotto gli occhi d tutti. Io era l’addetto ai beveraggi, ma avevo ceduto per un po’ l’incarico a Cox: la mia ultima missione a Hogsmeade, un paio di settimane prima, era stata piuttosto fruttuosa, anche se parecchio dispendiosa, e ora per la Sala circolava di tutto, o meglio, tutto ciò che fosse inadatto a una scuola come Hogwarts. Cercai di individuare Lucius Malfoy, ma sembrava essersi dato alla macchia, cercai nella stanza qualcos’altro di biondo, invano: uno strano senso di oppressione mi strinse alla gola, di certo erano insieme. In fondo… ormai… perché no? Non era più farsi bloccare al muro come una ragazza qualsiasi, non più, ora che Lucius poteva offrirle seriamente tutto ciò che poteva desiderare…
   
    Se solo fossi stato più grande…

Raggiunsi con le lacrime agli occhi la porta, con il fumo e il caldo che c’era lì dentro, nessuno avrebbe mai potuto sospettare il vero motivo del mio aspetto. Appena aprii, mi si gelò il sangue. Capii subito. E capii anche che ormai era troppo tardi, qualche idiota non era rimasto al suo posto e l’apertura del ritratto era stata violata. Più di venti Grifoni scorazzavano per i corridoi esterni, a caccia, e di certo appena ci avessero visto, non avrebbero trovato difficoltà ad abbattere quella stupida porta di quercia.

    “Edward, Sam, aiutatemi a barricarci, tu…”

Guardai il piccolo Snape e mi chiesi se potevo fidarmi o se si sarebbe fatto cogliere dal panico e si sarebbe nascosto. Non avevo altra scelta.

    “Devi andare da Malfoy e, costi quel che costi, devi farlo uscire dalla sua stanza, hai capito? Non farti spaventare… e avvisa quanti più possibile che i Grifoni sono entrati a Serpeverde!”

Snape impallidì, ma dallo sguardo serio e risoluto capii che non si sarebbe tirato indietro. Con Flitt e Jackson iniziammo a far levitare tavoli e sedie e altri mobili da frapporre tra noi e gli invasori: certo se avessero usato un “bombarda” non sarebbe servito a niente, giusto a rallentarli un po’.

    “Eddy, vai da Lestrange e portamelo, dobbiamo recuperare a tutti i costi Slughorn...”
    “Ma, sei pazzo? Se si rende conto…”
    “Immagina cosa succederebbe se i Grifoni devastassero Serpeverde e Slughorn fosse ritrovato nell’armadio… vai… prima che ci espellano tutti!”

Mi diressi con Sam all’appartamento di Slughorn, non avevo idea di come fare per risvegliare lui e Pascal dalla pozione di Alecto e dagli incanti di quegli altri due idioti, ma per lo meno dovevamo tirarli fuori dall’armadio e riportarli nella sala da pranzo. In questo modo saremmo stati solo corresponsabili della loro sbornia, anche se forse Dumbledore avrebbe capito anche tutto il resto. Sì, era proprio una giornata di merda… Sentivo i rumori sinistri provenire dall’ingresso, qualcuno doveva aver fatto sapere ai Grifoni della patetica idea di togliere di mezzo il tricheco, persino loro non potevano essere tanto idioti da assaltarci con un professore in giro per la Casa. D’altra parte, era nota a tutti la passione per i cicchetti di Slughorn, e chiunque avrebbe immaginato che quella sera avesse un’occasione ghiotta per festeggiare.

    Al diavolo…

Aiutato da Sam ricollocammo i due professori nella sala da pranzo, coprendoli persino con un paio di trapuntine, a indicare quanto ci fossimo presi cura di loro, prima di andarcene, al termine della cena. Riorganizzai la scena della tavola imbandita, ma mi premunii di sostituire le bottiglie con altre recuperate dalla cantinetta di Slughorn, sperando che non se ne accorgesse: tutto pur di evitare che si ritrovassero tracce della pozione di Alecto. Alla fine della messinscena, corremmo via in tempo per vedere la porta saltare dietro il “bombarda” e lo spettacolo indegno delle prime serpi, allucinate da ogni genere di sostanza strana e dalle pesanti libagioni, reagire all’assalto non con paura o determinazione, ma con delle beote risate. Dovevo raggiungere gli altri prima dei Grifoni e portare in salvo mia sorella, non doveva nemmeno assistere alla scena indecorosa che stava per scatenarsi… Non che quello che vidi fosse tanto meglio: trovai Lestrange in stato catatonico a bocca aperta e seminudo sul tavolo con le sue amichette, semi svenute su di lui, Rosier in mutande correva diretto alla stanza di Slughorn, cercando di mettere una pezza ai danni che avevamo combinato. McNair, l’unico che da solo sarebbe stato in grado di tenere testa ad almeno un terzo degli assalitori non dava cenno di essere nemmeno nei sotterranei. E Malfoy… guardai con disgusto verso la stanza del Caposcuola, ermeticamente chiusa sotto i colpi disperati di Severus. Eravamo ufficialmente nei guai, c’era poco da fare, corsi verso Meissa, la costrinsi a darmi ascolto e le intimai di scendere nei dormitori, e di non uscire per nessuna ragione, lei naturalmente mi rise in faccia, dicendo che ero impazzito o brillo: non si rendeva conto ancora che il fumo che saliva dalla porta d’ingresso non era l’ennesimo “fuoco sprizzallegro” sparato durante la nostra festa del piffero, ma gli effetti degli incantesimi dei Grifoni.

    “Per l’amor di Merlino, devi andartene!”

Stavo riflettendo se schiantarla e trascinarla di peso in camera mia e sprangare la porta, o mettermi in ginocchio e pregarla di essere ragionevole per una volta, quando Snape finalmente riuscì a farsi aprire da Lucius: Malfoy uscì dalla sua stanza, inferocito e scarmigliato, la camicia ancora appena sbottonata, gli occhi che promettevano vendetta. Sorrisi tra me, tra tante sventure, almeno una cosa buona c’era stata, quella sera: i suoi piani di seduzione erano andati a monte ancora una volta.

    “Ci stanno attaccando, Lucius!”

Gli bastò darmi un’occhiata per capire che Slughorn non era in condizioni di far nulla, per merito nostro.

    “Razza di piccoli idioti….”
    “Mi pare che facesse comodo pure a te che fosse fuori dalle…”

Guardai con odio prima Lucius poi Narcissa Black, che cercava di svicolare furtivamente dietro di lui, come se passasse di lì per caso. Il suo sguardo colpevole si posò sul mio, sicuramente sconvolto.

    “Le ragazze dovrebbero andare di sotto e chiudersi nei dormitori, dico bene, Malfoy?”

Lucius mi guardò e annuì.

    “Black, per favore, fa scendere le più piccole di sotto, le altre, quelle ancora in grado di lanciare incantesimi, invece ci servono qui…”

Solo a quel punto Meissa capì che quell’idiota di suo fratello per una volta stava facendo la cosa giusta: mi lanciò uno sguardo spaventato e colpevole, ma io non sapevo che farmene del suo pentimento. Anche perché ormai non c’era neppure più il tempo di muoversi di lì: gli aggressori, che avevano finora trovato campo libero, avendo incrociato solo ragazzini e matricole impauriti o in stato catatonico, erano arrivati al centro della Sala. Gideon aveva colpito Rabastan, ancora incosciente, e si divertiva a far roteare per aria il suo corpo inerme, Lucius cercò di mettere mano alla bacchetta, ma aveva anche lui i riflessi intorpiditi dall’alcool, non riuscì a spostarsi in tempo, lo vidi cadere ai miei piedi, svenuto da uno schiantesimo ben assestato di Fabian. Vendetta personale. Mi avrebbero braccato.

    “Narcissa… ti prego metti in salvo mia sorella! E tu… aiutami a tenerli a bada… guarda come faccio io e ripeti!”

Sapevo che era sbagliato, che Narcissa mi faceva più comodo accanto a me, per difendere tutta la Casa, ma la mia famiglia veniva prima di tutto. E lei era abbastanza spaventata da voler scegliere la via più semplice. Per la seconda volta, quella sera, mi resi conto che stavo puntando tutto su un ragazzino dell’età di Meissa, ma quando fissai i miei occhi in quelli di Severus Snape lessi tutto l’orgoglio che da brava Serpe provava a essere lì, in quel momento, al mio fianco. Tutto c’era in quello sguardo.
Tutto tranne la paura.



*continua*


NdA:
Ringrazio quanti hanno letto, hanno aggiunto a preferiti/seguiti/ecc, hanno recensito e/o hanno proposto/votato questa FF per il concorso sui migliori personaggi originali indetto da Erika di EFP
(maggio 2010). 
Valeria



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