Demoniac Angel
Anche gli angeli
sanno essere tentatori
1
So ugly
La luce, che penetrava fioca
dalle tende spesse poste alla mia finestra, mi svegliò. Ancora una volta quella
maledetta sveglia aveva deciso di non suonare, lasciandomi beata nel mondo dei
sogni. Ci sarei rimasta volentieri se non fosse stato un altro di quei giorni. Ogni mattina per me era
innominabile eccetto la domenica, che potevo comodamente passare a casa.
Purtroppo il mio giorno preferito era appena passato e mi aspettava un altro
infernale lunedì mattina.
Io sono Sarah Trager e
all’epoca avevo diciotto anni. Vivevo a Phoenix, in Arizona, con mia madre Emily,
mio padre Josh e mia sorella Mary, in una casa tanto bella da far invidia a
molti. Con il lavoro di avvocato che svolgeva mia madre e quello di manager di
mio padre i soldi non mancavano certo. La nostra era una famiglia felice. Solo
io ero la pecca di tutta quella serenità. Io ero la “bruttina”, di quelle con
gli occhiali, un po’ secchiona. Non era colpa mia se ero miope, ma portare gli
occhiali influiva non poco sul mio aspetto. Il mio fisico poteva anche essere
attraente - magra, alta e slanciata con le misure giuste - ma il viso rovinata
tutto. Mi curavo poco, non mi truccavo mai, e questo non faceva che allontanare
i ragazzi da me. Poi l’asociale ero io! Roba da matti.
Scostai le coperte rosa
con un sospiro, infilai le pantofole, anch’esse rosa - mi erano state regalate
da mia nonna che, guarda caso, adorava quel colore - e mi decisi a scendere di
sotto. Quando aprii la porta della mia stanza e scesi di fretta le scale,
ritrovai la scena che si ripeteva ogni lunedì mattina: mia madre era intenta a
cucinare frittelle, mio padre leggeva il giornale comodamente seduto a tavola e
mia sorella Mary … non c’era, come sempre. Fissai il suo posto vuoto per una
frazione di secondo, pensando a dove potesse essersi cacciata ancora.
«E’ di nuovo in bagno»,
esclamammo tutti e tre, in coro.
«Possibile che tutti i
lunedì sia sempre la stessa storia?», sbuffai.
«La sveglia non è
suonata un’altra volta», comprese mia madre.
«Sai che novità! Se
Mary non esce dal bagno subito arriverò in ritardo».
«Non sei mai arrivata
in ritardo, tesoro».
«C’è sempre una prima
volta, no?».
Mi diressi verso la
porta del bagno. L’avrei anche sfondata a calci se mia sorella non fosse uscita
subito. Non ebbi neanche il tempo di bussare che la porta si spalancò di fronte
a me.
«So cosa stai pensando
e no, non c’è bisogno di rompere la porta. Entra», disse, facendomi un cenno
con la mano.
«Non capisco perché ti
trucchi sempre. Sei già abbastanza bella così, vuoi infierire?», scherzai io.
«Sciocchezze. Sei tu a
essere strana», mi guardò di sbieco dallo specchio. «Le ragazze della tua età
si truccano e fanno colpo. Tu invece no».
«Le ragazze della tua
età invece non dovrebbero».
«Ho sedici anni!»,
storse il naso al mio commento. «E poi stavamo parlando di te mi sembra».
Presi lo spazzolino da
denti, noncurante, e feci scorrere l’acqua nel lavandino. Maledetta routine del
lunedì, pensai. «Ti sembra il caso di fare questo discorso tutti i lunedì?»,
risposi infine, esasperata.
«Certo, perché tu non
mi ascolti».
«Se ne sei convinta».
Senza neanche aspettare
che rispondesse, riposi lo spazzolino e uscii dal bagno chiudendomi la porta
alle spalle. Ero già abbastanza depressa da sola, non volevo che complicasse la
situazione.
Io e mia sorella
eravamo migliori amiche. Sapevo perfettamente che lo diceva per il mio bene
eppure c’era una parte di me, essenzialmente egoista, che non voleva vederla
così. A lei confidavo tutto esattamente come lei faceva con me, ma i suoi
consigli mi suonavano inutili. Come se cambiare il mio aspetto servisse a
qualcosa, pensai. Le ero grata per ciò che faceva per me, anche se sentivo che
non era mai abbastanza. I suoi consigli, i tentativi vani di farmi truccare e
vestire come Barbie-modella-alla-sfilata non servivano a nulla. E se non funzionava
era perché, essenzialmente, io non desideravo che funzionassero.
Entrai in camera e mi
diressi verso l’armadio. Frugai in cerca di qualcosa di decente e poco pesante
da mettere - era aprile dopotutto - e ne estrassi una camicia blu leggera insieme
ad un paio di jeans scuri. Indossai velocemente i miei abiti velocemente,
cercando di sistemare la camicia così che cadesse bene sui jeans, e raccolsi i
capelli castani in una pratica coda di cavallo. Dopo una veloce occhiata allo
specchio, infilai gli occhiali. Ero molto affezionata a quelle lenti nonostante
peggiorassero il mio aspetto e mi facessero sembrare ancor più secchiona di ciò
che ero in realtà, ma non potevo separarmene. Decisi che quella mattina ero
presentabile e scesi di sotto per entrare in cucina.
Non ebbi il tempo di
entrare che fui travolta in pieno da mia sorella che, mentre addentava una
frittella, usciva di casa.
«Sarah ma che fai?
Muoviti, siamo in ritardo», mi rimproverò.
«Ok, ok arrivo».
Presi le chiavi della
mia auto, recuperai lo zaino e, salutando i miei genitori, uscii nella
soleggiata mattinata di Phoenix. Adoravo il sole tiepido e il cielo terso di
aprile, soprattutto perché in giorni così avrei potuto sfoderare la
decappottabile. Mary era già saltata dentro la mia Volvo C70 Cabriolet, pronta
a guidarla. Ovviamente non le avrei permesso mai di farlo.
«Cosa pensi di fare?
Vai al posto del passeggero».
«No, oggi la guido io».
«Se continui così
andrai a scuola a piedi», la minacciai.
«Antipatica»,
bofonchiò, spostandosi sul sedile del passeggero.
Aprii la portiera e mi
misi al volante. L’auto partì con un ringhio feroce, come d’un animale in
gabbia, che si spense subito quando lasciammo il vialetto di casa, cedendo il
posto alle gentili fusa del motore. Il vento sferzava il viso, frustando i
capelli sul collo, ma era piacevole e rinfrescante paragonato al caldo che
risaliva dall’asfalto. Con il vento trai capelli mi sentivo libera, leggera.
Non c’era preoccupazione che potesse toccarmi in quel momento. Continuai a
sentirmi così fino a quando non entrai nel parcheggio degli studenti, nella
Central High School. Parcheggiai nel primo posto libero e scesi dall’auto.
Mentalmente, cominciai
a preparami per la giornata che mi attendeva.
Questa è una fic on-demand scritta sull'idea di Dark_Knight.
Spero vi piaccia.
A presto.