Libri > Il Signore degli Anelli e altri
Ricorda la storia  |      
Autore: Rosebud_secret    29/09/2016    4 recensioni
Troppo tardi Mairon si accorse che quella era una creatura potente, troppo potente per essere uno dei primi figli, e bastò un cenno dello sconosciuto perché lui assumesse forma corporea, precipitando per qualche metro su quella distesa erbosa. Spaventato, si risollevò, scostandosi le ciocche rosse dal volto. Era pronto a difendersi, ma sapeva che sarebbe stato inutile: quello che aveva di fronte, a pochi passi da sé, era un Vala. Quale di preciso, però, non lo sapeva, non aveva idea di quali forme avessero assunto in Ea.
“Divino Ulmo,”, mormorò, restando carponi, “se vi ho offeso con la mia presenza…”, ma la bassa risata che proruppe dalle labbra dello sconosciuto lo indusse a tacere.
“Non sono Ulmo, spirito. Alzati, non mi servi in ginocchio.”
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Melkor, Saruman, Sauron
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

-Il velo del Maia-


Le lampade illuminavano il cielo e il vento vibrava, facendo scuotere le fronde degli alberi. Per quanto Mairon fosse un servitore del divino Aulë egli preferiva la luce all’oscurità delle grotte e delle catene montuose di Almaren. Sotto forma eterea amava farsi trasportare dalle correnti ascensionali anche sino all’altro capo delle terre.

Curioso e ansioso scrutava in lungo e in largo alla ricerca di quelle creature di Eru Ilùvatar che, per prime, avrebbero dovuto muovere il passo sul sentiero a loro destinato. Ma non c’era ancora nulla in quei boschi, in quelle splendenti pianure e questo gli comportava una certa frustrazione.

Non gli piaceva attendere.

Unì la sua essenza ad un vento fresco che lo fece giungere sino ad una scogliera, ed era concentrato ad ammirare i riflessi della luce baluginare sui flutti increspati quando un disturbo lo avvolse e una sensazione d’angoscia si fece largo nel suo animo.

Solo dopo, mentre già da tempo sorvolava le acque, scorse la piccola figura stagliarsi sulle rocce aguzze a strapiombo sul mare. Indossava un ampio mantello purpureo e il suo volto era celato dall’ombra.

Che sia un elfo?, si domandò, abbandonando il vento e gettandosi, quasi in picchiata, verso le rocce aguzze. Troppo tardi si accorse che quella era una creatura potente, troppo potente per essere uno dei primi figli, e bastò un cenno dello sconosciuto perché lui assumesse forma corporea, precipitando per qualche metro su quella distesa erbosa. Spaventato, si risollevò, scostandosi le ciocche rosse dal volto. Era pronto a difendersi, ma sapeva che sarebbe stato inutile: quello che aveva di fronte, a pochi passi da sé, era un Vala. Quale di preciso, però, non lo sapeva, dal momento che non aveva idea di quali forme avessero assunto in Ea.

“Divino Ulmo,”, mormorò, restando carponi, “se vi ho offeso con la mia presenza…”, ma la bassa risata che proruppe dalle labbra dello sconosciuto lo indusse a tacere.

“Non sono Ulmo, spirito. Alzati, non mi servi in ginocchio.”

Mairon, un po’ sbigottito, si levò con lentezza. Se quello che aveva di fronte non era Ulmo, allora chi mai poteva essere?

Un’espressione di terrore e di raccapriccio gli deturpò il bel viso candido ed arretrò sin quasi allo strapiombo.

“Me lo merito, forse?”, domandò l’altro, voltandosi in sua direzione, “Ti ho fatto del male in alcun modo?”

“Voi siete…”

“Lo sono. Esistere è forse una colpa? Qual è il tuo nome?”

“Mairon…”

“Ebbene, Mairon, perché sei così spaventato?”

Il Maia lo scrutò a lungo, cercando di distinguere i tratti al di sotto del suo cappuccio purpureo, ma l’ombra che li celava sembrava fatta del buio più impenetrabile.

“Si dicono cose terribili sul vostro conto.”

“Le parole sono meretrici volatili, cambiano intendimento a seconda di chi le pronuncia. Non può esserci verità in esse, solo interpretazione.”, ribatté l’oscuro.

“Sono stato messo in guardia dalla vostra abilità di linguaggio. Ebbene, mio signore, se è dunque vero che le parole non sono altro che interpretazione, perché mai dovrei prestarvi orecchio?”

L’altro rise ancora.

“Non ho ancora detto alcunché!”, esclamò, divertito, “La tua diffidenza si ammanta di arroganza, Mairon. Cosa ti rende così convinto che voglia discorrere di qualcosa?”

“Perché mostrarvi, allora?”

“Forse mi sentivo solo.”

Mairon, che ben conosceva la solitudine, trasalì: distaccato dai suoi simili, forse c’era del vero nelle sue parole. Suo malgrado, si ritrovò a provare compassione. Ma fu repentina e imprevedibile la ripresa dell’altro:

“Vagavo per queste terre e ti ho notato, ma decidere di mostrarmi è stato uno sbaglio. Sei come chiunque altro.”, per poi svanire nel nulla in un soffio.

“No, vi prego, aspettate!”, esclamò il Maia, vittima del senso di colpa, ma balzò indietro quando il Vala gli ricomparve ad un palmo dal viso. In un istante sentì il terreno mancargli da sotto i piedi, perché non vi era che aria al di là del bordo della scogliera e lui non sapeva se l’altro gli avrebbe concesso di tornare incorporeo durante la caduta.

Aveva a stento superato la roccia quando questi lo afferrò, riportandolo in salvo.

Terrorizzato, Mairon scrutò in quell’oscurità che non riusciva a dipanare, mentre la stretta sulle sue braccia si faceva più morbida. Tremante sentì una di quelle mani risalire sulla sua spalla scoperta e poi sul collo in una lenta carezza, mentre l’altra lo cingeva dietro la vita. Il respiro lo tradì, e, pietrificato, rimase stretto a lui con le braccia sul suo petto come unica, fragile barriera.

L’altro si chinò e affondò il viso fra i suoi capelli, assaporandone il profumo, per poi sollevargli appena il mento. Quando le loro bocche si incontrarono, Mairon sbarrò gli occhi, agghiacciato, eppure non riuscì a sottrarsi. Fu una sensazione travolgente e sconosciuta quella che provò quando la lingua del Vala gli sfiorò le labbra in un chiaro invito. Non vi era violenza o forzosità, solo passione, e il calore del suo respiro sulla pelle. Con il volto arrossato e la mente in subbuglio, Mairon cedette a tali lusinghe, senza domandarsi nulla. Non era mai stato toccato in tale maniera e la corporeità era ancora, per lui, una cosa quasi del tutto nuova. Le braccia, così ferme contro il suo petto, persero d’intenzione, ma ripresero forza per stingerglisi attorno al collo quando si sentì sollevare di peso. Le dita del Vala erano serrate sulle sue cosce aperte, roventi, mentre la sua candida veste bianca schioccava per la forza del vento. Mairon si inarcò indietro quando la frizione fra i loro corpi rese tangibile il loro reciproco desiderio e, frastornato, lasciò campo libero a quella bocca che, lasciva, spargeva baci lungo il suo collo. Docile e sconvolto non fece resistenza quando il Vala lo distese sull’erba morbida, né gli impedì di sollevargli la veste per esporre la sua nudità. Chiuse gli occhi, mentre l’altro gli sussurrava qualcosa all’orecchio di cui neppure comprese il senso, lì per lì: “Ciò che avverti non è che l’inizio di quanto ti viene precluso, Mairon. Molti sono i misteri che si celano fra le terre, con me potrai pascere la fame che ti consuma. Squarcia il velo, mio prezioso.”, ma quando li riaprì, egli se n’era andato, abbandonandolo fra le fiamme di quello stesso ardore in cui l’aveva gettato.

Mairon si risollevò, pallido, sconvolto e colmo di vergogna. Ora che il nuovo e sconosciuto sentimento stava rapidamente lasciando il passo alla paura, ciò che aveva fatto cominciò a strangolarlo in una morsa d’angoscia. Il suo si poteva considerare un tradimento, nonostante non avesse compiuto alcunché di dannoso?

Avevano appena parlato, lui e il Nemico, ma non gli aveva dato alcun aiuto, se non il quasi concedergli il proprio corpo senza neppure tentare di opporre una resistenza in difesa della propria dignità, prima ancora che del volere dei Valar.

Confuso e atterrito lasciò quel luogo, deciso a non tornarvi mai più, neppure durante le sue esplorazioni, ma la vergogna non era il solo sentimento che lo animava: si sentiva raggirato e questo, per la prima volta nella sua esistenza, gli fece assaporare la collera.


“Maestro, va tutto bene?”, la dolce voce di Curumo lo fece trasalire e Mairon si ritrovò, un po’ smarrito, ad osservare ciò che rimaneva della sua fucina e del suo lavoro. Aveva passato mesi su quella lastra d’oro decorativa. Già l’immaginava posta dietro al trono del divino Aulë nella sala superiore di Almaren, e invece eccola colare mezza disciolta dal bordo del forno. Aveva sbagliato nell’incidere un dettaglio e aveva smarrito la calma, il controllo sul fuoco gli era sfuggito al punto che persino la botte dell’acqua era del tutto bruciata da un lato. Curumo si coprì la bocca, sconvolto.

“Il vostro tesoro…”, gemette.

Aveva sentito l’odore del fumo, per questo si era affrettato a raggiungere il suo maestro, ma mai si sarebbe aspettato una vista del genere: i tavoli del laboratorio erano finiti in cenere e tra i loro resti giacevano, in frantumi anneriti, tutti i gioielli e le fini sculture decorative su cui Mairon si era concentrato negli ultimi tempi. Persino l’incudine si trovava, spezzata, lungo la parete di fondo della sala di roccia, molto lontana da dove stazionava di solito.

Mairon, rigido e con il capo chino, si voltò con lentezza e Curumo trasalì quando per un istante anche le iridi del caro maestro gli parvero del colore della fiamma. Quando guardò meglio, tuttavia, le trovò di nuovo del morbido acquamarina che conosceva e ammirava. Eppure il suo volto lo inquietò lo stesso: non l’aveva mai visto tanto pallido, tanto affaticato e abbattuto da quando il divino Aulë lo aveva mandato lì per apprendere le sue fini arti.

“Non c’era alcun tesoro, qui.”, fu la fredda, quasi impersonale risposta del maestro, “Solo ninnoli privi di scopo e di preziosità. Una perdita di tempo.”

Curumo trasalì e, affatto stupido, colse che vi era qualcosa di sinistro nel comportamento dell’amico. Ammirava Mairon, idolatrava il suo lavoro e le sue incredibili capacità, al punto che spesso era arrivato quasi a farsene una malattia. Lui stesso aveva spesso distrutto il suo operato, senza mostrarlo a nessuno, conscio che non fosse all’altezza degli occhi del maestro, e che avrebbe sfigurato di fronte a quelli di chiunque altro proprio per via dell’abilità del primo della casa del Fabbro. Era senza ombra di dubbio il suo allievo più dotato, e l’unico su cui Mairon volesse ancora impiegare il proprio prezioso tempo, ma gli restava sempre secondo e questo gli procurava un sordo dolore di cui ancora non si rendeva conto, perché era incapace di vederlo.

“Vi è accaduto qualcosa, mio signore?”, domandò, avvicinandoglisi, preoccupato.

Mairon chiuse gli occhi al ricordo del suo rapporto con Melkor, ma si guardò bene dal rivelarlo. Era affezionato a Curumo, lo considerava un caro amico, l’unico amico, ma la condizione in cui versava era un fatto troppo grave per poterglielo confidare apertamente. Come fargli capire perché avesse deciso di rivelare i segreti di Almaren al nemico? No, era troppo rischioso, doveva lasciarlo andare, anche se con rammarico.

“Maestro?”, insistette l’altro, arrivando persino a posargli una mano sulla spalla.

Mairon gli scoccò un’occhiata stanca.

“Sei felice, Curumo?”, gli domandò in un sussurro.

L’altro trasalì e, per quanto la lingua non gli avesse mai fatto difetto, non riuscì ad articolare alcuna risposta. Non comprendeva la domanda: il suo ruolo nel vasto creato era definito e tanto gli bastava.

Ma gli bastava?

Il seme del dubbio.

“Lo sospettavo. Come potresti, al mio fianco?”, riprese il maestro, “No, non turbarti. Sono a conoscenza…”, si interruppe, come alla ricerca della giusta parola, “... dell’invidia che provi nei miei confronti. Non da molto, invero. Sino a qualche tempo fa, come te, non ero in grado di intuire certe sfumature, mentre adesso le comprendo e benedico questa tua invidia. Mi affascina, è autentica, un capolavoro in potenza, Curumo, ma non è così che otterrai il mio affetto, né la tua felicità.”

Il discepolo arretrò, smarrito e sconvolto dall’aver capito ciò che era sempre stato lì, obnubilato dal servizio che entrambi rendevano ai Valar e che, sino a quel momento, era stato loro bastevole.

“Se vi ho insultato in qualche modo, mio signore, me ne scuso…”, bisbigliò, cercando di dissimulare, le guance tinte da un’improvviso rossore.

“Hai insultato te stesso, ma qualcosa mi dice che non persevererai.”

“Temo di non comprendere…”

Mairon sorrise e gli sfiorò il volto in una carezza lieve, eppure tanto carnale da farlo fremere di uno sconosciuto appetito.

“Vedo in te il desiderio di apprendere e di migliorarti: la percezione è il mio dono per te, ma la conoscenza è un percorso che dovrai affrontare da solo. Tanto mi sei caro che mai avrei potuto lasciarti cieco e menomato, ma non è te che voglio, né mai ti apparterrò. C’è molto al di là di ciò che ci è imposto, possiamo scoprirlo e possiamo aspirarvi: non siamo i servi di alcuno. Quando lo capirai, danzerai fra le fiamme, dove non ci sarà più né un primo né un secondo, e, forse, potrai vendicare il torto di questo mio abbandono. Se mai mi hai amato, mi odierai e il tuo capolavoro si farà atto.”

Il tempo di un respiro e nulla era rimasto di Mairon in quelle aule. Il suo tocco ancora bruciava sulla guancia di Curumo, non più di brama ma d’assenza, e già il sentimento, altrimenti nobile, si inaspriva.

“M-maestro?!”


N.d.A.: Eccomi qui, con un altro piccolo passettino nel fandom de Il Silmarillion. Nei miei piani originari questa one-shot doveva essere il primo capitolo di una long su Mairon e Melkor che partiva, appunto, da Almaren senza tener conto delle versioni della History, poi mi sono resa conto che non avrei avuto, comunque, il tempo di scriverla e, siccome ristagnava nella sua cartellina di Drive, ho deciso di integrarla e di editarla in quanto one-shot. Adoro la coppia Mairon/Melkor, ma al di là dei deliri shippici più disparati e delle coppie più assurde (credetemi, nel legendarium ne ho davvero parecchie e molte potrebbero causare sincopi), mi ha sempre divertita il fatto che, tolto Melkor, tutti i casini che si verificano in Ea provengono dalla casa di Aulë, in maniera più o meno diretta, per questo ho lasciato qualche piccolo dettaglio anche su Curumo con il quale Mairon, nel mio headcanon, ha sempre avuto un rapporto molto ambiguo.

Ah, un’altra cosa: lo so che il voi non è utilizzato per quel che concerne le traduzioni tolkeniane, ci ho provato a usare il tu, ma, alle mie orecchie, strideva troppo e ho rimesso il voi. Chiedo venia.

Spero vi sia piaciuta e vi ringrazio di essere arrivati sin qui. Ogni tipo di commento è ben accetto.

Un bacione,

Ros.
   
 
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Il Signore degli Anelli e altri / Vai alla pagina dell'autore: Rosebud_secret