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Autore: Amphitrite    30/09/2016    3 recensioni
“Ho portato un curriculum allo Smithsonian.”
“Cercano donne delle pulizie?”
[...]
“No, stronzo. Guide per la nuova ala.”

Fanfiction post The Winter Soldier, ispirata alla scena dopo i titoli di coda :D
Genere: Azione, Commedia, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: James 'Bucky' Barnes, Natasha Romanoff, Nuovo personaggio, Steve Rogers, Un po' tutti
Note: AU, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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9.
 
“Ti ho portato degli asciugamani.”
Bucky annuisce semplicemente, segno che la sta ascoltando. Charlotte li appoggia sul ripiano del lavandino e se ne va dal bagno.
“Ah, se ti vuoi fare la barba il rasoio di Claude è nel mobiletto.”
Di nuovo annuisce, e di nuovo Charlotte si chiude la porta alle spalle.
“Lo shampoo è il flacone celeste.” La osserva in silenzio. “Vado.” Mormora la ragazza, improvvisamente in imbarazzo.
Quando entra di nuovo – senza bussare né annunciarsi in altro modo – lo trova col giaccone sfilato fino a metà braccia. L’uomo la guarda negli occhi, e sembra genuinamente spaventato. Si affretta a sollevare di nuovo i lembi della giacca, e Charlotte deve sbattere le palpebre un paio di volte prima di decidere di aver avuto una mezza allucinazione (da dove poteva mai provenire quel bagliore metallico, altrimenti?). “Il miscelatore è un po’ difettoso, ogni tanto l’acqua esce gelida, ma in generale- funziona. Insomma, a sinistra l’acqua calda e a destra quella fredda.”
“Charlotte.” La richiama alla fine l’uomo.
Solo in quel momento Lottie si decide a guardarlo. “Sì?”
“Avevamo le docce anche negli anni quaranta.” La rassicura con tono morbido, fin troppo divertito dalla situazione.
Charlotte diventa viola, ma non dice altro.
 
Rientra in bagno dopo dieci minuti abbondanti che l’acqua sta scrosciando, per essere sicura che Bucky sia in doccia e quindi ben nascosto dietro i pannelli opachi, e in punta di piedi gli mette un altro cambio di abiti a disposizione.
L’uomo non dà cenno di averla notata, e Lottie rimane per qualche istante più del dovuto a fissarne i contorni sfocati. Che fosse alto se ne sarebbe accorto chiunque, ma che fosse così… massiccio, beh, non era così scontato. Claude è alto quanto lui, ma è evidente anche così a colpo d’occhio che pesi un terzo. La ragazza piega appena la testa di lato nel vederlo girarsi di profilo, e di nuovo sbatte le palpebre, incredula.
(Cos’è quel luccichio?)
“Charlotte?” La chiama l’uomo, il tono più perplesso che allarmato nel trovarsi una persona in bagno così, a sorpresa.
Lottie gira su se stessa e cerca di uscire tanto di fretta da menomarsi una spalla contro lo stipite. Rincula con un tonfo sordo e si copre la zona dolorante con l’altra mano, sforzandosi con ogni fibra del suo essere di non piagnucolare come invece vorrebbe fare.
(E solo per un istante si trova a dirsi che grazie tante che le fa malissimo la spalla, è la stessa che le è stata dislocata dal pazzo sotto la doccia)
“Charlotte, sei tu?”
“No!” Risponde con voce stridula, imbarazzata più che mai, chiudendo la porta con tanta enfasi da far tremare le pareti.
 
Mezz’ora dopo lo scroscio d’acqua si interrompe.
Lottie sospira e si massaggia le tempie, e quando sente la porta del bagno aprirsi si prepara mentalmente alla conversazione più umiliante della sua vita.
(Opzione a: chiamerà la polizia e la denuncerà per aver provato ad abusare di un insospettabile ottuagenario chiaramente incapace di intendere e di volere.)
Bucky le compare davanti con indosso la tuta di Claude e un asciugamano ancora a coprirgli la visuale, frizionandosi la testa con entrambe le mani – e quel guanto, dio, se lo sarà levato almeno mentre si lavava? – e camminando un po’ alla cieca per l’appartamento.
(Opzione b: potrebbe sempre romperle l’altra mano.)
Charlotte strizza ferocemente la pallina per la riabilitazione e lo osserva muoversi a piedi nudi per il salotto, e quando finalmente James si lascia scivolare via l’asciugamano dalla testa la inchioda sul posto fissandola con quegli occhi assurdamente celesti. I capelli gli ricadono in ciocche scomposte ai lati del viso e con una mano passa ad asciugarsi distrattamente il resto della faccia, dalla barba incolta al collo – attorno a cui appende l’asciugamano subito dopo. Lottie si umetta le labbra e le sembra che il tempo si dilati all’infinito mentre, in silenzio, l’uomo la fissa altalenando lo sguardo tra il suo volto e i suoi capelli. È semplicemente impietrita, e lui continua a scrutarla piegando un po’ la testa di lato, studiandola come se non fosse di questo pianeta. Charlotte si umetta le labbra e lo sguardo dell’uomo si concentra sulla sua bocca.
(Opzione c: potrebbe più facilmente ammazzarla.)
“Che fai?”
La sua voce è un mormorio basso e roco, un suono che a Charles ricorda un vecchio vinile danneggiato, ma che comunque – malgrado tutto – riesce ancora a suonare.
(Ed esattamente come un vecchio disco, ogni imperfezione sembra solo un pregio che rende il suono unico e inconfondibile.)
Lottie lo guarda ancora per qualche istante e si sistema gli occhiali da vista scivolati a metà naso con un movimento fulmineo – e le unghie sono rosse come il fuoco e Bucky si trova a rincorrerne il movimento anche quando lei gli parla, anche mentre la vede grattarsi nervosamente la nuca perché non sta ricevendo risposta.
“Ehi?” Lo richiama alla fine. L’uomo si riscuote velocemente e smette di fissarla come se volesse mangiarsela, e di questo Charlotte non può che esserne grata. La guarda con aria decisamente smarrita, e con un sospiro la ragazza decide di ripetere quanto detto fino a quel momento. “Sto mettendo tutto in ordine cronologico,” gli spiega, indicandogli il mare di documenti ingialliti dal tempo, fogli spiegazzati di giornale e lettere risalenti a chissà quale guerra in chissà quale angolo del mondo da cui è circondata. “Questa è la roba di uno scatolone. Ne ho già sistemati un paio, li trovi all’ingresso. Ne restano altri quattro,” prosegue, indicandogli le scatole ammonticchiate in un angolo del salotto. “Ma non so cosa c’è dentro.” Un colpo di tosse e, sotto lo sguardo indecifrabile dell’uomo, si trova a ridere nervosamente. “…Ovviamente. Scusa.” Aggiunge, sentendosi estremamente stupida. Si stringe nelle spalle con un sorrisino teso e piega la testa, esponendosi maggiormente ai raggi del sole che entrano dalla finestra spalancata. “Se vuoi iniziare da quelli che ho già sistemato, accomodati.” Lo esorta.  Qualcosa cambia nello sguardo di Lottie e per un istante – uno solo, piccolo piccolo – sembra quasi minacciosa. “Lascia tutto come trovi.” Mormora. “Altrimenti qua è un casino e puoi fare un po’ il cazzo che ti pare.” Conclude con tono infinitamente più lieve.
Bucky la ascolta in silenzio e alla fine – solo alla fine – annuisce, si mette a sedere per terra e si allunga verso la prima cartella che trova sottomano.
“Ma che fai?”
Il Soldato sobbalza e la osserva, già in preallarme di fronte a quella esclamazione acuta e improvvisa, e istintivamente cerca con lo sguardo gli oggetti più vicini a sé che potrebbero essere usati come armi.
Charlotte deglutisce rumorosamente quando lo vede impugnare un fermacarte a forma di torre Eiffel e tossisce nervosamente. “Intendevo…” mormora, la voce improvvisamente più bassa, “il divano. Non- non devi metterti per terra. È scomodo.” Gli spiega lentamente.
Bucky sbatte le palpebre un paio di volte e poggia l’oggetto sul tavolino con una lentezza esasperante. “Ok.” Sussurra dopo un po’.
(Promemoria: far sparire tutti gli oggetti contundenti)
 
“Prima eri tu, in bagno?” Si informa dopo una decina di minuti di religioso silenzio.
Lottie singhiozza e cambia almeno tre toni di rosso diversi, ma non alza lo sguardo dal fascicolo che sta studiando.
Deve tossire tre volte, prima di trovare un briciolo di ossigeno – e faccia tosta – per rispondere. “No.”
Anche da quell’angolo innaturale che le sta facendo male al collo, Charlotte riesce a vedere l’uomo inarcare un sopracciglio e scrutarla con maggiore attenzione. “Eri tu.” Insiste con tono morbido, quasi… divertito. Sì, è divertito. Oh, come osa?
Charles si schiarisce di nuovo la voce e si decide a sostenere il suo sguardo – per quanto gli occhi così celesti le facciano stringere lo stomaco in una presa mortale. “Il guanto?” Chiede con tono lieve, indicandolo con gli occhiali da vista che si è sfilata per avere un po’ di tregua dal dolore incessante che sente al ponte del naso.
Bucky sembra infinitamente più sulla difensiva di prima. “Cosa.” Mormora quindi, il tono troppo brusco e marziale perché possa sembrare anche interrogativo.
Bingo.
“Perché lo indossi?”
Si fissano negli occhi in silenzio per quella che a Charlotte sembra un’eternità, e solo alla fine James risponde. “Non eri tu in bagno.” Concede in un sospiro.
Ma c’è una cosa che Charlotte non riesce del tutto a ignorare; per un istante, tra quel sospiro e il movimento brusco con cui l’uomo ricomincia a studiare i documenti, come un lampo, le è sembrato di vedere un sorriso.
 
***
 
Li sente discutere una sera, quando sono convinti che stia dormendo – una fitta di un dolorosissimo qualcosa lo stringe al petto, quando come una coperta pesante sente calare su di sé il fantasma di un ricordo, una cappa di tristezza e nostalgia e ‘Stanno dormendo tutti, James, non alzare la voce’.
“È pericoloso!”
“Ha bisogno di aiuto.”
Claude cammina senza soluzione di continuità, misura la cucina a grandi passi e gesticola con un braccio solo, l’altro stretto al petto per poter incrociare le braccia tra una frase e l’altra. Charlotte, al contrario, se ne sta appollaiata come al solito su uno degli sgabelli della penisola con le ginocchia abbracciate dalla mano sana. Quella debole, che ancora le manda scariche di dolore ogni volta prova a stringere più forte la pallina riabilitativa, giace sul tavolo, apparentemente inanimata. La confezione di antidolorifici – amici antidolorifici che non la tradiranno mai, a portata di vista e di mano come al solito.
“E glielo vorresti dare tu? Andiamo, Charles.” Si guardano negli occhi per un lunghissimo istante, e il ragazzo si passa una mano tra i capelli più per interrompere quel contatto così imbarazzante che per altri motivi. “Ti prego, sii ragionevole.”
Charlotte sospira e si porta la mano sinistra a coprirsi gli occhi e a massaggiarsi le tempie. Il ragazzo nota la cicatrice, quella corda di pelle più chiara che le corre lungo il dorso della mano e sente lo stomaco annodarsi dall’angoscia.
“Se ne deve andare.”
Charlotte capitola e parla. “Lo cercano, ok? Credi che Vedova Nera sia venuta qua per sapere come mi stava la mano e basta?
“Charles…”
Vedova Nera, Claude!” Incalza la ragazza, alzandosi in piedi per dare maggiore enfasi a quanto sta dicendo. “Quel poveraccio a momenti non sa nemmeno mangiare per conto suo e tu vorresti che lo consegnassi alla spia più letale del mondo? Seriamente?
Sono a un soffio di distanza, e Claude non ha mai desiderato così tanto poterle infilare un calzino in bocca per farla tacere.
Lo sa, dannazione. Lo sa pure lui che sarebbe una carognata della peggiore specie, ormai.
Ma c’è un ma.
Deglutisce rumorosamente e, di nuovo, distoglie lo sguardo da quello della sua coinquilina. “Ho paura.” Sussurra. “Quelli come lui sono guai su gambe, Charles. Non durerà tanto, inizieranno a cercarlo e ci andremo di mezzo noi.”
Charlotte trattiene il fiato e annuisce perché grazie tante, ci era arrivata anche lei. “Per allora se ne sarà andato.” Promette semplicemente, anche se sanno bene in due che stanno prendendosi in giro a vicenda. Claude sospira e, sconfitto, si copre il viso con entrambe le mani.
“Almeno hai scoperto chi è?”
Lottie abbassa lo sguardo e si gratta nervosamente la nuca, come sempre fa quando deve inventare una balla al volo e non sa materialmente da dove iniziare. “Ecco.” Inizia con voce più stridula, a un volume più alto dei sussurri con cui stavano parlando prima, “Ci stiamo lavorando.”
Claude non sembra per niente convinto né rassicurato. “Un nome, Charles. Ce l’avrà un nome, santo cielo? Sei in grado di battezzare perfino le piante e ancora non sei riuscita a scoprire come si chiama?” Incalza con tono più isterico di prima – perché litigare di scemenze è rassicurante, molto più del pensiero di aver accettato dentro casa una persona evidentemente pericolosa, e Claude può abbassare la guardia e permettersi di dare un po’ di matto.
La risposta arriva dal salotto, perché chiaramente quella di essere inquietante è un’arte che Bucky ha appreso e affinato in anni e anni di duri allenamenti.
James.
Claude sobbalza così violentemente da tirare uno schiaffo sul naso di Charlotte, troppo impegnata a ridere istericamente per lamentarsene per bene.
 
***
 
James – che per il momento è solo James, perché non ha ancora il coraggio di accettare le implicazioni che un altro nome comporterebbe – si adatta con sorprendente velocità a quella nuova situazione.
La mattina si sveglia presto, alle prime luci dell’alba, e sfoglia il materiale contenuto negli scatoloni che trova in giro finché anche gli altri si sono svegliati. Lottie prepara la colazione e lui la osserva a distanza, seduto su una sedia microscopica in un angolo di quella cucina troppo piccola, per un gigante come lui, ipnotizzato da quelle mani che si muovono freneticamente per poter fare tutto nel minor lasso di tempo possibile. Quasi ogni giorno le unghie sono di un colore diverso, e James la sera si trova a scacciare gli incubi elencandosi mentalmente quelli che ricorda.
(Li ricorda tutti.)
(Ma non sempre funziona.)
Claude si vede poco o niente, ma quando è nella loro stessa stanza l’atmosfera oscilla tra l’essere estremamente allegra e lieve, a una cappa pesante di nervoso e malcontento che James – Bucky Bucky Bucky – non arriva a capire del tutto.
(Si offre di andarsene quasi ogni giorno, ma nessuno dei due accetta. Paradossalmente, Claude è quello che insiste di più.)
 
***
 
“Carlottina, ma il mio amico?”
Charlotte guarda Marge come se la vedesse per la prima volta e solo dopo diversi istanti fa mente locale e capisce. “Oh!” Esclama quindi, per farle capire che non è stupida, è solo un po’ lenta di comprendonio. Non che a Marge sembra interessare, a giudicare dal sorriso allegro con cui continua a fissarla. “Sta da noi.” Le spiega semplicemente.
Marge non sembra per niente convinta. Gattona per arrivarle più vicina e la tira per un lembo del cappotto. “Sì, ma come sta?”
La risata isterica di Lottie la dice lunga sulla situazione. “Una meraviglia.” Risponde con una scrollata di spalle e un sorriso palesemente falso. “L’altra notte si è svegliato urlando solo tre volte, e oggi quando gli è venuto da vomitare per l’ennesima crisi ha mancato di solo venti centimetri il gabinetto.” Conclude con una risata pomposa e un cenno della mano che dovrebbe minimizzare quanto detto, e che invece la fa apparire più disperata di prima.
Margherita la osserva senza dare cenno di aver capito la gravità di quanto Charlotte ha appena raccontato, già appagata nella propria curiosità da quell’iniziale ‘una meraviglia’ che non ha nemmeno per un istante preso per un commento sarcastico, e Lottie vorrebbe piangere un pochino.
Bob è quello che parla.
“Quando il mio vecchio è tornato dalla guerra era messo nello stesso modo.” Racconta tra un boccone e l’altro, lo sguardo fisso avanti a sé con l’aria assorta di chi si sta sforzando di ricordare una lezione imparata a memoria troppi anni fa, e per troppi anni non ripetuta. “Urlava, non mangiava quasi niente e quando tuonava in cielo lui si pisciava addosso.”
Charlotte rabbrividisce più al pensiero di cosa potrebbe farle Claude se capitasse qualcosa al loro divano, che non al pensiero di un armadio quattro stagioni che si fa la pipì addosso dalla paura. “Orribile.”
Bob annuisce. “E balbettava. Non c’era verso di rimettergli a posto il cervello, nonna era disperata.” Margherita gli torna vicina e gli si fa la cuccia addosso, abbracciandogli i fianchi con un braccio e poggiandogli il mento sulla spalla per sbrodolargli dolcezze in italiano all’orecchio. Roberto sorride malgrado tutto e si gira per baciarle dolcemente una guancia. “Alla fine ci ha pensato mamma.” Prosegue con tono più basso, quasi stesse facendo loro una confidenza.
“Come?” Sussurra Lottie, tanto è il timore di spezzare quell’equilibrio che si è venuto a creare.
“Parlavano.”
 
***
 
Charlotte non capisce come facciano ogni volta, ma dopo aver iniziato a controllare l’ennesimo fascicolo di documenti sul divano sono finiti di nuovo sul pavimento del salotto. Forse è semplicemente che è più comodo per poter appoggiare tutto, sparpagliato, a disposizione di entrambi senza doversi disturbare a vicenda chiedendosi ora un fascicolo, ora un altro.
(Forse è che il divano è troppo morbido per chi è abituato ormai da troppo tempo a dormire per terra.)
Sospira e scodinzola, infastidita dalla fitta di dolore al sedere che sente dopo tre ore che se ne sta seduta a gambe incrociate sul parquet, e all’ennesimo teorico del complotto in cui inciampa nell’arco di pochi minuti sbuffa più sonoramente.
Bucky – immerso nella lettura di sa il signore cosa – le scocca un’occhiata un filo infastidita per quella distrazione, ma alla fine cede e le chiede cosa abbia trovato di così noioso.
(Anche se non glielo chiede precisamente così, il senso è lo stesso. Anche se si tratta di un “Che c’è?” tutt’altro che amichevole, il discorso non cambia.)
“Articoli di gente paranoica.” Racconta Lottie. “Teorici del complotto.” Prosegue. “È una leggenda metropolitana che si sono rimbalzati i giornali meno affidabili del globo terracqueo a secoli di distanza gli uni dagli altri, nemmeno capisco perché sto continuando a trovare roba.”
Qualcosa nello sguardo di Bucky si indurisce, ma è una frazione di secondo – e Charles nemmeno lo sta guardando, troppo intenta a scartabellare documenti. “Cosa?”
“Il Soldato d’Inverno.” Spiega muovendo anche le mani, per dare meglio l’idea di spettralità di quanto sta raccontando. “L’assassino più letale che ci sia che se ne va in giro indisturbato ad ammazzare chiunque gli dicano di ammazzare e- boh, presumibilmente dorme in una vasca di formaldeide a fine giornata per non invecchiare di un giorno, dato che dicono giri dalla fine della seconda guerra mondiale.” Charlotte sbuffa un’altra risata e, dopo aver appallottolato il figlio di giornale, lo lancia nel cestino dell’immondizia. (O almeno ci prova, la pallina vola ben più lontano e cade precisamente sul divano.)
Lo sguardo di James è indecifrabile. “Tu ci credi?”.
“Non proprio.” Charlotte si stringe nelle spalle. “Insomma, dopo Capitan America è abbastanza chiaro che degli esperimenti sui soldati li facessero davvero, ma da là a creare un’arma del genere… ah, qua dicono anche che abbia un braccio di metallo, te l’immagini?” Gli chiede con una risata. “Pensa quanti barattoli di sottaceti avrà aperto in tutti questi anni.”
 
***
 
“Novità?”
Steve sospira e cambia spalla con cui sta appoggiato al muro, gli occhi celesti persi nel vuoto davanti a sé. “Nulla,” risponde quindi, “non esce nessuno.”
Dall’altro capo dell’auricolare, Natasha ride. “Non vorrei dire ‘te l’avevo detto’, Steve…” inizia, godendosi ogni parola come se stesse mangiando un dolce particolarmente buono, “ma te l’avevo detto.”
“Sì.” Concede l’uomo. “Lo so.”
“Io te l’avevo detto, che stava mentendo.” Gongola la donna, girando il cucchiaino nella propria tazza di caffè e facendo tintinnare il metallo contro la ceramica prima di dare un generoso sorso. Il salotto di Steve è più comodo del previsto, in special modo il suo divano. Sapere che nel mentre il legittimo proprietario è inchiodato da ore in piedi all’angolo di un’insulsa stradina per colpa della sua testardaggine, poi, lo rende ancora più confortevole.
“Stava piangendo, Nat.” Le ricorda con tono vagamente scocciato l’uomo.
Natasha sospira e rotea gli occhi, e Steve ne ha la percezione quasi fisica. “Rimane che potresti risolvere la cosa in meno di cinque minuti, se solo non fossi un grande e grosso testardo.”
Cap sbuffa sonoramente. “No.” Risponde seccamente.
“Ma se solo-”
Non proverò a sedurre una sconosciuta per avere informazioni, Tasha!” Replica, in un misto esilarante di imbarazzo e irritazione perché come osa accusarlo di poter fare una cosa così vile?
(O più verosimilmente, come osa proporgli una missione che per la quasi totalità della sua vita sarebbe stata semplicemente suicida? Sedurre una sconosciuta? Certo, come no. Col suo aspetto? Quello in grado di rigirarsi chiunque attorno a un dito con un sorriso storto non era certo lui.)
(Ci sono giorni – sempre di meno, e con sempre meno insistenza – in cui Steve si guarda attorno e non riconosce quel gigante biondo che vede riflesso negli specchi e nelle vetrine.
Ci sono giorni in cui si aspetta di veder comparire allo specchio quel ragazzino mingherlino e gracile, e quando non succede Steve non capisce da dove gli venga quel pensiero, ma ne è quasi deluso.)
“Peggio per te, allora. Goditi l’appostamento.”
Steve sbuffa e cambia di nuovo posizione. Non è l’appostamento, a infastidirlo. È il doversi tenere più nascosto possibile per non farsi riconoscere.
“Se potessi venire a darmi il cambio per un paio di ore…” Inizia con tono più morbido.
“Oh no, Capitano,” lo interrompe con tono allegro la donna, “l’hai detto all’inizio. Tu soldato, io spia. Io ho spiato, ora tu soldateggia e aspetta sviluppi.”
“Ho fame, Nat.” Si lagna con tono querulo.
Natasha ridacchia e sorseggia il proprio caffè. “Dammi un’oretta, tempo di asciugarmi lo smalto e arrivo.”
 
***
 
“Vado a fare la spesa, ti serve qualcosa?”
Charlotte distoglie a fatica lo sguardo dalla pagina di wikipedia che stava studiando e accoglie la tazza di tè che Claude le porge con un sorriso grato. “Pannoloni da adulto.”
Il ragazzo alza gli occhi al cielo. “No.”
“Mi servono!”
“Non ti servono, Charles. Ti diverte sapere che in un angolo di mondo io sto vergognandomi a morte.”
“Che è un po’ lo stesso motivo per cui mi hai mandato a comprarti la crema per le emorroidi.”
Claude sorride deliziato e annuisce. “Esattamente.”
“E allora perché non posso avere i miei pannoloni da adulto?” Piagnucola la ragazza.
“Perché la vita è ingiusta.” Replica semplicemente il ragazzo, allontanandosi – non prima di averle infilato una penna tra i capelli perché sì, per vedere dopo quante ore se ne accorgerà questa volta – e dirigendosi alla porta.
Bucky esce dal bagno in quel momento, con Charlotte che sta supplicando il suo coinquilino di comprarle sa il cielo cosa e lui che, semplicemente, sghignazza.
“Eddaiiiii!” Piagnucola la ragazza.
Claude fa orecchie da mercante e apre la porta, ed è in quel momento che Charlotte guarda in un angolo non ben identificato del salotto e sbianca. L’istante successivo è ridotta a una palla, la tazza di tè stretta al petto e l’indice puntato nel vuoto, sempre più piccola sul divano.
“Ragno!” strepita. “Ragno! Ragno! Claude, ragno!
Claude – che è il solito bastardo ignaro di quanto i ragni siano in realtà creature malvage che mirano allo sterminio del genere umano – si chiude la porta di casa alle spalle con tanta enfasi da far tremare le pareti e, di conseguenza, la ragnatela enorme da cui sta calandosi il mostro.
Bucky è in piedi, a pochi centimetri dalla libreria in cui sta per dileguarsi la bestia immonda, e la guarda con gli occhi sgranati. Le pupille sono di nuovo sottili, le iridi due monete celesti come il cielo che corrono per la stanza alla ricerca del nemico.
“Ragno!” Strepita ancora Charlotte, indicando alle sue spalle. Bucky si gira e lo nota e torna a guardare Charlotte. Muto, immobile, in attesa. “Uccidilo!”
Dopo tanto tempo, il Soldato può tornare finalmente a fare quello che gli riesce meglio.
Obbedire.
 
Bucky sbatte le palpebre, vagamente sconvolto, quando si vede lanciare in faccia il cappello. “Andiamo.” Lo esorta Charlotte, saltellando per l’appartamento per rivestirsi più in fretta possibile senza al contempo dimenticare nulla. Si volta a guardarlo negli occhi e resta ferma per una frazione di secondo; subito dopo schiocca velocemente le dita verso di lui come a volerlo risvegliare da quello stato di trance. “Hop hop hop, veloce.” Lo esorta, concitata. James fa appena in tempo a infilare il berretto che si trova praticamente sbattuto in strada.
“Dove andiamo?” Prova a chiedere, più perplesso che altro.
Lottie accenna un sorriso incerto e nervoso. “Lontano.” Mormora semplicemente, avviandosi ad ampie falcate verso il nulla.
 
***
 
“Il soggetto è in movimento. Direzione nord-ovest, lontano dal solito tragitto.”
Agite.
 
***
 
Il cellulare le squilla meno di un paio d’ore dopo, quando ormai sono a diversi isolati di distanza e Claude, a giudicare dal tono con cui le parla, è appena tornato a casa. “Charles.” La saluta infatti, la voce che trema appena. “Sai che mi piace quando mi dai una mano col volontariato.”
Charlotte non perde tempo e dà in un sospiro sconfitto e colpevole. “Non è colpa mia.” Piagnucola.
“Ci stiamo spingendo un po’ troppo in là, non pensi anche tu?” Prosegue nel recitare quel copione che – è evidente – si è preparato a tavolino prima di chiamarla.
Lottie, se potesse stringersi ancora più nelle spalle, sarebbe ormai ridotta a un’immagine a due dimensioni. “Io volevo solo che uccidesse il ragno.”
La risposta arriva così forte che perfino Bucky riesce a sentirla. “È un cazzo di buco nella parete, Charles!” Charlotte fa una smorfia sofferente e allontana l’apparecchio dall’orecchio congestionato quando ormai è chiaramente troppo tardi. Claude continua a sbraitare a pieni polmoni, la voce distorta dalla chiamata che arriva comunque chiara da quanto sta gridando. “Come glielo spieghiamo, al padrone di casa?
La ragazza si morde nervosamente l’unghia del pollice, lo sguardo ostinatamente fisso avanti a sé, il telefono nella mano che non si sta torturando con i denti. “Lo copriamo con un poster finché non chiamiamo un muratore.” Pigola. “Stavo giusto cercandone uno carino per quando fossi tornato.”
Io non voglio nemmeno sapere come cazzo avete fatto, ma giuro- Dio, Charles, sei morta. Oh, quanto sei morta.
James le sfila il telefono di mano senza doversi impegnare particolarmente, e Charlotte lo guarda in un misto di raccapriccio e gratitudine. “È colpa mia.” Lo vede parlare al telefono con aria fin troppo tranquilla per uno che ha appena spaccato una parete, l’accento russo ancora incredibilmente – inspiegabilmente – marcato. Dall’altro capo Claude sta insultando anche lui, perché quando si tratta di essere uno stronzo sa essere molto democratico, ma Bucky nemmeno lo sta ascoltando. “Lo sistemo io.” Promette. Claude sta cercando di aggiungere qualcosa – che Charlotte teme possa avere a che fare con la mamma di Bucky – ma veloce come le ha preso il telefono si affretta a chiudere la conversazione e passarle nuovamente il cellulare. Al volo, costringendola a farsi rimbalzare l’oggetto tra le mani di pastafrolla che si ritrova in un tentativo di non farlo schiantare al suolo.
“Dicevi davvero?” Gli chiede dopo diversi minuti di silenzio.
James si stringe nelle spalle e la osserva senza capire. “Quale parte?”
“Quando ti sei offerto di sistemare il buco.” Bofonchia.
L’uomo la osserva in tralice senza smettere di camminarle al fianco, le mani calate nelle tasche e un sopracciglio inarcato. “Ti ho rotto un muro davanti e la tua preoccupazione è che io sia in grado di ripararlo?” Si informa, per essere certo di aver capito bene.
La ragazza apre bocca per rispondergli, e in quel momento girano l’angolo, e qualcosa di incredibilmente doloroso la colpisce alla schiena.
Si trova a cadere senza riuscire nemmeno a pensare a quanto sta accendo, e un’altra scarica di dolore le appanna la vista quando si trova a sbattere le ginocchia sull’asfalto. Sente voci concitate, ordini sbraitati in una lingua che non capisce e che eppure non le suona del tutto nuova alle orecchie, e poi qualcosa di metallico e terrificante insieme.
Un colpo che viene caricato in canna.
(Per la precisione, sono quattro colpi in quattro canne diverse.)
Charlotte osserva i quattro sconosciuti che li hanno circondati con gli occhi sbarrati, troppo sconvolta per lasciarsi sfuggire un solo suono dalle labbra, e in un angolo del proprio cervello non può che trovare perfetto il modo in cui l’hanno fatta cadere. In ginocchio, pronta per essere ammazzata.
(Oh dio ci siamo è andata oh dio oh dio oh-)
Il primo ad alzare l’arma su di lei è quello alla sua destra. Charles chiude gli occhi con un singhiozzo sottile e quello che sente dopo sono rumori per lei incomprensibili, tonfi sordi e un lamento soffocato. Con un crock che sperava di non dover mai più risentire nella propria vita, il primo aggressore le cade accanto, privo di sensi e con un braccio sbriciolato.
(La frattura è orrenda a vedersi, la pistola penzola da quella che un tempo era una mano e che ora è un grumo informe di carne e sangue. Charlotte crede di intravedere una scheggia bianca di osso e distoglie lo sguardo all’istante.)
Gli altri tre si fanno avanti insieme, perché evidentemente non sono dentro un film d’azione di serie Z e non intendono lasciare che Bucky – Bucky che rompe muri e ossa e quant’altro incroci sul proprio cammino – abbia la possibilità di raccontare quell’esperienza.
Charles lo cerca con lo sguardo e vede gli stessi occhi di quando si erano visti al museo, le pupille sottili come spilli e l’aria più letale e pericolosa che mai.
Chiunque stia fronteggiando quegli uomini, realizza all’improvviso, non è la stessa persona con cui stava parlando fino a pochi minuti prima.
 
In quel mare di istinti e impulsi scatenati dall’adrenalina, James si sente scivolare sempre più via mentre sente tutt’altro tipo di personalità prendere il sopravvento. E non dovrebbe – dovrebbe combatterlo – ma non riesce a opporsi.
Nota uno dei tre uomini alzargli l’arma contro e fare fuoco e, ormai troppo vicino per schivare, prova a deviargli il colpo in un unico, rapido, movimento. La pallottola lo colpisce di striscio sulla protesi e va a conficcarsi nella gamba dell’uomo alle sue spalle, che cade a terra in un grido improvviso. Strattona più forte che riesce e gli strappa la pistola dalle mani. Un altro strattone per trascinarlo dalla parte dei suoi due compagni, per avere un valido scudo umano, e lo spinge via con un calcio allo sterno per poter quantomeno guadagnare tempo e capire come attaccare.
(Dalla radio appesa alla cintura di uno degli uomini, una voce inizia a strillare ordini in russo.)
Il Soldato serra la mascella e ringhia, schiva agilmente i pugni e, sporgendosi per caricare meglio il colpo da sferrare, sfila uno sfollagente a molla dalla cintura di uno degli aggressori a terra. Lo apre con un movimento fulmineo del polso e – ancora per qualche istante, ancora in attesa di trovare qualcosa di più definitivo – riesce a rallentare i movimenti dell’uomo.
Alle sue spalle sente movimenti indistinti e lamenti sordi, e fa appena in tempo a tendere l’orecchio che l’ultimo aggressore ancora in piedi sbraita uno “Sparagli, cazzo!” a uno dei suoi compagni, feriti ma malgrado tutto ancora presenti a loro stessi.
Il Soldato esita per una frazione di secondo, quanto basta all’uomo dietro di lui per sollevare la pistola e avere l’illusione di stare prendendo la mira. L’illusione di poter vincere.
Gli è addosso in una scivolata, il calcio più forte che riesca a tirargli da quella poca distanza per poter prendere la rincorsa, e la protesi a stringergli la mano con cui regge l’arma. Gli strappa via la pistola ignorando le sue urla di dolore, pochi istanti per calibrare il colpo, e anche l’ultimo uomo è a terra, a reggersi una spalla con la mano sana.
 
Charlotte percepisce che è finita dal sospiro che sente tirare a Bucky, qualcosa di più profondo del semplice sollievo.
(Liberazione.)
 
La radio, ancora intera malgrado la colluttazione, manda scariche elettriche e la voce dall’altro capo – una donna, riflette Lottie; una donna tremendamente incazzata – ha smesso di sbraitare ordini. Bucky lascia scivolare a terra la pistola e cammina a passo lento verso l’uomo da cui provengono quei rumori. E guardandolo muoversi di spalle con quel passo cadenzato, Charlotte non può non pensare a un cowboy di qualche vecchio film, i passi scanditi dagli speroni e una taglia a sei zeri sulla testa.
(Non ha nemmeno idea di quanto sia vero.)
Si china e prende la radio con la mano coperta dal guanto e a quel punto, con la stoffa squarciata su una stella rossa dove dovrebbe esserci la pelle nuda, Lottie ne ha la certezza: quel luccichio che le sembrava di vedere non se l’è mai immaginato. Bucky ha davvero una protesi metallica. “Я не вернусь.*” Scandisce lentamente, le dita strette attorno al walkie talkie. Charlotte tende l’orecchio, e le sembra di sentire il rumore di una macchina con gli ingranaggi perfettamente oliati che si mette in movimento.
L’istante successivo l’oggetto è in briciole.
Il Soldato ignora il suo singhiozzo sorpreso e continua a guardarsi attorno, studiando il perimetro alla ricerca di altri eventuali pericoli. Charlotte annaspa per riprendere fiato, ma alla fine riesce a rialzarsi in piedi e a raggiungerlo, e a fatica riesce a trovare il coraggio di parlare. “Sei tu.” Balbetta quindi. “Sei lui. Il Soldato.” James serra la mascella e, ormai scoperto, annuisce. Charlie gli è addosso in una frazione di secondo e con movimenti nervosi cerca di ricomporgli la giacca, riavvicinando i lembi squarciati della manica senza alcun risultato. “Hai bisogno di altri vestiti.” Sussurra con tono concitato.
Il Soldato la guarda senza capire, e Lottie
(Stupida Lottie sei sempre così stupida)
Parla in un soffio a malapena udibile. “Claude non deve saperlo.”
Bucky annuisce.
“Dobbiamo andare, la polizia arriverà tra poco.” Le parla in un inglese perfetto, privo di qualsiasi cadenza se non per l’inflessione tipica di New York – di Brooklyn, si corregge da sola –, e Charlotte lo osserva come se lo vedesse per la prima volta, genuinamente sconvolta da quell’improvvisa calma e lucidità. Lui la osserva e sostiene il suo sguardo, e la guarda tanto intensamente che per un istante – uno solo, piccolo piccolo – Lottie sente la testa girare. Poi James si schiarisce la voce e guarda altrove, l’orecchio teso a quei suoni che ha imparato a conoscere ed evitare tanto bene. “Andiamo. Ora.”
Charles lo sente così autoritario da faticare a riconoscerne la voce – ma un sergente è pur sempre un sergente, e lui evidentemente è abituato a dare ordini – e per un breve istante sente l’idiotissimo istinto a mettersi sull’attenti.
 
All’inizio se ne vanno lentamente, dalla parte opposta alle sirene, per non destare sospetti. Quando Bucky le dà il via libera, Charlotte prende il comando e inizia a camminare a passetti veloci e nervosi, si liscia la gonna con una mano e con l’altra strizza la pallina per la riabilitazione a ritmo frenetico. James la osserva da sotto la visiera del cappellino ed è ugualmente dispiaciuto e allarmato – quelle, a rigor di logica, sono le avvisaglie di una crisi isterica in piena regola. “Ok,” balbetta la ragazza dopo un po’, indicandogli un palazzo enorme, “qua dentro. È abbastanza caotico.” Si alza sulle punte e si guarda attorno, facendoglisi più vicina. Armeggia con il colletto della sua giacca, si sporge e si contorce e finalmente trova la taglia. “Ok. Tu mi aspetti là,” gli spiega, indicandogli un vicoletto. “Io vado e torno. Non ci vorranno più di cinque minuti.” L’uomo annuisce con lentezza, decisamente sollevato all’idea di non dover entrare in un negozio a più piani gremito di gente.
Lottie torna dopo cinque minuti, esattamente come promesso, e gli trotterella incontro con aria decisamente agitata. “Questa dovrebbe andare bene.” Annuncia, mettendogli in mano un brandello di stoffa sgualcita e dai bordi frastagliati. Bucky la osserva senza capire bene cosa stia accadendo, più perplesso che altro.
“È una manica.” Realizza a mezza bocca.
Charlotte diventa di un bel rosso acceso e la pallina, tra le sue dita, riceve una robusta strizzata. “Sì beh, spiacente ma sono troppo povera per farti giocare a Pretty Woman.” Liquida a mezza bocca. “A casa te la cucio sotto al giaccone, ora muoviti prima che ci vedano.” Restano a fissarsi ancora per una manciata di secondi, e quando le sembra di vedere gli occhi di Bucky farsi più vispi, quasi divertiti, gli infila velocemente la manica mutilata in una tasca e gli schiocca le dita davanti per incitarlo a darsi una svegliata. “Hop hop hop.” Incalza. “A casa.”
A nasconderci.
 
***
 
“Indovina chi ha rischiato di essere ammazzato oggi pomeriggio?” Esordisce con tono squillante Natasha.
Steve rotola sul letto con un verso sofferente. “Ho fatto la nottata in bianco, Nat.” Le spiega con la voce impastata di sonno, a giustificare perché stesse dormendo a quell’ora.
“Lo so! Sei stato quasi ventiquattr’ore di piantone qua e non è successo niente. Vengo a darti il cambio e nemmeno mezz’ora dopo vedo scendere il tuo amico a braccetto con la nostra piccola bugiarda! Parola mia, Steve, se fossi un po’ più superstiziosa direi che porti sfortuna.”
 
***
 
“Vado a farmi una doccia.” Balbetta Charlotte, pallida e ancora tremante.
Bucky la osserva con le labbra ridotte a un filo e l’espressione fin troppo dispiaciuta e annuisce. “Me ne andrò.” Promette una volta che la ragazza gli ha dato le spalle, lo sguardo fisso sui ricci rossi che tremano un po’, ora che non la può più guardare in faccia, ora che Charlotte sta lasciando sfogare la paura e l’adrenalina piangendo a getto continuo. “Mi… mi serve ancora qualche giorno.” Prosegue, sentendosi infinitamente a disagio.
Lottie si passa una mano sugli occhi e sospira – un suono sottile che sa di lacrime da un miglio di distanza. “Ok. Non… non ti preoccupare. Basta che ce ne stiamo a casa, no? Profilo basso.” Prova con tono incerto.
Bucky non ha il coraggio di darle torto, ma sanno entrambi che il meccanismo che si è messo in moto non è di quelli che si arresteranno da soli.
 
Claude dà di matto come pronosticato, e a nulla valgono le suppliche di Charlotte di avere un po’ di tregua.
(Lui, d’altronde, non ha rischiato di essere giustiziato come un cane in un vicolo. Lui, d’altronde, non sta coscientemente nascondendo a casa propria uno degli assassini più pericolosi del mondo e della storia.
Di questo, Charlotte non se la sente di fargliene una colpa.)
“Claude, sto provando a seguire.” Borbotta astiosamente indicando con il telecomando la televisione. Non sa nemmeno cosa sta millantando di stare seguendo, ma tanto basta. Le voci alla tv la distolgono dal rumore che le riecheggia in testa ininterrottamente da quel pomeriggio – il click delle pistole, il colpo caricato in canna, il crock delle ossa.
“Almeno posso sapere come avete fatto a bucare il muro, o è un mistero della fede?” Chiede con tono lieve il ragazzo. “Se c’entra qualche strana pratica erotica che hai deciso di sperimentare senza dirmi nulla sappi che sei una grande egoista, Charles.”
“Cosa?” Chiede senza nemmeno realizzare. Si guardano negli occhi e solo in quel momento Charlotte realizza – complice l’ampio cenno con le sopracciglia di Claude all’indirizzo di Bucky. “Oh cristo santo, Claude!” Sbraita con voce acuta. “Viviamo nella maledetta casa delle barbie e hai il coraggio di stupirti se i muri si bucano facilmente?” Prova a difendersi, facendosi sempre più rossa al pensiero di cosa potrebbe aver immaginato il suo coinquilino. “Ti ho già detto che chiamerò io per farlo sistemare, piantala di rompere le palle e fammi seguire la tv.”
Claude non pare per niente soddisfatto. Si schiarisce la voce con fare da zitella inacidita dagli anni e si dirige verso la cucina. “E comunque il muratore lo paghi tu.”
Charlotte non distoglie nemmeno lo sguardo dalla televisione. Afferra la prima cosa che le capita sotto mano e la scaglia con quanta forza ha nel braccio – che non è stato bloccato per un mese ma purtroppo non è quello dominante – all’indirizzo del proprio coinquilino.
Claude urla spaventato e schiva, e una tazza va a fracassarsi contro lo stipite della porta a diversi centimetri dalla sua gamba. “Pazza!” Gracchia.
In un angolo del salotto Bucky aggrotta la fronte e si schiarisce la voce.
“Mira a quarantacinque gradi.”
Charlotte smette di fissare la televisione e fissa lui. L’aria a dir poco infastidita e selvatica scema velocemente, nel trovarsi davanti i soliti occhi celesti con un insolito bagliore. Una scintilla di vita diversa dal solito. “Uh?” chiede quindi, perché è chiaramente incapace di formulare domande più articolate.
L’uomo si stringe nelle spalle – arruffa le penne è una descrizione più valida – come se fosse a disagio nel ripetere quanto detto, come se la trovasse una cosa tremendamente fastidiosa da fare. Ma alla fine ripete. “Se miri a quarantacinque gradi il colpo è più preciso.”
Charles fa questa cosa stranissima, ogni tanto (ogni spesso, in realtà): continua a guardare o a fare quello che stava guardando o facendo fino a due secondi prima e, contemporaneamente, inizia a fare altro. Come prima con la tazza, non distoglie lo sguardo da lui e, allo stesso tempo, richiama Claude con voce squillante. “Vieni un attimo qua, che ho un esperimento da fare.”
Claude si affaccia dalla cucina, scopa e paletta in mano e qualche coccio della tazza ancora da raccogliere in giro. “L’esperimento prevede te che lanci cose?”
Il Soldato inizia a sentirsi a disagio, nel vedersi scrutare con tanto interesse, ma non distoglie lo sguardo. Gli occhi castani di Charlotte brillano di divertimento, e fissarli lo fa sentire stranamente a posto con la coscienza, come se fossero abbastanza vivi per entrambi. “Sì.” Claude le fa una pernacchia e torna a pulire senza degnarla di ulteriore risposta.
Continuano a fissarsi ancora per diversi minuti, in silenzio. Poi le sembra di vedere un angolo della bocca dell’uomo piegarsi in un sorriso, e Charlotte distoglie lo sguardo con un colpetto di tosse imbarazzato.
 
***
 
Quella notte il Soldato torna più forte che mai, e James si sveglia tra le urla sotto lo sguardo preoccupato di Charlotte e di Claude.
“Lode a dio.” Esala il ragazzo, porgendogli un bicchiere d’acqua – perché sì, perché non sa cos’altro fare quando la gente ha incubi. Innaffiare le angosce con l’acqua pare una buona idea.
Claude è una maschera di paura e apprensione, ma non parla oltre. Charlotte si siede sul divano accanto a Bucky, e quando l’uomo le appoggia la testa sulla spalla e socchiude gli occhi con un sospiro tremulo che sa di paura e sollievo mescolati insieme, il suo coinquilino si limita a porgerle una coperta per potersi coprire.
 
“Così non va.” Pigola la ragazza una volta che Claude è tornato in camera.
Bucky apre a fatica gli occhi e la osserva senza capire, e si scosta appena si accorge che vuole alzarsi. “Soffri di sindrome da stress post traumatico.” Ricapitola Charlotte, sbandierando felice i risultati delle proprie ricerche su google. “Ed è chiaro che ti servono delle cure.” Cammina per la stanza e sembra una leonessa in gabbia. Alla fine si risolve a tornare a guardare Bucky negli occhi, poggiandosi con entrambe le mani sullo schienale di una sedia. “Da adesso in poi parlerai.” Gli intima. “Devi parlare. Qualsiasi cosa andrà bene, ma devi ricominciare a farlo.”
L’uomo la guarda senza capire – rifiutandosi di capire – e si stringe appena nelle spalle. Inizia a sentirsi messo alle strette, e la cosa non gli piace.
(Il Soldato ringhia e scalcia, e le corde in cui è stato imbrigliato sembrano all’improvviso meno salde.)
“Io parlo.” Mormora come unica difesa.
Charlotte lo osserva con un sopracciglio inarcato e sbuffa. “Sembra di avere a che fare con una macchina, con te.” Gli spiega. “Parli solo quando devi, ‘grazie’, ‘prego’, e ogni tanto qualche richiesta. Non ne uscirai mai, se non inizi a fare qualcosa.” Sospira e gira attorno alla sedia, fino al divano. Lo osserva dall’alto in basso, il labbro inferiore stretto tra i denti candidi. “Hai un casino, dentro, e io non riesco a rimettertelo in ordine. Non sono una strizzacervelli. Devi rimetterti a posto la testa da solo, ma devi iniziare a farlo.” James la guarda senza capire.
(E il Soldato strattona più forte, la paura cieca di una tigre di fronte al fuoco)
Lottie prende di nuovo fiato e gli si siede accanto. “Hai tanto veleno in corpo che ci stroncheresti un elefante. Ma ti sta qua,” spiega, toccandosi il plesso solare. “E non riesci a buttarlo giù, perché ti hanno costretto a farlo per anni. Adesso o lo sputi fuori o ti ci strozzi una volta per tutte.”
Bucky la osserva in silenzio, ugualmente perplesso e affascinato da questa diagnosi totalmente arbitraria. “Non credo sia il caso.” Sussurra mentre, come se fosse intrappolato dentro sé stesso, qualche ricordo supera la barriera che ha provato ad alzare e davanti agli occhi gli esplodono immagini terrificanti di sangue e guerra e morte.
(E per un istante a Bucky sembra di sentire il Soldato ridere, riacquistare forza.)
Charlotte gli sta troppo vicina, si sporge verso di lui e James percepisce con sconvolgente chiarezza qualcuno, in un angolo della sua testa, che gli ordina di metterle la mano attorno alla gola e, semplicemente, stringere. “Raccontami com’era.”
L’uomo socchiude gli occhi e piega la testa con una lentezza terrificante, come se il minimo movimento brusco potrebbe spingerlo di nuovo oltre l’orlo della follia. “Ho visto-” si morde le labbra, perché è la cosa più comoda da dire, ma non è quella vera, “ho fatto delle cose orrende.” Si corregge in un sussurro.
Lottie alza una mano a mezz’aria e resta così, a un soffio dalla sua spalla. Bucky ne sente il calore, ma non fa nulla. La sente prendere fiato, cercare qualcosa da dirgli. “Parlami di Brooklyn.” Alza lo sguardo e la osserva, sconvolto. Sul volto di Charlotte, un sorriso piccolo e incerto. “Parti dalle cose belle. Al brutto si fa sempre in tempo ad arrivare.”
Bucky annuisce, prende fiato e inizia a raccontare.
(Il Soldato, spossato, si adagia sotto le catene che lo costringono.)
 
***
 
All’inizio i racconti sono brevi. Frammenti di ricordi, schegge di vita fugaci che si muovono troppo in fretta perché Bucky riesca ad afferrarle. Spesso è il modo in cui Claude beve (Una volta Steve aveva riso così tanto che gli era uscito il latte dal naso), o come Charlotte cucina (Mia madre mi faceva i pancake, la mattina di ogni gara), o lampi fugaci di colori che gli saettano davanti agli occhi (L’Expo di Stark, i flash della macchina che si alzava in volo, le labbra rosse delle majorette).
Sono informazioni improvvise che gli tornano in mente in un lampo e, alla stessa velocità, se ne vanno.
James stringe i pugni e indurisce la mascella, cercando disperatamente di piegare di nuovo la testa allo stesso angolo di prima per scatenare lo stesso flash. “Stavo… era una cosa…” mormora, il dolore palpabile dalla voce.
Charlotte gli dà le spalle e continua a insaponare i piatti, analizzando di quando in quando le stoviglie alla luce della finestra per essere sicura che escano pulite per bene. Le tende sono aperte per permettere alla luce di entrare ogni qualvolta le nuvole – nuvoloni enormi che preannunciano un temporale con i fiocchi e Lottie non si è mai trovata a supplicare con così tanta intensità che non tuoni – lasciano spazio ai raggi del sole. Il vento, forte come non mai, le lancia da ogni lato del cielo creando giochi di luce grigia e opaca che si trasforma in scoppi di celeste così intensi da fare male agli occhi ogni qualvolta vengono spazzate lontane dal sole. “Tranquillo,” lo rassicura sforzando un tono lieve, “te lo ricorderai.”
Ma non ci crede nemmeno lei.
Troppe, le volte che James inizia a raccontare e si interrompe.
Troppi, i flash che non trovano in tempo la strada per la bocca.
(Un disco rotto, un vinile con crateri dove un tempo c’erano scanalature. Bucky è un disco spezzato e mal rattoppato e lo sanno tutti, ma nessuno ha il coraggio di dirlo.)
Con un rombo che potrebbe preannunciare il diluvio universale, l’ennesima folata di vento spazza via una nuvola grigia come il piombo, e per un istante la cucina viene investita da un fascio di luce brillante come una mattina d’agosto.
James assottiglia gli occhi celesti per abituarli alla luce, e Charlotte si sporge per analizzare controluce un bicchiere, ed è allora, col riverbero del sole che splende su quei ricci così rossi in un gioco di riflessi che spazia dal rame al biondo oro, che qualcosa nella testa di Bucky fa click. Come un ricordo che viene sbloccato.
(Come un muro che viene abbattuto)
“Gli sarebbero piaciuti.” Mormora tra sé e sé. Charlotte fissa avanti a sé senza capire e si gira per osservarlo subito dopo, senza chiedere niente per non interromperlo. “Avevo un amico.” Racconta l’uomo a mezza bocca. “Disegnava. Era bravo. Gli sarebbero piaciuti i tuoi capelli.” Conclude.
Lottie distoglie lo sguardo, perché il sorriso di Bucky è così nostalgico, così legato a doppio filo con quel suo amico da sentirsi di troppo perfino nell’osservarlo di sfuggita. “Come si chiamava?”
“Steve.”
 
***
 
Claude prende il discorso a tradimento un giorno in cui Charlotte è seduta sul divano col portatile in grembo ed è tremendamente impegnata nell’ennesimo schema di Candy Crush.
“Quindi quanti anni ha?” Le chiede con tono lieve.
Charlotte drizza le antenne e si mette in preallarme, ma decide di glissare. “Boh? Trenta? Credi sia davvero importante?”
“Charles.”
Alza lo sguardo dal computer e guarda Claude. E visto che si sente scoperta come non mai, decide di sparare altissimo. “Puoi sempre provare a chiederglielo, eh. Se non ti prende a calci magari ti risponde.” Conclude, mostrandogli la mano  infortunata nella speranza che attacchi.
Ovviamente non attacca. “Charlotte.”
Cosa.”
Claude schiocca la lingua sul palato e, complice lo scroscio dell’acqua che proviene dal bagno, si sente autorizzato a parlare chiaro. “Poco fa mi ha raccontato di quanto il suo amico Steve si è comprato un paio di scarpe ritraendo le signore della casa di riposo di Brooklyn e lui è stato quasi molestato da una signora di ottant’anni.”
“Cosa? Oddio, ma che schifo.” Borbotta, tornando a dedicarsi alle proprie caramelline da far scoppiare.
“Charlotte, stiamo ospitando il migliore amico di Capitan America?”
Non distoglie lo sguardo dallo schermo, ma dalla reazione – come se qualcuno le avesse pizzicato il sedere – è chiaro che Claude abbia fatto centro. “Potremmo.”
Mi stai dicendo che ha novant’anni, Charles?” Sibila il ragazzo con aria sconvolta.
“Potrebbe.”
“E tu non vuoi dargli qualche nozione base su come funzioni la società, Charles? Seriamente?
Charlotte, di nuovo, alza lo sguardo dallo schermo e fissa gli occhi di Claude con l’aria di chi ha attentamente ponderato la questione – cosa che Charlotte non ha fatto, ovviamente. “Oh, andiamo, non è così disadattato.”
Claude sostiene il suo sguardo in silenzio, e quando James riemerge dal bagno pochi istanti dopo Lottie lo invita a sedersi al suo posto sul divano.
 
“Abbiamo un problema.”
“Cosa?”
“Dobbiamo rieducarti come essere umano funzionante nella nostra società odierna.” Dichiara Charlotte, pomposa come non mai.
Bucky la osserva e si stringe nelle spalle. “Credo sia un problema piuttosto grosso.” Conviene con lei dopo una breve pausa di riflessione.
“Inizieremo dalle cose basilari. Un po’ di musica e qualche film. Alla tv ci arriveremo più avanti.”
“Internet?”
Charlotte lo guarda con il più puro raccapriccio dipinto in volto. “Dopo. Tipo- molto dopo.”
“Cos’ha che non va internet?”
Lottie tossicchia e una leggera vampata di rosso le colora le guance. “Le donne nude.”
È Claude a rispondere, ancora intento a controllare sa il cielo cosa sul proprio cellulare. “Il che mi sembra l’opposto di un problema.” Bucky non dice nulla, ma alza la mano e lo indica come a voler sottolineare che quel discorso, ehi, ha perfettamente senso.
“Donne nude che si accoppiano con dei cavalli.” Prosegue Charlotte, lo sguardo fisso sul proprio coinquilino, quasi in cenno di sfida.
Claude si stringe nelle spalle, le dita che si muovono come schegge impazzite sullo schermo. “Continuo a non vedere particolari problemi.”
“Ed è precisamente per questo che hai perso qualsiasi diritto a scegliere cosa vedere quando facciamo serata cinema, Claude.” Sottolinea con tono lieve la ragazza.
“Disse la donna del Centopiedi Umano.”
Charlotte sorride deliziata. “Cagasotto.”
 
 
 
 
 
Note dell’autrice:
Ok, ho scritto tantissimo. Vorrei poter dare la colpa del fatto che non ho più aggiornato alla luna, al fato, a qualsiasi cosa, ma la verità è che l’università è un postaccio che assorbe il mio tempo e la mia voglia di vivere -_-”
Ma! Una buona notizia: i capitoli sono pressoché già scritti, e non sono tanti. Potrei farla molto più lunga, ma mi trovo sempre con questi capitolozzi chilometrici che non so mai dove tagliare e insomma, spero la lettura non risulti troppo pesante.
Se così fosse, fatemelo sapere e proverò a sforbiciare! :D
 
 
*= [Ià ne vernús], “Non tornerò”.
 

 
   
 
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