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Autore: Pervinca95    02/10/2016    7 recensioni
Gea e Deimos sono tornati.
Gea, una semplice ragazza dello Iowa la cui vita è stata stravolta in una notte, e Deimos, un ragazzo tanto affascinante quanto misterioso che non conosce i buoni sentimenti, si ritroveranno a lottare insieme per mantenere un equilibrio che rischia di saltare.
Un ottovolante di azione, misteri, colpi di scena, poteri che si intrecciano come rampicanti e emozioni che sbocciano come fiori di pesco ove meno ci si aspetta.
Tutto questo è "I misteri del tetraedro", l'inizio e non la fine.
*
È necessario aver letto "I poteri del tetraedro" per poter capire.
Genere: Azione, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Sovrannaturale
Capitoli:
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Capitolo 2


























Deimos aprì gli occhi mentre una mezzaluna di sole si affacciava timidamente all'orizzonte. Prima di qualsiasi altra cosa, abbassò la testa per osservare il volto della ragazza sul suo petto. In una mano gli stringeva un lembo della maglietta, l'altra la teneva appoggiata al suo avambraccio. 
Ne poteva sentire il tepore a contatto con la pelle. Una tepore piacevole ed ormai familiare. Il più familiare in tutta la sua vita. 
Continuò ad ispezionarle il viso, inclinando il capo per migliorare la prospettiva. 
Sapeva che, fra tutti gli elementi, lei era la più debole, ma conosceva anche la forza interiore che la spingeva a compiere imprese impossibili per chiunque. Persino per lui. 
Dal punto di vista di pratico allenamento era indubbiamente la più svantaggiata, ma era sicuro che lei, quella fragile e tenace ragazza, avrebbe potuto tenere testa a ciascun elemento. Perché non era debole come le diceva sempre per spronarla a dimostrare il contrario. Era l'umana più forte e coraggiosa che avesse mai conosciuto. 
Alzò lentamente un braccio, liberandolo dalla presa della giovane, per poi avvicinare le dita al suo viso. Con poca delicatezza le tappò il naso, mentre un sorrisetto di crudele divertimento gli increspava gli angoli delle labbra. 
Gea, ancora addormentata, strizzò gli occhi e scosse il capo. Poi aprì la bocca per respirare e issò di scatto le palpebre. 
Prima ancora di collegare cosa stesse succedendo, tirò uno schiaffo alla mano di Deimos, che l'allontanò con sommo spasso. 
Poi la ragazza si tirò a sedere e si guardò intorno, le gemme ambrate ancora velate di sonnolenza. << Dove siamo? >> chiese senza riflettere, aggiungendo subito dopo uno sbadiglio. 
Deimos si passò un braccio dietro la nuca e le incollò i suoi zaffiri addosso. La studiò minuziosamente mentre lei osservava la distesa che gradualmente veniva pervasa dal primo sole mattutino. 
Sdrucciolò con lo sguardo dai suoi ondulati ed arruffati capelli sino alle spalle, poi scivolò sulla curva del seno, sull'addome, la pancia; ammirò come gli stesse seduta addosso, come le sue gambe nude si allungassero ed incastrassero nel piccolo spazio di cui disponeva. 
Nel momento in cui Gea ruotò gli occhi su di lui, Deimos li rialzò rapidamente sul suo viso. << Adesso ricordo >> gli disse sollevando un pollice. << Comunque buongiorno, cuscino >> scherzò con un sorriso. 
<< La prossima volta ti chiuderò nel baule >> esordì il ragazzo in tono serio. 
Un sopracciglio di Gea svettò verso l'alto, ma il sorriso non le scomparve. << Dormito male? >> 
<< Tu che dici? >> 
<< Io dico che hai dormito benissimo >> lo stuzzicò divertita. 
Deimos la trafisse con uno sguardo gelido. 
<< Ok, stanotte dormirò dalla mia parte >> accordò lei alzando le mani in segno di resa. 
<< Avevi forse dei dubbi? >> le chiese alzando un sopracciglio. 
<< No, odioso >> ribatté Gea, scoccandogli un'occhiata truce. << Qual è la fascia oraria in cui sei più simpatico? Sempre che ci sia. >> 
Deimos si mise a sedere ed avvicinò il viso a quello della ragazza, senza sapere di farle istantaneamente palpitare il cuore. << Quella in cui non sei presente >> le rispose con un sorrisino da schiaffi. << E ora togliti, devo guidare. >> 
<< Non dire mai le cose in modo educato >> borbottò mentre si spostava sul suo sedile. << Ti si potrebbe attorcigliare la lingua >> concluse in uno sbuffo, mettendosi a sedere. 
Partirono che il sole non aveva ancora vaporizzato l'umido della notte. 
Imboccarono l'autostrada e procedettero ad alta velocità nella corsia semi deserta, i finestrini abbassati ed il ritmato rombo della brezza a tenere compagnia. 
Dopo circa venti minuti Gea ritirò le gambe sul sedile e le strinse al petto con uno sbuffo. << Ho fame. E dovrei andare in bagno. >> 
<< Tra cinque chilometri c'è un'uscita di servizio >> rispose conciso Deimos. 
La giovane innalzò le braccia. << Sia lodato il cielo, non morirò di fame. >> Si mise una mano sullo stomaco e corrugò la fronte. << Credo mi si sia aperto un buco nero. Al momento potrei mangiare un bue intero, sai, uno bello ciccione. >> Si soffermò a pensare. << E credo che mangerei anche il figliolino del bue ciccione. >> 
Deimos sollevò un sopracciglio e le lanciò un'occhiata. << E la madre? >> 
Gea meditò, per poi annuire con enfasi. << Hai ragione, sarebbe crudele rubarle la famiglia. Vorrà dire che mangerò pure lei. >> Sorrise mentre dirottava lo sguardo sul ragazzo. << Così si ritroveranno tutti nel mio stomaco. >>
<< E vissero per sempre felici e contenti >> commentò lui, osservando lo specchietto retrovisore. 
Gea si portò una mano sul cuore e sbarrò gli occhi. << Non mi dire che hai visto i cartoni Disney. >> Si sporse per cercare i suoi zaffiri. << Lo sai, vero, che potrei morirne? >> 
<< Quindi, se ti dicessi di sì? >> la provocò. 
<< Ti chiederei qual è la tua principessa preferita >> controbatté lei, prima di riservargli un sorrisino scaltro. << Perché so che ne hai una >> affermò agitando l'indice. 
<< Ho tutti i dvd nel mio appartamento. >> 
<< Oddio, davvero? >> 
<< No >> pronunciò secco. Un sorriso spietato gli si pennellò sulle labbra. << Mi hai preso per una ragazzina che sogna il principe azzurro? >> 
Gea lo guardò con aria spavalda. << Tanto lo so che li hai visti. Puoi dirmelo, non ti prenderei in giro. >> 
<< Convinciti pure >> le disse imboccando l'uscita dell'Autogrill. 
La ragazza buttò i piedi sul tappetino. << Davvero non ne hai mai visto uno? >> chiese ad un tono più basso. In realtà se lo immaginava, ma le sembrava così strano che ad un bambino non fosse mai stato permesso di vedere un cartone che faticava a crederci. 
Ma dopotutto lui era Deimos, non un ragazzo qualsiasi. 
<< Mai >> asserì, il tono duro. 
Gea scorse un'ombra oscurare le sue iridi blu, come se stesse ricordando con rabbia qualcosa. Era sicura che si trattasse di un episodio che concerneva con la sua infanzia fatta di dolore e crudeltà. 
A quella vista e al ricordo di ciò che le aveva confessato sul suo passato, le si strinse il cuore. 
Prima che scendessero di macchina, Deimos le diede delle banconote per potersi comprare da mangiare. 
<< Aspetta, devo prendere un cambio di vestiti >> gli disse mentre lui si avviava all'area di servizio. 
Quando si voltò a guardarla, lei gli indicò con la testa l'auto chiusa. 
Deimos estrasse le chiavi dalla tasca e gliele lanciò con una traiettoria precisa, così che Gea poté afferrarle al volo. Dopodiché riprese a camminare verso la sua meta. 
La ragazza spalancò lo sportello posteriore e s'intrufolò per cercare della biancheria e dei vestiti puliti. 
Acciuffò un nuovo paio di pantaloncini, stavolta neri, ed una maglietta monospalla verde militare. 
Richiuse la macchina e si diresse con passo affrettato ai bagni. Aveva urgente bisogno di darsi una sciacquata. Avvertiva l'umido incollato alla pelle, una sensazione che odiava e che la faceva sentire sporca. 
Così sfrecciò nel bagno degli invalidi, dove aveva adocchiato uno spruzzino della doccia. Si tolse tutti i vestiti e s'insaponò con il sapone per mani appoggiato all'ampio pianale del lavandino. Poi si risciacquò in fretta, generando una nuvola di vapore caldo. 
Si rese conto di non possedere un asciugamano soltanto quando arrestò lo scroscio dell'acqua. Con i capelli gocciolanti ed il freddo che iniziava a penetrarle nelle ossa, si maledì per non aver pensato di prenderne uno dalla casa che aveva lasciato il giorno prima. 
Ragionò in fretta su come agire, alla fine afferrò la maglietta che si era levata e la adoperò per tamponarsi. La passò di fretta anche sui capelli che gocciolavano imperterriti, poi si rivestì con il cambio d'abiti pulito. 
Dopo alcuni minuti uscì dal bagno e mise piede nel piccolo supermercato dell'Autogrill alla ricerca di uno spazzolino, un dentifricio ed un pettine. 
Girò a vuoto per un po' prima di incappare in loro. Corse alla cassa e successivamente scappò nel solito bagno per lavarsi i denti e districare i capelli. 
Quando ebbe concluso si sentì decisamente meglio. Il senso di sporcizia che percepiva era svanito, per essere sostituito da un profumo dolce e delicato. 
Rimise piede nell'angusto supermercato ed andò a pararsi davanti ad una vetrina zeppa di dolci e panini farciti. 
Gli occhi le si illuminarono all'istante. Contò i soldi che le erano rimasti e rilanciò un'occhiata alle leccornie esposte. Purtroppo non avrebbe potuto prendere tutta la vetrina. 
Al termine di una lunga lotta interiore comprò due brioches, due panini, una ciambella glassata di cioccolato e una tazza di latte macchiato. 
Uscì dall'Autogrill con le braccia stracolme di cibo ed un sorriso felice stampato in faccia. 
Deimos la stava aspettando appoggiato alla macchina con una mano nella tasca dei pantaloni. Nell'altra teneva un bricco di caffé fumante, al momento adagiato contro la gamba, il braccio steso lungo il fianco in una posa disinvolta. 
Le gemme ilari di Gea incontrarono gli zaffiri impassibili di lui, che la stavano scrutando da quando aveva messo piede fuori dal supermercato. 
<< Ho preso qualcosa anche per te >> annunciò indicandogli un sacchetto col mento. << Dovrebbe essere qua dentro. >> 
Deimos estrasse la mano che teneva in tasca e le prese la piccola busta. La aprì ed ispezionò cosa contenesse con fare dubbioso. 
<< Mentre voi fate conoscenza, io apro la macchina >> pronunciò ironica lei. 
Quando, con non poca fatica, fu capace di spalancare lo sportello posteriore, appoggiò tutto ciò che aveva comprato cercando di riporlo con cura. I vestiti sporchi invece li lanciò sul tappetino. 
Prese posto sul suo sedile tenendo il bricco del latte macchiato in equilibrio con due dita, la busta con la sua gustosa ciambella tra i denti. 
Quando vide il ragazzo salire in macchina, spalancò la bocca sconvolta. Il sacchetto le ricadde sulle gambe. 
<< Non ci credo >> mormorò sgomenta. 
Deimos si voltò a guardarla, il sopracciglio sollevato. << Che vuoi? >>
<< Hai la mia ciambella! >> gridò indicandola fra le sue dita, già divorata per metà. Si portò una mano sulla fronte, come per togliere il sudore, e l'altra sul cuore. << Non ci voglio credere. È un incubo >> bisbigliò scuotendo il capo. << Come ho fatto a sbagliare? >> 
Le sue gemme ambrate si appoggiarono affrante su ciò che rimaneva della sua leccornia. Poi le sollevò su Deimos. << Non è che... >> Indicò la ciambella, l'espressione da cane bastonato. << Mi faresti dare un morsino? >> 
Il ragazzo la stava osservando con un sorriso divertito. 
Si tolse dalla tasca lo spazzolino e il dentifricio che aveva comprato e li lanciò nei sedili dietro, poi ruotò il corpo verso la giovane e frappose tra i loro volti la ciambella. 
<< No >> rispose, schioccando la lingua al palato. Subito dopo inclinò il capo ed affondò i denti sul dolce, gli zaffiri provocatori fissi nelle gemme di lei. 
La giovane affilò lo sguardo, malgrado il cuore le avesse mancato più di un battito. << Sei spregevole >> sibilò stizzita. << Spero ti vada di traverso. >> 
Deimos sghignazzò allettato e si ricompose sul sedile per bere un sorso di caffè. 
Gea nel frattempo puntava la ciambella con la coda dell'occhio. Non si era ancora decisa a gettare la spugna. Ed infatti si protese di scatto verso la mano del ragazzo, che, prevedendo quella mossa, la spostò più lontana. 
Si ritrasse infervorata, non rendendosi conto che i cespugli al limitare dell'autostrada si stavano agitando col suo umore. 
<< Me la pagherai >> minacciò aprendo la busta con le brioches. 
Rimase ad osservarle mentre un'idea le balenava nella testa. Le sue labbra si stirarono subito in un sorriso cordialmente finto. << Ti propongo un affare >> esordì incastrando gli occhi in quelli del ragazzo. << Mezza brioche per la tua metà. Fossi in te accetterei >> aggiunse stringendosi nelle spalle, come se la cosa non le interessasse. 
<< No. >> 
<< Va' al diavolo >> sbottò prendendo un grosso morso del cornetto, le sopracciglia arcuate in un'espressione rabbiosa. << Covunque vei avobimevope >> disse con la bocca piena, guardandolo con aria truce. 
Deimos la fissò inespressivo. << Sei incivile. Ingoia, fai schifo. >> 
<< Vei mu invivil... >> Uno sputo di brioche mangiucchiata le schizzò dalla bocca per planare con un impercettibile tonfo sulla maglietta del giovane. 
Nell'abitacolo piombò il silenzio. 
Deimos teneva gli zaffiri puntati sullo sputo, la mascella contratta. Gea, invece, aveva gli occhi sbarrati per lo shock. 
In simultanea e con lentezza, i loro sguardi si incollarono. Quello di Deimos era freddo e duro, quello di lei sfasato e timoroso. 
La ragazza ingoiò cercando di emettere il minor rumore possibile, poi sbatté velocemente le palpebre. << Forse... andrebbe pulito >> buttò là, il tono incerto. 
Il giovane indurì lo sguardo. << Tu credi? >> sibilò digrignando i denti. 
Gea si morse le labbra per nascondere un sorriso. << Tieni >> disse porgendogli un fazzoletto. 
Lui se lo passò sopra lo sputo con una smorfia schifata, poi lo gettò fuori dal finestrino.  
La giovane trattenne a stento una risata. << Comunque dava un po' di colore, sei sempre vestito di nero >> scherzò guardandolo. 
Deimos la fulminò senza proferire parola. Appoggiò il bricco del caffé nello scomparto delle bibite e si mise in bocca tutto ciò che rimaneva della ciambella, lanciandole un'occhiata di sfida. 
Poi armeggiò coi cavi e fece partire la macchina. 
Durante il viaggio Gea tenne il finestrino abbassato e gli occhi chiusi, in modo da bearsi del vento fresco che le asciugava i capelli e le accarezzava la pelle.  
Deimos ogni tanto si voltava a guardarla per brevi secondi. 
Nel corso delle settimane aveva cominciato ad apprezzare sempre più l'aspetto della ragazza. 
Se dopo un primo impatto l'aveva mentalmente reputata carina, oltre che pietosamente umana, debole, incapace, odiosa e qualsiasi altro aggettivo dall'accezione negativa, adesso gli costava fatica staccarle gli occhi di dosso. Approfittava di ogni momento per osservarla silenziosamente e ricalcare le sue forme. 
Il che il più delle volte lo faceva infuriare con se stesso, perché lui non era mai dipeso da nessuno. Aveva sempre pensato esclusivamente a sé. E invece, da un po' di tempo a quella parte, era diventato dipendente da quella ragazza dagli occhi di cerbiatto. I suoi pensieri, ormai, la stragrande maggioranza delle volte, non riguardavano neanche più se stesso, ma lei. 
Quando sentì Gea stiracchiarsi con deboli mugolii, le scoccò una breve occhiata. Poi la vide allungare le gambe con la coda dell'occhio e raddrizzare la schiena. 
<< Dove siamo diretti oggi? >> gli chiese con un sorriso. Quel giorno la ragazza si sentiva decisamente di buon umore, probabilmente perché stava lottando contro la sua mente per tenere lontano il pensiero di acqua e fuoco. 
<< Baker City, in Oregon >> le rispose telegrafico. 
<< In Oregon vive Ninlil, ma non so dove di preciso >> meditò Gea, grattandosi una tempia con l'indice. 
<< Quando le saremo vicini, ti percepirà >> le assicurò, lo sguardo dritto sulla strada. 
La ragazza si soffermò ad osservare il suo profilo dai tratti marcati. Avrebbe voluto riempirlo di domande, ma sapeva che se lo avesse mitragliato di punti interrogativi lui non avrebbe risposto a nessuna delle sue curiosità. Per quanto fosse enigmatico e sempre imprevedibile, ormai cominciava a conoscerlo bene, sebbene a volte non lo capisse. 
Eppure moriva dalla voglia di chiedergli qualcosa, anche solo per sentire la sua voce che le raccontava di sé.
E così, prima di rendersene conto, le parole le uscirono di bocca. << Come mai conosci tutte queste città? >> domandò appoggiando le suole degli stivaletti sul sedile. 
Si abbracciò le gambe e continuò a fissarlo. 
<< Ho girato molto >> asserì lui conciso. Poi puntellò un gomito contro lo sportello, al limitare del finestrino, e spostò l'altra mano al vertice del volante. 
<< Perché? >> chiese Gea, per poi scuotere il capo. << Cioè, è normale dato il potere che hai, ma... cosa ti ha spinto a voler girare così tanto? >> 
Sapeva che con quella domanda entrava in territorio minato. Ed era a conoscenza del fatto che molto probabilmente non le avrebbe risposto. Si era spinta nella sua sfera privata. Una sfera di piombo senza spiragli di luce. 
Il silenzio accompagnò i minuti successivi, ma Gea persistette a scandagliare il ragazzo nella speranza di scoprire una traccia dei suoi pensieri. 
D'un tratto lo vide stringere i denti, mentre le sue iridi oceaniche si annuvolavano come un cielo in tempesta. Espirò lentamente dal naso e sollevò il mento senza distogliere lo sguardo dalla corsia. 
La giovane sentì il cuore martellarle nel petto ad un ritmo incalzante. Più trascorrevano i secondi, più avvertiva la tensione di un'imminente rivelazione propagarsi nell'aria. 
Eppure quella risposta che tanto desiderava non si decideva ad arrivare. Sembrava imprigionata in una cassa di ferro all'interno del ragazzo.
Si susseguirono altri secondi, che poi divennero minuti. 
Gea sospirò sconfitta ed abbassò le gemme ambrate sulla punta di uno stivaletto. Allungò una mano e ne scrostò dei pezzetti di mota, la mente piena di pensieri. 
Aveva creduto che lui avesse cominciato a fidarsi di lei, che la ritenesse abbastanza importante da conoscere il suo passato. Eppure...
<< Il bisogno di evadere >> sparò all'improvviso Deimos, il timbro marmoreo e basso. 
Gea sgranò gli occhi. Il cuore riprese a batterle furiosamente. 
Alzò il capo di scatto per guardarlo. << Evadere dalla tua vita? >> chiese in un soffio. 
Forse non avrebbe dovuto porgli un'altra domanda, ma lei aveva necessità di conoscere ogni minuscolo pezzo del mosaico che costruiva la sua vita. Era una necessità talmente forte da impedirle di chiudere la bocca. 
Deimos si voltò un attimo a guardarla, gli zaffiri simili a lance di piombo: perforanti e duri. << Fai troppe domande >> troncò brusco. 
La ragazza si morse un labbro e deviò lo sguardo di nuovo sulle sue scarpe. << Almeno mi dici dove sei nato? >> 
Altri secondi di silenzio si susseguirono a quella richiesta. Poi il ragazzo spinse sull'acceleratore e sostituì la marcia. << Isola Southampton >> rispose lapidario. 
Gea strabuzzò gli occhi e buttò giù le gambe. << Sei canadese? Dall'accento non l'avrei mai detto. >> Si passò una mano sul viso ed incollò la schiena al sedile. << Santo Dio, un giorno scoprirò che sei già sposato ed hai cinque figli. >> 
<< Non saprei che farmene. >> 
La giovane ripiombò con gli occhi su di lui. << Quindi tu non vuoi figli, intendo in futuro. >> 
<< No. >>
<< Io invece li vorrei >> ammise con un sorriso, spostando l'attenzione sulla strada. << Almeno due. >> 
Deimos le lanciò un lungo sguardo, dopodiché aumentò la presa sul volante. Improvvisamente sentiva una sensazione di fastidio alla bocca dello stomaco, come se avesse ingoiato un tizzone ardente. 
Il solo pensiero che qualcun altro avrebbe potuto mettere le mani sulla ragazza, lo riempiva di rabbia. 
<< Pensa a sopravvivere >> sputò freddo, il nervoso contenuto a stento. 
Gea riempì i polmoni con un profondo respiro ed annuì piano. << Già. >> Le sue gemme ambrate si velarono di tristezza mentre le spostava sul paesaggio oltre il finestrino. << Sopravvivere. >> 






                                                                     *  *  *






Quando Deimos spense la macchina era già buio. 
Il cielo pareva una coperta di velluto con miliardi di diamanti incastonati. Il più grande di tutti brillava di una tenue luce rassicurante, mentre una fresca brezza faceva oscillare le invisibili ombre delle fronde.
Entrambi i ragazzi scesero dal mezzo per sgranchirsi le gambe. 
Gea si appoggiò contro il cofano, le braccia allungate all'indietro per ammirare la volta celeste. 
Non le era quasi mai capitato di vedere tante stelle o di osservare il cielo notturno, ma da quando la sua vita era stata stravolta aveva goduto quotidianamente di quell'opportunità. Le sarebbe piaciuto aver approfondito le sue conoscenze sull'astronomia, ma per come era stata assorbita dalla sua precedente routine, non l'aveva mai fatto. 
Inspirò profondamente l'aria fredda della notte, poi smosse l'erba umida sotto la suola dello stivaletto e si guardò intorno, verso la boscaglia oscura che si snodava alla sua destra. Davanti a sé, invece, si estendeva un enorme prato i cui ciuffi d'erba sfavillavano per la luce lunare che si rifletteva sulle gocce di rugiada. 
Le sembrava di assistere ad uno scenario soprannaturale, come se attraverso quei bagliori il cielo e la terra stessero comunicando in una muta lingua. 
Ne rimase incantata, estasiata da tanta bellezza. 
Poi le sue stanche pozze d'ambra individuarono Deimos che usciva dal bosco. 
<< Hai visto? >> gli chiese con un sorriso, indicando il paesaggio. 
Lui non rispose e non sprecò tempo a seguire la traiettoria del dito di Gea. Le teneva gli occhi incollati addosso, e nel frattempo avanzava nella sua direzione. 
Ogni passo era scandito dal flebile lamento dell'erba che si comprimeva. 
Il cuore della ragazza prese a battere con insistenza mentre lui rallentava l'andatura, ormai vicino. 
Le si parò davanti, gli zaffiri che perforavano i suoi occhi. 
Gea si schiacciò contro il cofano, deglutì emozionata e dischiuse le labbra per respirare con leggero affanno. 
I suoni della notte producevano un melodioso sottofondo, la brezza operava da direttrice d'orchestra con la sua capacità di dirottare quei suoni. Le fronde nascoste degli alberi si muovevano come archetti di violino sulle corde del vento, il fruscio dell'erba generato dalle emozioni di Gea scandiva il tempo di quella musica vellutata. 
Poi il ragazzo inclinò la testa e si abbassò su di lei, mentre le palpebre di entrambi si socchiudevano per il languore della vicinanza. 
E intanto che tutt'attorno regnava la quiete, le loro labbra si fusero complici. Si accarezzarono con tocchi morbidi, assaporandosi lentamente in un reciproco scambio di tenerezze. Poi una mano di Deimos scivolò con brama sulla schiena della giovane, le sollevò la maglietta per sfiorarla al di sotto. 
Un fremito di piacere solcò la pelle di Gea. Così si protese verso di lui ed incastrò le mani tra i suoi capelli, intanto che le loro lingue si legavano passionalmente. 
Le sembrò che il suo corpo si stesse liquefando in lava bollente. Faticava a riconoscere dove finisse lui ed iniziasse lei. Tutto le pareva confuso ed al tempo stesso incredibilmente vivido. 
Deimos affondò le dita su un suo fianco, il petto che si alzava ed abbassava con ritmo. 
Con un impeto di frenesia la mise a sedere sul cofano, poi si calò a baciarle la pelle sul collo facendo man mano pressione per spingerla distesa. Lei gli artigliò la maglietta e la strattonò sopra la sua testa, gliela sfilò e la gettò sul tettuccio. 
In quel momento i loro occhi sprofondarono gli uni negli altri. 
Fu come se si fossero incontrati il giorno e la notte. Le gemme della ragazza erano calde e lucide come un raggio di sole, gli zaffiri di lui scuri e misteriosi come il cielo che avevano sopra la testa. 
Una scintilla saettò tra i loro sguardi opposti, per poi dirigersi verso la miccia dei loro corpi. 
Ne divampò un incendio famelico. Gea aprì i palmi sul petto del giovane, ne tastò la pelle incandescente, lui si tuffò sulla sua bocca con brama. 
Ne scaturì un bacio irruento, sempre più voglioso, in cui le loro lingue non si concedevano riposo e le loro mani navigavano incessantemente. 
Scariche di godimento schizzavano tra i loro corpi ad ogni contatto più ravvicinato. 
Poi Gea si sentì posizionare a cavalcioni sul bacino del ragazzo. Si distaccò dalla sua bocca per capire dove fosse. E mentre le labbra di lui le scendevano avide sul collo, rendendole difficile concentrarsi, capì che si erano teletrasportati in macchina, sui sedili posteriori. 
La ragazza socchiuse gli occhi non appena Deimos le fece risalire la maglietta dai fianchi, con lentezza, in modo da ricalcare ogni sua forma ed assaporarla col tatto. Poi anche quella scomparì dalla loro vista. 
Nello stesso istante, Gea fece scivolare le mani sulla sua schiena e lui la premette contro di sé, così da far cozzare i loro corpi. 
Il respiro di entrambi si mozzò, il loro cuore prese a picchiare con forza, i rami degli alberi si mossero come tentacoli. 
Le labbra della ragazza gli lambirono lo zigomo, sdrucciolarono lente fino all'orecchio, ne leccarono il lobo con calcolata flemma, si dedicarono al collo con lo stesso desiderio. 
Deimos le morse piano la spalla mentre con due dita faceva scattare il gancetto del reggiseno. Il cuore di Gea sobbalzò per il surplus di emozioni, la terra vibrò piano. 
Subito dopo si morse un labbro, deliziata dalla bocca del giovane che stava voracemente assaggiando un suo seno. Gli strinse i capelli, espirò assuefatta. 
In quegli istanti le parve davvero di sciogliersi. Sentiva la testa leggera, i muscoli molli ed un fuoco incontrollabile divamparle dentro. 
Deimos alzò la testa e si soffermò ad osservare l'espressione della ragazza. Le loro labbra si scontrarono l'attimo successivo con la stessa violenta fame. 
Con un braccio il giovane gettò a terra tutto ciò che giaceva sui sedili, dopodiché ci distese Gea. Le salì sopra senza staccarsi dalla sua bocca, mentre con le dita vezzeggiava il suo seno. 
La ragazza emise un gemito contro le sue labbra affamate. Prese a graffiargli la schiena, spingendo le unghie nella sua carne per avvicinarlo, i muscoli di Deimos che si contraevano ad ogni tocco. 
Le leccò con ardore un tratto del collo, la clavicola, per poi riscendere sul petto e stuzzicare la parte più sensibile coi denti. 
I loro aliti affannati si mischiarono nella calura dell'abitacolo. I ciuffi d'erba sul suolo si dimenarono come anguille che tentavano di risalire al cielo. 
Gea gettò la testa indietro ed incurvò la schiena mentre un braccio di Deimos l'avvolgeva. 
La loro pelle bollente entrò bruscamente in contatto, così come i loro sguardi. 
Si osservarono intensamente, le bocche dischiuse per respirare, i petti che si alzavano ed abbassavano in fretta, il sudore dei corpi che si fondeva. 
Esclusero il resto del mondo. 
Per entrambi, durante il susseguirsi di quegli istanti, non esistevano che le iridi in cui si stavano riflettendo. 
Deimos si umettò le labbra, gli zaffiri incastonati dentro le gemme lucide della ragazza. 
La sua mente stava formulando talmente tanti pensieri contrapposti da impedirgli di afferrarne uno soltanto. 
E così si lasciò andare all'istinto, al suo volere, ancora una volta. 
Si protese lentamente verso il viso della giovane, il cuore che gli bombardava il petto con battiti sempre più impetuosi. E poi la baciò. Stavolta piano, come se fosse stata una carezza. 
Gea sentì il petto gonfiarsi di amore, lo percepì sbocciare e fluire nelle vene come linfa vitale. Se ne sentì invasa dalla testa ai piedi, così come dall'euforia dell'emozione. 
In quel momento, al di fuori della macchina in cui si mescolavano amore e passione, un piccolo fiore di pesco si generò sul ramo di un faggio. La linfa dell'albero virò tutto d'un colpo verso quel bocciolo appena dischiuso, i cui colori divennero sgargianti e vivi. 
Un lieve bagliore esplose dal tronco, le cui nodose radici emersero dal terreno per dispiegare un labirinto di legno tutt'attorno. Poi la luce scomparve, ripiombò il buio. 
Deimos allungò una mano per portarla sul viso della ragazza, mentre con l'altra scivolava al bottone dei suoi shorts. 
Si sfilarono gli ultimi indumenti, poi lui aprì una bustina coi denti e dopo poco ritornò su di lei, avvolgendola col suo corpo forte e caldo. 
Mentre si scrutavano, Gea gli accarezzò alcuni capelli sulla fronte. A quel tocco, Deimos sentì i muscoli sciogliersi e le palpebre appesantirsi. Così nascose il viso nell'incavo del suo collo e chiuse gli occhi, prendendo a baciarla lentamente sul profilo della mandibola. 
E poi, con la stessa calma, si fece spazio dentro di lei, la riempì, conducendola nei movimenti gradualmente più decisi. 
Si baciarono, ancora, fino ad avere le labbra gonfie e rosse, fino a sentire la pelle scottare sotto i marchi che si erano impressi, fino a fondersi completamente. 
Deimos lasciò che la ragazza lo abbracciasse mentre i loro respiri procedevano verso la regolarizzazione. Affondò la testa nel suo collo ed inspirò il profumo della sua pelle sudata, percependo quella nota dolce che tanto gli piaceva. E nel frattempo si godeva le carezze sfiorate che Gea gli riservava con la punta delle dita sulla schiena, cercando di non dare ascolto ai suoi pensieri. 
Perché si sarebbe dovuto allontanare, avrebbe dovuto lasciarla lì dopo aver ottenuto ciò che desiderava. Dopotutto lui ripudiava quei gesti affettuosi che si scambiavano tra umani. Li trovava disgustosi, svilenti, sinonimi di debolezza, segni di dipendenza nei confronti di un altro essere. 
In ogni rapporto non aveva mai desiderato soffermarsi un secondo di più con nessuna. Avrebbe preferito amputarsi un braccio piuttosto che lasciarsi coccolare. 
Ma la ragazza che al momento lo accarezzava lievemente, gli stava facendo mettere in dubbio tutto. Perché con lei, quei gesti da umani che tanto lo schifavano, non erano disgustosi, ma stranamente piacevoli. 
Gli piaceva sentire quelle dita sottili muoversi tra i suoi capelli, navigare leggere sulla sua pelle, soffermarsi sui muscoli. 
Ed era proprio per questo che avrebbe dovuto allontanarla, perché lui non era umano. Lui non era mai stato quello che stava diventando. Lui non si preoccupava di terzi. Non sapeva neanche cosa fosse la preoccupazione, fino a poco tempo prima. 
Eppure non ci riusciva. 
Al contrario, bramava sentirla protetta sotto il suo corpo, assaporare la sua pelle, percepirne il calore familiare ed averla sotto gli occhi. 
Non sapeva che cosa gli stesse succedendo. Era tutto nuovo e confuso, assolutamente ingestibile. E più si sforzava di ridare controllo a ciò che provava quando la giovane era nei paraggi, più sentiva una maledetta forza attrarlo verso di lei.   
D'un tratto la sentì rabbrividire, così si scostò in tutta velocità. 
Prima che la ragazza potesse capire cos'era successo, le arrivò in faccia la maglietta, poi la biancheria. 
<< Che stai... >> 
<< Vestiti >> le ordinò secco lui. 
Un piccolo sorriso incurvò le labbra di Gea mentre lo osservava rimettersi i boxer. Era quasi certa che lui l'avesse sentita fremere per il freddo. 
S'infilò il reggiseno, la maglietta e le mutandine. I pantaloncini li lasciò da una parte per dormire più comoda. 
Guardò di sottecchi il ragazzo mentre si tirava su la cerniera dei pantaloni, il petto nudo e sodo. 
Il cuore le batté più rapido mentre si schiariva la voce. Aveva una domanda sulla punta della lingua, ma temeva per la risposta. Era anche vero, però, che se non ci avesse provato non avrebbe nemmeno potuto conoscere l'esito. Prese coraggio e lo guardò. << Posso dormire con te? >> chiese piano. 
Gli zaffiri di Deimos le planarono di colpo addosso. << No. >>
<< Perché? >> ribatté lei, spalancando gli occhi con una punta di delusione. 
Lui la studiò intensamente, cogliendo nelle iridi ambrate una tristezza malamente camuffata che attivò una pressante morsa nel suo stomaco, poi riprese ad infilarsi gli anfibi neri come se nulla fosse. << Sbavi >> disse lapidario. 
Gea sorrise e si portò una mano sul petto. << Giuro di non sbavarti. >> 
<< Non credo nei giuramenti. >> 
<< Allora te lo prometto. >> 
Deimos le rivolse un sorrisino sfrontato. << Non credo neanche alle promesse. >>
La ragazza lo fissò stizzita. << D'accordo, hai chiarito il concetto >> proferì prima di alzarsi con l'intenzione di raggiungere il proprio sedile. La prossima volta ci avrebbe pensato come minimo una cinquantina di volte prima di fargli una domanda di quel genere. Insomma, aveva un orgoglio anche lei. 
<< Ti arrendi così presto? >> la canzonò divertito. 
<< Dovrei forse pregarti? >> ribatté lei, allungando una gamba alla ricerca di appoggio. << Non mi vuoi, ottimo, sopravviverò >> aggiunse acida. 
<< Vieni qui >> le ordinò all'improvviso, severo. 
Gea voltò il capo per guardarlo con circospezione mentre il cuore ricominciava a pomparle in fretta. Notò che i suoi zaffiri erano tornati impenetrabili, l'espressione autoritaria di un guerriero. 
Sviò da quello sguardo sollevando il mento con fare altezzoso. << No. >> 
Prima che compiesse gli ultimi movimenti, Deimos la agguantò per un braccio e la strattonò all'indietro, facendola ricadere sui sedili. 
<< Ma che modi sono? >> sbottò Gea, scostandosi i capelli dal viso irritata. 
<< Impara a non farmi ripetere le cose due volte >> pronunciò il ragazzo in tono quasi minaccioso. I loro occhi si incastrarono come maglie di una catena. Oceano e lava liquida. 
<< E tu impara a rispettare un no >> sibilò lei perentoria. 
Le labbra di Deimos si incurvarono in un sorrisetto arrogante che le fece alzare gli occhi al cielo esasperata. 
<< Sei insopportabile >> borbottò mentre si distendeva. << E odioso. >> Un secondo dopo picchiò forte la testa contro lo sportello. << Oddio, che male >> mugolò massaggiandosi la tempia. << E smettila di sghignazzare come una iena >> aggiunse trucidandolo con un'occhiata. 
Con un sorriso compiaciuto, le fece cenno di spostarsi più su un lato. 
Gea sbuffò e smanettò istericamente. << Cosa sei, una balena? Ci entrerebbe pure un mammut obeso >> brontolò mentre si aggiustava sul ciglio. << Più di così c'è solo la morte, quindi non mi chiedere di andare ancora oltre. >> 
<< Va' un po' più in là >> la provocò stendendosi dietro di lei, per poi puntellarsi su un gomito. 
La ragazza ruotò il capo di scatto. << Stai scherzando? >> Poi, notando che lui la stava osservando con un sorrisetto derisorio, abbandonò il nervoso e decise di girarsi totalmente dalla sua parte. 
<< Mm >> mugugnò facendosi più piccola. << Buonanotte, antipatico >> pronunciò adagiando la fronte sul suo petto. 
Deimos abbassò il capo per sondarle il volto. 
Ancora una volta, la sua mente si affollò di pensieri che la riguardavano. Era un meccanismo spontaneo e che gli risultava impossibile da controllare. 
Così, con gli occhi della mente, la rivide sotto di sé, con quelle iridi luminose e calde che lo guardavano, col sorriso che aveva cercato di nascondergli quando aveva sputacchiato sulla sua maglietta, con la tristezza mista a paura che spesso offuscava la consueta vivacità del suo sguardo. Il flusso delle sue riflessioni virò bruscamente sui due elementi che le davano la caccia. 
Senza che accorgersene, strinse i denti e contrasse i muscoli. Ma poi, vedendola che si rannicchiava più vicina al suo petto, quella sensazione che gli aveva indurito i tratti allentò lievemente la morsa. 
La ispezionò in silenzio, mentre i suoi pensieri riconvergevano su di lei. 
Sollevò un braccio e lo dirottò verso una sua gamba. Scivolò delicatamente, con la punta delle dita, a fior di pelle, risalendo verso il fianco, gli zaffiri incantati sulla propria mano. 
Gea scostò il viso per guardarlo nella semioscurità, il cuore impazzito e le tempie martellanti. 
Si accorse che la maschera di piombo che rivestiva quegli zaffiri misteriosi si era leggermente incrinata, rendendo visibile una crepa di inquietudine. E subito dopo rilevò un altro particolare: la mascella debolmente serrata 
Appoggiò il palmo aperto sul suo petto e cercò i suoi occhi. << Cosa c'è? >> domandò, il tono carezzevole come una soffice coperta di lana. 
A quel punto Deimos interruppe il movimento della mano e la guardò. 
Trascorsero i secondi, poi i minuti, senza che il silenzio venisse spezzato, senza che il loro contatto visivo si sciogliesse. 
Deimos si perse completamente in quelle pozze d'ambra, ci sprofondò con tutto il corpo, con ogni pensiero. Le strinse il fianco e si calò piano su di lei, percependo il suo respiro farsi man mano più rapido. Poi premette le labbra sulle sue e chiuse gli occhi. 
Dapprima rimase con la bocca sulla sua, senza muoverla, poi, adagio, la dischiuse. 
Gea sentì le proprie labbra essere accarezzate come il velluto, avvolte e lambite in un bacio che sapeva di emozioni inesprimibili, di una dolcezza nuova e sconosciuta capace di renderlo quasi incerto nei tocchi delicati. 
Alla fine si distanziò, ritrasse il capo per scrutarla ancora una volta. Le vide spuntare un piccolo sorriso di contenuta felicità, poi se la ritrovò appallottolata contro il petto, con un braccio che gli cingeva la vita.  
Ma, di nuovo, non la scostò. La tenne lì, al sicuro, sotto il suo sguardo, finché le palpebre non gli divennero pesanti e il contatto col presente non svanì gradualmente. Poi ci fu solo il buio. Il buio caldo. 







  
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