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Autore: Cialy    07/10/2016    4 recensioni
È solo diverse ore più tardi, sdraiato nel buio nella tenda che divide con Lori, con il gomito di Carl che gli punge il fianco, che ripensa a quella sensazione, alla violenza della sua paura. Gli ha lasciato in bocca un sapore amaro, un retrogusto che, se si sforza, riesce a ritrovare persino adesso, che gli ricorda il nodo alla gola che avvertiva mentre varcava la porta di casa, dopo essersi svegliato dal coma, e la trovava deserta. Si sente sciocco a darci così tanto peso; è teso e Sophia è appena scomparsa, è solo normale volere che il suo gruppo sia al sicuro. Soprattutto la sua famiglia. E soprattutto Daryl. [Rick Grimes/Daryl Dixon | parti in canon & parti AU]
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Daryl Dixon, Lori Grimes, Merle Dixon, Rick Grimes
Note: AU, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Beta: Fireflie
Disclaimer: I personaggi della storia appartengono ai rispettivi proprietari e creatori, che ne detengono i diritti. Nulla di ciò è scritto a scopo di lucro.
Note:
• Scritta nel lontano (!) 2015, in occasione del compleanno di Ale. ♥
• La fic contiene scene AU alternate a scene completamente in canon, che seguono gli avvenimenti del telefilm fino all'inizio della sesta serie, tenendone però conto in maniera molto vaga.
• Il titolo viene dai Barcelona. E non c’entra niente, ma mi ero rotta e il tempo stringeva.



Come back (when you can)



altrove | 01.

Rick è nuovo da quelle parti. Appena uscito dall’Accademia, con la divisa perfettamente liscia e curata che ancora sa di chiuso, il cappello rigido e privo del minimo granello di polvere, il distintivo lucidato e ripulito, perché si prende ancora il tempo di farlo ogni giorno. È nuovo ed è per questo che gli toccano i compiti peggiori che nessuno dei suoi colleghi vuole svolgere.

Il vicesceriffo gli lancia un ghigno storto, mentre gli indica la coppia di uomini seduta alla scrivania in manette e, con un tono divertito, gli ordina: «Va’ a prendere le loro deposizioni.»

I Dixon li conosce di fama – nei dintorni li conoscono tutti – e il numero di volte che il maggiore dei due, Merle, si è fatto un giro in centrale non si potrebbero contare nemmeno su due mani. Lo guarda con sufficienza mentre si avvicina, piegando la bocca di lato in un sorriso storto per borbottare al fratello, a voce abbastanza alta perché Rick possa sentirlo comunque, «Guarda un po’, ci mandano il novellino.»

L’altro uomo, Daryl, non reagisce al suo commento. Al contrario di Merle non lo guarda, si limita a fissare un punto imprecisato del pavimento e a muovere le spalle nervosamente, come se volesse essere ovunque tranne che lì. E trattandosi della stazione di polizia, probabilmente è così.

Non lo conosce bene; lo ha visto in città, lo ha fermato tempo fa insieme al vicesceriffo per fargli delle domande su un trafficante di passaggio e nulla più. Quello che sa, lo sa grazie a Merle che, ogni volta, non trova altro da fare che parlargli di quanto suo fratello minore sarebbe perduto senza di lui. A vederli adesso, Rick non riesce a non pensare che, senza di lui, forse Daryl starebbe decisamente meglio.

«Allora,» comincia, sedendosi di fronte a loro. Getta uno sguardo alla cartelletta che lo aspettava sul ripiano della scrivania e riprende, «qui c’è scritto che avete aggredito il signor Brown, il droghiere. Con una mazza da baseball.»

Merle scoppia in una risata roca, da fumatore. « ci sono scritte stronzate.» Lo guarda con sfida, come se il poliziotto fosse palesemente dalla parte del torto, e Rick leva gli occhi al cielo. «Il signor Brown,» ripete Merle, scimmiottandolo, «ha avuto quel che si merita. Non si insultano i Dixon e la si passa franca.»

Fa ciò che può per ignorarlo. «Il droghiere afferma che siete entrati nel negozio urlando e, prima ancora di capire cosa stesse succedendo, le vetrine e parte dei mobili erano distrutte.»

«Ci puoi scommettere che lo fossero,» ribatte Merle, sul viso un ghigno compiaciuto.

Rick esamina nuovamente il rapporto, rileggendolo con attenzione alla ricerca del nome di Daryl. Gli è bastato passare quel poco tempo in loro compagnia per avere la sensazione che il Dixon più giovane abbia poco a che fare con quella storia e vi sia stato trascinato dentro senza volontà. Se così fosse, farebbe di tutto per tirarlo fuori da quella centrale il prima possibile, liberandolo dalle manette e, soprattutto, dalla presenza incombente di suo fratello. Ma il numero ‘due’ troneggia chiaro nella descrizione fatta dal signor Brown e, quando rialza la testa, sente una morsa di delusione stringergli lo stomaco.

«Daryl,» comincia, ignorando l’occhiata persistente di Merle, «non hai niente da dire?»

L’altro alza lo sguardo su di lui, sorpreso dell’improvviso interesse, ma basta un attimo perché la sua espressione si faccia chiaramente ostile. «No,» sbotta, per poi ripiombare in un silenzio ostinato.

Merle esplode in una risata aspra, ma prima che possa aggiungere qualcosa Rick sente il suo collega chiamarlo, «Grimes, vieni qui.»

«Dobbiamo lasciarli andare,» riprende quando lo raggiunge, indicando i Dixon con un cenno del capo. «Il droghiere ha ritirato la denuncia.»

Ovvio, pensa Rick; ha visto succedere la stessa cosa milioni di volte e non può dire che sia sorpreso. Con uno sbuffo, lascia cadere la cartelletta con la deposizione, ormai inutile, su una scrivania e prende la chiave delle manette.

Non ha nemmeno bisogno di annunciarlo, perché, appena si riavvicina, Merle salta in piedi e si gira di spalle per porgergli le mani. «Era ora, cazzo,» sbotta, senza nemmeno tentare di nascondere il suo sorriso trionfante.

Si massaggia i polsi, allontanandosi poi di qualche passo per urlare qualcosa al vicesceriffo che lo aveva arrestato. Rick si avvicina a Daryl, in piedi anche lui, e mentre gli gira intorno non può fare a meno di osservarlo nuovamente e sentire nuovamente quella stupida preoccupazione.

«Dovresti stargli lontano, o continuerà a trascinarti in questi casini,» mormora dietro di lui. Daryl lo guarda da sopra una spalla come se fosse improvvisamente impazzito e, saltando via appena appena è libero, mette tra loro spazio. «Che cazzo te ne frega?» replica brusco.

Non sa che rispondere. Si dice che è suo dovere, o qualcosa del genere, che un criminale in meno fa sempre comodo, ma gli occhi di Daryl lo stanno accusando di qualcos’altro, qualcosa che non riesce a capire. «È il mio lavoro, me ne frega,» è la risposta che ha la prontezza di mettere insieme, ma la sente insufficiente e banale non appena le parole gli escono di bocca.

L’altro scuote la testa, borbotta un, «fottuto poliziotto,» tra sé e poi, dopo avergli lanciato un altro sguardo a metà tra l’ostile e il confuso, si allontana per raggiungere Merle, che gli sta tenendo aperta la porta della centrale.

«Cazzo voleva quello?» lo sente domandare.

Daryl si limita a scrollare le spalle e uscire. Si gira indietro solo una volta, fissandogli gli occhi addosso attraverso il vetro, poi scompare lungo la strada.

«Con la fortuna che abbiamo, li rivedremo presto,» borbotta il collega al suo fianco. Rick spera di no e, in parte, di sì.

*



qui e ora

Daryl torna dalla caccia con una ferita sanguinante sul braccio. È solo un graffio, forse prodotto da un ramo spezzato o da qualche arbusto, ma Rick impiega diversi istanti a rendersene conto; lo strappo di panico che avverte nello stomaco è più veloce della sua capacità di raziocinio e ha già compiuto un passo verso di lui prima di capire: non è niente, non è assolutamente niente. Non è un morso, non è un foro da proiettile, e, quando riesce a spostare gli occhi sul viso dell’altro uomo, finalmente nota il ghigno storto e, l’attimo dopo, anche i tre conigli morti nella sua presa.

La morsa di panico viene rimpiazzata abbastanza in fretta da un sollievo quasi divertito e i passi che muove adesso sono per posargli una mano sulla spalla e dirgli ben fatto.

È solo diverse ore più tardi, sdraiato nel buio nella tenda che divide con Lori, con il gomito di Carl che gli punge il fianco, che ripensa a quella sensazione, alla violenza della sua paura. Gli ha lasciato in bocca un sapore amaro, un retrogusto che, se si sforza, riesce a ritrovare persino adesso, che gli ricorda il nodo alla gola che avvertiva mentre varcava la porta di casa, dopo essersi svegliato dal coma, e la trovava deserta.

Si sente sciocco a darci così tanto peso; è teso e Sophia è appena scomparsa, è solo normale volere che il suo gruppo sia al sicuro.

Soprattutto la sua famiglia. E soprattutto Daryl.

È una riflessione sciocca, che gli sale alla mente senza nessun motivo e che tenta di scacciare subito, appena un respiro dopo, senza avere successo. Con uno sbuffo d’aria spalanca gli occhi e si alza, raccogliendo la propria cintura con le armi e uscendo dalla tenda. Ha bisogno di camminare, muoversi e, nello specifico, impedirsi di pensare.

*



altrove | 02.

Il negozio di attrezzature da campeggio si trova ai margini della città. Rick rammenta di averlo visitato qualche volta insieme a Shane, quando insisteva per trascinarlo a pescare nei week-end e dovevano puntualmente fermarsi a comprare tutto il necessario, nonostante tentasse di spiegargli che, pur sforzandosi, pescare non gli sarebbe mai piaciuto.

Il ricordo – e il pensiero di Shane, seguito immediatamente da quello di Lori – si porta dietro un sapore amaro e un peso sullo stomaco. Rick tenta di scacciarli premendosi una mano sugli occhi e aprendo la porta del locale.

Il suo ingresso viene accompagnato da un leggero scampanellio e, dall’altra parte del bancone, dal saluto del commesso. Daryl Dixon lo conosce giusto di vista; qualche cenno per strada quando si incrociavano, due chiacchiere fatte in coda al supermercato e l’aver assistito a una lunghissima discussione tra lui e Shane su quale fosse l’esca migliore per prendere pesci da fiume: le loro interazioni non sono mai andate oltre questo, eppure Rick si è sempre sentito un po’ incuriosito dall’altro, senza avere mai avuto modo di capirne il motivo.

Adesso, l’uomo osserva i suoi movimenti distrattamente, i capelli sugli occhi, mentre sfoglia una rivista di moto da corsa, e Rick si avvicina alla sezione sacchi a pelo, come se sapesse cosa sta facendo.

L’idea di andare in campeggio è stata di Carl, ovviamente, e non ha potuto dirgli di no. Gli ha invece proposto di portare Sophia con loro e il ragazzino è stato estatico. Così adesso si ritrova a dover preparare un viaggio nei boschi senza avere esattamente idea di come procedere, affidandosi solo a sfocate reminiscenze del passato.

La sua confusione deve apparire lampante, perché, dopo essersi schiarito la gola, la voce di Daryl lo raggiunge. «Ti serve una mano?»

Rick si volta con un’espressione colpevole, come colto in fallo, e si stringe nelle spalle. «Credo di avere solo una vaga idea di come si monti una tenda,» esordisce, con un leggero imbarazzo.

L’altro si sforza appena di nascondere una risata, poi fa il giro del bancone. «Vacanza con la famiglia?» domanda; il tono canzonatorio è appena percettibile e Rick quasi gli è grato.

«Mio figlio,» si ritrova a spiegare e, prima che possa rendersene conto, aggiunge, «Io e sua madre abbiamo appena divorziato.»

Daryl, adesso fermo accanto a lui, gli rivolge una strana occhiata comprensiva. Non dice nulla, solleva l’angolo della bocca e si limita ad un mugugno di assenso che non sa bene come interpretare. Un quarto d’ora dopo, ha ammassato sul bancone tutto ciò che, apparentemente, gli sarà necessario per il campeggio e ha iniziato a spiegargli cose come il giusto modo di piantare una tenda e che terreno scegliere per posizionare i picchetti. Lo ha osservato momento per momento, incuriosito da ogni sua azione e parola, e ha dovuto raddoppiare lo sforzo per tenere viva la sua attenzione, perché, di tanto in tanto, si scopriva a concentrarsi sui movimenti delle sue dita o sul suo viso, invece che ascoltare le sue spiegazioni.

Non passa molto tempo prima che si arrenda. «Sarebbe molto più semplice se venissi con noi,» si ritrova a dire all’improvviso, l’espressione divertita. La frase gli è salita alla gola spontanea, istintiva, e, se ci riflette, basta poco per realizzare che è sincera. Si schiarisce leggermente la gola e stempera l’imbarazzo aggiungendo, «Mio figlio sarebbe molto impressionato.»

Daryl dà nuovamente forma a quel ghigno storto di poco prima, mentre una luce divertita gli illumina lo sguardo. «Porteresti tuo figlio in campeggio con uno sconosciuto?» ribatte.

Rick ride, scuote la testa come rendendosi conto dell’errore. «Lori mi ammazzerebbe,» afferma. Ma di chiuderla lì non ne vuole sapere, non davvero. È in un moto improvviso di audacia che riprende, «Magari allora dovremmo conoscerci meglio.»

C’è un momento di silenzio, in cui Daryl gli lancia un’occhiata di sbieco e lui pensa che forse sarebbe il caso di togliere il disturbo e fingere di non aver parlato. Ma poi l’altro sorride e fa un breve cenno di assenso col capo. «Buona idea.»

*



qui e ora

Daryl lascia la prigione spesso, per dei giri di ricognizione necessari a mappare il territorio circostante o semplicemente per raccogliere provviste. È una routine, ormai, spalancare il cancello e vederlo uscire in moto; Rick si sorprende spesso a seguire la sua sagoma che si allontana dal tetto del camper finché non si fa troppo piccola e scompare, inghiottita dalla macchia d’alberi.

La cosa che lo stordisce è che, non importa quanto pericoloso sia il mondo fuori, lui non ha mai paura di non vederlo tornare. È una consapevolezza solida, invece, quella che prova; la certezza, quasi, che Daryl riapparirà, che non li abbandonerà mai, non importa quanti zombie – o peggio – possa incontrare sulla sua strada.

Quando il cancello si riapre e la motocicletta di Daryl rientra rombando nel cortile del carcere, Rick è lì ad aspettarlo. Gli basta un’occhiata per sapere che nulla sia andato storto, o, se è successo, che l’altro sia riuscito comunque a cavarsela. Spende i minuti successivi ad ascoltare il suo breve racconto su quanto ha visto e sulle cose che ha raccolto, senza nemmeno rendersi conto di rimanere a fissarlo tutto il tempo.

«Che c’è?» gli domanda Daryl, un po’ bruscamente, interrompendosi a un tratto.

Rick si riscuote; scrolla le spalle per sbrogliarsi dall’immobilità in cui è caduto, ed è in quel momento che il pensiero lo colpisce: Daryl gli è indispensabile, forse più di chiunque altro, e non ha paura di guardarlo andare via quasi ogni giorno perché sa, anzi ne è certo, che la sua lealtà nei propri confronti è indiscutibile.

«Un tempo non l’avrei mai detto,» comincia, con un mezzo sorriso sul viso, «che avrei potuto contare su di te così tanto.»

L’altro lascia uscire uno sbuffo divertito e lo guarda storto per un momento, prima di spostare gli occhi altrove. «Dovevi conoscermi meglio,» replica quasi distrattamente, prima di allontanarsi.

*



altrove | 03.

Daryl è un ragazzino ossuto e magro, piuttosto alto; è uno dei pochi a portare i capelli lunghi in città e un gilet di jeans con delle spille di gruppi musicali. È il genere di persona da cui suo padre si è raccomandato ripetutamente di stare lontano e, ogni volta che lo incontra, Rick non può fare a meno di sentirsi quegli avvertimenti risuonare forte nella mente, come amplificati da un megafono.

Per cui, non è seriamente sorpreso quando succede.

È nel negozio di alimentari del quartiere e, per prendere una confezione di latte troppo in alto nello scaffale, ha dovuto chiedere aiuto alla commessa. La donna, vecchia amica di sua madre, ne ha approfittato per informarsi sullo stato della sua intera famiglia, dando così le spalle a buona parte del negozio per minuti interi.

Della presenza di Daryl, Rick non si era ancora accorto; lo vede con la coda dell’occhio aggirarsi per gli scaffali proprio in quel momento e un campanello d’allarme gli trilla in testa; impegnato com’è a ripetere alla signora Clarkson che sì, suo padre si è perfettamente ripreso dalla storta alla caviglia del mese scorso, però, non ci bada. È quando Daryl guarda rapidamente verso di loro e, con un movimento svelto, si infila un pacco di cioccolate sotto il gilet, che il campanello di allarme diventa impossibile da ignorare.

Rick sgrana gli occhi e spalanca la bocca per dire qualcosa, attirando l’attenzione della proprietaria sulla scena alle sue spalle. Quello che accade dopo è troppo veloce perché lui possa ricostruirlo con attenzione: la signora Clarkson incolla gli occhi su Daryl e inizia ad strillare, Daryl afferra un altro pacco di dolci e lo lancia a Rick, urlando: «Corri!», e prima che lui possa rendersi conto di cosa sia successo, sta facendo esattamente come gli è stato detto e, al seguito dell’altro ragazzo, sta scappando fuori dal negozio.

Le urla della proprietaria li accompagnano fino all’isolato successivo, quando svoltano l’angolo a sinistra e poi di nuovo a destra per ritrovarsi in una stradina deserta della periferia. Daryl si ferma, finalmente, appoggiando i palmi sulle ginocchia per riprendere fiato e Rick, il pacco di merendine ancora stretto fra le mani, realizza con orrore che cosa ha fatto.

«Grazie per avermi coperto, amico,» gli dice con un ghigno, voltandosi a guardarlo. Ancora incredulo e col fiatone, non riesce a formulare una risposta, così il ragazzino gli si avvicina e gli prende la confezione dalle mani. «Bel lavoro.»

«Mi… hai fatto rubare,» mormora Rick, sentendosi marchiato a fuoco da quella parola, come se, nel momento in cui l’ha pronunciata, gli si fosse impressa addosso in maniera indelebile. «La signora Clarkson conosce i miei genitori!» riprende poco dopo, battendo le palpebre e realizzando quanto terribile la sua situazione sia.

«Beh, che sfiga,» è la risposta di Daryl, mentre scrolla le spalle e strappa con un gesto brusco la carta di una confezione di cioccolata per iniziare a mangiarla. Ne prende un’altra per lanciargliela e lui, nonostante lo shock, l’afferra al volo. «La tua parte del bottino.»

Lo stomaco gli si attorciglia. «Sei impazzito?» sbotta, ma sul viso dell’altro c’è solo un’espressione imperturbabile, anzi, quasi divertita. Lo osserva con un ghigno sottile e un po’ tagliente, e il cuore di Rick salta un battito per chissà che motivo.

«Avanti, ti sei divertito. Ammettilo!»

Scuote la testa, come se anche una piccola ammissione si potesse trasformare in una garanzia di colpevolezza, ma la verità è che l’adrenalina non è ancora del tutto stata rimpiazzata dallo spavento e il battito accelerato non sa bene dire a cosa sia dovuto, se alla prima o al secondo. Se ripensa alla faccia deformata dalla sorpresa e dalle urla della signora Clarkson, tutto sommato, unita all’assurdità della situazione, non riesce a non trovarla esilarante.

Scoppia a ridere prima di potersi trattenere e Daryl lo segue, lanciandogli un’occhiata saputa. «Visto?»

Fa un gesto verso la cioccolata che ha ancora in mano e, questa volta, Rick accetta l’invito. Rompe la carta e, addentandola, si rende conto che è la più buona che abbia mai mangiato.


Ovviamente i suoi genitori non gli danno tregua. Lo costringono mille volte a raccontare com’è andata, mettono su la loro migliore faccia da Siamo Davvero Molto Delusi e, quel che è peggio, lo costringono a tornare al negozio per scusarsi di persona con la proprietaria e rimborsarla con la sua paghetta, per quanto Rick si ostini a ripetere che, alla fine, le cose rubate non le ha certo tenute lui.

Lo mettono in punizione, anche, due settimane in casa senza televisione; lo accetta senza fiatare perché, ad essere onesti, sa di esserselo meritato. Sa che, nel momento in cui ha visto Daryl Dixon, avrebbe dovuto dare ascolto all’avvertimento imperante di suo padre e non dargli corda. Eppure, nonostante tutto, è consapevole che, se tornasse indietro, agirebbe in maniera identica pur conscio delle terribili conseguenze.

È proprio quando è sul punto di stare per morire di noia che, un pomeriggio, sente battere contro il vetro della sua finestra e, quando si affaccia, vede Daryl in strada che gli fa un cenno con la mano.

Rick era convinto che non lo avrebbe rivisto tanto presto. Anzi, era convinto che, al di là di qualche incontro fortuito per la città o a scuola, non gli sarebbe mai più capitato di avere a che fare con lui; fino all’attimo prima, non era nemmeno sicuro che Daryl sapesse il suo nome o, figurarsi, dove abitava. Ma a quanto pare si era sbagliato.

«Vieni a fare un giro?» gli domanda il ragazzino, indicando con un cenno del capo la bicicletta posata di sbieco sul marciapiede poco distante.

Non crede alle sue orecchie. «Sono in punizione,» replica, scuotendo la testa, e poi si affretta ad aggiungere: «Non ruberò di nuovo.»

L’altro scoppia in una risata. «Niente furti,» promette quasi solennemente, portandosi una mano al petto.

Un ghigno gli sale alle labbra. Non dovrebbe andare, lo sa; se i suoi genitori scoprissero che è uscito la durata del suo castigo si triplicherebbe, ma in casa non c’è nessuno – suo padre è al lavoro e sua madre è dal parrucchiere – e, se calcolasse bene i tempi, potrebbe tornare prima che rientrino.

Non ha mai fatto una cosa del genere, non ha mai disubbidito ai suoi, ma all’idea di andare via con Daryl lo stomaco gli si attorciglia nuovamente e la sensazione è quasi piacevole per l’aspettativa. Sentirsi così coraggioso non gli capita spesso e, lì per lì, non riesce a non credere che sia l’altro ragazzo a infondergli quell’audacia.

«Allora?» lo sente chiedere, schermandosi gli occhi con una mano per puntargli lo sguardo addosso.

«Dammi un attimo,» gli grida, e il sorriso trionfante di Daryl, per un istante, gli pare di esserselo immaginato.

*



qui e ora

Una parte di lui pensava che non lo avrebbe più rivisto. Pensava che la caduta della recinzione della prigione avrebbe segnato la loro fine e che, se Michonne era riuscita a ritrovarli per chissà quale colpo del caso, probabilmente non sarebbero stati ugualmente fortunati con tutti gli altri, Daryl compreso.

Rick non aveva voluto soffermarcisi più di tanto, non aveva voluto indugiare sulla realizzazione che ogni fatica fatta per tenere il suo gruppo vivo e unito fosse andata in frantumi; e non si era nemmeno dato il tempo per rendersi conto che di Daryl, d’ora in poi, avrebbe dovuto farne a meno. Quando il pensiero gli si affacciava alla mente, quando si concedeva dei brevi momenti per rifletterci sopra, era accompagnato da una morsa di panico, perché su di lui aveva imparato a contare, perché sapeva che sarebbe stato sempre dalla sua parte e gli avrebbe sempre coperto le spalle. Iniziava a sentirsi come privato di un braccio o di un’altra parte del corpo altrettanto necessaria alla sopravvivenza in una terra popolata quasi esclusivamente da zombie.

Alla fine, scopre di aver fatto bene a non accettare quella realtà, a non abituarvisi. Daryl gli ricompare accanto in una notte buia, all’improvviso, saltato fuori da chissà dove, e basta un attimo perché torni al suo fianco, a dimostrargli ancora una volta di essere dalla sua parte.

«Credevo…» gli dice più tardi quella notte, mentre montano la guardia e Carl dorme finalmente tranquillo in auto con Michonne. Daryl alza gli occhi su di lui e a Rick serve un secondo tentativo per riuscire a completare la frase: «Credevo che non ti avrei rivisto mai più.»

L’altro, alla sua sinistra, il fianco premuto contro il suo, lo guarda con attenzione e gli posa una mano sul ginocchio, stringendo forte. Non parla, ma è come se avesse pronunciato un anche io a voce altissima. Già in quel momento, appena poche ore dopo averlo ritrovato, Rick si sente più sicuro di sé, come se non avesse più paura di nulla. Con un sospiro, posa la fronte contro la sua spalla; non sa dire per quanto tempo restino così, immobili nella notte.

*



altrove | 04.

Il motore della sua jeep, semplicemente, decide di smettere di vivere. Succede sul ciglio di una delle strade che portano fuori città, nella boscaglia circostante, e Rick, allentandosi la cravatta nera e sbottonando i primi bottoni della camicia bianca, si abbandona contro il sedile e butta fuori tutta l’aria che ha nei polmoni, seguita da una serie di improperi.

Si concede qualche istante per meditare sul da farsi e riacquistare la calma, poi prende un respiro profondo e apre lo sportello. Il cofano si solleva con un leggero cigolio e si ritrova a fissare un insieme di parti meccaniche che sa solo vagamente come mettere insieme. Le osserva con attenzione, cercando di capire quale sia il problema, e, quando dopo una manciata interminabile di istanti si arrende, non riesce a fare altro che lasciar uscire un grido smozzato di stanchezza e disperazione.

A casa lo stanno aspettando; precisamente, a casa lo stanno aspettando per il funerale di sua moglie – la sua ex-moglie, lo corregge una voce cattiva nella sua testa – e lui è bloccato su una strada deserta con la sola possibilità di chiamare un carroattrezzi e impiegare chissà quanto a raggiungere i suoi figli e il resto della famiglia.

Sta per tornare nel veicolo per prendere il cellulare, quando sente il rombo di una motocicletta; si avvicina in fretta e sta ancora valutando se chiedere aiuto o meno, quando il guidatore rallenta e, dopo averlo superato di un paio di metri, frena e si ferma poco distante dalla sua auto.

Gli lancia un’occhiata studiandolo attentamente, poi solleva l’angolo della bocca. «Serve una mano?»

Rick è un po’ incerto; osserva lo sconosciuto per diversi istanti – i capelli spettinati, i vestiti sdruciti e l’atteggiamento da duro –, senza riuscire a decidere sul da farsi. È più portato a negare, a limitarsi a raggiungere il suo telefono e fare il numero del carroattrezzi, perché di primo acchito non si fida, ma l’altro scende dalla moto senza aspettare una sua risposta e si dirige verso il cofano aperto.

«Fammi dare un’occhiata,» gli dice, concentrandosi unicamente sui pezzi all’interno dell’automobile.

Continua ad osservarlo tra lo scettico e il confuso, studiando i suoi movimenti senza saper bene che fare; non sa dire quanto sia passato, quando l’uomo scuote la testa con aria dispiaciuta e commenta, «Niente da fare. Devi cambiare la cinghia, serve il pezzo.»

La sua voce rasposa lo riscuote dall’immobilità. «Grazie per averci provato,» mormora con un gesto del capo nella sua direzione. Poi sospira e torna verso la portiera, per infilarsi dentro e prendere il cellulare. Inizia a cercare nervosamente il numero nella rubrica, ma è appena giunto a metà elenco quando si interrompe, poggia la schiena contro il lato dell’auto e chiude gli occhi. Non arriverà mai in tempo, Carl dovrà affrontare tutto da solo, Judy dovrà accontentarsi di stare in braccio a sua zia e non ci sarà nessuno a calmarla quando il brusio intorno a lei si farà troppo violento e la bimba scoppierà in un pianto disperato. Si sente stanco, così stanco da aver voglia di sedersi lì, sull’asfalto bruciato dal sole pomeridiano, e restarci per qualche ora, incurante di tutto il resto.

Non si rende conto che lo sconosciuto è ancora lì – ed è probabilmente rimasto a fissarlo tutto il tempo – finché non parla nuovamente. «Devi andare da qualche parte?» comincia, facendo un segno con la mano verso la sua Harley. «Posso darti un passaggio, se ti serve.»

Rick riapre gli occhi improvvisamente, portando lo sguardo su di lui; gli sembra sincero, terribilmente sincero, e non può evitare di dar forma ad un piccolo sorriso. «Tecnicamente sì, dovrei,» soffia fuori, lanciando un’occhiata all’orologio da polso, per valutare esattamente quanto disastroso sia il suo ritardo.

«Un matrimonio?» domanda l’uomo, accennando al suo completo nero.

A Rick viene da ridere. «Un funerale,» lo corregge.

«Oh. Merda,» replica velocemente, passandosi una mano sulla nuca con imbarazzo. Il silenzio ristagna per alcuni istanti, poi si fa coraggio e domanda ancora: «Eravate vicini?»

La risposta gli sale alle labbra quasi con facilità. «Una volta, forse. Poi abbiamo divorziato.»

Quello basta perché l’altro sprofondi nuovamente in un silenzio impacciato. La sua espressione dispiaciuta, però, lo convince del tutto della sua sincerità e qualcosa si muove nel suo stomaco perché, d’improvviso, che questo sconosciuto si sia fermato lì sul ciglio della strada deserta per aiutarlo gli sembra l’unica fortuna che gli sia capitata nel corso della settimana.

«La cosa peggiore,» riprende, osservando la lontana linea degli alberi, «è che non vorrei essere lì per nulla al mondo.» Sospira e si passa una mano sul viso, per scacciare il disagio che prova nel fare quelle confessioni ad un estraneo. «Mi ero allontanato per stare un po’ da solo, ritagliarmi un po’ di tempo per conto mio. E guarda qua che disastro.»

Non gli arriva alcuna risposta; pensa che stia per andarsene, che l’ha definitivamente spaventato, ora che si è mostrato ai suoi occhi per l’essere miserabile che è in questo momento. Pensa che, se lo facesse, se se ne andasse, un po’ gli dispiacerebbe, perché, adesso, l’idea di ritrovarsi completamente solo lo spaventa.

L’uomo, in ogni caso, lo sorprende facendo un passo in avanti, anziché indietro. «Beh, ormai sei in ritardo, giusto? Vieni con me, ti porto a fare un giro e, quando sei pronto, ti lascio dove vuoi.»

Si ritrova ad aggrottare le sopracciglia, per un attimo di nuovo incerto delle sue intenzioni; il suo sguardo, però, gli sembra ancora terribilmente sincero – e un po’ preoccupato – e Rick vuole davvero credergli. Si muove verso di lui, indugiando ancora un po’, passandosi il telefono di mano in mano senza sapere bene dove metterlo.

«Avanti, ti farà bene,» lo incoraggia l’altro ancora una volta, «Non c’è bisogno di parlare, se non vuoi.»

Rick sposta lo sguardo lontano da lui, sulla moto, sulla strada, sulla fila di alberi che costeggiano il guardrail; si ritrova a soffiare fuori una piccola risata, perché si sarebbe immaginato di tutto tranne che di scappare via dal funerale di Lori insieme ad un estraneo. Ma, per quanto assurdo, lo sconosciuto ha ragione: non è pronto a tornare a casa, non è pronto ad affrontare amici e parenti, non è pronto ad essere una presenza stabile per i suoi figli, non ancora. Quella piccola fuga potrebbe fargli bene sul serio.

Così accetta; annuisce e dice, «Va bene.»

L’uomo sorride, un ghigno storto ma accogliente, caldo, in qualche modo, e gli tende una mano. «Daryl.»

Lui l’afferra. «Rick.» Poi lo segue verso la sua motocicletta.

*



qui e ora

Rick sa che ha bisogno di tempo. Daryl non è mai stato in grado di esprimere i suoi sentimenti con facilità e il dolore sordo che si porta addosso ora, suppone, è ancora più difficile da esprimere a voce. Sa che la morte di Beth lo ha colpito in maniera diversa da tutti loro; sa che Beth era per lui importantissima e che lo ha cambiato; sa che, in questo momento, potrebbe precipitare da un momento all’altro e quello che non sa è come impedirlo.

Non riesce a stargli addosso, tuttavia, non come fa Carol; non trova le parole o il modo giusto per invitarlo ad aprirsi, perché sa che non succederebbe, che ha bisogno di sbrigarsela da solo e andare oltre, puntando tutto sulle sue sole forze. Però lo tiene d’occhio, cerca di non perderlo di vista nemmeno per un istante ed è con i piccoli gesti che gli fa sapere di esserci, di poter diventare, all’occorrenza, la spalla su cui appoggiarsi.

La strada verso Washington si rivela più estenuante di quanto non avesse mai immaginato. Rick non è esattamente preoccupato per lui, per i lunghi periodi di tempo che passa lontano dal gruppo nella boscaglia circostante – non ne ha le energie, perché Carl e Judy assorbono tutte le sue ansie –, ma allo stesso tempo si sente teso e stanco quando Daryl non è nei paraggi, come se il suo senso dell’attenzione dovesse diventare mille volte più acuto.

È sfibrante e difficile, ma allo stesso tempo Rick non ha nessuna intenzione di privarlo di quei momenti che gli sono, evidentemente, necessari. Così non dice nulla, lo lascia andare ogni volta, scoprendosi però ad aspettare il suo ritorno; è un’azione inconscia, all’inizio, ma gli si mostra sempre più chiara ogni volta che Daryl riappare e lo scopre girato a guardare nella sua direzione, ogni volta che si fa scuro e lo trova a misurare ad ampi passi lo spazio intorno al fuoco, con la scusa di montare la guardia.

Si abbracciano una di quelle notti, davanti alle braci scoppiettanti. Daryl quasi crolla nella sua presa e Rick serra forte le braccia attorno alle sue spalle, cercando di tenerlo in piedi. Non l’ha mai visto cedere da quando hanno portato il cadavere di Beth fuori dall’ospedale e non sa cosa dire in merito, non sa cosa aggiungere a parole perché ognuna di quelle che gli vengono in mente gli risulta superflua e inutile.

Daryl lo lascia andare dopo chissà quanto e, passandosi una mano sul viso, si mette a sedere davanti al fuoco, fissando le fiamme. Lo studia per un attimo, cercando di capire se vuole essere lasciato solo o meno; quando lo vede sollevare gli occhi verso di lui, brevemente, come ad accertarsi che sia ancora lì, decide di imitarlo e sedersi al suo fianco. Fa in modo di premere la propria spalla contro la sua, per permettergli di sentire la propria presenza concreta. Daryl fa per parlare, ci prova diverse volte ad articolare qualche suono, ma alla fine scuote la testa e ammutolisce di nuovo.

«Non devi dire nulla, se non vuoi,» mormora Rick nel buio, e gli si avvicina ancora di più. Vorrebbe aggiungere che ricorda benissimo come si è sentito dopo la morte di Lori, il buco nero soffocante che avvertiva all’altezza del petto, e che quindi lo capisce, ma realizza che non ce n’è bisogno e che l’altro, probabilmente, se n’è già reso conto. Così, a sua volta, tiene il silenzio.

Daryl inizia ad allontanarsi meno spesso e per meno tempo, a partire dalla mattina dopo.

*



altrove | 05.

Il mal di testa lancinante è la prima cosa di cui Rick si rende conto svegliandosi; la seconda è la schiena nuda premuta contro il suo braccio sinistro. Per un attimo, è il pensiero doloroso di Lori ad affacciarsi alla sua mente, riportandolo indietro al momento in cui l’ha vista a letto con Shane, i corpi nudi premuti l’uno contro l’altro; ma l’attimo passa in fretta, e la concretezza del corpo di Daryl scaccia via l’immagine sfalsata di Lori e del suo migliore amico.

Gli strappa via un sorriso, mentre brandelli della notte precedente gli arrivano ad ondate intermittenti. Ricorda il barista e il modo incerto in cui gli serviva birra dopo birra, ricorda la rissa con quell’uomo, Merle, che più tardi Daryl gli aveva detto essere suo fratello; ricorda il pugno sonoro che si è abbattuto sulla sua mascella e ricorda lo sguardo ansioso di Daryl stesso mentre si affrettava a placare l’altro e portarlo fuori. Ricorda di aver pensato che sarebbe finita lì, ma invece lui era tornato, si era scusato, gli aveva offerto da bere e poi era rimasto. Avevano speso le ore successive seduti ad un tavolo del locale e, sebbene non avessero parlato molto e non ci fosse stata nessuna realizzazione improvvisa, nessun morso allo stomaco dettato dall’aspettativa, Rick era stato bene. Bene come non stava da mesi.

Gli aveva parlato di Lori, a un tratto; non sapeva come ci fosse arrivato, esattamente, ma l’aveva fatto. L’altro uomo si era limitato ad osservarlo con attenzione e poi aveva nuovamente ordinato da bere per entrambi. Lo aveva baciato nel parcheggio buio, dove si erano attardati anche una volta che i gestori del pub se n’erano andati, e Daryl si era premuto contro di lui come se non avesse atteso che quello per tutta la notte. Si erano infilati mala grazia nel suo pick-up e sul sedile scomodo avevano fatto sesso.

Dopo, Rick si era accasciato contro il sedile e aveva mormorato, «Non penso di voler ancora tornare a casa.» Era bastato a Daryl per mettersi alla guida e portarlo nel suo appartamento. Lo aveva seguito dentro, nel mezzo del disordine che vi regnava; lo aveva guardato aggirarsi per la stanza semibuia cercando di mettere a posto alla bell’e meglio e poi scusarsi, passandosi una mano sulla nuca in un gesto imbarazzato. L’attimo dopo Rick gli era di nuovo addosso, la bocca incollata alla sua, le mani che lo attiravano a sé.

Adesso, fuori il sole sta appena sorgendo e la luce che filtra dalla finestra serrata gli permette di scorgere solo sprazzi della sua espressione, mentre si gira sulla schiena e poi verso di lui. Apre un occhio e poi l’altro, ancora appannati dal sonno, e sul suo viso passa qualcosa che assomiglia alla tensione.

L’attimo successivo torna a fissare il soffitto, un punto imprecisato, mentre dice, con tono divertito, «Pare che adesso tu e tua moglie siate pari.»

Rick lascia uscire uno sbuffo un po’ frustrato, passandosi le dita sulle palpebre. «Immagino di sì.» Poi si rende conto dell’implicazione di quella affermazione e, spostando lo sguardo sul profilo di Daryl, si affretta ad aggiungere: «Non l’ho fatto per quello, però.»

L’altro dà forma a un ghigno storto. Si puntella su un gomito e incrocia i suoi occhi. «Certo che no, sei un bravo ragazzo.» Il tono è appena canzonatorio e lui vorrebbe dirgli che non è vero, non lo è proprio, ma invece si limita a ridere ancora e scuotere la testa con finta esasperazione.

Trascorrono diversi istanti così, in silenzio, senza dire nulla, e Rick deve ammettere di aver pensato che le cose sarebbero state strane, il mattino dopo, che avrebbe provato disagio e il bisogno di scappare – ha pensato che è quello che dovrebbe succedere, quando vai a letto con un tizio appena conosciuto in un bar, e per di più ubriaco marcio. Invece si sente sereno, in pace quasi, come non avrebbe mai immaginato di sentirsi dopo aver scoperto di Lori e Shane. La rabbia, la delusione, l’umiliazione sembrano un ricordo lontano, appartenuto ad una vita fa o ad una persona diversa.

Sta per scivolare verso Daryl e toccarlo di nuovo, nel tentativo di capire cos’è, in lui, che lo fa stare così, ma l’altro sceglie proprio quell’istante per muoversi, controllare l’orologio e dire, «Merle passerà a prendermi in un’ora al massimo, mi devo alzare.»

La frase gli provoca uno strappo di delusione – lo sta invitando ad andarsene? –, ma poi l’uomo gli dà le spalle per sedersi sulla sponda del letto e, quasi distrattamente, aggiunge: «Tornerò per pranzo. Puoi restare se vuoi.»

L’idea gli piace. Forse è perché non ha ancora intenzione di tornare a casa, perché non vuole affrontare Lori o Shane o chiunque altro decida di inserirsi nel suo campo visivo; è una mossa da codardi, senza dubbio, ma non ha importanza. Quello che c’è fuori dall’appartamento disordinato di Daryl, per ora, non gli interessa né lo preoccupa.

«Ok,» replica semplicemente, osservando i muscoli della schiena dell’altro uomo rilassarsi in maniera visibile.

«Bene,» lo sente mormorare dopo un attimo. Portandosi le mani alla nuca, lo osserva rivestirsi senza fretta.

*



qui e ora

Ad Alexandria, le cose iniziano a scivolare nel verso giusto con una facilità disarmante, come se quella fosse l’unica direzione in cui potrebbero muoversi. È strano e destabilizzante; non solo ritrovarsi finalmente con un tetto saldo sopra la testa, ma il recuperare anche tante piccole pratiche quotidiane – sbarbarsi la mattina, concedersi una doccia bollente a sera, indossare la divisa per buona parte della giornata – che ormai pensava appartenessero esclusivamente al passato. Ogni volta che chiude gli occhi pronto ad addormentarsi, Rick si dice che prima o poi ci farà l’abitudine; che smetterà di passare le ore a chiedersi se ciò che sta vivendo è vero o un sogno, che prima o poi accetterà che, finalmente, la fortuna ha girato dalla loro parte. Non sono salvi, forse non lo saranno mai finché i morti non resteranno morti, ma intanto possono concedersi di vivere.

Allo svegliarsi di nuovo in un letto sfatto accanto a qualcuno, invece, probabilmente non riuscirà a riabituarsi mai. Aprire gli occhi e ritrovarsi a fissare la schiena nuda di Daryl, le volte in cui l’altro accetta di fermarsi a dormire, senza curarsi delle reazioni di Carl o del resto del gruppo, gli provoca un nodo allo stomaco che si scioglie in calore non appena gli si avvicina e lo tocca, sentendolo reale e concreto. È una cosa che succede, è stata quasi un’evoluzione naturale del loro rapporto e, sebbene Rick non riesca a rintracciarne alla perfezione ogni passo, non ha nessun dubbio di essere giunto al punto in cui voleva arrivare.

Daryl si rilassa al suo tocco e si volta lentamente; ha un che di sorpreso anche lui, quando incrocia il suo sguardo, ma non dura che pochi istanti, come se bastasse quella breve manciata di secondi a dargli la certezza che non c’è nulla da temere, che può tenere bassa la guardia.

Se c’è qualcosa che Rick ama di questi momenti è proprio quell’attimo; quella tranquillità che si insinua nei muscoli dell’altro e nelle pieghe del suo viso, quel poter concedersi interi minuti – e, se volessero, persino ore – senza fare nulla, quel non dover scappare da nessuna parte, il non sentirsi il fiato degli zombie sul collo e la necessità di lottare per sopravvivere.

Non dura mai molto – perché non devono lasciare che Alexandria li renda deboli, ma in realtà, in seguito a tutto quello che hanno passato, come potrebbe? – ed è appena dopo alcuni battiti di ciglia e un mezzo sorriso che Daryl fa per alzarsi.

«Devo sbrigarmi, io e Aaron abbiamo deciso di partire presto.»

Rick non lo ferma, mai, lo lascia sempre andare, perché sa che l’altro ha bisogno di uscire dalle mura di Alexandria per i suoi giri di ricognizione e perché la sua certezza di vederlo tornare sano e salvo non vacilla nemmeno adesso. Nei giorni in cui Daryl non c’è, gli restano i ricordi languidi di quei momenti, di quelle mattine pigre, e la consapevolezza di poterlo aspettare, senza paura.


  
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