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Autore: Terre_del_Nord    08/05/2009    24 recensioni
Sirius Black e la sua Nobile Casata; gli Sherton e la Confraternita del Nord; l’Ascesa di Lord Voldemort e dei suoi Mangiamorte; gli Intrighi di Lestrange e Malfoy; le leggende di Potere e Sangue risalenti a Salazar Slytherin. E Hogwarts, i primi passi dei Malandrini e di chi, Amico o Nemico, condivise la loro Storia. UNA STORIA DI AMORE E DI GUERRA.
Anni 70. Il Mondo Magico, alle prese con Lord Voldemort, sempre più potente e feroce, farà da sfondo dark a storie d'amicizia per la vita, a un complicato rapporto tra un padre e i suoi figli, a vicende di fratelli divisi dalle scelte e dal sangue, a storie d'amore romantiche e avventurose. Gli eventi sono narrati in 1° persona da vari personaggi, canon e originali. "Nuovo Personaggio" indica la famiglia Sherton e altri OC.
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HABARCAT (Chap. 1/20) *** ORION (Chap. 21/24) *** HOGWARTS (Chap. 25/39) *** MIRZAM (Chap. 40/52) *** STORM IN HEAVEN (Chap. 53/62) *** CHAINS (Chap. 63/X) *** FEAR (Chap.97/) ***
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VINCITRICE 1° TURNO "Harry Potter Final Contest"
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Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, Mangiamorte, Nuovo personaggio, Regulus Black, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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- Questa storia fa parte della serie 'That Love is All There is' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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That Love is All There is

Terre_del_Nord

Slytherin's Blood

Hogwarts - II.013 -  31 Ottobre 1971

II.013


Meissa Sherton
Castello di Hogwarts, Highlands - dom. 31 ottobre 1971

Quando mi svegliai, la camera era ammantata dal classico colore verdastro e subito, come dei rapidi flash, mi passarono davanti agli occhi le scene della sera precedente, l’allegria per la vittoria, il divertimento della festa poi lo spavento quando avevo capito che se le stavano dando, infine l’intervento dell’insegnante. Narcissa Black mi aveva fatto scendere nei dormitori di corsa, così non sapevo che cosa ne fosse stato di mio fratello. Avevo paura per lui, già l’anno prima, a causa di una zuffa con Malfoy, aveva rischiato di essere espulso. Mio padre stavolta non gliel’avrebbe fatta passare liscia, se fosse stato coinvolto in qualche modo. E poi i Grifoni… Merlino, per tutto il giorno si erano comportati come dei pazzi… Non capivo che cosa fosse successo. E Sirius? Chissà se a Grifondoro sapevano qualcosa. Speravo tanto di riuscire a parlargli, già quella mattina. Entrai in bagno, mi lavai e pettinai, misi la divisa sopra la tunica di lana ed entrai in Sala Comune, gli incantesimi di protezione ai dormitori femminili evidentemente si erano interrotti come sempre all’alba. Mi guardai intorno, la sala era tornata alle condizioni abituali, da nessuna parte c’erano segni della festa e della rissa della sera precedente. Anche il tavolo che si era distrutto, quando ci era caduto sopra Anthony Cox, era tornato intatto. Mi mossi per la stanza, diretta verso un paio di occhietti che sbirciavano da dietro la spalliera del divano, mi aprii in un sorriso e andai a sedermi accanto a Severus.

    “Allora, come se la passa l’eroe di Serpeverde?”

Snape mi guardò imbarazzato, il solito pallore appena scaldato da un po’ di rosso sulle guance. Mio fratello aveva appena detto a Narcissa di accompagnare me e Zelda di sotto, quando Wood l’aveva colpito con uno “Schiantesimo” buttandolo a terra, e solo la presenza di spirito di Severus, che si era messo a sollevare contro i nostri assalitori tutti gli oggetti che aveva a portata di mano, così da impedirgli di prendere la mira, aveva permesso a noi ragazze di raggiungere incolumi la porta dei dormitori. Non avevo idea di come e quando avesse imparato a essere così abile, Severus non faceva mai nulla per risultare appariscente. Poi urlando “Finitem Incantatem!”, l’insegnante mise termine alla battaglia ed io ero rimasta chiusa con le mie compagne nella nostra stanza, tutte ansiose di sapere qualcosa di più. Severus alzò impercettibilmente le spalle, come se l’argomento non fosse di suo interesse. Da quel poco che lo conoscevo, sapevo che esisteva, in tutto il castello, una sola persona capace di farlo aprire un po’: Lily Evans, l’unica persona capace di farlo persino ridere. Eppure, quando studiavamo insieme, o quando andavamo insieme a lezione, sapevo che anche la mia compagnia gli era gradita e che non mi considerava stupida e antipatica come le altre nostre compagne. Forse perché per me, prima di tutto, era Severus.

    “Che cos’è successo?”
    “Non lo so, Rosier ha rimandato noi ragazzi nei nostri dormitori, non so cosa sia successo dopo.”
    “Perciò non sai nulla di mio fratello...”

Fece di no con la testa.

    “Ti devo ringraziare Sev. Noi e Narcissa… ci avrebbero colpite, se tu…”
    “Difendevo solo me stesso, Sherton… Le Serpi agiscono sempre nel loro interesse, no?”

Lo guardai, la sua espressione era come sempre misurata e seria. E impenetrabile.

    “Non importa il perché. Mi hai fatto un favore e… ora sono in debito con te…”
    “Il famigerato senso dell’onore degli Sherton…”

Questa volta fui io a fare spallucce, mentre lui ghignava.

    “Saliamo a far colazione? Ormai è ora. Magari possiamo sapere qualcosa di più dagli altri…”
    “Non credo sia possibile, credo che tutte noi Serpi siamo in punizione. E se pensi di andare in cerca dei Grifoni... Lo vorrei anch’io, ma… non credo che siano messi meglio di noi. Dobbiamo aspettare Slughorn, per capire che cosa dobbiamo e possiamo fare... ”
    “Noi non abbiamo fatto nulla… Perché dovremmo stare qui? Perché dovrebbe punirci?”
    “Se la Casa è in punizione, vale per tutti, anche per chi non ha fatto niente… Non lo sapevi?”

Lo sapevo eccome, era una delle tante regole che non accettavo: per me ognuno era responsabile delle proprie azioni, e di quelle soltanto. Tante volte avevo litigato con i miei fratelli su questo argomento, loro l’accettavano, io no.

    “Lo so! E anche per questo, odio questo posto e le sue assurde regole!”

Ghignò, con l’aria di sufficienza tipica che riservava a tutti quelli che si comportavano da bambini viziati. Immediatamente, la mia faccia prese il colore porpora della vergogna.

    “Parli così perché non ti rendi conto di quello che hai, della fortuna che hai, Sherton… nel mondo in cui sono cresciuto, non c’era magia, tu non puoi immaginare cosa significhi vivere senza, e cosa voglia dire essere finalmente al proprio posto… Se ne avessi la minima idea, non ti cureresti nemmeno se certe regole siano giuste o meno… ”

Lo guardai, era dannatamente serio. Da quel poco che avevo visto del suo mondo e dai racconti di mio padre… Sì, aveva ragione… dovevo imparare ad apprezzare di più quello che la sorte mi aveva donato. E forse iniziavo a comprendere perché i miei avessero tanto insistito perché conoscessi il mondo di Severus, annoiandomi durante l’estate quando facevamo visita a Spinner’s End. Gliene avrei parlato volentieri ma immaginavo che non fosse facile per lui pensare a casa. Forse era meglio passare per una stupida, dire qualcosa di leggero e vanesio, che gli scatenasse di nuovo il suo classico ghigno sprezzante. Eppure c’era tanta curiosità in me. Quel ragazzino strano, spesso antipatico e chiuso come un riccio, era un enigma che avrei voluto in qualche modo risolvere.

    “Forse hai ragione, ma… Io spero soltanto che Rigel non si sia messo nei guai, e che stasera possiamo andare alla festa di Halloween… I miei fratelli mi hanno sempre detto che le feste qui sono bellissime!”

In effetti, ottenni il suo ghigno, ma anche una nota inconsueta nel suo sguardo, una nota di strana dolcezza. Col tempo avrei imparato che veniva fuori solamente quando pensava a sua madre.

    “Anche a me, fin da piccolo, hanno sempre raccontato delle stupende feste di Hogwarts, e, lo devo ammettere, è stato per tanto tempo uno dei motivi principali per cui volevo venire qua, il prima possibile…”
    “Credevo che anche i babbani festeggiassero Halloween!”

Rimase in silenzio. Lo guardai, la nota di dolcezza era sparita, qualcosa a metà tra dolore e disprezzo, aveva preso il suo posto.

    “Non a casa mia…”

Non replicai. Avevo capito fin dall’inizio che Severus non parlava solo di magia, non era solo quello, ciò che mancava nella sua precedente vita.

    “Ora sarà tutto diverso, Sherton, ora sono finalmente a casa, al mio posto…”

Annuii, non c’era bisogno di troppe parole. Lo guardai. Stavolta c’erano speranza e orgoglio nel suo sguardo. Quando uscì Slughorn, corremmo subito per sapere che cosa ne sarebbe stato di noi e dei nostri compagni per quel giorno, dopo la notte di follia appena passata.

    “Signorina Sherton, Signor Snape, seguitemi, il Preside vuole parlarvi…”

***

Sirius Black
Castello di Hogwarts, Highlands - dom. 31 ottobre 1971

Avevo colpito a lungo, invano, la porta della McGonagall, senza ottenere alcuna risposta. Non sapevo che cosa fare, non sapevo da chi altri andare. Ero annichilito. I miei amici erano in difficoltà e non potevo fare nulla, non avevo nessuno cui rivolgermi. Potevo andare da Dumbledore… ma non sapevo come si raggiungeva il suo appartamento. Inoltre avevo provato a uscire dal dormitorio, ma il Caposcuola sorvegliava l’uscita. Però… Forse questo significava che non aveva fatto passare nemmeno gli aggressori: a quel punto, era l’unica speranza rimasta… O forse… Non era possibile che la direttrice della Casa avesse lasciato nel cuore della notte il suo posto. Non senza una buona ragione. Qualcuno forse aveva avuto la mia stessa idea: era possibile che qualcuno, magari per ragioni diverse dalle mie, avesse avvertito la McGonagall di quello che stava per succedere nei sotterranei. Alla fine, confuso e spaventato, avevo ripreso la via del dormitorio. Speravo davvero che qualcuno fosse riuscito a evitare al posto mio a quel disastro. Perché io non c’ero riuscito. Non ero stato capace di difendere Meissa. Sarei vissuto nell’angoscia, fino a che non avessi scoperto la verità…
Rientrato in camera, avevo trovato gli altri già a letto, ma ero più che convinto che nemmeno loro dormissero. Guardai i tre letti, soffermandomi sulla figura di James. Un senso di vuoto mi prese allo stomaco: in quelle poche settimane avevo imparato ad apprezzare quei tre ragazzini come miei amici, con loro avevo superato paura e isolamento. Possibile che mi fossi sbagliato? Che fossi di nuovo solo? Che la nostra amicizia fosse già finita? Quei tre erano dei Grifoni, eppure… L’amicizia contava davvero meno della fedeltà alla Casa? Remus mi aveva difeso… mentre James… davvero pensava che le Serpi, tutte le Serpi, nessuna esclusa, non meritassero amicizia? Se essere Grifone significava questo, essere nemici sempre e comunque delle Serpi, io non sarei mai stato un Grifondoro. Non ci sarei mai riuscito. Ero confuso su quale fosse a quel punto il mio posto… Meissa… Alshain… Rigel… Mirzam… Deidra… Non avrei mai lasciato i miei amici e il mio futuro per un cravattino, quel cravattino che non stava impedendo loro di rimanermi accanto. Nemmeno Alshain, al contrario della mia famiglia, aveva ritirato le sue promesse, dopo che ero finito a Grifondoro.

    “Sirius… ti senti male?”

Mi sollevai sul gomito, dopo essermi rotolato a lungo, insonne, tra le lenzuola del mio baldacchino. Guardai alla luce della luna Remus, e di colpo rallentai il respiro: era sempre presente quando qualcuno di noi era in difficoltà. A volte non sembrava nemmeno un ragazzino come tutti noi, sempre così serio e maturo.

    “No, io… è che non ce l’ho fatta, Remus, c’era il Caposcuola alla porta…”.
    “Lo immaginavo… Vedrai che non è successo nulla, Sirius… non è facile entrare in una casa diversa, bisogna conoscere la parola d’ordine, evitare i controlli per i corridoi, ci sono Gazza e la sua gatta, e c’è Pix, e poi... c’è Slughorn nella Casa delle Serpi, come c’è la McGonagall qui da noi… stai tranquillo… non hanno il coraggio di affrontare un Professore…”

Su questo non avevo riflettuto, non era possibile penetrare davvero in un’altra Casa, soprattutto perché c’era anche un Professore che vi risiedeva. Sospirai, leggermente più sollevato. Remus come sempre era in grado di farmi vedere le cose nel modo giusto. Anche se altri pensieri ora si affastellavano nella mia mente.

    “La McGonagall non era nel suo appartamento, Remus, forse qualcun altro è riuscito ad avvertirla…”
    “E’ possibile. Perché l’idea di assaltare le Serpi era davvero balzana, oltre che sbagliata. L’avranno pensato in tanti. Domani ne sapremo di più, stai tranquillo... E riguardo a James… non avercela con lui… Cerca di capirlo: non voleva che ti mettessi nei guai con quella banda di teppisti…”
    “Anche lui, però, deve capire me! Che gli piaccia o no, Rigel e Meissa sono miei amici e solo perché non sono nella nostra stessa Casa, questo non significa… loro… James non li conosce come li conosco io, loro…”
    “Lo so, Sirius…. E lo sa anche James… non intendeva quello che ha detto, non ci crede veramente… Anche lui ha notato che non tutte le Serpi sono cattive, come non tutti i Grifoni sono buoni, solo gli ci vuole un po’ ad ammetterlo. E soprattutto, era preoccupato per te: non vuole che qualcuno possa dire…”

Allora l’aveva fatto per me, perché non m’incollassi addosso definitivamente l’etichetta di spia. Ma era proprio quella la mia natura. Non si può sfuggire al Destino del Sangue. Lo diceva sempre mio padre.

    “No, James e tutti gli altri hanno  ragione, alla prima occasione, io ho cercato di comportarmi come mi chiede il mio Sangue: se solo ci fossi riuscito, io avrei fatto la spia, quindi io non sono un Grifone, io non dovrei stare qui…”
    “Sirius…”
    “Tutte le Serpi fanno la spia, Remus, tutte… Solo per puro caso non ce l’ho fatta, ma Merlino mi è testimone se avrei voluto… E’ nel mio sangue: che mi piaccia o no, io sono come mio padre e mia madre… E’ più forte di me, anche se non voglio. Come forte è in James e in te e in Peter essere dei Grifoni… E’ così e sarà così, sempre…”
    “Ti sbagli, Sirius: io non ho una famiglia di Serpi alle spalle, ma anch’io sarei andato dalla McGonagall per questa faccenda, cosa credi? Ci sarei andato perché era giusto farlo, Sirius. Ma non ho avuto il coraggio che invece hai avuto tu. Anche se avrei potuto, perché non sarebbe stato rischioso, per me, come lo sarebbe stato per te… Lo capisci perché James ti ha fermato?”
    “Non cercare di fare il professore con me, Lupin, non ci casco! Io sarei andato, avrei fatto la spia, avrei messo nei guai i miei compagni…”
    “Chiediti il perché, Sirius… Dicono che le Serpi facciano la spia per mettere in difficoltà un nemico, ma è per questo che l’avresti fatto tu? No! Tu l’avresti fatto per salvare un amico, e perché quello che stava accadendo era sbagliato… Sei un Grifondoro almeno quanto lo è James, sicuramente più di tanti esagitati che hanno generazioni di Grifoni alle spalle e poi si comportano da teppisti! Ancora sembra che tu non te ne accorga, Black, ma io ti osservo: non c’è un giorno in cui non dimostri quanto di Grifondoro c’è in te. Sei un Amico, Black, è questo ciò che sei…”

Lo guardai. Nessuno mai, prima di Remus John Lupin, aveva preso così le mie difese, con lo stesso calore, con lo stesso entusiasmo, credendo così fortemente in me. Nessuno mi aveva mai difeso così persino da me stesso. Nella luce della luna, che si avviava placida alla sua pienezza, mi persi negli occhi caldi di quel ragazzino solo all’apparenza debole, ma assai più forte di me. E capii che era come l’avevo sempre immaginato fin dal primo momento, su quel treno. Spaziai lo sguardo sugli altri. No, non dovevo dubitare, io non ero più solo. Ero tra i miei Amici.

***

Rigel Sherton
Castello di Hogwarts, Highlands - dom. 31 ottobre 1971

Camminavo avanti e indietro, davanti all’aquila di pietra che nascondeva la scala per l’ufficio di Dumbledore: in due anni e due mesi l’avevo già vista fin troppo spesso. Guardai i miei compagni, eravamo tutti preoccupati, con il caos che si era scatenato la sera prima, Preside e Professori avevano deciso di convocare anche i nostri genitori. Mio padre odiava dover incontrare Dumbledore e venire qua, vederlo, parlargli lo indisponeva per principio, se poi la causa ero io… No, non si prospettava una bella giornata per me! Sospirai: maledetti Grifoni, se non si fossero messi in mezzo a quest’ora nessuno si sarebbe accorto di nulla. A quel punto potevo scordarmela la nuova scopa da Quidditch per Natale… E se mio padre si fosse limitato a questo, potevo dirmi fortunato! Mi aveva promesso che alla prossima che combinavo, nonostante la sicura intercessione di mia madre, mi avrebbe spedito tra le nevi di Durmstrang a calci. Guardai Lestrange, si stava ammirando sul vetro, andava proprio fiero dell’occhio nero che gli aveva fatto Wood. Ogni secondo che passava mi rendevo conto di quanto fosse idiota! Ecco un altro motivo per far inviperire mio padre: costringerlo a incontrarsi a Hogwarts anche con Malfoy e Lestrange… Lucius sembrava piuttosto tranquillo, probabilmente era talmente ignaro di quello che avevamo combinato Rosier, Rabastan ed io, che vedeva in tutta questa storia solo la maniera di mettere in punizione mezza Casa dei Grifoni e strappargli tanti punti da rendergli impossibile vincere la Coppa delle Case, per quell’anno, il suo ultimo anno a Hogwarts, ma in cuor mio pensavo che fosse impossibile che non venisse fuori pure la storia di quello che avevamo fatto a Slughorn e Pascal… E quella mio padre me l’avrebbe fatta pagare cara, anzi… in maniera esemplare. McNair uscì con il suo vecchio, l’espressione serena, tipica della spia che ha salvato la situazione andando a chiamare la McGonagall. Eppure qualcosa non mi tornava: la sera prima, quando l’avevo visto avvicinarsi con un ghigno soddisfatto ai Professori e a Rosier, avevo percepito subito qualcosa di strano, ma ancora non mi rendevo conto di cosa fosse. Come faceva a sapere dell’assalto, se per tutta la sera non si era visto in Sala Comune? Ritornavo alla sera prima con la mente, per trovare un dettaglio che mi salvasse le chiappe… Avevo appena visto Narcissa accompagnare mia sorella di sotto, ne stavo proteggendo la fuga, quando qualcuno mi aveva schiantato, ero finito a terra dolorante e immobile, senza però perdere completamente coscienza. Subito dopo avevo sentito la voce della McGonagall urlare.

    “Finitem incantatem!”

Ero voltato in direzione della porta, vidi di colpo tutti gli incantesimi e le fatture che ci stavamo lanciando cessare immediatamente. Osservai le due figure che avanzavano tra i fumi che si disperdevano, le bottiglie rovesciate, i mobili divelti, i corpi a terra, postumi di una sbronza colossale. Eravamo in un mare di guai, i Grifoni forse più di noi, ma eravamo comunque tutti in un mare di guai: io se non altro per aver introdotto quegli alcolici proibiti nella Sala Comune degli Slytherin. Rosier uscì dall’appartamento di Slughorn col Professore, seguito anche da Pascal. Forse, con un po’ di fortuna, Azkaban per quella volta avrebbe aspettato.

    “Uscite immediatamente da qui, e seguitemi dal Preside!”

I Grifoni, non eccessivamente pesti e malridotti, poiché non avevamo quasi posto resistenza, si dileguarono all’istante, guidati dalla McGonagall, che aveva rapidamente scambiato poche parole nervose con Slughorn e Pascal:

    “Rosier, Black: occupatevi dei ragazzini dei primi anni, assicuratevi che stiano bene e che vadano rapidamente a letto, poi venite da me… McNair, Mills: accompagnate Lestrange, Cox, Sherton e Malfoy in infermeria… Carrow, Dolohov, Crabbe, datevi da fare a rimettere in piedi questa manica di pecore sbronze, siete Prefetti no? Beckett, Avery, Rookwood, voglio sapere come tutto questo sia potuto accadere… e curatevi quella sbornia, per Salazar!”

Così eravamo saliti da madame Pomfrey e avevamo passato il resto della notte in infermeria, io a curarmi i postumi dello Schiantesimo e, già che c’ero, farmi rimettere a posto gli ultimi effetti della rissa della mattina, Anthony e Rabastan sghignazzarono a lungo, pur malridotti, scommettendo su quante settimane sarebbero passate prima che i Grifoni potessero uscire di nuovo dalla loro torre. Malfoy se ne stava sulle sue, non c’era nessuno dei suoi amichetti del cuore in infermeria, e probabilmente ringraziava Merlino che le cose fossero andate in quel modo, sarebbe stato a dir poco sconviene se i Professori avessero trovato lui e Narcissa insieme, invece di adempiere i loro doveri di Caposcuola e Prefetto. Così sembrava che fosse caduto sul campo, al massimo potevano rinfacciargli che avesse permesso che la festa andasse troppo oltre… Insomma, riusciva sempre a cadere in piedi, da bravo Malfoy! Mi riscossi da quei pensieri, il suono dei passi rapidi e nervosi era inconfondibile, alzai gli occhi e vidi mio padre in tutta la sua feroce magnificenza. Era completamente avvolto dal mantello nero, come al solito elegantissimo in una toga da mago verde scuro, con gli intarsi argentei di Salazar, i capelli scendevano liberi fino alle spalle, si tolse i guanti e il mantello, con un gesto imperioso li affidò a Doimòs, che gli stava dietro a stento, sulle sue gambette corte. Il cuore mi saltò un battito, aveva l’espressione che gli conoscevo fin troppo bene, al resto del mondo sembrava sempre lo stesso, impassibile, ma io riconoscevo quell’ombra particolare nel suo sguardo, quella severa che aveva anche il nonno in tutti i suoi quadri.

    “Sherton… mi fa piacere rivederti…”

Il padre di Dolohov si avvicinò e andò a stringergli la mano, subito seguito dal padre di Carrow e da quello di McNair ma, pur affabile e propenso alle chiacchiere formali, vedevo bene che non mi staccava gli occhi di dosso. Era l’unico che ponesse sempre la famiglia davanti a tutto, persino di fronte a tanti vecchi compagni e amici. Li congedò con la sua consueta grazia, poi si avvicinò a me, mi prese da parte e iniziò l’interrogatorio.

    “Voglio darti la possibilità di dirmi come stanno davvero le cose… In che cosa ti sei cacciato stavolta?”
    “Io… Noi abbiamo… abbiamo organizzato una festa per la vittoria sui Grifoni… a metà della festa, non so come, hanno fatto irruzione nella Sala Comune, io… io ho chiesto a Rosier di chiamare Slughorn, a Snape di cercare Malfoy e a Narcissa Black di portare Meissa e le altre ragazzine di sotto. Sono stato schiantato mentre le difendevo, poi ho visto entrare la McGonagall e McNair, anche se non so come l’ha saputo, lui non c’era stato per tutta la festa…”
    “Non m’interessa di McNair… Mi stai dicendo che non ti hanno colpito mentre facevi a botte… allora spiegami: perché la Pomfrey ti ha trovato una costola incrinata?”

Lo dovevo immaginare che prima di parlare con Dumbledore, avrebbe chiesto come stavo in infermeria. Annuii.

    “Abbiamo fatto a botte negli spogliatoi... ma… io non me le sono andate a cercare, te lo giuro… io ho fatto solo quello che mi hai detto tu… mi sono solo difeso!”
    “E allora perché hai quest’aria spaventata e colpevole? Sai bene che se ti fossi solo difeso…”

Mi guardò furente, era inutile portarla per le lunghe, meglio che lo sapesse prima che glielo dicessero altri. Cercai di allontanarmi ancora di più dai miei compagni, così che non sentissero; mio padre mi capì e non fece obiezioni, stavo per condannarmi all’esilio nelle nevi del Nord, con le mie stesse mani.

     “Quello che ho fatto io… forse… forse di quello ancora non si sono accorti, padre... ”
    “Figuriamoci se a quel vecchio pazzo sfugge qualcosa! Ti conviene non farmi passare per idiota davanti a quell’uomo, o giuro che stavolta te la faccio pagare… ”
    “Ecco… nei giorni scorsi, Rosier, Lestrange ed io abbiamo fatto entrare di nascosto a Hogwarts tutto ciò che ci serviva per fare festa…”
    “E deduco che non fosse esattamente materiale lecito, visto che vi siete premuniti di farlo di nascosto…”

Chinai lo sguardo, rosso in faccia. Feci no con la testa.

    “Sai Rigel… da quando mi è arrivato il patronus di Slughorn con la richiesta di presentarmi qui, stamani, subito mi sono chiesto una cosa, e credo se la stiano chiedendo anche il Preside e metà del corpo insegnante: come mai Slughorn e Pascal, pur cenando nell’appartamento, si sono accorti della presenza dei Grifoni solo quando già mezza Sala Comune era stata devastata? E come ha fatto la McGonagall ad arrivare prima di loro? E non scordiamoci della festa, a quanto pare ben riuscita: com’è possibile che due insegnanti, a pochi metri da voi, non si siano accorti di nulla?”

Mi fissava, aveva già capito. Non sapevo, però, fino a che punto.

    “E’ che… Abbiamo fatto ubriacare anche loro. Prima di dar inizio alla festa…”
    “Abbiamo? Abbiamo? Salazar! E dimmi… A tua sorella quando ci avresti pensato, mentre tu e i tuoi amici organizzavate questo bel programmino?”
    “Meissa?”
    “Sì, Meissa... Sai… Quella ragazzina di undici anni che ti avevo affidato prima di partire: te la ricordi?”
    “L’ho tenuta d’occhio per tutta la festa, te lo giuro, non le poteva accadere nulla!”
    “Ah no? In mezzo a una masnada di adolescenti sbronzi! Non solo non sei andato a dire ai Professori quello che stava per accadere, ma ti sei reso protagonista di tutto questo, persino di far ubriacare due insegnanti! Ti rendi conto che lei stessa avrebbe potuto bere per sbaglio e intossicarsi con qualche schifezza? Per non parlare del resto! O vuoi farmi credere che tu avresti organizzato tutto questo divertimento per poi restare sobrio a controllare lei?”

Era vero. Se Malfoy non avesse messo incantesimi per impedire a chi aveva meno di quindici anni di fare quello che voleva, io mi sarei dato alla macchia con Paulette o con le amichette di Lestrange, scordandomi completamente di mia sorella…

    “Questa me la paghi, Rigel… Scordati di avere più la mia fiducia incondizionata, d’ora in poi dovrai meritartela… Ti ho sempre concesso tutto quello che volevi… Una sola cosa ti ho chiesto in cambio… e tu?”
    “Scusami…”
    “Le scuse non bastano, Rigel… Devi imparare a comportarti da persona responsabile, non sei più un bambino! Di questo parleremo con calma a casa. Quando entreremo da Dumbledore, tu resterai zitto… e accetterai senza discutere tutto quello che sarà deciso, siamo intesi? Spero per te che le tue reali responsabilità non siano palesi al vecchio… perché stavolta non ho intenzione di difenderti… ”

Chinai di nuovo lo sguardo…

    “Alshain…”

Il vecchio tricheco col suo passo pesante era arrivato fino a noi, portandosi dietro Meissa e quel ragazzino, Snape: non mi ero accorto prima che erano arrivati, preso com'ero dai rimproveri di mio padre. Mi alzai e corsi verso mia sorella, non la vedevo dalla sera prima, non doveva esserle accaduto nulla perché Cissa aveva fatto in tempo a nasconderla, ma dovevo assicurarmene.

    “Non parli con sua sorella, Signor Sherton, è una testimone e non va influenzata!”

Mio padre mi tenne indietro ponendomi il bastone di traverso sul mio petto, poi con un paio di ampie falcate, raggiunse Meissa che gli buttò le braccia al collo, infischiandosene dell’etichetta. A volte la invidiavo davvero, mia sorella: sembrava che a lei fosse sempre concesso tutto ciò che io e mio fratello dovevamo sudarci. In fondo, però, non potevo dire che mio padre, pur avendo un debole per lei, si comportasse in modo ingiusto con gli altri suoi figli. Li lasciai alle loro smancerie e aspettai insieme ai miei amici il mio turno: Meissa era felice di rivedere papà dopo due mesi, mi resi conto che non l’avevo più vista sorridere come faceva in quel momento, da quando avevamo lasciato i nostri genitori sul binario di King’s Cross. Nemmeno quando era stata smistata a Serpeverde l’avevo vista sorridere come tra le braccia di nostro padre. E anche lui… non sorrideva mai in quel modo, quel sorriso era tutto e solo per Meissa. Mi guardai attorno, la maggior parte dei miei amici discuteva col proprio padre, o con le altre Serpi, alcuni erano preoccupati, altri meno. Il piccolo Severus, in qualità di testimone, aspettava dall’altro lato del corridoio, fermo davanti a Slughorn che gli teneva paternamente una mano sulla spalla: a detta di Meissa, infatti, si era già fatto notare per la sua bravura a lezione di Pozioni e, pur provenendo da una famiglia modesta, il Professore l’aveva adocchiato e lo trattava come un pupillo, riconoscendogli che era già bravo quanto sua madre alla sua età. Per tutto il tempo, però, in attesa di essere chiamato e di conoscere il mio destino, non mi piacque per niente come gli occhi dei Lestrange indugiassero insistentemente su Meissa e nostro padre. Di sicuro avevano qualcosa di losco in mente.

***

Alshain Sherton
Castello di Hogwarts, Highlands - dom. 31 ottobre 1971

Era da poco più di un anno che non incontravo Dumbledore a Hogwarts, appena entrato con i ragazzi, mi guardai attorno: lo studio era come sempre carico di una miriade di oggetti strani e affascinanti, di cui io stesso, che pure avevo una buona competenza magica, in molti casi non sapevo dire a cosa servissero. In particolare, mi affascinava, da sempre, una specie di astrolabio dorato che teneva sul ripiano più alto. In attesa che Dumbledore apparisse, tenevo la mano di Meissa, seduta al mio fianco: sapevo che l’etichetta, quando si trattava di una famiglia come la nostra, richiedeva un comportamento distaccato, ma a me non importava. Non vedevo i miei figli da due mesi e quella giornata mi forniva almeno l’opportunità di stare un po’ con loro. Non avrei perso l’occasione per niente al mondo. Anche Mei si guardava attorno, soffermandosi sullo strano uccello abbarbicato su un trespolo davanti a noi, accanto alla scrivania del vecchio: aveva l’aspetto maestoso di un’aquila reale, con il becco lungo e affusolato, lunghe zampe e due piume allungate, rosa e azzurra, sulla sommità del capo. Aveva il piumaggio variopinto: il collo era dorato, mentre le piume sul corpo erano rosse, la coda azzurra con sfumature rosee, infine le ali erano in parte dorate e in parte porpora. Sorrisi: gliene avevo parlato molte volte, ma non ero ancora mai riuscito, nei miei numerosi viaggi, a procurarmene una per lei. Risposi subito alla tacita domanda dei suoi occhi.

    “Sì, è proprio una fenice, Meissa, si chiama Fawkes e ormai da tanto tempo è la fenice del Preside.”
    “Posso toccarla?”
    “Certo che puoi, signorina Sherton!”

Non mi ero accorto dell’ingresso di Albus, preso com’ero da mia figlia. Mentre gli davo la mano con chiara insofferenza, il vegliardo osservava curioso me e i miei figli: trattenni subito una frase piccata, non potevo far correre rischi inutili a Rigel, aveva già fatto abbastanza da solo per mettersi nei guai, stavolta. Ed ero convinto che mancasse ancora qualcosa nel suo racconto. Dumbledore si sedette alla scrivania, le mani pallide ed eleganti a sostenere il suo viso quasi centenario, gli occhietti cerulei che sembravano come sempre sondare fino alle profondità della coscienza, una nuvola di capelli bianchissimi, lunghi fino oltre mezza schiena, almeno quanto la sua fluente barba. Ghignai tra me: sembrava proprio la raffigurazione del Babbo Natale babbano, a parte per la toga verde e per l’assenza di pancia. Sorrise, quasi avesse colto il mio pensiero poco convenzionale, e offrì ai ragazzi, come faceva sempre, delle cioccorane, lasciando Meissa basita: non conosceva ancora i vezzi di quel vecchio pazzo.

    “E’ tutta la vita che Fawkes è accanto a me: per fortuna, la vedi per la prima volta oggi, a pochi giorni dalla sua rinascita, nella sua piena bellezza…”

Sollevò il braccio per andare ad accarezzare la testa, Fawkes chinò il capo, osservando il suo compagno di avventure con occhi amorevoli, Meissa con un’occhiata mi richiese il permesso, io acconsentii, si alzò e si avvicinò al vecchio, accarezzò anche lei la fenice: i loro occhi sembravano parlarsi, come immaginavo.

    “Hai ereditato da tuo padre anche l’amore per gli animali, a quanto vedo…”

Voleva apparire a mia figlia come un nonno gentile e affettuoso, faceva con tutti così, all’inizio, per ottenere la loro fiducia e non mostrare subito la parte temibile del suo carattere: io stesso ci ero caduto per molti anni. In lui, da giovane, avevo visto solo un brillante professore di Trasfigurazione, un uomo pieno di abilità e carisma, non capivo perché mio padre lo temesse tanto: era un Mezzosangue, d’accordo, ma era l’uomo giusto a Hogwarts, in un’epoca in cui eravamo soffocati dall’inerzia di Dippett. Poi, in seguito alla storia di Gellert Grindelwald, molti avevano aperto gli occhi. Li avevo aperti anch’io.

    “Sei ancora spaventata per ieri sera, Meissa?”
    “Io non ero spaventata, signore…”
    “Davvero? Come mai?”
    “Ero con le mie amiche… ero… parlavamo su uno dei divani vicini al caminetto. Non mi sono accorta di nulla fin quando mio fratello mi ha detto di andare in camera mia…”
    “Quindi tuo fratello era con te quando hai visto per la prima volta i Grifoni…”

Meissa annuì.

    “Durante la festa aveva girato per la Sala, aveva chiacchierato con i suoi amici, e con Severus Snape, poi l’ho perso di vista per un po’ e, quando è tornato, era agitato: ha chiesto a Narcissa Black di portare me e le mie compagne di sotto, e poiché accanto a noi c’era solo Severus, gli ha chiesto di aiutarlo a coprirci, mentre scendevano verso i dormitori…”
    “Capisco… Quindi Rigel non stava facendo a botte e non stava istigando i ragazzini del primo anno a fare altrettanto con gli avversari…”

Meissa negò con la testa, meravigliata: era quello che volevo vedere anch’io. Vedere lo stupore di Meissa mi confermava che Rigel era stato sincero con me.

    “Ha cercato di convincermi a scendere di sotto, ma non gli ho creduto, solo quando il Caposcuola Malfoy è uscito dalla sua stanza ed è stato colpito alle spalle, ho capito….”
    “Molto bene… molto bene… la voce dell’innocenza mi ha chiarito gli ultimi dubbi... puoi andare, signorina Sherton, tra poco tuo fratello ti raggiungerà in corridoio.”

Meissa rapida si dileguò, osservandomi preoccupata, io le feci un cenno per dirle che avremmo parlato poco dopo. Dumbledore si voltò e fissò negli occhi Rigel, evidentemente ancora troppo sconvolto per capire che Meissa l’aveva appena salvato.

    “Per come mi era stata riportata la faccenda, ero propenso a firmare la tua espulsione, Rigel, perché posso tollerare tutto, ma non che qualcuno metta a rischio dei ragazzini più piccoli, istigandoli alla rissa… Per fortuna tua sorella ha fatto chiarezza. Per quanto riguarda il resto, vista la tua età e la tua inesperienza, non puoi aver eseguito incantesimi e preparato pozioni tali da rendere inabili due Professori. Sarai punito, però, per non aver denunciato quello che i tuoi amici si apprestavano a fare: spero che questo ti serva a riflettere sulle tue scelte, e che farai più attenzione alle persone che frequenti e alle amicizie di cui ti circondi… Inoltre, come il resto della squadra, sarai punito anche per la rissa del dopopartita: sarai per un mese a disposizione di Gazza, deciderà lui come utilizzare le tue ore libere e, naturalmente, non ci sarà più nessuna uscita a Hogsmeade per te, per quest’anno. E’ tutto, puoi andare… ”

Dumbledore congedò mio figlio. Lo vidi allontanarsi sollevato.

    “Nella tua scuola entrano di nascosto alcolici e altre sostanze non esattamente legali, si organizzano feste previa ubriacatura dei Professori, ci sono risse negli spogliatoi di Quidditch…”
    “Stai pensando che gli anni passano, i volti cambiano, ma le storie restano sempre le stesse… dico bene, Alshain?”

Lo fissai, avevamo già avuto un colloquio simile un anno prima, quando Rigel aveva quasi sfregiato Lucius Malfoy.

    “Mi sono illuso a lungo che la debolezza di Dippett fosse circoscritta alla sua figura, non che si ereditasse con l’incarico: pensavo fosse giusto mandare i miei figli nella stessa scuola dove hanno studiato tutti gli Sherton, ma a volte... In due mesi abbiamo avuto già l’episodio del giovane Black, ora questo… Non vorrei essere costretto a ritirare i miei figli e i fondi che generosamente elargisco… Non posso far correre loro rischi inutili solo per una vecchia abitudine…”
    “E’ strano sentirti parlare di Hogwarts come di una vecchia abitudine familiare, Alshain. Di solito i tuoi discorsi sono molto più vividi e personali, molto più carichi di progetti… Di solito ci tieni al futuro di quest’Istituzione… Che cosa è cambiato?”
    “Ci tengo ancora, Dumbledore, non ti preoccupare… E’ ancora presto, per te, per cantar vittoria…”

Sorrise, mentre il classico sorbetto al limone si materializzava davanti a sé e mi chiedeva se volessi qualcosa anche per me. Feci di no con la testa.

    “Beh… Accomodati… Questo è il genere di cose che il Consiglio non vede l’ora di sbattermi in faccia per farmi fuori! O no?”
    “Della tua sorte non m’interessa, vecchio, lo sai, quello che conta è che ai ragazzi non capiti niente…”
    “Davvero? Non l’avevo mai vista così! Non è un discorso molto Slytherin, il tuo…”

Lo guardai male, mentre i suoi occhi apparivano divertiti.

    “Non fare questi giochetti con me, Dumbledore, con me non attacca, lo sai…”
   “Hai ragione. Parliamo di argomenti più concreti. Non trovi interessante che tuo figlio sia venuto da me a dirmi il nome dell’aggressore del giovane Black e, dopo poche settimane, il responsabile del misfatto sia l’unico che riesce a contattare in tempo la McGonagall e la fa entrare nei dormitori di Serpeverde? Non trovi che sia una curiosa coincidenza?”

Lo fissai, si era guadagnato la mia attenzione.

    “Mi stai dicendo che Walden McNair è venuto ad asserire il falso su mio figlio, ovvero che Rigel pestava i Grifoni con Snape. Perché mi stai raccontando tutto questo?”
    “Perché non abbiamo ancora individuato il secondo aggressore di Sirius Black e mi chiedevo se per caso tuo figlio non avesse qualche idea al riguardo…”
    “Se stai insinuando che mio figlio…”
    “No, non è nel vostro stile, lo so… e Black è il tuo figlioccio, se non ricordo male, non è un Grifondoro qualsiasi, per la tua famiglia. Quello che mi stavo chiedendo è piuttosto quanto sia forte la lealtà dei tuoi figli nei confronti dei giovani Lestrange…”
    “Lestrange? Che diavolo m’importa di un Lestrange! Se hai sospetti su Rabastan, indaga! Questo è il genere di cose cui devi badare tu, vecchio!”
    “Mi chiedo soltanto se sia nel tuo interesse che i tuoi figli siano così intimi di una famiglia che ti ha sempre giurato morte…”
    “I miei figli sono leali a me, Dumbledore, non ti preoccupare… Togliti dalla testa le tue assurde paranoie e bada al tuo lavoro, se non vuoi ritrovarti senza!”

Mi alzai, stizzito, lasciandomelo alle spalle, ero più che convinto che mi fissasse sorridendo con la solita faccia estatica, per quanto mi riguardava, io non avevo altro tempo da perdere con lui. Uscii e senza badare più agli altri genitori presenti e ai loro figli, andai da Meissa e Rigel, che mi gettarono finalmente le braccia al collo, senza troppe cerimonie. Mentre mi raccontavano le ultime novità, accompagnandomi per corridoi, scale, cortili e sentieri, fino ai cancelli da cui era possibile smaterializzarsi, una quantità di pensieri turbinosi si accatastava nella mia mente. Certo, a ben pensarci, poteva essere tipico di un Lestrange fare una cosa del genere a Sirius: anche quando erano intenzionati a farti un favore, anche quando volevano salvarti, cercavano sempre, per se stessi, una forma di violenta soddisfazione. Agivano così da sempre. Quanto all’amicizia che legava i miei figli a quelli di Roland, però, avevo troppa fiducia in loro per temere brutte sorprese.

***

Sirius Black
Castello di Hogwarts, Highlands - dom. 31 ottobre 1971

    “Quindi hai visto tuo padre!”
    “Sì non ci posso credere, pensavo che ormai, fino a Natale…”
    “Allora non tutto il male…”

Meissa era troppo felice per arrabbiarsi, ma mi lanciò lo stesso un’occhiata che non prometteva nulla di buono. Mi morsi la lingua e non continuai per quella strada, l’importante era che parlasse con me, se poi non parlava con gli altri Grifoni, pazienza. La Sala Grande si stava riempiendo, noi aspettavamo all’ingresso, ritagliandoci ancora qualche secondo prima di entrare e andare dai nostri rispettivi compagni. Vedevo già da lì la bellezza delle decorazioni, come avevano detto Meda e Cissa, le feste a Hogwarts erano sempre grandiose: tutta la stanza era ammantata dal caldo colore arancio e dal nero più oscuro, su tutti i tavoli c’erano candele all’interno delle classiche zucche, ritagliate con la faccia di Jack O’Lantern, ovunque c’erano raffigurazioni di finti ragni, finti gatti neri, scheletri, rospi e ogni altro essere legato alla tradizione di quella festa. Meissa sbirciava dentro, meravigliata: mi chiedevo se, a Herrengton, Halloween si festeggiasse in quel modo, perché dopo aver visto la festa di Yule, credevo che tutte le feste del Nord fossero diverse da quelle degli altri maghi.

    “Poteva finire peggio, se è questo che vuoi dire, temevo davvero che stavolta mio padre avrebbe spedito Rigel a Durmstrang!”
    “Ma lui non ha fatto niente!”
    “Non lo so, deve aver combinato qualcosa, perché papà è uscito furioso dallo studio di Dumbledore, ma non ho idea di cosa si tratti.”
    “L’importante è che sia rimasto qui. Anche se… Voglio dire…”
    “Sì, non è facile, lo so: un mese da Gazza, niente visite a Hogsmeade, i punti guadagnati ieri azzerati, trecento punti di meno sia a voi, sia a noi… Appena gli sarà passato lo spavento, sarà furioso!”
    “E gli altri?”
    “Tutti i Prefetti e il Caposcuola sono nei guai, inoltre ci sono Rosier e Lestrange che hanno una punizione speciale e un’ammonizione: se ne combinano un’altra sono subito fuori…”
    “Il motivo?”
    “Non lo so… Non ne ho idea… I Grifoni invece?”
    “La squadra è in punizione come tuo fratello, in pratica quest’anno il campionato di Quidditch e la Coppa delle Case saranno una questione tra i Tassi e i Corvi. Noi, come voi, siamo fuori. Inoltre i ragazzi trovati nei sotterranei sono anche loro ammoniti e rischiano l’espulsione alla prima mossa sbagliata… Però, secondo me, sotto c’è qualcosa di strano…”
    “Che cosa vorresti dire?”
    “Da noi si dice che i Prefetti di Serpeverde e Malfoy usciranno da Hogwarts anche con una nota di demerito, che Pascal sarà allontanato alla fine dell’anno e che Dumbledore ha vietato a Slughorn le serate del suo club per tutto l’anno… Insomma c’è qualcosa che Dumbledore solo sa, e che coinvolge tutte queste persone…”
    “Non ho idea di cosa possa essere, Sirius… Io credevo fosse solo questa festa di Slughorn, per ovvi motivi, a essere andata a monte… A parte questo, però, ieri sera metà della Casa era davvero uscita di testa, forse qualcuno ha messo qualcosa di strano nelle bibite…”

Feci spallucce: visto che razza d’individui bazzicavano nei sotterranei, mi sembrava il minimo, ma mi pareva strano che personaggi come mia cugina o Malfoy si mettessero agli stessi livelli, compromettendo la loro carriera. Cambiammo discorso, mi diede una lettera di suo padre per me, e ci accordammo per passare insieme il resto della serata, appena finita la cena: fu allora che vidi Remus, James e Peter, accodati agli altri Grifoni, che si preparavano a entrare. Feci a meno di guardare James, a Meissa la cosa parve subito strana e sospetta.

    “Che novità è questa?”
    “Quale novità?”
    “Non sei più amico di Potter?”

Non c’eravamo parlati, quel giorno, anche se io avrei voluto chiarire la cosa il prima possibile e, dalle occhiate che mi lanciava, sembrava che lo volesse anche lui. Eravamo troppo orgogliosi, entrambi, così diceva Remus: nessuno dei due voleva fare il primo passo.

    “Abbiamo bisticciato, aspetto che mi chieda scusa…”
    “E se non te lo chiedesse?”

Sospirai. Meissa mi strinse la mano e mi trascinò dentro. I fantasmi stavano imperversando nella Sala e tutti i ragazzini erano entusiasti di quello spettacolo esaltante, a parte quelli che casualmente si ritrovavano sulla loro scia e sentivano il gelo improvviso causato dal loro passaggio.

    “Ci vediamo più tardi, Sirius, cerca di far pace con James! Così, poi, la festa ti sembrerà più bella!”

Corse via, allegra, lasciandomi con un senso di felicità che pareva espandersi dalla mano che finora aveva tenuto stretta nella sua. Andai a sedermi al mio posto, accanto a James, con il sorriso stampato ancora in faccia, Remus e Peter erano seduti di fronte a me, il Preside ci augurò buon appetito e ci invitò darci da fare, mentre all’improvviso i piatti si riempirono di ogni leccornia. Per un paio di volte, mentre cercavo di prendere qualcosa sul tavolo, intercettai la mano e lo sguardo di James, ma nessuno dei due fece la prima mossa: Remus era sempre più nervoso, ormai si tratteneva a stento dal dirci qualcosa perché la smettessimo di comportarci da stupidi. Io sapevo che aveva ragione, ma… ogni volta che provavo a parlare, sentivo la voce morirmi in bocca. Peter intanto si strafogava senza alcun pudore, ma dovevo ammettere che aveva ragione, per la festa, gli elfi delle cucine avevano dato il meglio di sé e guardandomi attorno, sia al mio tavolo, sia tra quelli delle altre Case, ovunque vedevo ragazzini, più o meno grandi, in visibilio per la quantità e la bontà delle pietanze. Io non vedevo l’ora che finisse però, e che finalmente si arrivasse alla festa vera e propria che Dumbledore aveva concesso a tutti noi più piccoli e ai Corvi e ai Tassi. Non avevo idea di cosa avesse ideato ma, dopo il week end agitato che era appena trascorso, mi sarei accontentato anche di stare seduto, purché Meissa fosse accanto a me.

    “Avevi ragione, Sirius…”

Alzai gli occhi su James, che continuava a fissare il suo piatto. Non credevo che l’avrebbe mai fatto, non credevo che l’avrebbe fatto sul serio.

    “Continuo a pensare che le Serpi se la siano cercata, che la partita non dovesse finire a quel modo e che… sì, credo che… la maggior parte… delle Serpi non meriti nulla di buono. Ma avevi ragione tu, Black, quello che hanno fatto quei Grifoni stanotte era sbagliato, nei dormitori c’erano tanti ragazzini come noi che non c’entravano niente e comunque, a parte questo… Lo ammetto, come ci sono Grifoni idioti, così ci sono Serpi che sembrano... anzi, no… aspetta… che sono… sì… che sono migliori delle altre…”

Ora il suo sguardo dorato stava fisso nel mio. Gli sorrisi. Gli era uscito un discorso contorto, anzi proprio confusionario, ma capivo benissimo il senso, capivo la sua mortificazione e capivo che era una grande concessione quella che mi aveva appena fatto. Soprattutto per un Grifone tutto d’un pezzo come lui.

    “E poi ci sono Grifoni, James, che sono i migliori di tutti. E sono i miei amici. So che l’hai fatto per… per impedirmi di mettermi nei guai…”

Sorrise, non serviva aggiungere altro, ci eravamo puniti a sufficienza con quel giorno di assurdo silenzio e ora volevamo solo abbracciarci. Anche se erano passate poche ore, mi era mancato davvero tanto: non l’avrei mai creduto. Vidi Remus e Peter che ridacchiavano, finalmente sereni, allora mi staccai cercando di ridarmi un contegno e, con voce impostata e ghigno tipicamente Black, feci subito capire che non mi ero rammollito di colpo, che restavo sempre il solito cane sciolto.

    “… ma ti avverto, Potter… preparati… perché la prossima volta… la prossima volta che proverai a darmele, non mi lascerò più mettere sotto tanto facilmente da te!”

Ridemmo, finalmente sereni, mentre i piatti vuoti sparirono, i tavoli scomparvero nel pavimento per ricomparire ammassati alle pareti e lasciare un ampio spazio libero adatto a ballare: dal soffitto iniziarono a scendere festoni orrorifici e tanti coriandoli, sulle tavole apparvero tutti i dolci di Halloween non presenti durante la cena e tanto succo di zucca da poterci annegare dentro. I ragazzi più grandi, che erano solo del Tassorosso e del Corvonero, iniziarono a ballare, noi piccoli assaltammo i dolci, come se fossimo ancora digiuni e non reduci da una cena pantagruelica: in breve noi Grifoni ci mescolammo ai Tassi e i Tassi ai Corvi, le Serpi rimanevano un po’ sulle loro, ma presto furono avvolti dal clima festoso che imperversava in Sala Grande. Anche alcuni piccoli tentarono qualche passo di danza, per la verità piuttosto impacciati: si alternavano musiche più classiche, che ben conoscevo, ad altre che, prese dal mondo babbano, non padroneggiavo per niente. Vidi Meissa venirmi incontro, felice, sembrava apprezzare quella musica, le sorrisi: aveva dei coriandoli colorati tra i capelli.

    “Scommetto che tu conosci questa musica, non è così?”

Mi fece segno di tacere, mi prese per mano e mi costrinse a seguirla, m’irrigidii perché mia madre mi aveva insegnato a ballare per le cerimonie, ma non sapevo niente di musica babbana e non era da Black far figuracce in pubblico. Per fortuna la meta di Meissa non era la pista da ballo, ma un angolino tranquillo, senza troppa gente che potesse rompere le scatole, il posto adatto per parlare.

    “Allora la conosci questa musica, vero?”
    “Si chiamano Beatles, e sono di Liverpool. E, secondo me, hanno scritto le più belle canzoni esistenti nel mondo babbano…”

Sorrisi. Era molto carina, nella sua bella divisa da strega, con tanto di cappello a punta.

    “Ti ha fatto bene rivedere tuo padre…”
    “Che cosa vuoi dire?”
    “Che non eri così raggiante dai giorni che abbiamo passato a Herrengton.”

Sorrise anche lei, sapevamo entrambi che era vero.

    “Allora con James? Mi sembra di avervi visto abbracciati, prima, al tavolo dei Grifoni…”

Arrossii e annuii… Non volevo che mi credesse una mammoletta.

    “Te la posso rubare un attimo?”
    “James! Non puoi andare a rompere da un’altra parte?”
    “Scusa amico, ma… Ho cercato di invitare la Evans e per poco non rimediavo qualche legnata, allora mi son detto, se proprio devo, meglio prenderle da chi già me le ha promesse, no?”

Ci guardava con la sua solita faccia da ragazzino pestifero e divertito, io sospirai rassegnato. Meissa non disse nulla, si limitò a seguirla divertita fino alla pista e…
   
    brutto stupido ranocchio occhialuto…

L’orchestra magica iniziò a suonare, proprio in quel momento, una musica lenta da ballare abbracciati. Mi dissi tra me che quel borioso occhialuto non poteva ballare meglio di Sirius Black, e che si sarebbe messo in ridicolo di fronte a tutti, ma con sgomento vidi invece che se la cavava davvero bene. Avrei voluto schiantare l’orchestra solo per farli smettere! Non che James si stesse comportando male con Meissa, non che le stesse appiccicato come avrei cercato di fare io, se solo mi fossi deciso a invitarla, ma… Mentre la stessa gelosia che avevo scoperto di provare sul treno mi portava a strani pensieri, la musica finì e James, tutto soddisfatto, me la riportò indietro.

    “Eccomi qua, Black, ora fammi vedere di cosa sei capace… Se vuoi, puoi arrenderti subito e confermare la mia superiorità anche in questo campo!”

Meissa si mise a ridere, gli diede la mano per salutarlo, ma la ritrasse subito, come se avesse preso la scossa, rimanendo all’improvviso pallida e ammutolita.

    “Che cosa succede, Mei?”

La guardammo entrambi, preoccupati, mentre Meissa sembrava riprendere lentamente colore.

    “Non lo so… ho… ho avuto un capogiro… forse mi sta arrivando la febbre…”
    “Non sei calda, però…”

Le avevo messo una mano sulla fronte, nonostante il caldo della sala, era persino più fredda di me.

    “Ti accompagno dalla Pomfrey, almeno ti cura subito… Per favore, puoi dirlo tu alla McGonagall, che andiamo in infermeria, James?”

Potter fece un rapido cenno di assenso e si allontanò rapidamente ancora preoccupato e stranito a sua volta, io e Mei uscimmo dalla sala e iniziammo a salire le scale.

    “Che cosa è successo Mei?”
    “Non lo so…”
    “E’ vero che ti sei sentita male? Non sei calda!”
    “Io… Non so che cos’è… Ho avuto una sensazione simile solo una volta, a casa di tuo zio…”
    “Ovvero? Io non so nulla! Che cosa è successo a casa di mio zio?”
    “Io… Io sono andata a sbattere contro una porta, da cui sono usciti Abraxas Malfoy e un uomo vestito di nero… Quando mi ha toccato per farmi alzare, ho avuto una sensazione strana e ho sentito una voce in testa…”
    “Una voce?”

Mi guardò con occhi disperati e furiosi insieme. Io ero basito, ma volevo crederle: Meissa non diceva mai bugie, era per questo che mi piaceva tanto.

    “Non sono pazza, Black! Ho già raccontato tutto a mio padre…”
    “E lui?”
    “Ha detto che devo fargli sapere se mi succede ancora…”
    “Anche stavolta è andata così?”

Chinò lo sguardo. Stava piangendo. L’abbracciai per farle coraggio.

    “Mei?”
    "Ho avuto paura... Non ho sentito molto..."
    "Che cosa hai sentito, Mei?"
    “Solo un uomo che urlava “Prendi Harry e scappa! E' lui! Scappa! Corri! Io cerco di trattenerlo!" (1). E qualcosa di verde, una luce o un fumo verde, tutto intorno a me...”

    Non capivo. Non aveva senso. L’unica cosa che potevo fare era asciugare le lacrime dalle sue guance.



*continua*


NdA:
Ringrazio quanti hanno letto, hanno aggiunto a preferiti/seguiti/ecc, hanno recensito e/o hanno proposto/votato questa FF per il concorso sui migliori personaggi originali indetto da Erika di EFP
(maggio 2010).
1) tratto da "Harry Potter e il Prigioniero di Azkaban" - J.K. Rowling, ed. Salani, pag.205
Valeria


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