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Autore: martaparrilla    11/10/2016    5 recensioni
Cosa succede quando la madre di tuo figlio sparisce improvvisamente?
Cosa succede se il tuo sesto senso ti fa allarmare ancor prima di avere una risposta certa? Se la calma attorno a te ti suggerisce le risposte alle domande che ti sei posta?
Emma, ancora inconsapevole di amare Regina, si ritrova a dover iniziare una rapida e solitaria ricerca della madre di suo figlio. Cosa sarà successo a Regina? Cosa l'ha spinta ad allontanarsi così da tutti senza dare nessuna spiegazione?
Quando la tristezza prende il sopravvento, una salvatrice deve necessariamente trovarci.
Sempre.
Genere: Angst, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Emma Swan, Regina Mills
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Emma varcò la soglia del numero 108 di Mifflin Street.

Voleva tanto raccontare a se stessa che stava compiendo il suo dovere da sceriffo, che lo faceva per la preoccupazione di Henry e Roland e perché se una donna, madre di ormai due figli, spariva per quasi un giorno e mezzo, era giusto fare qualcosa per capire dove fosse. Ma sapeva che non era quello il motivo, per lo meno non solo quello e, per autoconvincersi ulteriormente, sbirciò con la coda dell'occhio la stella appuntata sulla cinta dei pantaloni prima di stringerla nella sua mano, facendo sbiancare le nocche delle dita.

Regina non si trovava da trentasei ore e la bionda non sapeva nemmeno come era riuscita a convincere Henry, troppo preoccupato, ad andare a scuola quella mattina. Ultimamente il bambino aveva notato il silenzio e la malinconia della madre, aveva notato quanto questi atteggiamenti fossero più accentuati del solito e Henry era terrorizzato dal fatto che potesse aver fatto qualche pazzia o che fosse tornata dalla parte dei cattivi. In quest'ultimo caso, non era sicuro di riuscire a farla tornare dalla parte giusta.

La paura di Emma, invece, abbracciava molti più campi. Sapeva che Regina non si sarebbe mai più fatta incantare dal lato oscuro ma, dopo la morte di Robin e il ritorno di Hook dal regno dei morti, l'aveva vista cambiata. Aveva visto i suoi occhi spegnersi, perdere quel luccichio di prontezza e voglia di riscatto che aveva sempre avuto nonostante il dolore, nonostante il passato, nonostante i soprusi, le ingiustizie (sì, il ritorno di Killian e non quella di Robin era un'ingiustizia anche dal punto di vista di Emma) e le perdite che aveva subito.

Nonostante la presenza di Emma.

Sì, perché prima del suo arrivo, ormai quasi cinque anni or sono, probabilmente Regina era più felice, almeno non doveva preoccuparsi di poter perdere Henry. In realtà Emma non aveva mai voluto portarglielo via... aveva sempre creduto in lei, anche quando aveva scoperto che dietro quel volto serio e autoritario si celava la temuta Evil Queen, anche quando aveva quasi ucciso il loro stesso figlio per sbarazzarsi di lei, aveva sempre creduto che lei volesse cambiare, che volesse liberare il suo cuore da tutto quell'odio. Lo vedeva e lo sentiva. Lo sentiva attraverso la magia ogni volta che erano state costrette a usarla per salvare qualcuno o l'intera città e, in quest'ultimo caso, il suo stomaco e il suo cuore impazzivano, letteralmente. Ma non aveva mai capito se quella sensazione partisse da lei o se fosse in realtà ciò che sentiva Regina. Aveva sempre avuto la sensazione che non fossero solo i loro poteri a unirsi nella magia, ma anche ciò che sentivano per la persona con cui la esercitavano. Fondevano magia e sentimento.

Ma era solo una sensazione che ovviamente non aveva mai avuto conferma.

In entrambi i casi, sia che Emma avvertisse i sentimenti di Regina che il contrario, sarebbe stato un problema, un enorme problema, soprattutto ora che aveva deciso di amare Killian.

Sì, aveva deciso, perché le sembrava l'unica cosa sensata da fare.

Ciononostante le era capitato di pensare e non poche volte, che avrebbe preferito bere drink con la madre di suo figlio piuttosto che star dietro alle stupide battute maschiliste di Hook... prima o poi si sarebbe beccato un pugno sul naso per questo. Infatti, tutte le volte che capitava, si ritrovava a casa di Regina a bere sidro e parlare o stare in silenzio dopo che si erano curate di aver messo a letto il loro bambino. Non c'era nulla di sbagliato nel passare del tempo con il proprio figlio e con l'altra sua madre, vero?

No, Emma immaginava di no. Dopotutto era l'unico modo per recuperare i dieci anni persi lontana da lui.

Forse però c'era molto di sbagliato nel volerle stringere le mani o nel volerla abbracciare quando piangeva... ma non era mai riuscita a superare quel limite, era sempre Regina che si avvicinava a lei e non di certo per abbracciarla. Dentro di lei sapeva che se avesse superato quella sottile linea, le sarebbe stato impossibile tornare indietro e ora le cose andavano troppo bene tra loro due per rovinare tutto.

Quindi chiuse alle sue spalle la pesante porta bianca e si appoggiò ad essa.

«Regina?» disse a voce alta, creando così l'eco.

Se per qualche motivo la padrona fosse stata presente e avesse trovato Emma in casa sua senza invito, bè, probabilmente l'avrebbe incenerita con un solo sguardo, per poi passare all'incenerimento vero e proprio con una delle sue temutissime e pericolosissime palle di fuoco.

Ne aveva scansato tante in questi anni, ed era sempre sopravvissuta. In realtà Regina non aveva mai voluto ucciderla seriamente.

Forse.

Allungò la gamba sinistra e poi la destra, facendo risuonare il rumore degli stivali marroni sul pavimento immacolato.

«Regina!?» tentò di nuovo.

Un brivido di freddo viaggiò lungo la sua schiena e quando ciò si verificava, le conseguenze non erano mai buone. Aveva un bruttissimo presentimento e il suo sesto senso difficilmente si sbagliava. Così, si affrettò a perlustrare ogni stanza della casa avendo cura di aprire ogni armadio, cassetto o sportello per controllare se avesse lasciato qualche traccia che potesse suggerirle dove si fosse nascosta.

L'ultima stanza che decise di controllare fu lo studio, che Emma aveva particolarmente a cuore perché era lì che avevano avuto la loro prima conversazione, col bicchiere di sidro in mano e un imbarazzo fuori dal comune. Afferrò la maniglia con cautela, come se avesse timore di scottarsi, poi ruotò un poco il polso e fece scattare la serratura. Al suo interno non era cambiato nulla da quella sera di cinque anni prima, a parte la sedia dietro la scrivania, ma il colore le sembrava identico.

Tutto sembrava in ordine tranne che per un foglio bianco posato sullo scrittoio, con una stilografica accanto. Allungò le dita su di esso e bastò un leggero tocco sul foglio a fargli prendere vita. Levitò per una ventina di centimetri, sprigionando una luce giallognola e su di essa comparvero, come marchiate a fuoco, delle lettere, che scivolavano lente e fluide e Emma non poté fare a meno di immaginare la mano di Regina che dava vita a quei precisi simboli.

Ora capì come si era sentito Harry Potter quando aveva parlato con Tom Riddle.

Il foglio improvvisamente si adagiò sul ripiano, tornando ad essere l'oggetto inanimato quale era.

Non voleva avvicinarsi troppo, non voleva invadere la privacy di Regina a tal punto ma... al diavolo! Se era in pericolo doveva scoprirlo al più presto.

Afferrò il foglio e la prima riga la fece sobbalzare tanto che tornò indietro fino a scontrarsi con una delle poltrone, cadendoci goffamente al di sopra. Avvicinò il foglio sopra il proprio petto che conteneva un cuore decisamente agitato.

Aveva sicuramente letto male, non poteva avere quel titolo e essere indirizzata a lei.

Respirò profondamente prima di trovare il coraggio di proseguire la lettura del messaggio.

 

Lettera alla donna che amo.

Cara Emma,

Sei arrivata quando, con fatica, ero appena riuscita a raccogliere i cocci dei disastri della mia vita passata.

Ci sono voluti anni di faticosa terapia, tanta pazienza, lacrime e ammissioni... ma volevo e dovevo stare meglio, perché anche per la Regina Cattiva, là fuori, poteva esserci un mondo degno di essere vissuto, una vita di cui godere. Avevo scelto di essere felice, di non lasciarmi oscurare dalla parte malvagia del mio essere.

E, mi costa ammetterlo ma lo farò... sai chi mi ha fatto scegliere questo? Chi me l'ha fatto capire? TU.

L'ho fatto perché volevo somigliarti, volevo essere amabile agli occhi di Henry e, col tempo, volevo che tu mi guardassi con occhi diversi, volevo essere amabile anche da te. Per questo volevo imitarti ed essere piena di speranza nonostante tutto.

Ti guardavo e ti guardo come se fossi il tesoro più prezioso. Brillavi tanto che mi rendevi semplice immaginare che anche io, con te accanto, potessi brillare così. Anche tua madre non era più tanto odiosa vista con i tuoi occhi. E io, ai tuoi di occhi, non ero un'assassina. Ero solo Regina... la madre di tuo figlio nonché tua... amica? Un giorno mi hai detto che siamo uniche, quasi speciali e che io ti capivo come nessuno aveva mai fatto, perché gli altri non sanno cosa significa essere rifiutati, non come lo sappiamo noi. Dicevi la verità?

Per tutto questo tempo ho tenuto nascosto tutto il bene che mi facevi, ho tenuto nascoste tutte le volte che desideravo che la sera rimanessi con me perché solo la tua compagnia mi dava pace. E tutti quei pensieri assurdi sul volerti baciare, sul volerti toccare, non facevano tanto male perché tu eri sempre con me. Mi facevi, mi fai sentire importante e io non ero mai stata importante per qualcuno.

Poi non so... qualcosa è cambiato.

Il mio vaso di pandora si è aperto e tutti i mali sono tornati liberi di darmi il tormento. Loro hanno forma liquida e si insinuano dovunque, senza che io abbia la possibilità di bloccarli, arginarli, rallentarli. Vengo sommersa dalle loro onde nere e fredde, e io tento di aggrapparmi all'unica cosa che è rimasta dentro la mia scatola... ma quella Speranza, che dovrebbe essere da me alimentata, è davvero troppo piccola affinché possa trarmi in salvo. Ha braccia troppo deboli, consistenza quasi inesistente perché possa afferrare le mie, stanche.

I ricordi sono tornati e così anche la mia incapacità di amare. Mi manca la Regina che mi hai aiutata a riscoprire... mi manca sentire quei sentimenti fortissimi verso di te, sentimenti che mi hanno fatto sentire di nuovo viva, dopo tanto tempo. È come se non meritassi tutto quello che mi date tu ed Henry, come se fossi sicura che tutti i miei buoni propositi, i buoni pensieri, le buone azioni, non saranno mai sufficienti a cancellare ciò che è stato quando non ero più in grado di amare, quando non provavo nulla se non odio o paura, quando i sorrisi altrui erano un insulto alla mia infelicità.

Henry mi ha reso estremamente felice ma io non ho reso felice lui. Lui è felice perché ci sei tu... perché per lui hai creduto nella magia, perché per lui hai sfidato le tue (di) paure. Io pensavo di esserci riuscita ma mi sbagliavo. È tutto ancora lì, ben piantato nella mia testa, ancorato con le unghie e con i denti alla mia più lontana memoria, come a volermi ricordare che per la Regina Cattiva non ci sono seconde possibilità. Le cose che ho subìto le subirò ancora e, come risposta, continuerò ad allontanare le persone, come ho sempre fatto, come farò sempre.

Solo che ora non ho più le forze di sopportare questa me priva di sentimenti, non dopo che so cosa significa provarli. Non dopo che conosco cosa può fare l'amore... quanto solo l'immaginazione di una vita con te possa rendermi viva, vera, capace di amare. Quando Robin e Killian sono morti mi sono illusa che potesse esistere un qualcosa, un domani, un NOI... e questo vuoto che sento ora è così... profondo e freddo. E mi sento sola... e sono stanca di sentirmi così.

L'unica cosa che mi rende relativamente tranquilla in questo momento, è che ti prenderai cura di Henry.

Io potrò fuggire da questo freddo vuoto a modo mio.

Spero che un giorno, entrambi, possiate perdonare la mia vigliaccheria come io non sono riuscita a fare nella mia vita.

Prenditi cura di nostro figlio.

Con amore.

Tua, Regina.

 

Col cuore spezzato e le lacrime agli occhi, Emma rilesse più e più volte quello che sembrava un congedo in piena regola.

Ora capiva i tentativi di un contatto fisico, capiva gli sguardi, capiva perché le aveva subito restituito il cuore quando avevano tentato di darne metà a Killian per poterlo salvare. Capiva perché l'aveva definita “molto più che abbastanza” per Killian e perché aveva rinunciato alla sua felicità per poter dare un futuro tranquillo a Henry. Non era solo per Henry, era anche per lei. Capiva la sua voglia di ucciderla quando l'aveva inseguita nella cripta e l'aveva supplicata di essere sua amica.

Amica.

Non poteva esistere amicizia tra loro due, probabilmente non era mai esistita. Il loro legame era molto più profondo e andava ben oltre al fatto che condividessero un figlio. Loro si erano comprese, salvate, tradite e perdonate senza quasi rendersene conto. Ora Emma se ne rendeva conto, così come si rendeva conto che provava le stesse cose ma non aveva mai avuto il coraggio di ammetterlo perché quando trovi un equilibrio, equilibrio che nella vita non hai mai avuto e hai un figlio, una famiglia, un fidanzato e una “amica” che sembra capirti in tutto e per tutto, non vai a impelagarti in situazioni che non hai idea di dove porteranno se non, probabilmente, verso la distruzione.

Così aveva distrutto Regina, la sua Regina.

Le aveva tolto la speranza.

Come aveva anche solo pensato che potesse somigliarle? Regina era molto meglio di lei, era molto più forte, molto più determinata, molto più sicura delle proprie scelte. Ed era una... madre e Emma adorava questa parte di lei. Amava come si prendeva cura di Henry, amava la sua serietà in questo ruolo e se non fosse stato per lei, chissà che fine avrebbe fatto Henry, sarebbe cresciuto con qualcuno che non l'avrebbe amato come meritava.

Un ultimo singhiozzo la destò da se stessa: non poteva piangere ancora, Regina stava pensando di lasciarla e no, non gliel'avrebbe mai permesso.

Si alzò di scatto, asciugandosi le lacrime col palmo della mano sinistra e poggiando il foglio sullo scrittoio. Esisteva un incantesimo di localizzazione, ma non era sicura di essere in grado di farlo.

O forse non era necessario.

Loro erano unite dalla magia, diventavano una cosa sola quando i loro poteri si fondevano in quel turbine di sfumature rosse e bianche. O azzurre.

Il colore di Emma non era mai stato definito.

Ma c'era solo un luogo dove Regina poteva abbandonarsi al dolore, il luogo dove amava rifugiarsi quando si sentiva sola e incompresa e dove molto spesso, era riuscita a scovarla e a farla ragionare e si maledisse per non averci pensato prima.

Infilò velocemente il foglio piegato in quattro nella tasca del giubbino in pelle rossa prima di correre fuori e salire nel suo maggiolino giallo.

Era sera inoltrata, le ultime luci sparivano dietro le colline, lasciando il posto all'oscurità di una notte senza luna. Emma andava a una velocità abbastanza sostenuta, quella che la sua macchina e la strada dissestata dei boschi le permetteva. Il cuore galoppava ancora impazzito per la scoperta dei sentimenti di Regina e per la paura che questi sentimenti non avrebbero mai visto la luce del sole se non fosse arrivata in tempo.

La cripta dei Mills si ergeva, tetra e solitaria, a un centinaio di metri da lei e fu lì che fermò la macchina. Non vi era traccia invece di quella di Regina, ma non pensava che potesse essere così sciocca da lasciarla ben visibile all'occhio altrui, soprattutto se non voleva essere scoperta. Oppure era semplicemente arrivata accompagnata dalla sua fedelissima nube di fumo viola e con quella non era necessario nascondere alcuna macchina.

Percorse a passo svelto il sentiero di terra battuta accendendo la torcia del cellulare, così da non rischiare di inciampare in radici che sporgevano dal terreno. La pesante porta che fungeva da ingresso era ovviamente chiusa ma bastò imporre le mani per farla smuovere e mostrare le ripide scale che portavano dentro la cripta.

Il freddo aumentava gradino dopo gradino ma non era un freddo assolutamente normale. Portava in sé qualcosa di lugubre, sinistro, malvagio. Era un freddo pesante, che si ancorava all'anima e faceva sentire Emma incredibilmente triste e senza speranza. Non riusciva a sentirsi in modo diverso, pur sapendo che non aveva motivo per sentirsi così svuotata.

Il pavimento era ricoperto da un sottilissimo strato d'acqua dovuta all'umidità che il freddo aveva portato lì sotto e la bionda si teneva saldamente alle pareti per evitare di cadere.

«Regina... Regina, dove sei?» il fiato quasi le mancava e le gambe iniziarono a cedere.

Chiuse gli occhi tentando di creare pensieri positivi, tentando di contrastare mentalmente il peso invisibile che le schiacciava il petto. Sentiva che Regina non era lontana e solo la sua volontà di salvarla a ogni costo le fece percorrere ancora quei pochi passi che la separavano dalla fioca luce proveniente dal fondo del corridoio. Le gambe sembravano pezzi di marmo tanto erano pesanti e la fatica era talmente intensa che lacrime di dolore iniziarono a bagnare i suoi occhi.

Dolore perché la donna che amava forse era morta.

Non riusciva a darsi pace all'idea di aver perso tutto quel tempo ad allontanarla dal suo cuore quando in realtà ne era già l'inquilina d'onore da molto tempo, molto più di quanto Emma ne avesse coscienza.

Era così triste per questo da non riuscire a godersi la felicità dell'amore di Regina, per il coraggio che aveva avuto nel confessarle tutto, anche se in un pezzo di carta. Era felice di sapere che nel pazzo mondo in cui era entrata da quando Henry era piombato nella sua vita, il pensiero di Regina era l'unico che le desse pace, l'unico che sentiva costante e impossibile da sradicare.

Ma doveva andare avanti, doveva far sì che loro avessero la possibilità che si meritavano.

Così, raggiunto lo stipite si aggrappò ad esso, prese un respiro profondo e si affacciò.

Regina era lì, in piedi, vestita completamente di nero e teneva nella mano sinistra il proprio cuore, spento, quasi senza vita. Sulla destra stringeva saldamente un pugnale con cui sembrava volesse trafiggerlo.

Era quel cuore ad aver tolto qualunque briciolo di felicità e speranza non solo a Regina ma anche a lei. Era il cuore spento di Regina ad aver risucchiato qualunque luce bianca attorno a loro e in loro. I loro cuori provavano lo stesso dolore in quel momento.

Piangeva silenziosamente e Emma pensò che fosse strano che potesse farlo, visto che, senza il suo cuore, lei non provava più nulla.

«Regina, Regina sono qui...»

La mora alzò lo sguardo che fino a quel momento aveva tenuto fisso sul suo cuore, come se cercasse in esso un altro motivo, solo uno, per distruggerlo definitivamente. Vide gli occhi di Emma e il suo cuore sussultò tra le proprie mani, acquistando un lieve colorito rosato.

«Emma...»

La bionda sorrise nel sentire che la voce della donna di fronte a lei era sempre la stessa.

«Io... come hai fatto a trovarmi?»

«Vorrei usare le parole dei miei genitori, ma credo che susciterei in te solo rabbia piuttosto che dolcezza.»

Regina non comprese, ovviamente. Si ricordava di quel che provava per Emma e aveva una paura folle di distruggersi definitivamente, ma era anche stanca di tutto quel dolore, stanca di tutto quel nero, stanca di trovarsi sempre sola a combattere con i propri mostri.

«Regina, ho trovato la tua lettera per me» la mano tremante fece fatica a sfilarla dalla tasca del giubbino.

«Mi dispiace tanto di non aver capito, davvero tanto. Mi dispiace averti lasciato vivere da sola tutti questi dubbi e questo dolore ma voglio che tu sappia che non eri sola. Queste cose» sventolò la lettera di fronte a lei «le provo anche io. Abbiamo sempre voluto le stesse cose ma non abbiamo avuto il coraggio di ammetterlo. Ed è vero, ero felice che Killian fosse tornato. Ero felice perché credevo che sarebbe stata la mia unica felicità, così come Robin lo era per te. Ma erano le persone sbagliate per entrambe, Regina. Sei tu... sei sempre stata tu.»

Avanzò di qualche passo, voleva raggiungerla, ma Regina la bloccò.

«Non ti avvicinare.»

Lo disse a denti stretti, arrabbiata, perché sapeva che Emma sarebbe stata in grado di farle cambiare idea e lei non voleva che questo accadesse.

«Ma non avrei avuto mai il coraggio di ammetterlo perché tu eri... Regina» le scappò una risata quasi isterica «forse non te ne rendi conto, ma sei la donna più irraggiungibile e bella che conosca, che esista probabilmente. Nessun essere umano dotato di intelligenza proverebbe anche solo lontanamente a pensare che tu possa essere interessata a lui, figuriamoci io, Emma Swan, la figlia della donna che ti ha distrutto la felicità! Sei così severa e sicura di te e assolutamente... irraggiungibile, lo ripeto. Non riesco a trovare altre parole per descrivere quello che sei agli occhi di noi comuni mortali.»

Lo sguardo di Emma passava dal pugnale agli occhi di Regina: voleva strapparglielo dalle mani ma sperava che parlandole l'avrebbe convinta a desistere dal suo intento.

Regina la guardava senza capire davvero quello che diceva, voleva solo mettere fine al freddo che sentiva dentro.

«Hai detto che mi guardi come se fossi un tesoro, hai detto che è stato il desiderio di somigliarmi a permetterti di scegliere la parte buona. Regina tu eri buona già prima. Sei la persona più generosa che abbia mai incontrato e se ti senti stanca, se senti che le tue braccia sono troppo deboli, permettimi di essere le tue braccia, permettimi di sostenerti!»

Più Emma parlava e più il cuore che Regina teneva tra le mani acquistava colore. Che la proprietaria lo volesse o no, il legame che le univa era più forte di qualunque decisione volontaria, era fuori dal controllo di entrambe. La mora aveva iniziato a piangere e una morsa di dolore si disegnò sul suo volto; poi, il braccio che teneva il pugnale vacillò, abbassandosi e indebolendosi ed Emma capì che doveva insistere.

«Non è vero che i cattivi non hanno seconde possibilità! Tu ce l'hai esattamente qui, di fronte ai tuoi occhi! Guardami Regina, puoi avere il tuo lieto fine con me, puoi imparare a credere anche tu nella magia, non quella a cui tu sei abituata a credere e a maneggiare, ma quella scaturita dal tuo cuore quando io sono vicina. Non è vero che non sai più amare, se così fosse non ti importerebbe così tanto di ferire Henry e di ferire me. Forse il vero problema è che hai sempre amato troppo e questo ti ha svuotata di... tutto. Eppure lo vedi, Regina? Guardalo il tuo cuore, guarda come prende colore, guarda come vince le sue paure al posto tuo. Credi in lui, credi in te, credi in me!»

Gli occhi di Regina, colmi di lacrime, riflettevano quelli di Emma. Ciò permise a quest'ultima di compiere gli ultimi due passi che la separavano dall'altra e poggiare la mano sul suo cuore. Regina non si ritrasse, non si spaventò. Lasciò che lo sguardo di Emma le restituisse il calore, la fiducia e l'amore per la vita che fino a un attimo prima sembrava aver perso e lasciò andare il pugnale, che cadde rovinosamente a terra.

«Il mio cuore ti appartiene, Regina. Ora lascia che io mi prenda cura del tuo, che mi prenda cura di te.»

Il cuore di Regina, ormai al sicuro tra le mani di Emma, esplose di colore. Piccole fiammelle rosse fuoriuscivano da esso e le macchie nere che ne facevano parte erano quasi invisibili tanta era la parte buona che era capace di sprigionare.

Emma, col cuore di Regina in mano, fu invasa da un calore mai provato, facendola sentire piena e al sicuro, facendola sentire al posto giusto. Sapeva che rimettere il cuore nel petto di Regina le avrebbe causato dolore, così si avvicinò ancora a lei, le cinse le spalle con il braccio libero e quando furono distanti solo un respiro, le disse: «Non avere paura...» scostando una ciocca di capelli scuri dal suo viso.

Poi la baciò. Toccò le labbra rosse e morbide di Regina con le proprie e con tutta la delicatezza di cui era capace riposizionò il cuore nell'unico posto in cui doveva stare: nel suo petto. La mora strabuzzò gli occhi per pochi secondi ma Emma non lasciò la presa, voleva essere sicura che capisse che le sue parole non erano di circostanza, non voleva convincerla a non uccidersi, voleva tutto quello che aveva detto.

Per quanto Regina desiderasse continuare a baciare così dolcemente Emma, le sue forze svanirono e le gambe cedettero. Ma Emma era lì e come aveva detto poco prima, non le permise di cadere. La accompagnò sul pavimento e lei la seguì, inginocchiandosi accanto e legando con le braccia il proprio corpo al suo. La testa della mora giaceva ora sulla spalla di Emma, che cullava dolcemente, baciandole talvolta la fronte, talvolta i capelli.

«Andrà tutto bene, Regina. Andrà tutto bene...»

Rimasero sul pavimento in quella posizione per un tempo indefinito. Emma continuava a stringere e cullare quella donna che sapeva essere tanto forte quanto fragile e promise a se stessa che non avrebbe mai più permesso che si sentisse sola, non avrebbe mai più permesso che arrivasse al punto di non avere più alternative se non la morte. Nemmeno lei nei periodi più bui della propria vita era arrivata a tanto e di certo non dopo che Regina e Henry erano entrati nella sua vita.

Lentamente le forze tornarono e Regina, finalmente, rispose all'abbraccio di Emma, così che capisse che aveva sentito, aveva capito.

«Mi dispiace averti fatto preoccupare. Mi dispiace non aver avuto il coraggio di dirti nulla... io...»

Le lacrime ripresero a scorrere. Si sentiva così in colpa Regina. Si sentiva in colpa perché non conosceva altro modo se non quello di scappare da tutto quello che poteva farle bene. Perché il bene e la felicità duravano sempre troppo poco nella sua vita e lei non aveva più le forze per combattere la solitudine con cui doveva convivere dopo ogni perdita.

«Ci sono io con te adesso, non ti permetterò più di scappare. E se lo farai ti verrò a cercare e se mi manderai via basterà guardarti negli occhi per capire se stai dicendo la verità.»

Regina tentò di raddrizzarsi, così da poterla finalmente guardare negli occhi senza quel filtro di controllo che si era dovuta imporre quando le stava accanto. Ora poteva far battere il cuore all'impazzata, poteva arrossire, poteva tremare, poteva piangere e poteva toccarla senza che questo provocasse nell'altra e in chi le guardava, alcun pensiero atipico.

Perché quel pensiero corrispondeva alla verità.

Era innamorata di lei, lo era davvero in un modo così assurdo che l'idea di non riuscire ad essere felice non insieme a lei, ma anche solo accanto a lei, senza alcun tipo di legame riconosciuto, la stava distruggendo e l'aveva riportata in quel tunnel nero della disperazione.

Invece Emma era lì, con lei. La guardava come l'aveva guardata sempre in questi anni e ora, solo ora, capiva il perché. Perché ci sono sguardi che fanno talmente paura che preferiamo non dar loro un significato, li prendiamo e basta, ci dissetiamo di loro inconsapevoli del fatto che se a quegli sguardi non diamo un senso, lentamente ci tolgono ogni energia, parola, speranza.

Perché l'amore fa bene solo se viene urlato, condiviso, vissuto.

Tenerlo rinchiuso nel proprio cuore gli fa perdere tutta la potenziale vitalità di cui è capace.

E il loro amore, di certo, avrebbe potuto ridare vita a qualunque cosa, anche a un cuore morto come era quello di Regina.

Perché la persona giusta non ti chiede di cambiare ma di certo ti fa venire voglia di farlo.

 

 

 

 

Note dell'autrice: questa OS era pronta da un bel po' ormai. La lettera di Regina è stata scritta in un momento un po' buio della mia vita e io, che tanto amo il lieto fine, ero davvero spaventata dal fatto che Regina (e quindi io) potesse aver pensato una cosa simile. Così, intorno a quella lettera, a quel messaggio d'addio, ho costruito questa breve storia dove ho reinserito la speranza e l'amore, che aiutano sempre quando il nostro cuore non riesce a vedere la luce.

Spero che Emma possa riuscire a portar un po' di questa luce anche a voi come la mia l'ha riportata a me.

Vi abbraccio tutti.

  
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