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Autore: DaniNTI    13/10/2016    1 recensioni
"Lo spazio tra ogni punto" è il racconto interiore in prima persona di un anonimo giovane in un periodo della sua vita caratterizzato da un incontrastabile vuoto esistenziale e da un profondo sconforto.
Attraverso il racconto di momenti di vita quotidiana, che coinvolgono altri personaggi, tra cui una donna con cui egli ha una relazione di natura prevalentemente sessuale, due amici e il suo gatto, il protagonista dà voce alle sue riflessioni e ai suoi pensieri, i quali si configurano come una sorta di "flusso di coscienza" che intervalla la descrizione delle giornate.
Citazione dal testo:
"La mia quotidianità stantia è il limbo che mi spetta, e chissà chi l’ha deciso. Ho smesso di aver voglia di lottare per diventare ciò che non sono. Non porterebbe a nulla e la ragione è molto semplice: la mia coscienza è incredibilmente lucida, ma fottutamente debole. O forse sono le turbolenze con cui conviviamo ogni giorno nella nostra segreta interiorità ad essere troppo forti per chiunque provi a contrastarle".
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti
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“Una pessima idea”, pensavo.
E’ il momento di farsi venire una pessima idea.  Sì dai, una pessima idea, una di quelle che ti frullano nel cervello così dal nulla, dopo che sei rimasto a ciondolare nel letto un tempo sufficiente per rendere nulla ogni residua possibilità di combinare qualcosa nella tua giornata.
Dicono che il nostro organismo abbia bisogno di riposare almeno 8 ore al giorno per essere efficiente. Chissà se ciondolare può essere considerato un buon sinonimo di riposare. Mi sentivo stanco.
Da bambino dicevo che stare nel letto senza far nulla è per i vecchi, lo dicevo sempre mentre osservavo mia madre che guardava la tv: lei ricambiava lo sguardo per qualche secondo con aria spiritosa, poi tornava a fare quello che stava facendo. Anche da bambino amavo stare per i cazzi miei, non mi piaceva essere disturbato, non sentivo l’esigenza di spiegare o raccontare le cose . “Cosa mai potranno capire gli altri”, pensavo.
Io ed Elaine abbiamo scopato per la prima volta tre anni fa. Brandon ai tempi aveva iniziato a lavorare in un posto: “do una mano lì al Lion”,  diceva lui. Mi aveva invitato a passare una serata lì con alcuni colleghi, una cosa tranquilla. Così iniziai a frequentare anch’io il locale.
Brandon è un coglione, ma ci passi il tempo.
Uno spiffero proveniva dalla finestra. 
Avevo trovato qualcosa  da fare. E in un lampo balzai via dal letto, come avessi avuto l’illuminazione. Girovagavo per casa con fare ansioso, quasi correndo, in cerca di attrezzi mai visti e mai usati. “Dovranno essere da qualche parte”, pensavo.
Ogni casa, anche la più triste, ha il suo angolino per gli attrezzi.  Mi piace fare i lavoretti, da sempre ho la convinzione che gli oggetti riparati acquistino valore, come le persone con l’esperienza.  Presi tutto ciò che trovai e camminai a passo svelto verso la stanzetta, mi cadevano dei chiodini dalle mani e in un attimo finirono ovunque sul pavimento.  Mi affrettai a raccoglierli prima che a Salice venisse in testa di giocarci. Poi presi le mie cose e iniziai a fare un gran casino, era già buio ma non saranno state nemmeno le 20, era inverno e tramontava presto.
Ero scalzo, ancora in pigiama, lì davanti alla finestra semiaperta a maneggiar cose, cercando di farmi venire in mente qualcosa . Impugnai il martello. Si gelava ma non penso che mi importasse più di tanto. Ero lì con un martello in mano a combinare chissà cosa, ma in fondo mi concentravo davvero.
Stavo lavorando.
Mi piaceva la sensazione del parquet sui piedi nudi. Iniziavo a sentire freddo, ma non avevo voglia di cercare anche i calzini quindi mi affrettai per finire il mio lavoretto. Immaginavo già i piedi al caldo nel letto, e la soddisfazione sul mio volto.
Continuavo a dar martellate da un minuto circa, i piedi erano ormai di ghiaccio, e al contempo mi sudava la fronte.
Posai quindi il martello e mi asciugai il sudore, poi mi girai all’improvviso e vidi Salice che mi fissava incuriosito, con quel suo sguardo da gatto di merda. Sanno tutto loro.
Si avvicinò verso di me, ma senza mai smettere di fissarmi; saltò sullo sgabello e annusò il sudore sul mio viso: pareva piacergli. Anche ad Elaine piaceva il mio sudore, me lo diceva sempre. E’ da queste stronzate che capisci quando una donna è presa di te. Lo spiffero non c’era più, avevo fatto il mio dovere. Andai in cucina in cerca di qualcosa da sgranocchiare e al mio ritorno Salice era ancora lì sullo sgabello che continuava a guardarmi, ma con aria più sorpresa del solito. Forse era fiero di me, o forse a lui quello spiffero piaceva, chissà.
Presi una sedia dalla cucina e mi sistemai vicino a lui. Iniziai a coccolarlo. Salice guardava tutte le stelle, una per una, e poi ancora guardava me, come se dovessi spiegargli qualcosa. 
Il bello del rapporto tra uomo e animale è che non è fatto di parole. Le parole servono a chi vuole complicarsi la vita o a chi ha qualcosa da nascondere:  le parole nascono come intermediario tra le nostre emozioni e quelle di un terzo, ma finiscono quasi sempre per diventare uno dei tanti inutili filtri che, a seconda della circostanza e della necessità, distorcono, romanzano o rendono più “innocue” sensazioni in origine sincere e pure. Insomma, stronzate: non è roba per me.
La mia giornata stava per finire. Ero al buio, il gatto ormai si era accovacciato per terra da un po’ e io ero ancora seduto a fissare la finestra chiusa.  Mi sentivo realmente solo: una solitudine diversa dalla solita, più intima, più consapevole forse.  Ero scalzo e ancora in pigiama.
“Forse dovrei farmi una doccia”, pensavo tra me e me. Riempii la ciotolina del gatto d’acqua e tornai a letto.
   
 
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