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Autore: Emily27    14/10/2016    4 recensioni
Era il settembre del 1989, faceva ancora caldo ma l'autunno era ormai alle porte. La vita ad Atlanta stava tornando frenetica, tra chi riprendeva il lavoro dopo le ferie e gli studenti che popolavano nuovamente le scuole e i college. Daryl non faceva parte né dell'una né dell'altra categoria, lui non studiava e non aveva un impiego, semplicemente viveva alla giornata, come del resto tutta la sua famiglia.
Nel mondo pre-apocalittico, un giorno le vite di Carol e Daryl si sfiorano.
Genere: Commedia, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Carol Peletier, Daryl Dixon, Merle Dixon
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La ragazza dai bellissimi occhi





 
Era il settembre del 1989, faceva ancora caldo ma l'autunno era ormai alle porte. La vita ad Atlanta stava tornando frenetica, tra chi riprendeva il lavoro dopo le ferie e gli studenti che popolavano nuovamente le scuole e i college. Daryl non faceva parte né dell'una né dell'altra categoria, lui non studiava e non aveva un impiego, semplicemente viveva alla giornata, come del resto tutta la sua famiglia. Racimolava qualche soldo facendo lavoretti saltuari e suo padre, quando non era troppo ubriaco, dava una mano a un amico muratore, sua unica fonte di guadagno. Le entrate di suo fratello, invece, provenivano da attività tutt'altro che lecite.
Sotto il sole del primo pomeriggio, Daryl camminava lungo un vialetto di un parco, tra l'erba tagliata da poco e alberi ben curati. Non si era mai addentrato in quella parte della città, troppo elegante per uno come lui, ma aveva sentito che cercavano manovalanza per svuotare il magazzino di un supermercato che doveva traslocare e, dato che era al verde, quella mattina si era presentato per il lavoro. Una volta finito non si era ritrovato in tasca molto, ma pur sempre più di quanto si aspettasse.
Stava attraversando il parco per andare a prendere la metropolitana alla fermata più vicina. Non aveva fretta, non aveva orari, soltanto Merle che lo aspettava al bar perché pagasse le birre. Decise di prendersela con comodo e si stravaccò su una panchina sotto a una magnolia, accendendosi l'ultima sigaretta del pacchetto. Fumava e osservava la gente di passaggio: due donne che facevano jogging, un uomo d'affari con la ventiquattrore, tre studenti che dovevano essere ventenni come lui, vestiti con magliette e pantaloni di marca, e che udì parlare di esami e ragazze. Daryl indossava una vecchia T-shirt scolorita e un paio di logori jeans, gli stessi da più di una settimana, e i discorsi che faceva la gente della sua cerchia riguardavano risse e scopate. Il suo era un altro mondo, quello di chi non faceva progetti per il futuro, non possedeva una ventiquattrore e un bell'appartamento in centro. Merle diceva che erano tutti degli stronzi snob e rammolliti, che si ammuffivano sui libri o a lavorare sudando otto ore al giorno. Che vita era mai quella? Non sanno un cazzo. Ascoltami, fratellino, fatti una birra, dell'erba e sbattiti qualche puttana. E lui lo ascoltava, tranne che per le puttane. Perché era suo fratello.
I tre studenti adesso erano lontani, Daryl li seguì con lo sguardo finché sparirono dalla sua vista.
«Fanculo...»
Spense la sigaretta sulla panchina e gettò il mozzicone sull'erba, poi si alzò e si diresse verso l'uscita del parco a passo sostenuto, ansioso di andarsene da lì e di tornare nell'altra faccia di Atlanta.
Prese la metropolitana con il biglietto acquistato la mattina e ancora valido, fino alla fermata di Carter Street che si trovava in periferia. Daryl viveva sulle alture, ma spesso scendeva in città con Merle, sulla moto di quest'ultimo o il pickup. Il fratello si recava lì per farsi una bevuta e gestire i suoi “affari” e lui lo seguiva, lasciando a casa il padre solo con la bottiglia, stretta fra quelle mani che gli avevano procurato segni indelebili fuori e dentro.
Percorse il tratto di strada che lo separava dal Black Devil Bar, ignorando le offerte di una prostituta e le richieste di un barbone. Entrò nel locale accolto dall'odore di fumo e dal chiasso del tifo di un gruppetto di uomini intenti a guardare un incontro di boxe, sul televisore fissato a una colonna vicino al bancone. Tra di essi c'erano Merle, che a giudicare da quanto fosse su di giri doveva essere fatto di qualcosa, e Dick, un tizio con i capelli neri e unti raccolti in una coda e una cicatrice che gli solcava una guancia. Si erano conosciuti l'ultima volta che il fratello era stato in galera e, una volta entrambi fuori, erano diventati inseparabili.
«Ehi, Dixon, ti sei perso un bello spettacolo, proprio qui davanti» disse T.J., l'uomo calvo e tutto muscoli dietro al bancone, buttandosi sulla spalla lo straccio che aveva passato su di esso. «Tre dei Rebels hanno pestato uno degli Hell's Angels, sono arrivati gli sbirri e se li sono caricati.»
«Gli sta bene a quei fottuti stronzi, se ci fossi stato gli avrei fatto vedere questo mentre li portavano via» affermò Daryl sollevando il dito medio. Non molto tempo prima era venuto alle mani con uno di loro: quello stronzo lo aveva provocato e lui aveva reagito, finendo però con l'avere la peggio e un livido sull'occhio per una settimana.
«Eccoti, finalmente!» esclamò Merle al suo indirizzo. «T.J., il mio fratellino è venuto a saldare i debiti. Dammi un'altra birra.»
«Finalmente lo dovrei dire io, il vostro conto è più lungo del mio amichetto là sotto, esattamente trentanove dollari e venti» precisò T.J. sventolando un foglio che aveva preso sul ripiano della cassa.
«E una anche per lui» aggiunse Merle indicando Dick con un cenno della testa.
«Oggi il moccioso ha la grana» disse l'altro ridacchiando e accendendosi una sigaretta.
«Fottiti» sibilò Daryl.
A conti fatti, gli sarebbe rimasto giusto il denaro per comprare le sigarette. Se si ritrovava qualche soldo in tasca doveva sborsarne una buona parte per pagare le bevute del fratello e talvolta anche quelle dell'idiota del suo amico, anche quando Merle aveva di che spendere. Quella storia prima o poi doveva finire.
Mise mano alla tasca posteriore dei jeans per prendere i soldi. «Merda...» La spostò nell'altra, trovando solo la carta d'identità. «Cazzo!»
Non aveva più il portamonete.

 
*

Carol era di buonumore. Non esisteva una ragione precisa, semplicemente il sole splendeva, la temperatura era ancora gradevole, indossava la sua camicetta preferita, di un azzurro che s'intonava con il colore dei suoi occhi, ed era piena di ottimismo per il futuro.
Dopo aver terminato il lavoro alla libreria, in quel tardo pomeriggio si era recata al parco. Nelle belle giornate come quella andava lì per studiare: stare all'aria aperta la rilassava e le facilitava la concentrazione. Si sedette su una panchina all'ombra di una magnolia e prese dalla borsa il libro di psicologia dell'infanzia, si tirò una ciocca castana e ondulata dietro l'orecchio e iniziò a leggere. Studiava per diventare insegnante di scuola primaria.
Dopo il liceo aveva lavorato per pochi anni nel minimarket dei suoi genitori, finché aveva capito che la sua strada era un'altra, ovvero quella dell'insegnamento. Così aveva lasciato il paese in cui era cresciuta alla volta di Atlanta, dove aveva iniziato a seguire un corso di studi adatto a conseguire il suo obiettivo, e meno costoso del college. I suoi genitori contribuivano a pagare le spese, compreso l'affitto del miniappartamento che divideva con una coinquilina. Per metà le copriva lei stessa lavorando qualche ora come commessa alla libreria.
Oltre che insegnare, Carol sognava d'incontrare il grande amore, un ragazzo buono e gentile con il quale sposarsi e avere un bambino, o magari due. Un giorno, lo sentiva, sarebbe successo.
Studiò per un'oretta, sottolineando sul testo le parti salienti con una matita, poi chiuse il libro: era ora di tornare a casa, ma solo dopo essere passata a prendere la pizza, perché quella sarebbe stata una delle serate pizza-divano-film che lei e Tessa tanto adoravano.
Si alzò e ritirò il libro nella borsa, mentre la matita cadeva a terra. Abbassandosi per raccoglierla, notò qualcosa sotto la panchina e lo prese: era un portamonete di stoffa nera con lo stemma della Harley-Davidson, quasi certamente perso da qualcuno che si era seduto lì prima di lei. Era tutto consunto, aveva addirittura un buco. Se lo rigirò fra le mani, decidendo di aprirlo per vedere se contenesse qualcosa a indicare la sua appartenenza: era indiscusso che avrebbe fatto in modo di restituirlo al legittimo proprietario. Trovò alcune banconote malamente ripiegate e qualche spicciolo, a occhio e croce circa quarantacinque dollari, e uno scontrino stropicciato, nulla che rivelasse l'identità del proprietario. Tirò fuori lo scontrino, che era di un locale, il Black Devil Bar in Carter Street. Sentendosi un po' Jessica Fletcher, lo considerò un indizio e pensò che probabilmente la persona cui apparteneva il portamonete frequentasse quel bar. Decise che ci sarebbe andata. Carter Street, però, si trovava dall'altra parte della città e ora non avrebbe fatto in tempo, quindi rimandò all'indomani. Quella via si trovava in una zona non troppo perbene dove non era mai stata, ma ciò non l'avrebbe fermata.
Mezz'ora più tardi stava salendo verso il suo appartamento, al quarto piano di un vecchio palazzo senza ascensore, con due cartoni di pizze e tanta voglia di una doccia. Entrò in casa, trovando Tessa seduta al tavolo della cucina, la quale si metteva lo smalto viola sulle unghie con il libro di diritto civile aperto davanti a lei.
«Non so niente» annunciò richiudendo il botticino.
Carol sorrise. La sua coinquilina diceva sempre così prima di un esame, e puntualmente prendeva il voto più alto.
«Ne sono certa» ironizzò posando la borsa su una sedia e le pizze sul tavolo.
«La mia è con doppio formaggio?» domandò Tessa mentre si soffiava sulle unghie.
«Schifosamente formaggiosa.» Carol aprì la borsa, prese il portamonete e lo mostrò all'amica. «Guarda cos'ho trovato al parco.»
Tessa lo osservò. «Contiene dei soldi? Potremmo pagarci l'affitto.»
«Niente affatto! Lo restituirò a chi l'ha smarrito.»
«Stavo scherzando! Sai di chi è?»
«No, non ci sono documenti o altro, solo uno scontrino di un bar in Carter Street. Domani pomeriggio vorrei andarci, magari sanno a chi appartiene.»
«Ma si trova nei bassifondi, là è pieno di gentaglia!» disse l'amica sgranando gli occhi.
«Bassifondi, che esagerata!» Carol rise di quel termine. «Vorrà dire che finirò stuprata, uccisa, fatta a pezzi e gettata nel Chattahoochee.»
«Già» convenne Tessa. «Perché ti sta tanto a cuore quel portamonete?»
«Perché è giusto farlo riavere alla persona alla quale appartiene, che potrebbe avere bisogno di quei soldi.»
La sua coinquilina scosse la testa facendo ondeggiare i lunghi capelli rossi raccolti in una coda. «La tua missione è aiutare gli altri, ce l'ha proprio scritto nel DNA.»
«Ciò che farò adesso è aiutare me stessa, con una bella doccia.»
Tessa chiuse il libro è si alzò dalla sedia. «Scaldo le pizze.»
Più tardi, Carol uscì dal bagno indossando abiti comodi e con i capelli che le arrivavano alle spalle profumati di shampoo. Le pizze erano calde e, insieme a due lattine di Coca Cola, pronte sul tavolino davanti al divano, Tessa la stava aspettando già posizionata su quest'ultimo.
«Dai che sta per iniziare!»
«Arrivo!»
Il giovedì sera alla televisione davano sempre vecchi film horror, loro fingevano di non avere paura, ma finivano sempre con lo stringersi a un cuscino. Carol andò a sedersi accanto alla sua coinquilina ed entrambe si misero il cartone della pizza sulle ginocchia, mentre sullo schermo scorrevano le prime immagini di “La notte dei morti viventi”.
Terminato il film, Tessa si ritirò nella sua stanza augurandole la buonanotte: Carol poté scommettere che avrebbe dormito con la luce accesa.
Portò i contenitori delle pizze e le lattine vuote in cucina. Sul tavolo c'era il portamonete e si soffermò a guardarlo. Poteva anche appartenere a un poco di buono, ma volle credere il contrario, perché chi frequentava i luoghi come i quartieri di Carter Street non era necessariamente una cattiva persona. Dal buco nella stoffa, considerò, c'era il rischio uscissero le monete, non le costava nulla ripararlo, quindi prese ago e filo da un cassetto, si sedette su una sedia e lo cucì.

 

* * * *


Il giorno seguente, di pomeriggio dopo il lavoro alla libreria, Carol prese la metropolitana fino a Carter Street. In base al numero civico, il Black Devil Bar non doveva essere molto distante dalla fermata. S'incamminò lungo il marciapiede, passando davanti a negozi e palazzi dall'aspetto trascurato, una macchina della polizia sfrecciò in strada a tutta velocità con le sirene spiegate e una prostituta la squadrò da capo a piedi masticando una gomma. Diede due dollari a un barbone che la ricompensò sorridendole grato, poi incrociò un tipo dall'aria poco raccomandabile con qualcosa che spuntava dai pantaloni e che aveva tutto l'aspetto di essere il calcio di una pistola.
Era una realtà molto differente da quella in cui era abituata a vivere e si sentì un po' a disagio, ma non in pericolo, nessuno aveva tentato di avvicinarla. Finché trovò due ragazzi con giubbotti di pelle e catene al collo accanto a due Harley parcheggiate lungo la strada.
«Ehi, dolcezza, che cosa ci fai tu qui? Non ti ho mai vista da queste parti» disse uno di loro spogliandola con gli occhi.
«Vuoi conoscere i nostri gioiellini?» domandò l'altro andandole incontro.
«No, teneteli pure al loro posto, non siete il mio tipo» replicò superandoli.
Quella risposta le era scappata senza che se ne rendesse conto. Per un attimo temette che sarebbe davvero finita a pezzi nel Chattahoochee e immaginò Tessa davanti ai suoi resti che diceva io l'avevo avvertita. Udì i due ragazzi sghignazzare e le loro risa sarcastiche si fecero sempre più lontane: non l'avevano seguita. Tirò un sospiro di sollievo.
Arrivò davanti al bar che cercava, che aveva un'insegna sbiadita e i vetri che anelavano una passata di detergente. Spinse la porta ed entrò. Il locale era fumoso, musica hard rock riempiva l'aria, alcuni uomini erano seduti a un tavolo e un paio stavano appollaiati sugli sgabelli al bancone, tutti bevevano, fumavano e davano l'impressione di non avere niente altro da fare nella vita. Sollevarono su di lei sguardi curiosi.
«Ciao...» la salutò in modo stupito l'uomo calvo e muscoloso al di là del bancone mentre spillava una birra. Aveva un piercing nel sopracciglio e indossava la maglietta di un concerto degli ACDC.
«Buongiorno» disse Carol avvicinandosi al bancone.
L'uomo servì da bere poi si spostò verso di lei. «Che cosa beve questa bella ragazza?»
Il suo sguardo e il suo tono non erano viziosi come quelli dei motociclisti, quel tipo le ispirò simpatia. Sorrise, domandandosi se in quel bar servissero bevande analcoliche.
«Sono qui per un altro motivo» affermò tirando fuori il portamonete dalla borsa. «L'ho trovato in un parco, dentro c'era uno scontrino di questo locale, così ho pensato di portarlo qui. Lei sa per caso a chi appartiene?»
«Eccome se lo so! È di un ragazzo che viene spesso qui con suo fratello, l'ha perso giusto ieri, proprio quando doveva saldare il conto.»
Lui allungò la mano per prenderlo ma Carol non glielo permise. In fondo chiunque avrebbe potuto raccontare quella storia al fine di tenersi i soldi, o dire di esserne il possessore, ma non aveva modo di sapere con certezza chi dicesse la verità, quindi di qualcuno doveva pur fidarsi. Riflettendoci, posò lo sguardo sul tatuaggio che l'uomo aveva sull'avambraccio: un diavolo tutto nero stilizzato, che sicuramente aveva dato il nome al bar.
«Ti piace? Ne vuoi uno così anche tu?»
«Oh, no... Io... preferisco i fiori.»
«Lo immaginavo» disse lui ridendo. «Senti, ti assicuro che lo darò a quel ragazzo, parola di T.J.. Io sui soldi non scherzo.»
Carol, convinta dalla tanta serietà delle sue parole, decise che poteva fidarsi e gli consegnò il portamonete.
«Grazie, da parte sua. Non tutti avrebbero cercato di restituirlo.»
«C'è ancora chi lo fa.»
T.J. le sorrise.
Carol pensò che fosse una brava persona e ricambiò il sorriso.
«Torna ancora» la invitò.
«Okay» rispose lei, anche se immaginava che sarebbe stato il contrario.
Uscì dal Black Devil Bar e si avviò lungo la strada a ritroso per raggiungere la fermata della metropolitana. Con suo sollievo, non trovò più i tipi delle Harley, mentre vide la prostituta salire su un'auto e il barbone addormentato sul suo giaciglio di stracci. Perché certe persone finivano a fare quella vita? Perché passavano le giornate a bere al bar senza avere una meta? Un'infanzia difficile, scelte sbagliate, mancanza di una guida giusta, forse erano queste le cause, meditò Carol con tristezza. Sperò che il futuro riservasse loro una seconda occasione. Chissà come viveva il ragazzo del portamonete, chissà se ci sarebbe stato per lui qualcosa di buono. Si augurò ardentemente di sì.
Prima di tornare a casa, intendeva passare a prendere dei dolcetti per festeggiare il successo di Tessa all'esame, perché, ancor prima di conoscere il risultato, era certa che l'amica l'avesse superato brillantemente. Giunse alla fermata e salì al volo sul treno, con il sorriso sulle labbra.

 
*


Daryl e suo fratello stavano aspettando Dick all'angolo tra la Brawley e Carter Street. Lo videro arrivare attraversando la strada in tutta calma con la sigaretta in bocca, e giunto alla loro altezza salutò Merle pugno contro pugno, a lui riservò un cenno del capo. A Daryl stava fottutamente sulle palle. Lo vide passare a suo fratello un flaconcino contenente delle pasticche, che lui si mise in tasca.
«È roba buona» assicurò Dick.
Non condivideva il fatto che Merle si facesse di quelle sostanze, lui fumava soltanto dell'erba di tanto in tanto, come non approvava certi suoi comportamenti, ma nonostante ciò lo seguiva e lo assecondava.
«Perché mi guardi così?» gli domandò Merle. «Sto facendo girare l'economia.»
Dick gettò a terra il mozzicone e lo schiacciò con il piede. «Hai fatto un affare, amico.»
«Andiamo a bere qualcosa da T.J., oggi offro io. Il mio fratellino si è fatto fottere i soldi come un pivello!» disse Merle.
«Finiscila di prendermi per il culo!» fece Daryl infastidito. Lo scazzava da morire aver smarrito il portamonete e il fratello non perdeva occasione per ricordarglielo. Poteva essergli uscito dalla tasca mentre lavorava al magazzino, mentre camminava per strada o al parco, e qualcuno di sicuro l'aveva trovato e se l'era tenuto. Oppure glielo avevano semplicemente fottuto in metropolitana.
Entrarono al Black Devil Bar.
«Daryl, è il tuo giorno fortunato» lo informò subito T.J. «Hanno lasciato questo per te. E ho già trattenuto il saldo del conto.»
Lui osservò incredulo l'oggetto che l'uomo aveva posato sul bancone: il suo portamonete.
«L'ha trovato una ragazza al parco, ha visto un mio scontrino e ha pensato di portarlo qui. È andata via cinque minuti fa, un bel bocconcino con due occhi azzurri da favola.»
«Peccato non essere arrivati prima» si dispiacque Merle sedendosi su uno sgabello accanto a Dick.
«Non era tipo per te, troppo brava e bella. Tu ti meriti Wendy la tettona.»
«Quella la metti come vuoi. È ora che anche la verginella qui si faccia un giro con lei, d'accordo fratellino?»
Daryl non lo stava a sentire. Teneva il portamonete tra le mani e pensava all'onestà della persona che glielo aveva restituito. Notò che il buco era stato ricucito. Nessuno gli aveva mai riservato un gesto tanto gentile, così semplice eppure così grande, fu come essere attraversato da un soffio d'aria buona e pulita. La vita della ragazza dai bellissimi occhi aveva sfiorato la sua, toccandogli il cuore.
«Ehi, Daryl, sto parlando con te!»
Si mise il portamonete in tasca, ora con una ragione in più per non perderlo di nuovo, e si sedette al bancone. Ordinò una birra e ascoltò cosa Merle aveva da dirgli.
Quella era la sua vita, il suo mondo, inesorabilmente.


 


Era da un po' che mi frullava in testa questa storia, doveva solo prendere forma, e io trovare il tempo di scriverla :)
Aspettiamo il 24.
Buona ansia.


 
  
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