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Autore: pandafiore    19/10/2016    4 recensioni
{Everlark}
Dal testo:
"È una sera gelida.
Il freddo entra dallo spiraglio della finestra e attraversa la stanza, la pelle, le ossa, passa sotto le unghie e raggela dall'interno le fessure di tutte le ossa. Ghiaccia le crepe del cuore.
Mi rigiro nel letto, sprofondando in un materasso odioso, improvvisamente infastidita da queste coperte troppo pesanti, che scaravento via, in un vano tentativo di liberarmi di loro - dei morti, dei miei morti -, creando un ammasso informe sul pavimento. Fa ancora più freddo, ma va bene così.
Allungo le dita per cercare il calore d'un corpo amico, ma ritrovo solo tela grezza, ruvida al mio tocco.
Mi alzo come un'automa, quasi incosciente di cosa sto facendo, e cammino strascicando i piedi nudi sul pavimento - freddo.
Raggiungo senza riflettere, ma seguendo l'istinto, la camera dove dorme Peeta da quello che sembra poco, ma in realtà è molto tempo. È tornato qui. Da me. E ancora mi sembra impossibile."
{OneShot}
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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OneShot

 

In questa notte gelida





È una sera gelida.
Il freddo entra dallo spiraglio della finestra e attraversa la stanza, la pelle, le ossa, passa sotto le unghie e raggela dall'interno le fessure di tutte le ossa. Ghiaccia le crepe del cuore.

Mi rigiro nel letto, sprofondando in un materasso odioso, improvvisamente infastidita da queste coperte troppo pesanti, che scaravento via, in un vano tentativo di liberarmi di loro - dei morti, dei miei morti -, creando un ammasso informe sul pavimento. Fa ancora più freddo, ma va bene così.
Allungo le dita per cercare il calore d'un corpo amico, ma ritrovo solo tela grezza, ruvida al mio tocco.
Mi alzo come un'automa, quasi incosciente di cosa sto facendo, e cammino strascicando i piedi nudi sul pavimento - freddo.
Raggiungo senza riflettere, ma seguendo l'istinto, la camera dove dorme Peeta da quello che sembra poco, ma in realtà è molto tempo. È tornato qui. Da me. E ancora mi sembra impossibile; anche perché durante il giorno non ci parliamo quasi mai... lui dipinge, io caccio. Fine. Mangiamo assieme, questo sì; e guardiamo la televisione sullo stesso divano, di sera. Ma non riesco ancora a realizzare che lui - lui! Peeta Mellark, quello vero! - sia qui, con me. Abbia scelto proprio me.
Solitamente lo cerco quando ho gli incubi, mentre oggi semplicemente non riesco a prendere sonno; ma la mia vita è tutta un incubo, quindi tanto vale dormire in un posto comodo e caldo, al quale, forse, sono anche addirittura affezionata.

-Ei...- Un braccio morbido a farmi da cuscino, una mano grande e buona sulla mia spalla, a scaldarla. -Sei gelida... hai avuto un brutto sogno?- Nego con il capo e questo sembra sorprenderlo, considerando la rigidità che assumono i suoi muscoli sotto la mia mano, sul suo sterno. So che vorrebbe chiedermi di tutto: Perché sei qui? Perché mi cerchi, se non hai avuto un incubo? È forse perché... perché in qualche modo ci tieni a me?
Tento di scacciare lesta quest'ultimo pensiero, ma subitaneo ritorna, come una palla che rimbalza contro un muro.
Lo sento boccheggiare all'aria, in cerca di parole, così alzo lo sguardo e incontro i suoi occhi, brillanti al buio, terribilmente sinceri. Percepisco il suo fiato frammentarsi sulla mia pelle marmorea, ed è un attimo.
È un attimo, e la sua bocca cede prima che lo faccia la mia, e accarezza le mie labbra, in un bacio puro, in un bacio casto; in un bacio che trema.
La pelle dei suoi zigomi vibra e si risveglia sotto i miei polpastrelli, mentre tento di sfiorarne i lembi, ma tremo a mia volta.
E non tremo perché ho paura, anzi, io mi fido di Peeta. Ma tremo per la consapevolezza.
Per la consapevolezza della fame vorace che mi attanaglia lo stomaco, durante questo bacio.
È la stessa fame che avevo sulla spiaggia, la stessa fame che mi prende per la maglietta sgualcita e mi fa avvicinare al corpo, così caldo, di Peeta.

Ed è ora che ho paura.
Ho paura delle mie azioni, del mio corpo, ancora ghiacciato, che si protende verso il suo, che si innarca come una corda tesa d'un violino e rasenta la sua pelle, ne cerca i lembi scoperti.
Una sua mano all'altezza dei miei reni scorre placida e inesorabile, in una carezza lenta, che con il tempo diventa sempre più forte, sempre più passionale. Scivola sotto la mia canottiera, in un tocco che brucia, che ustiona davvero.
E sento un calore nascere lentamente in me, sbocciare piano, andando a riscaldare dapprima gli arti, poi il torace, la testa... il cuore.
Il gelo di prima è un ricordo assolutamente lontano, appartenente ad un'altra vita, ad un'altra persona.

Il bacio si fa intenso, la sua lingua va ad accarezzare le incisioni dei denti sul mio labbro inferiore. Sembra voler sanare le ferite, e a me piace che qualcuno, una volta ogni tanto, si preoccupi per me.
La mia canottiera scorre via, ed ho un sussulto quando il mio seno si appoggia sul suo petto, a suo volta spoglio - e l'ho spogliato io. È come ghiaccio a contatto con il fuoco, così mi ritraggo presto da quel contatto troppo approfondito, troppo intimo. Troppo caldo.
Per me, poi, che sono ormai così avezza al freddo, alla morte.

Le labbra di Peeta esitano. Pare che la consapevolezza abbia colpito anche lui, sembra stia lacerando anche la sua anima.
Ed è proprio questo momento di indecisione a farmi scivolare via, come sabbia tra le dita.

Mi rifugio nell'angolo del letto, lontana, ancora una volta, da quel corpo amico che ho tanto cercato, bramato, anelato in questa notte antica. In questa notte gelida.

Una stretta forte circonda la mia vita e mi costringe a muovermi con lui, frusciando su un lenzuolo morbido, e non di carta vetrata come il mio.
-Mi dispiace...- Mormora, terribilmente triste, allungando le sue dita forti sul mio ventre nudo, scaldandolo ancora una volta.
La sua gamba circonda le mie e la mia schiena aderisce perfettamente al suo petto, così dannatamente caldo.
-Di cosa?- Gli domando, per rimediare, almeno una volta, alla mia fuga. Io sono in debito con lui, non posso dimenticarlo. Per questo tento, ogni volta, di alleviare il dolore che le mie azioni gli arrecano. Perché è davvero colpa mia. Lo è sempre stata, per tutto.
-Non... non dovevo.- Con una fitta al cuore per l'amarezza nelle sue tonalità, mi volto in sua direzione, scorrendo ancora languida tra queste soffici lenzuola, e ricongiungo le nostre fronti, con sempre quella folle paura di amarlo. Ma io non amo le persone.
-Forse... forse non dovevi fermarti.- Sibilo, abbassando lo sguardo, diventato troppo pesante da sostenere.
È quello che penso.
Se non si fosse fermato, se, per una volta, non si fosse sentito in colpa per ciò che stava facendo; se avesse avuto un po' di polso, e non avesse pensato - come sempre - a me, ma avesse fatto ciò che si sentiva di fare, ciò che il suo corpo premeva per fare, sarei stata sua, una volta per tutte.
Sarei stata sua, e non ci sarebbero state più insicurezze, indecisioni, dubbi.
Sarei stata sua, e forse lo avrei accettato.
Perché credo che avesse ragione Finnick, alla fine: le mie emozioni le conoscono prima gli altri di me. È per questo che tutti - tranne me - sanno con certezza che io amo Peeta.
-Come non dovevo fermarmi?- Mi solleva il mento e mi scruta sconvolto. -A te va bene..?- Abbasso le ciglia e contraggo la fronte, cercando una risposta nella mia mente, che sibila solo tanti sì. E altrettanti no. Così annuisco, mentre formulo un -No.- con la voce sottile.
-Katniss, deciditi!- Ride, il ragazzo del pane, riempendo la stanza silenziosa con un gorgoglìo cristallino.
-Io... io non...- Balbetto, chiudendomi a chiocciola.
-Devo sapere una cosa. Prometti di dirmi la verità?- Annuisco, guardandolo nuovamente negli occhi scintillanti di ansia e preoccupazione.
-Katniss... tu...- Si umetta le labbra con la lingua, e ho paura, e ne sono attratta. -...tu mi ami?- Ho un tuffo al cuore, e nascondo il volto, rosso, nella sua spalla. Tutto quel gelo che avevo nel mio letto, è scomparso, per lasciare spazio solamente al clima torrido che mi secca la gola e mi toglie la voce.
-Peeta io non...-
-Sincera.- Ripete, portando una mano a lato del mio volto, alzandolo appena.

E anche qui è questione di un momento.
Miliardi di pensieri che scorrono veloci di fronte alla mia vista, come un vecchio film muto e senza colori, un'unica azione però: scappare.
Scosto il lenzuolo rapidamente, e fuggo da quella situazione imbarazzante, immergendomi nuovamente nel gelo della notte, che placa appena i miei bollenti spiriti.

Trovo il ripostiglio, e mi ci tuffo dentro, tra due scope e un'aspirapolvere, in uno spazio davvero minimo. E le lacrime che minacciavano la fuoriuscita, ora realizzano la loro promessa e solcano bollenti le guance, ustionandole.
Non posso, non posso dare una risposta a Peeta. Non la so nemmeno io.

La porta dello sgabuzzino si apre dopo una decina di minuti - il tempo per pensare, per piangere. -, e mi ritrovo avvolta in un abbraccio caldo, soffice, che profuma di pane e lievito per dolci. E solo ora mi rendo conto che sto proprio singhiozzando, come una bambina. Che stupida, mi dico, ad essere così debole.
Il fatto è che ho paura. Ho paura di amare, perchè chiunque io abbia mai amato poi è morto. Prim, Rue, Finnick, Boggs... papà.

Il mio pianto si fa più rumoroso, le carezze di Peeta sul mio capo più insistenti, nel vano tentativo di placarmi, con dolci sussurri e frasi buone. -È tutta colpa mia.- Biascico, masticando le parole. -È tutta colpa mia! È TUTTA COLPA MIA!- Sto gridando, e Peeta non ne è sorpreso per niente. Perché mi capisce? Perché lui è come me, ma è migliore? Come fa? Voglio anch'io.
-Peeta...- Tiro su col naso, i suoi palmi bollenti che passano i pollici sulle mie gote arrossate, bagnate di pianto, e tentano di asciugarle, di rimettere tutto a posto. Ma niente tornerà a posto. Oppure sì?
Se io provassi ad amare... se io solo provassi... provassi a volere di nuovo bene... cosa potrebbe mai accadere?
No. No, Peeta. Farei del male a Peeta, già lo so. È già successo.

Ora si è seduto di fronte a me, in questo spazio minuscolo, dove l'aspirapolvere minaccia di caderci addosso. -Katniss, Katniss guardami.- Alzo gli occhi dalla moquette e trovo quell'azzurro che mi fa sin male al cuore.
-Katniss, scusami. Non volevo... non dovevo...-
Sto zitta, perché lui ha il diritto di chiedermi se io lo ami; e forse è anche così, forse davvero lo amo, forse sì. Ma non posso. Non potrei per il semplice motivo che poi lui ci soffrirebbe, perché io non sono in grado di amare.
-Io non so... ehm... amare.- Farfuglio, abbassando nuovamente le palpebre.
-Ma vorresti? Tu vorresti amare, Katniss? Perché io vorrei, ma ho così tanta paura di ferirti, di... di infrangerti. Sei così fragile, Kat. Come porcellana.- L'ombra d'un sorriso gli plasma le labbra, mentre sussurra queste parole e contemporaneamente mi accarezza uno zigomo con le dita. Chiudo gli occhi e adagio il viso su quella mano.
Fra le sue braccia sembra tutto così leggero, così nebuloso e vacuo, così bello. E realizzo che ho smesso di piangere.
-Io vorrei...- Mormoro, e nemmeno mi si sente, penso.
-Tu vorresti? Vorresti amare, Kat?- Annuisco, sempre con gli occhi chiusi e la paura nelle viscere. Sembra un sogno, tutta questa mia sincerità.
-E allora fallo. Tanto non mi fai del male, non più di quanto non me ne sia già stato fatto.- Percepisco il suo sorriso amaro aprirsi, senza nemmeno doverlo guardare. So già che quando parla di queste cose sorride; so già che lui preferisce prendere le cose con il sorriso, perché così sono più leggere. E ha ragione, dovrebbe insegnarmi a farlo più spesso. Perché ora ho aperto gli occhi e dischiuso le labbra in un sorriso anch'io, e tutto sembra più bello. Persino lui.
-Katniss Everdeen, mi stai forse sorridendo?- Ridacchia stupito, e inizio sommessa a ridere, rifugiando il viso nella sua spalla, catturando quanto più profumo riesco ad inspirare.
-Non lasciarmi.- Sussurro, prendendo tra le dita le onde bionde dei capelli sulla sua nuca.
-Non lo faccio.- Mai? Penso, e so che lui mi legge nella mente. -Mai.- Aggiunge un istante dopo, e sorrido ancora.






[2 anni dopo...]


Peeta

È la luce bianca della neve a svegliarmi questa mattina, in perfetta armonia con le lenzuola, l'intonaco delle pareti, l'aria, la sua pelle.
Un sorriso sulle mie labbra.

Mi dà le spalle, ritagliando con il corpo un profilo sinuoso quanto dolce al di sotto delle coperte candide. La schiena scoperta a partire dal collo fino a metà torace, praticamente mi costringe ad allungare le dita e ad accarezzarla, così fresca e soave.
I suoi muscoli iniziano a risvegliarsi, si muove ed appoggia le dita sulla mia mano, delicata come un fiore. Le stringo appena il braccio, e la vedo girarsi lentamente verso di me.
Con le guance imporporite, la prima cosa che fa quando incrocia il mio sguardo è alzare gli angoli della bocca, in un sorriso bellissimo, così timido.
Non abbiamo ancora detto nemmeno una parola, ma non ce n'é il bisogno; i nostri occhi, il rimbombo dei nostri cuori e le nostre labbra parlano per noi, mentre ricongiungo il bacio che abbiamo lasciato in sospeso la scorsa notte.

Le mie mani corrono sulla sua pelle diafana e cercano sempre nuovi lembi inesplorati, un neo da scoprire, una cicatrice ancora non marchiata nella mente. La afferro saldamente per i fianchi e la porto sopra di me, imbarazzandola. Le prendo il viso tra le mani, infiltrandomi tra i suoi capelli scuri, la bacio, sento il suo seno premere contro il mio petto e mi sembra di morire. -Kat...-
-Mh...-
-Tu però ora mi ami. Vero o falso?-
Distoglie lo sguardo, arrossisce, e sorride; -Vero.-




   
 
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